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1. Il quesito di diritto

Un’intesa anticoncorrenziale con altri operatori in relazione ad una procedura di gara pubblica accertata da un provvedimento sanzionatorio dell’AGCM integra la causa di esclusione prevista dall’art. 38, comma 1, lett. f) d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, ratione temporis applicabile? In altri termini un provvedimento dell’AGCM con il quale è sanzionata un’infrazione in ordine al diritto della concorrenza configura un “errore grave nell’esercizio dell’attività professionale” di cui all’art. 38, comma 1, lett. f), seconda parte, del previgente Codice degli Appalti Pubblici?

2. La sentenza di primo grado

Il TAR Piemonte, Sez. I, con la sentenza n. 446/2017, aveva disposto l’annullamento dell’aggiudicazione disposta a favore del soggetto a cui era stata comminato il provvedimento sanzionatorio dall’AGCM sulla base dei seguenti passaggi ricostruttivi:

  • l’art. 38, comma 1, lett. f), cit., è attuazione dell’art. 45, comma 2, lett. d), della direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004, sulla quale la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha avuto modo di pronunciarsi nel senso che la nozione di “errore nell’esercizio dell’attività professionale” attiene a “qualsiasi comportamento scorretto che incida sulla credibilità professionale dell’operatore e non soltanto le violazioni delle norme di deontologia in senso stretto della professione cui appartiene tale operatore” (sentenza C-465/11 del 13 dicembre 2012 Forposta);
  • in questa ottica, considerata l’appartenenza della lett. f) dell’art. 38 cit. ai requisiti di “ordine generale”, intesi come requisiti di “ordine pubblico” e di “moralità”, la stazione appaltante è tenuta a valutare le condotte che siano indice di deficit di “integrità” e di “moralità” dell’operatore economico, per quanto desunto dalla sua pregressa esperienza professionale;
  • tali sono anche le condotte anticoncorrenziali, espressive di una scarsa osservanza degli standard di “legalità” (e che perderebbero ogni significato ove fossero proiettate esclusivamente sul pianto dell’esecuzione del contratto).

Alla luce delle anzidette premesse, il TAR aveva concluso nel senso dell’irragionevolezza della decisione della stazione appaltante che non aveva in alcun modo valutato la condotta sanzionata dall’AGCM sul piano degli indici di “legalità” e di caratura “morale” dell’aggiudicataria, avendo concentrato il suo giudizio solo sulla possibilità di corretta esecuzione del rapporto contrattuale da instaurare, conclusa positivamente e, d’altra parte, alla non definitività delle condotte accertate e verificatesi in una diversa gara. Di tal ché, secondo il primo Giudice, la Stazione appaltante aveva trascurato di considerare che la disposizione si riferisce a qualsiasi comportamento scorretto, anche non coperto da giudicato, capace di incidere sulla credibilità professionale dell’operatore e non solo alla violazione delle norme di esecuzione del contratto.

3. La decisione del Consiglio di Stato

Con la sentenza n. 722/2018, il Consiglio di Stato, nel riformare la sentenza di primo grado, ha statuito che nel vigore del D.Lgs. 163/2006 un provvedimento sanzionatorio dell’AGCM non è tale da configurare un “errore grave nell’esercizio dell’attività professionale” di cui all’art. 38, comma 1, lett. f), richiamato.

Esulano dal perimetro applicativo dell’art. 38, comma 1, lett. f, del D.Lgs. 163/2006 e s.m.i. i fatti illeciti commessi al di fuori dell’esecuzione di rapporti contrattuali, a qualsiasi titolo sanzionati dall’ordinamento.

La medesima questione era stata peraltro già oggetto della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 4 dicembre 2017, n. 5704, pronunciata in una fattispecie del tutto identica nei confronti del medesimo destinatario del provvedimento sanzionatorio in questione.

Il Collegio, dunque, nel condividerne i contenuti e le statuizioni, ha richiamato l’incontrastato orientamento giurisprudenziale che circoscrive l’errore professionale di cui alla lettera f) dell’art. 38 cit. ai soli inadempimenti e condotte negligenti commessi nell’esecuzione di un contratto pubblico, e che per contro esclude dal campo applicativo della norma i fatti, anche illeciti, occorsi nella prodromica procedura di affidamento (da ultimo: Cons. Stato, Sez. V, 30 ottobre 2017, n. 4973; Id., 15 giugno 2017, n. 2934).

