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( votes)1. Premesse
Il quadro dei rapporti tra gli Enti pubblici locali e le società dagli stessi costituite o partecipate è profondamente mutato a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 31 maggio 2010 n. 78[1], il cui art. 14, comma 32, limita sensibilmente la discrezionalità dei predetti Enti in ordine alla scelta se costituire società o assumere partecipazioni in società preesistenti.
Sebbene lo scopo in tal modo perseguito dal legislatore – il contenimento della spesa pubblica – sia, sul piano astratto, senza dubbio meritevole di approvazione, le conseguenze pratiche derivanti da tale normativa creano non poche difficoltà agli operatori del settore, sul piano dell’interpretazione nonché del necessario coordinamento delle nuove norme con i precedenti interventi legislativi in materia di costituzione e partecipazione di società pubbliche (quali il cd. Decreto Bersani e la Legge Finanziaria 2008)[2].
La Corte dei Conti ha tentato di sopperire alla mancanza di chiarimenti legislativi sul punto, dando luogo, nel replicare alle numerose istanze degli Enti locali, a diversi orientamenti interpretativi, che nel prosieguo meglio si analizzeranno.
2. Oggetto e ambito applicativo della norma
L’art. 14, comma 32, del D.L. n. 78/2010, nel porre limiti ai comuni che possiedono società, distingue a seconda che si tratti di comuni con popolazione inferiore o superiore ai 30.000 abitanti ovvero, ancora, ai 50.000, ponendo divieti maggiormente stringenti a carico dei comuni di minori dimensioni[3].
Emerge con chiarezza, dunque, come l’effetto perseguito dal legislatore sia quello di collocare il rapporto fra ente costitutore e soggetto societario in un ambito più esteso ed articolato, quale è quello per l’appunto degli enti di maggiori dimensioni, evitando il fenomeno della polverizzazione di società che non dispongono di risorse sufficienti per operare in modo soddisfacente ed autonomo all’esterno dell’ente costitutore.
La disposizione in oggetto dispone invero quanto segue.
- I comuni con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti:
– non possono costituire (nuove) società;
– devono, entro il 31.12.2013[4], porre in liquidazione le società già detenute alla data di entrata in vigore del decreto ovvero cederne le partecipazioni, salvo che si tratti di società preesistenti che abbiano i seguenti requisiti (in tal caso le società “sopravvivono”[5]):
a) abbiano, al 31.12.2012, il bilancio in utile negli ultimi tre esercizi;
b) non abbiano subito, nei precedenti esercizi, riduzioni di capitale conseguenti a perdite di bilancio;
c) non abbiano subito, nei precedenti esercizi, perdite di bilancio in conseguenza delle quali il comune sia stato gravato dell’obbligo di procedere al ripiano delle perdite medesime.
- I comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti:
– possono detenere la partecipazione di una sola società;
– devono porre in liquidazione, entro il 31.12.2011, le altre società già costituite.
Ai divieti previsti dal citato comma 32 non sono, invece, soggetti:
- le società costituite da più comuni, con partecipazione paritaria ovvero con partecipazione proporzionale al numero degli abitanti, la cui popolazione complessiva superi i 30.000 abitanti;
- i comuni con popolazione superiore ai 50.000 abitanti, non soggetti a limiti numerici, almeno in via espressa;
- i consorzi di servizi (v. Corte dei conti, sez. Emilia-Romagna, n. 9/2012).
I divieti sopra esposti si applicano anche alle aziende speciali, ai sensi dell’art. 114, comma 5-bis, TUEL (introdotto dall’art. 25, comma 2, lett. a), L. n. 27/2012)[6].
Il D.L. 78/2010 vieta ai comuni con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti di costituire società, mentre impone ai comuni con popolazione tra i 30.000 e 50.000 abitanti di detenere una sola società.
3. Coordinamento con la normativa preesistente
Come sopra accennato, la disciplina di cui all’art. 14, comma 32, cit. interviene in una materia – quella delle società pubbliche e dei relativi rapporti con il “mercato” – già disciplinata dal legislatore, sebbene sotto diversi profili e in vista del perseguimento di diverse finalità.
Le difficoltà di coordinamento delle nuove norme rispetto al quadro previgente si manifestano, in particolar modo, con riferimento alla disciplina dettata dall’art. 13 del cd. “Decreto Bersani” e dall’art. 3, comma 27, e ss. della Legge Finanziaria 2008.
Con tali normative il legislatore intende rafforzare la concorrenza ed incentivare la liberalizzazione del mercato, limitando la possibilità per le società pubbliche che beneficiano di affidamenti diretti, ossia ottenuti senza gara (in house), di usufruire, per ciò stesso, di una posizione di indubbio vantaggio sul mercato a scapito, fra l’altro, del principio della parità sul mercato tra operatori privati e pubblici.
3.1. Per quanto attiene alla disciplina dettata dal Decreto Bersani, fermo restando che le società pubbliche, al pari di quelle private, possono concorrere sul mercato con altri operatori, il legislatore esclude tale facoltà laddove si tratti di società strumentali (ivi incluse le società miste), costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche (regionali e locali), che siano affidatarie dirette e quindi in grado di alterare il confronto competitivo[7].
Al riguardo, infatti, l’art. 13 stabilisce che tali società:
- devono operare con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale;
- devono avere “oggetto sociale esclusivo”;
- devono cedere le attività non consentite (ossia quelle non strumentali) a terzi ovvero scorporarle, anche costituendo una separata società.
L’operatività dei divieti di attività cd. “extra moenia” disposti dall’art. 13 del Decreto Bersani è limitata in funzione dell’oggetto sociale della società, applicandosi alle sole società costituite per rendere prestazioni strumentali all’ente pubblico socio (ossia per svolgere “attività amministrativa”), con esclusione delle società svolgenti servizi pubblici locali[8] e delle società partecipate in via indiretta[9].
La giurisprudenza contabile si è spinta oltre, ritenendo che l’art. 13 sopra descritto ponga un vero e proprio divieto per le società strumentali di gestire anche servizi pubblici, sia pure per il medesimo ente affidante[10]. Tale vincolo determina non pochi problemi sul piano pratico, come in seguito meglio si vedrà.
3.2. In base ai vincoli posti dalla Legge Finanziaria 2008[11], volta a circoscrivere il fenomeno della proliferazione di società pubbliche, quale principale causa dell’incremento della spesa, le amministrazioni pubbliche (non solo regionali e locali):
- possono costituire e assumere partecipazioni in società che svolgono “servizi di interesse generale”[12];
- possono costituire e detenere partecipazioni in altre società (quindi società strumentali) solo se queste abbiano ad oggetto attività di produzione di beni e di servizi “strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali”;
- non possono costituire o mantenere partecipazioni in società che non abbiano ad oggetto attività di produzione di beni e di servizi “strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali”[13].
I commi 28 e 29 definiscono, invece, le modalità da seguirsi, rispettivamente, per l’assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento di quelle già possedute, nonché per la dismissione delle partecipazioni detenute in violazione del divieto anzidetto.
3.3. Alla luce delle richiamate disposizioni può quindi ritenersi che il legislatore abbia posto un generale divieto di operatività nel mercato a carico delle società costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche (non solo regionali e locali), consentendo il mantenimento delle sole società che svolgono funzioni strettamente necessarie al perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente e, al contempo, in ogni caso, delle società che gestiscono servizi di interesse generale[14].
4. Gli orientamenti del Giudice contabile
Il quadro delineato al precedente paragrafo necessita di essere riconsiderato a seguito della previsione di limiti introdotti a carico degli Enti locali e delle relative società con l’art. 14, comma 32, D.L. n. 78/2010.