La delimitazione della fattispecie in esame alle sole condotte commesse nella fase di esecuzione di contratti pubblici, secondo il Collegio, si giustifica sulla base di ragioni di tipicità e tassatività della causa ostativa, e dunque per le correlate ragioni di certezza vantate dagli operatori economici in ordine ai presupposti che consentono loro di concorrere all’affidamento di commesse pubbliche.

Il Collegio, nell’ottica della continuità con i principi testé espressi, non ha mancato di richiamare (i) l’orientamento che in passato ha escluso che gli estremi del grave errore professionale possano essere ricavati da procedimenti penali nei confronti di esponenti dell’impresa concorrente, per i rischi di sovrapposizione tra la causa ostativa di cui alla lettera f) dell’art. 38 cit. con quella autonoma prevista dalla lettera c) della medesima disposizione e dunque anche in questo caso in violazione del principio di tassatività della cause di esclusione (Cons. Stato, VI, 2 gennaio 2017, n. 1); (ii) e la giurisprudenza amministrativa secondo cui la finalità dell’ipotesi contemplata dalla lettera f) è quella di consentire alla stazione appaltante di valutare la rilevanza del comportamento tenuto dall’impresa nell’esercizio della sua attività professionale in vista della corretta esecuzione dell’appalto da affidare; (iii) la propria sentenza 17 aprile 2017, n. 3505, che, nell’ottica del principio di determinatezza delle cause di esclusione, aveva escluso che il “grave errore professionale” previsto dall’ art. 38, lett. f), cit. ricorra in caso di illecito anticoncorrenziale (sentenza 17 aprile 2017, n. 3505) “come pure (la) L. n. 287 del 1990, con riguardo alle sanzioni pecuniarie irrogate dall’A.G.C.M., non prevede alcuna sanzione accessoria rilevante in termini di esclusione dalla gara”.

Diversamente opinando, secondo il Collegio, si estenderebbe il campo di applicazione della norma in esame ad ipotesi ad essa non riconducibili, la disposizione contemplando due ipotesi: l’una consistente nella “grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara” e, l’altra, nell’“errore grave nell’esercizio della loro attività professionale”. Tali fattispecie hanno un nucleo comune, incentrato sullo svolgimento dell’attività di impresa sulla capacità tecnica e correttezza esecutiva manifestata dall’operatore economico nello svolgimento di quest’ultima.

Esulano quindi dal perimetro applicativo della norma i fatti illeciti commessi al di fuori dell’esecuzione di rapporti contrattuali, a qualsiasi titolo sanzionati dall’ordinamento. Tali ipotesi risultano infatti incompatibili sul piano letterale e logico con la nozione di “errore” impiegata nella lettera f), nel contesto di una disposizione che per altre cause ostative, relative a fatti lesivi di interessi generali e non circoscritti alla sfera imprenditoriale, impiega invece le espressioni “gravi infrazioni” (lett. e) o “violazioni gravi” (lett. “g” e “i”); o ancora “hanno violato il divieto” (lett. d). Né ad una diversa conclusione si perviene alla luce della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea 18 dicembre 2014, C-470/13.

Vero è che con questa pronuncia la CGUE ha stabilito che nell’ipotesi di “errore grave” commesso “nell’esercizio dell’attività professionale” previsto dall’ art. 45, comma 2, lett. d), della direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004 “un’infrazione alle regole della concorrenza, in particolare qualora tale infrazione sia stata sanzionata con un’ammenda” (par. 35 della direttiva).

Ma è altrettanto vero che la pronuncia è stata resa in un giudizio sorto su un rinvio pregiudiziale avente ad oggetto la compatibilità con il diritto Euro-unitario di previsioni legislative di uno Stato membro dell’Unione che attribuivano espressa rilevanza all’infrazione al diritto della concorrenza ai fini della partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici.

La questione esaminata dalla Corte di giustizia verteva sulla possibilità di ricondurre alla nozione utilizzata dall’art. 45, comma 2, lett. d), della direttiva 2004/18/CE la fattispecie prevista dalla legislazione ungherese in materia di contratti pubblici, la quale consente alle amministrazioni aggiudicatrici di impedire la partecipazione a procedure di affidamento agli operatori economici che hanno commesso “un’infrazione connessa alla propria attività economica e professionale, e constatata con decisione giurisdizionale passata in giudicato al massimo cinque anni prima”.