La nuova normativa pone, infatti, numerosi interrogativi con riguardo alla esatta definizione del proprio ambito applicativo. Ci si è chiesti, in particolare:
a) se fossero soggetti ai vincoli numerici posti dal citato comma 32 anche le società che gestiscono SPL (esclusi dall’ambito applicativo dell’art. 13 Decreto Bersani, nonché dall’art. 3, comma 27, L. Finanziaria 2008) e le società aventi ad oggetto attività strettamente funzionali alle finalità pubbliche (art. 3, comma 27, L. Finanziaria 2008);
b) in caso di risposta affermativa al quesito a), se fosse possibile per l’Ente locale attribuire all’unica società ammessa dalla legge (nel caso di comuni con popolazione tra 30.000 e 50.000 abitanti) la gestione contestuale di servizi pubblici (“SPL”) e di servizi strumentali (“SS”) senza incorrere nei divieti di coesistenza tra le diverse tipologie di servizi posti, dalla più recente giurisprudenza contabile, a carico delle società strumentali.
A talune di queste problematiche ha tentato di porre soluzione la Corte dei Conti, sviluppando contrapposte correnti interpretative, l’una più risalente, l’altra più recente, di seguito brevemente passate in rassegna.
4.1. Un primo indirizzo, formatosi all’indomani dell’entrata in vigore della norma, esclude dall’ambito di applicazione dell’art. 14, comma 32, cit. le società che integrano i presupposti di cui all’art. 3, comma 27, L. finanziaria 2008, ossia quelle che svolgono “servizi di interesse generale” o, comunque, servizi strettamente necessari alle finalità dell’ente[15]. Tale interpretazione fa essenzialmente leva sull’inciso “Fermo quanto previsto dall’art. 3, commi 27, 28 e 29, della legge 24 dicembre 2007, n. 244”, con cui esordisce il comma 32, sopra richiamato, comma che, quindi, andrebbe letto in combinato disposto con la “clausola di salvezza” contenuta nel citato art. 3, comma 27. Di conseguenza i comuni non subirebbero i limiti posti dall’art. 14 cit. laddove le società che intendano costituire o al cui capitale partecipano rientrino nelle due descritte tipologie.
4.2. Un secondo orientamento definisce, invece, il rapporto tra le diverse normative in oggetto in termini di reciproca integrazione[16].
Secondo tale approccio ermeneutico, la norma in questione limiterebbe ma non vieterebbe la possibilità per gli Enti locali, anche con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti, di costituire società di capitali e di detenere partecipazioni azionarie. Il legislatore, così operando, non avrebbe infatti inteso abrogare la precedente normativa di carattere generale di cui alla L. finanziaria 2008, volendo, al contrario, mantenere la piena vigenza di entrambe le discipline, di cui si imporrebbe pertanto una lettura coordinata e sistematica: le due norme, infatti, operano su piani diversi per cui, mentre l’art. 3, comma 27, cit., inciderebbe sulle finalità che l’ente può realizzare mediante la partecipazione societaria, l’art. 14, comma 32, cit. agirebbe, invece, sul piano numerico ed operativo, agendo, quindi, con riguardo alle concrete modalità di svolgimento dell’attività[17].
Fermo restando ciò, la Corte dei Conti evidenzia che “In alcuni casi il legislatore ha previsto che alcune attività e funzioni dei Comuni debbano essere svolte per il tramite della costituzione di specifiche società di capitali ed è evidente che trattandosi di disposizioni normative di carattere speciale non risultano abrogate dal combinato disposto degli art. 3, co. 27 della L. n. 244/2007 e 14, comma 32, D.L. n. 78/2010, convertito in L. n. 122/2010, ma continuano ad esplicare i loro effetti. Chiaramente occorre fornire una lettura restrittiva di questi casi nei quali gli enti possono detenere partecipazioni oltre il limite introdotto dalle norme in commento, trattandosi di fattispecie speciali disciplinate dal legislatore non solo in relazione all’attività ma anche al modo di esercizio della stessa”[18]. Tale tesi ha dato adito ad interpretazioni che, sulla base del “principio di specialità”, escludevano dall’art. 14 cit. le società affidatarie di SPL ai sensi dell’art. 23bis D.L. 112/2008 (oggi art. 4 D.L. 138/2011).
4.3. Dalle considerazioni appena riportate prende le mosse un terzo e più restrittivo orientamento, che sembra porsi come prevalente, secondo cui i vincoli posti dall’art. 14 cit. riguarderebbero tutte le società pubbliche, anche, dunque, le società che svolgono servizi di interesse generale, nonché quelle che svolgono funzioni strettamente necessarie al perseguimento delle finalità dell’ente. A sostegno di tale tesi è richiamato il tenore letterale del comma 32 cit., inteso in senso restrittivo, nonché la ratio dello stesso, il cui fine sarebbe quello “di evitare il proliferare di società che, se pur costituite per finalità istituzionali o di interesse generale, finiscano pur tuttavia per polverizzare le risorse pubbliche mediante l’erogazione plurima dei medesimi servizi in favore di bacini d’utenza non significativi”[19].
Secondo il recente orientamento restrittivo della Corte dei Conti, l’art. 14, comma 32, D.L. 78/2010 si applica a tutte le società (anche a quelle, esercenti SPL, fatte salve dall’art. 3, comma 27, L. Finanziaria 2008).
5. Conclusioni
La giurisprudenza contabile prevalente, pronunciatasi in merito alla esatta interpretazione dell’art. 14, comma 32, in esame, sembra perseguire un orientamento assai restrittivo, su un duplice livello:
- statuizione del divieto di gestione contestuale di servizi pubblici locali e di servizi strumentali da parte di una medesima società pubblica (nonostante l’orientamento assai meno restrittivo del Consiglio di Stato sul punto[20]);
- statuizione del divieto di costituire e detenere più di 1 società (nel complesso, ossia tanto per la gestione dei servizi pubblici locali, SPL, che per la gestione dei SS), per quanto attiene all’ipotesi di Comuni con popolazione compresa tra i 30.000 e i 50.000 abitanti di cui all’art. 14, comma 32, cit..
Così stando le cose, non v’è chi non veda che, ove dovesse seguirsi il citato orientamento restrittivo della Corte dei Conti su entrambi i fronti, si incorrerebbe inevitabilmente, sul piano operativo, in notevoli problematiche.
Le conclusioni cui sui perverrebbe seguendo il recente orientamento del giudice contabile sarebbero, infatti, le seguenti:
- i comuni con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti dovrebbero dismettere tutte le proprie società, sia esercenti SS che SPL, salvo che si tratti di società “sane”, come sopra detto;
- i comuni con popolazione compresa tra i 30.000 e i 50.000 abitanti dovrebbero ridurre tutte le proprie società (dismettendo quindi le relative partecipazioni) fino all’”unità”: ossia fino a giungere all’unica società consentita, alla quale, tuttavia, gli stessi non potrebbero – e qui si ravvisa l’“intoppo” nel sistema – affidare la gestione di SS e di SPL, posto il divieto al riguardo sancito dalla Corte dei Conti[21].
Ove dovesse confermarsi il suddetto orientamento restrittivo, la ricerca di un coordinamento tra le varie disposizioni – tutte parimenti vigenti e applicabili – indurrebbe ad individuare la corretta “chiave” interpretativa, a parere di chi scrive, nell’insegnamento della Corte Costituzionale, che ha ricordato come le norme che impongono un oggetto sociale “esclusivo” in capo alle società pubbliche (art. 13 del Decreto Bersani) trovano la propria ratio nell’esigenza di impedire che tali società svolgano attività extra moenia, ossia fuori dai confini territoriali dell’Ente che le ha costituite o le partecipa[22].
Laddove, invece, la società strumentale eserciti i propri servizi solo per l’Ente di riferimento, non vi sarebbe ragione per sottrarre alla stessa la possibilità di gestire – sempre per lo stesso Ente e senza concorrere su altri bacini –, unitamente ai SS, anche SPL.
In questa prospettiva, non parrebbe contra legem lo svolgimento, nel caso di comuni, con popolazione tra 30.000 e 50.000, di un’unica società che gestisca sia SPL che SS (ferma restando la necessità di adottare gli opportuni adempimenti onde garantire un adeguato sistema di separazione contabile)[23].