Mentre nella fattispecie in commento questa “interposizione” legislativa interna difetta(va). Se infatti nel caso esaminato dal giudice Europeo si verteva su una causa ostativa incentrata sull’ “infrazione connessa alla propria attività economica e professionale”, espressamente prevista dalla legge nazionale, l’art. 38, lett. f), cit. si limita per contro a riprodurre la formulazione normativa della direttiva Europea, attraverso la nozione di “errore professionale”, non ulteriormente specificata.

La Corte di giustizia ha quindi ritenuto che l’illecito anticoncorrenziale, rientrante nella causa di esclusione prevista dal legislatore interno, sia a sua volta riconducibile alla fattispecie dell’errore grave commesso nell’esercizio dell’attività professionale prevista dalla direttiva.

Ciò nell’ambito di un giudizio di conformità del diritto interno rispetto allo strumento normativo sovranazionale finalizzato ad armonizzare le legislazioni degli Stati aderenti all’Unione Europea, condotto secondo il tipico approccio “funzionale” che contraddistingue il diritto di quest’ultima, ovvero incentrato sulla verifica della corretta attuazione sul piano interno delle finalità perseguite a livello Europeo.

Nel caso del previgente codice dei contratti pubblici manca invece il presupposto normativo “interno” e cioè l’opzione espressa del legislatore nazionale nel senso di declinare la nozione Europea nel senso di ricondurvi anche l’illecito antitrust.

A fronte di ciò l’indagine deve essere affidata ai comuni criteri interpretativi delle leggi, sanciti dall’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale (c.d. preleggi).

A questo specifico riguardo, la differente formulazione della norma italiana rispetto a quella ungherese esaminata dalla Corte di giustizia ha carattere sostanziale: quest’ultima si riferisce a violazioni di legge commesse nell’ambito dell’attività di impresa ed a vantaggio di questa; la seconda, nel limitarsi ad impiegare il concetto di “grave errore professionale”, deve invece ritenersi limitata ad inadempimenti di obblighi assunti dall’impresa stessa nei propri rapporti contrattuali.

Quindi, le intese restrittive della concorrenza non possono essere ricondotte all’attività professionale dell’impresa, ma costituiscono fatti illeciti commessi appunto a vantaggio di quest’ultima, in violazione delle norme a tutela del fisiologico esplicarsi delle attività economiche.

Sulla base delle anzidette argomentazioni il Consiglio di Stato non ha ritenuto di dover investire della questione la Corte di Giustizia, affermando che non vi è dubbio sull’interpretazione della disciplina comunitaria, posto che:

(i) la norma interna è sostanzialmente riproduttiva di quella Europea. Entrambe si imperniano in particolare sul concetto di grave errore commesso nell’esercizio dell’attività professionale, cosicché non si possono nutrire dubbi sulla corretta trasposizione interna del precetto comunitario;

(ii) diversamente dalle cause di esclusione previste nel comma 1 dell’art. 45 della direttiva, la causa di esclusione di cui all’art. 38, comma 1, lett. f) è di carattere facoltativo: recita infatti il comma 2 dell’art. 45 in esame: “Può essere escluso dalla partecipazione all’appalto ogni operatore economico”. In questo caso la direttiva Europea attribuisce quindi un potere discrezionale allo Stato membro, che nel caso di specie l’Italia ha legittimamente ritenuto di esercitare in linea con la previsione normativa contenuta nella direttiva;

(iii) la richiesta di sollevare la questione pregiudiziale sottende in realtà il tentativo di ricevere dalla CGUE l’avallo ad un’interpretazione analogica, in malam partem, di una norma interna conforme a quella sovraordinata, di cui costituisce puntuale attuazione nell’ordinamento giuridico nazionale. Infatti, con essa non si prospetta un contrasto tra questo duplice livello normativo, ma si lamenta “sul piano assiologico e valoriale” l’inidoneità della legge nazionale a “colpire” le imprese in tesi immeritevoli di aggiudicarsi contratti pubblici, della quale si prospetta quindi una lettura interpretativa di carattere additivo volta a colmarne le lacune; (iv) non sussistono quindi i presupposti per sollevare la questione pregiudiziale, tanto in ragione della c.d. teoria dell’atto chiaro (CGUE 6 ottobre 1982, C-283/81; da ultimo: Cons. Stato, Sez. VI, 12 ottobre 2017, n. 4732), quanto sulla base della funzione di “filtro” che le autorità giurisdizionali nazionali sono chiamate a svolgere rispetto a interpretativo di carattere soggettivo e che non esibiscano requisiti minimi di idoneità per devolvere la questione al giudice Europeo (Cons. Stato, Sez. IV, 2 novembre 2017, n. 5048; id., Sez. V, 22 agosto 2016, n. 3667).