[1] V. D.L. 31 maggio 2010 n. 78, recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica” (G.U. 31 maggio 2010, n. 125, S.O.), convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, emanato sulla base della “Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per il contenimento della spesa pubblica e per il contrasto all’evasione fiscale ai fini della stabilizzazione finanziaria, nonché per il rilancio della competitività economica”.
[2] Rileva da subito tali perplessità l’ANCI, Nota di lettura sulle norme di natura finanziaria di interesse dei comuni, in www.anci.it, ove si legge che “La norma appare alquanto nebulosa poiché non si comprende a quali società ci si riferisce e qual è, per i Comuni sotto i 30.000 abitanti, la portata innovativa della stessa, considerando che comunque il comma 27 della finanziaria 2008 trova applicazione per tutti gli enti locali, quindi vigono i relativi divieti e sembra anche le deroghe in esso contenute. E’ quindi necessario ed urgente un chiarimento in merito alla portata della disposizione”.
[3]Il citato art. 14 (“Patto di stabilità interno ed altre disposizioni sugli enti territoriali”)prevede, al comma 32, quanto segue:
“Fermo quanto previsto dall’art. 3, commi 27, 28 e 29, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, i comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti non possono costituire società. Entro il 31 dicembre 2012 i comuni mettono in liquidazione le società già costituite alla data di entrata in vigore del presente decreto, ovvero ne cedono le partecipazioni. Le disposizioni di cui al secondo periodo non si applicano ai comuni con popolazione fino a 30.000 abitanti nel caso in cui le società già costituite:
a) abbiano, al 31 dicembre 2012, il bilancio in utile negli ultimi tre esercizi;
b) non abbiano subito, nei precedenti esercizi, riduzioni di capitale conseguenti a perdite di bilancio;
c) non abbiano subito, nei precedenti esercizi, perdite di bilancio in conseguenza delle quali il comune sia stato gravato dell’obbligo di procedere al ripiano delle perdite medesime.
La disposizione di cui al presente comma non si applica alle società, con partecipazione paritaria ovvero con partecipazione proporzionale al numero degli abitanti, costituite da più comuni la cui popolazione complessiva superi i 30.000 abitanti; i comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti possono detenere la partecipazione di una sola società; entro il 31 dicembre 2011 i predetti comuni mettono in liquidazione le altre società già costituite.”.
[4] Per la proroga dei termini di tale disposizione si veda l‘art. 1, comma 117, L. n. 220/2010, secondo cui “Ai fini dell’applicazione dell’articolo 14, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, al comma 32 del medesimo articolo 14, le parole: «Entro il 31 dicembre 2011» sono sostituite dalle seguenti: «Entro il 31 dicembre 2013»”.
[5] Tale clausola di “salvezza” è stata inserita con l’art. 1, comma 117, L. n. 220/2010, come sostituito dall’art. 2, comma 43, D.L. n. 225/2010, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 10/2011 e, successivamente, dall’art. 20, comma 13, D.L. n. 98/2011, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 111/2011.
[6] Ai sensi di tale disposizione, infatti, “Alle aziende speciali ed alle istituzioni si applicano … le disposizioni che stabiliscono, a carico degli enti locali: divieto o limitazioni alle assunzioni di personale; contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per consulenza anche degli amministratori; obblighi e limiti alla partecipazione societaria degli enti locali”. Tuttavia, il legislatore prevede alcune esclusioni: “Sono escluse dall’applicazione delle disposizioni del presente comma aziende speciali e istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, culturali e farmacie.”. Secondo la Corte dei Conti, inoltre, “in merito alla possibilità di costituire e/o mantenere partecipazioni nelle società di trasformazione urbana (STU), trattandosi di una delle varie possibilità attraverso la quale viene data attuazione agli strumenti urbanistici generali ma non costituendo tale tipologia societaria l’unico strumento di attuazione delle previsione dei piani regolatori generali, la costituzione di tale modello societario e/o il mantenimento di partecipazioni deve avvenire nel rispetto delle previsione contenute nell’articolo 14, c. 32, d.l. cit.” (Corte dei conti, sez. Emilia-Romagna, 13.2.2012 n. 9).