4. Riflessioni sulla portata della sentenza e sull’illecito antitrust nel nuovo Codice dei Contratti.

La sentenza in commento è basata su una ricostruzione restrittiva della fattispecie di cui all’art. 38, comma 1, lett. f) del previgente Codice; non essendovi spazio per una applicazione estensiva della norma il grave errore professionale va quindi inteso esclusivamente quale errore nella esecuzione di un contratto di appalto. La portata applicativa della norma è stata, infatti, chiaramente circoscritta ai soli inadempimenti e alle sole condotte negligenti commessi nell’esecuzione di un contratto pubblico. Ne consegue che gli illeciti anticoncorrenziali, non essendo riconducibili alla fase di esecuzione di un contratto pubblico, non possono essere ritenuti causa di esclusione dalla gara ai sensi dell’art. 38, lett. f) cit..

Diversamente opinando, si finirebbe per disattendere i principi di tipicità e tassatività delle cause di esclusione dalla gara, posti a tutela delle esigenze di certezza in ordine ai presupposti legittimanti la partecipazione del singolo operatore economico alle procedure di affidamento di commesse pubbliche.

Il che, tuttavia, non può che valere per il passato e per le fattispecie regolate dal Codice dei Contratti pubblici del 2006.

L’art. 80, comma 5, lett. c), del nuovo Codice di cui al D.Lgs. n. 50 del 2016 fa rientrare tra i gravi illeciti professionali, oltre alle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto pubblico tali da provocarne la risoluzione anticipata, altresì il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio o il fornire informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione.

Tale norma ha ampliato, rispetto alla previgente disciplina contenuta nell’art. 38 D.lgs. n. 163/2006, il novero delle fattispecie riconducibili nell’ambito dell’illecito professionale estendendolo anche alle condotte che intervengono in fase di gara.

A tal proposito il TAR Lazio, Roma, Sez. I, con la sentenza del 31 gennaio 2018, n. 1119 ha osservato che la nuova disposizione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice innova rispetto alla previgente disciplina, individuando una nozione di illecito professionale che abbraccia molteplici fattispecie, anche diverse dall’errore o negligenza, e include condotte che intervengono non solo in fase di esecuzione contrattuale, come si riteneva nella disciplina previgente (Cons. St., Sez. V, 21 luglio 2015, n. 3595), ma anche in fase di gara (parere della Commissione speciale del Cons. St., 3 novembre 2016, n. 2286; nello stesso senso anche Cons. St., Sez. V, 4 dicembre 2017, n. 5704). E infatti, la lettera dell’art. 80, comma 5, lett. c), non contempla un numero chiuso di illeciti professionali, ma disegna una fattispecie aperta contenente una elencazione avente chiara natura esemplificativa e non tassativa, rimettendo alle stazioni appaltanti la possibilità di individuare altre ipotesi, non espressamente contemplate dalla norma primaria o dalle linee guida ANAC, che siano oggettivamente riconducibili alla fattispecie astratta del grave illecito professionale.

Sul presupposto della natura meramente esemplificativa delle ipotesi suscettibili di integrare un grave illecito professionale, elencate nel citato comma, le Linee guida – nella versione di cui alla proposta di aggiornamento tutt’ora in itinere – individuano tra le situazioni idonee a porre in dubbio l’integrità o l’affidabilità dell’operatore economico i provvedimenti esecutivi dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato di condanna per pratiche commerciali scorrette e per illeciti antitrust gravi aventi effetti sulla contrattualistica pubblica e posti in essere nel medesimo mercato oggetto del contratto da affidare.

In presenza di tali provvedimenti, le Linee Guida prevedono che le stazioni appaltanti debbano valutare le condotte oggetto di accertamento ai fini dell’eventuale esclusione del concorrente, in quanto integranti situazioni idonee a porre in dubbio l’integrità o l’affidabilità dell’operatore economico (par. 2.2.3).

Ai fini di tale valutazione, le Linee Guida prevedono alcuni criteri che la stazione appaltante dovrà seguire, disponendo che l’eventuale esclusione non costituisce una conseguenza automatica e deve essere disposta all’esito di un procedimento in contraddittorio con l’operatore interessato (parr. 6.1 e ss.).

Tra gli elementi da valutare figurano anche eventuali misure di self-cleaning adottate dall’operatore, idonee a dimostrare la sua integrità o affidabilità nell’esecuzione dell’affidamento, nonostante l’esistenza di una causa ostativa (par. VII).

A tal proposito l’AGCM, al fine di contribuire nella creazione di «un contesto di maggiore certezza giuridica per le imprese che partecipano agli appalti pubblici», ha reso in data 13 febbraio 2018 un Parere sull’aggiornamento delle Linee guida n. 6 con il quale ha preso atto con favore dell’inserimento degli illeciti anticoncorrenziali e delle pratiche commerciali scorrette tra gli illeciti professionali, in quanto una simile ipotesi – oltre che conforme alla normativa europea – appare idonea ad assicurare un adeguato effetto di deterrenza nella commissione di illeciti antitrust nell’ambito di gare pubbliche.

L’ACGM non ha mancato tuttavia di evidenziare che la scelta di attribuire rilevanza al provvedimento meramente “esecutivo” dell’Autorità – e non più ai “provvedimenti di condanna divenuti inoppugnabili o confermati con sentenza passata in giudicato” come recitava la precedente versione delle Linee Guida – ai fini della valutazione in merito alla sussistenza di un grave illecito professionale ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), comporta alcune criticità.

Al riguardo, l’Antitrust ha segnalato il possibile contrasto di tale indicazione con l’art. 80, co. 10, del Codice dei contratti pubblici, che ha fissato la durata della causa di esclusione pari a tre anni decorrenti dalla data del suo “accertamento definitivo”, da intendersi – come osservato dal Consiglio di Stato nel citato parere n. 2286/2016 – quale data non già del fatto ma del suo accertamento giudiziale definitivo.

Sicché, al fine di evitare una proliferazione del contenzioso e continui effetti sulle gare in corso derivanti dal possibile esito divergente dei giudizi, l’AGCM ha evidenziato che appare preferibile individuare la data dell’accertamento definitivo non in quella del provvedimento esecutivo dell’Autorità (che non è definitivo), ma in quello dell’intervenuta inoppugnabilità dell’accertamento da parte dell’Autorità (nell’ipotesi di provvedimenti non impugnati) o nella pronuncia definitiva del giudice amministrativo (in caso di impugnazione).

In questo modo, secondo l’AGCM, da un lato, si evita, che effetti rilevanti sulle gare in corso possano essere prodotti da provvedimenti ancora soggetti al controllo giurisdizionale e, sotto altro profilo, non si identifica l’accertamento definitivo con il giudicato formale, bensì con la conclusione del contenzioso davanti al giudice amministrativo munito di giurisdizione esclusiva in materia, allontanando il rischio che un utilizzo strumentale del ricorso per Cassazione possa posticipare l’effetto di un accertamento ormai confermato dal giudice del ricorso.

Tale conclusione appare inoltre coerente con quanto affermato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (sentenza 18 dicembre 2014, causa C‑470/13, §§ 34-37), che, nel confermare l’ascrivibilità dell’illecito anticoncorrenziale all’ipotesi escludente del grave errore professionale riconosce la compatibilità con gli artt. 49 e 56 TFUE di una normativa nazionale che esclude la partecipazione a una procedura di gara d’appalto di un operatore economico che abbia commesso “un’infrazione al diritto della concorrenza, constatata con decisione giurisdizionale passata in giudicato, per la quale gli è stata inflitta un’ammenda” (causa C-470/13, cit., § 39). Nell’affermare tale principio, la Corte si riferisce anche al considerando 101 della direttiva 2014/24 (non ancora attuata all’epoca dei fatti di causa), che stabilisce che le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero avere la possibilità di escludere operatori economici, segnatamente per errori gravi nell’esercizio della propria attività professionale, come la violazione di regole in materia di concorrenza, perché un errore del genere può mettere in discussione l’integrità di un operatore economico (§ 37).

Infine, l’AGCM, ha rilevato come non appaia in linea con quanto previsto nella norma primaria con riferimento agli illeciti professionali suscettibili di rilevare quale causa di esclusione dalla partecipazione agli appalti la scelta di ricomprendere in tale ambito anche i provvedimenti di condanna “per pratiche commerciali scorrette”. Tale tipologia di violazione non appare configurare un illecito professionale riferibile alla contrattualistica pubblica, non inquadrandosi nell’ambito di un rapporto di consumo la condotta posta in essere nella fase di partecipazione dell’operatore economico alla gara.