[7] Ai sensi dell’art. 13 del D.L. n. 223/2006, “Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale, le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali (…), nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, devono operare con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale. (…)”. Sul punto cfr. D. Masetti, Le società partecipate dalle Amministrazioni pubbliche regionali e locali ed i loro limiti funzionali, in www.giustamm.it.
[8] Cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 23 marzo 2009, n. 1756. Sulla distinzione tra “attività amministrativa in forma privatistica” (strumentale) e “attività d’impresa di enti pubblici” cfr. Corte costituzionale 30 luglio 2008 n. 326 (secondo cui“Nel primo caso vi è attività amministrativa, di natura finale o strumentale, posta in essere da società di capitali che operano per conto di una pubblica amministrazione. Nel secondo caso, vi è erogazione di servizi rivolta al pubblico (consumatori o utenti), in regime di concorrenza”).
[9] Per quanto attiene invece alla applicabilità dell’art. 13 citato al caso di partecipazione indirette, cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 5 gennaio 2010, n. 36.
[10] Corte dei Conti, sez. Lombardia, parere 17 ottobre 2011 n. 517.
[11] Ai sensi dell’art. 3, comma 27, L. n. 244 24 dicembre 2007 “al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, ne´ assumere o mantenere direttamente [o indirettamente] partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. E’ sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale (…), e l’assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, nell’ambito dei rispettivi livelli di competenza”.
[12] Il riferimento al concetto di “servizi di interesse generale” ricomprende quella di servizi pubblici regionali e locali, come chiarito in materia di servizi pubblici dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 325/2010. Sulla definizione di tali servizi si veda anche la Comunicazione della Commissione del 20 settembre 2000.
[13] L’art. 3 in commento fa richiamo ad una nozione più ampia (il rapporto di ”stretta necessita” per il perseguimento della missione istituzionale dell’ente) rispetto a quella della “strumentalità”, richiamata, invece, dall’art. 13 del Decreto Bersani sopra descritto, imponendo, peraltro, alla luce di tale criterio, una verifica complessiva e globale delle partecipazioni pubbliche. Il comma 28, in particolare, prevede che l’assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento delle attuali devono essere autorizzati dall’organo competente, con specifica delibera motivata in ordine alla sussistenza dei presupposti di cui al predetto comma 27.
[14] In tale prospettiva, si è osservato che, mentre l’art. 13 del Decreto Bersani delimita ex lege la capacità di agire della ”società-veicolo”, imponendo ad essa l’esclusività dell’attività svolta in favore dell’ente di riferimento, l’art. 3 della Finanziaria 2008 delimita la capacità di agire dell’ente titolare della partecipazione sociale a quelli che dovrebbero essere i confini suoi propri. V. Tar Lazio, Roma, sez. III ter, 6 novembre 2009, n. 10891.
[15] V. Corte dei Conti, sez. reg. controllo per la Puglia 22 luglio 2010 n. 76, secondo cui “L’art. 14, comma 32 del d.l. n. 78 del 2010 … nella parte che qui interessa stabilisce che “Fermo restando quanto previsto dall’art. 3, commi 27, 28 e 29 della Legge 24 dicembre 2007, n. 244, i comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti non possono costituire società”. Detta norma, che pone un espresso divieto di costituzione di società partecipate per i Comuni aventi popolazione inferiore a 30.000 abitanti, ha una latitudine molto ampia perché si riferisce a tutte le società partecipate, senza distinguere in alcun modo in relazione al settore di attività in cui operano ovvero alla circostanza che esse abbiano proceduto all’emissione di strumenti finanziari quotati su mercati regolamentati. Tuttavia, il citato comma 32 fa specificatamente salvo l’art. 3, commi 27, 28 e 29 della legge n. 244 del 2007 (L.F. 2008) che, pertanto, rimane in vigore per espresso dettato normativo”. Nello stesso senso Corte dei Conti 997/2010; sez. Puglia n. 103/2009 e sez. Veneto n. 5/2009; v.ANCI, Nota di lettura sulle norme di natura finanziaria di interesse dei comuni, in www.anci.it. v. G. BASSI – F. MORETTI – S. CAPACCI, Alcune considerazioni sulle novità recate dalla manovra estiva 2010 per gli enti e le società a partecipazione pubblica locale in giustamm.it; GILBERTI – RIZZO, Le società pubbliche nel mercato alla luce dell’art. 14, comma 32, D.L. n. 78 del 2010, in Urbanistica e appalti, n. 3/2012.