L’AGCM, alla stregua delle considerazioni effettuate, ha suggerito all’ANAC di modificare le Linee Guida nel senso di conferire rilevanza ai fini dell’esclusione dalla procedura di gara non ai provvedimenti meramente “esecutivi”, ma a quelli “divenuti inoppugnabili o definitivamente confermati dal giudice amministrativo”. 

Ebbene, tale indirizzo dell’AGCM, è stato prima ancora smentito da una recente pronuncia del TAR Lazio (n. 1119/2018, cit.) che a tal proposito ha condiviso la prospettazione secondo cui, anche alla luce delle particolari garanzie che assistono l’adozione del provvedimento antitrust (emanazione da parte di un’autorità in posizione di terzietà, rispetto delle garanzie partecipative e del principio del contraddittorio), appare sufficiente, al fine di imporre alla stazione appaltante un onere di valutazione in ordine all’incidenza dei fatti sulla gara in corso di svolgimento, la mera idoneità del provvedimento sanzionatorio a spiegare, in via anche solo temporanea, i suoi effetti, o perché non (o non ancora) gravato o perché, ove impugnato, non sospeso, senza che rilevi se la decisione giudiziale sia stata assunta in sede cautelare o di merito e, in quest’ultimo caso, se la sentenza sia passata o meno in giudicato. La pretesa definitività della sentenza offrirebbe agli operatori economici destinatari di sanzioni per comportamenti anticoncorrenziali una possibilità di elusione della disposizione in esame, attesa la necessaria delimitazione temporale della causa ostativa (nel senso della non necessità di un giudicato si è infatti espressa, modificando il suo precedente avviso, l’Anac nelle linee guida, n. 6, aggiornate con determina dell’11 ottobre 2017, ove, al punto 2.2.3.1, n. 1, menziona, tra le altre situazioni idonee a porre in dubbio l’integrità e l’affidabilità dell’operatore economico che la stazione appaltante deve valutare, i provvedimenti “esecutivi” dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato di condanna per pratiche commerciali scorrette o per illeciti antitrust gravi aventi effetti sulla contrattualistica pubblica e posti in essere nel medesimo mercato oggetto del contratto da affidare). Sicché è stato riscontrato un difetto di motivazione laddove la stazione appaltante ha ancorato la mancata esclusione del raggruppamento di imprese alla non definitività dell’accertamento e alla non ascrivibilità della fattispecie ad una delle ipotesi tipiche previsto dall’art. 80, comma 5, lett. c).

A parere di chi scrive sarebbe conforme allo spirito della direttiva ritenere rilevante ai fini dell’esclusione di cui si discute un provvedimento sanzionatorio definitivamente accertato, avuto riguardo alla natura ed alla finalità del procedimento sanzionatorio. Il che trova conferma anche nell’orientamento giurisprudenziale secondo cui “… il procedimento amministrativo sanzionatorio viene, tuttavia, ormai per lo più ritenuto (anche a prescindere dalla sua inclusione nell’ambito della “materia penale” da parte della Corte EDU) un procedimento sui generis rispetto ai comuni procedimenti amministrativi, in quanto l’Amministrazione è chiamata non solo e non tanto a curare un interesse pubblico concreto, ma a punire, in nome dell’interesse generale all’osservanza delle leggi. Si ritiene, pertanto, che il procedimento sanzionatorio abbia una natura, almeno in parte, paragiurisdizionale, che richiederebbe un rafforzamento delle garanzie del contraddittorio, che dovrebbe, quindi, essere destinato ad una finalità difensiva e non solo ad esigenze partecipative e di rappresentanza degli interessi in gioco” (Cons. St., Sez. VI, 23 maggio 2015, n. 1596). In conclusione per le gare bandite sotto il vigore del nuovo Codice appalti, l’illecito antitrust è tale da integrare un motivo (non automatico) di esclusione ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), del D.Lgs. 50/2016 e s.m.i. per deficit di integrità e/o di affidabilità dell’operatore economico. L’ANAC chiarirà poi se la natura del procedimento sanzionatorio de qua è tale da conferire rilevanza (o meno) ai fini dell’esclusione dalla procedura di gara ai provvedimenti meramente “esecutivi”.

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Adriana Presti
Avvocato amministrativista, esperto in contrattualistica pubblica
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