[16] Secondo tale orientamento, tanto le tesi estensive che quelle restrittive dell’ambito applicativo dell’art. 14, comma 32, cit. sollevano perplessità laddove sembrano non tener conto dei seguenti elementi:
a) la finalità che ha spinto il legislatore verso una progressiva limitazione dell’utilizzo dello strumento societario;
b) la tendenza legislativa – sia a livello nazionale che regionale – a prevedere in taluni casi che servizi od attività di pertinenza degli enti locali debbano essere svolti per il tramite di società di capitali.
Cfr.,al riguardo, Corte dei conti, Sez. controllo Lombardia 15 settembre 2010 n. 861; così G. FARNETI, La disciplina dei servizi pubblici è giunta al punto di arrivo, Azienditalia, 9/2010.
[17] L’accoglimento di tale ultima tesi implica l’interpretazione dell’inciso “fermo quanto previsto dall’art. 3, commi 27, 28 e 29, della legge 24 dicembre 2007, n. 244” nel senso che, nel rispetto dei limiti numerici delle partecipazioni che ciascun ente può detenere in base alla previsione contenuta nell’art. 14, comma 32, le stesse partecipazioni dovranno, comunque, essere conformi ai canoni previsti dall’art. 3, comma 27. In tal modo il legislatore “chiude il cerchio”, collegando l’entità delle partecipazioni al numero delle stesse.
[18] V. Corte dei conti, Sez. Lombardia n. 861/2010 cit..
[19] Cfr. Corte dei conti, sez. Emilia-Romagna, 13.2.2012 n. 9, secondo cui “La costituzione e/o la partecipazione in società che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza economica da parte dei Comuni a densità demografica ridotta (sino a 30.000 abitanti) deve ritenersi parimenti non consentita – salvo le deroghe previste ex lege (art. 14, c. 32, terzo e quarto periodo) – in considerazione della circostanza che lo strumento societario non costituisce una modalità obbligatoria e necessaria per lo svolgimento dei predetti servizi, ma, viceversa, rappresenta soltanto un modello organizzativo da utilizzare in alternativa con altre opzioni (…) La costituzione di nuove società e/o il mantenimento di partecipazioni da parte di Comuni di medie dimensioni (tra i 30.000 ed i 50.000 abitanti) dovrà avvenire nel rispetto dei limiti quantitativi (una società) previsti dall’art. 14, c.32, d.l. cit.”. Nello stesso senso Corte dei Conti, sez. Basilicata 22.3.2012 n. 12.
Cfr. altresì Corte dei Conti, sez. Emilia Romagna 13.2.2012 n. 9), secondo cui le disposizioni sopra citate opererebbero su piani diversi con la conseguenza che “a prescindere dal tipo di attività svolta – salvo eventuali disposizioni normative speciali che impongano l’esercizio obbligatorio della funzione in forma societaria, secondo il modello delle società cd. di “diritto singolare” – i Comuni con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti non possono costituire nuove società se non associandosi con altri enti; i Comuni con popolazione compresa tra i 30.000 ed i 50.000 abitanti possono detenere una sola partecipazione (cfr. in tal senso Sez. Lombardia, deliberazione 124/2011/PAR)”. Pertanto, “la costituzione di nuove società e/o il mantenimento di partecipazioni da parte di Comuni di medie dimensioni (con popolazione compresa tra i 30.000 ed i 50.000 abitanti) dovrà avvenire nel rispetto dei limiti quantitativi (una società) previsti dall’articolo 14, comma 32, d.l. cit.”.
La recente pronuncia della Corte dei Conti, sez. Sardegna 26.3.2012 n. 28, inoltre, sia pure con esclusivo riferimento al divieto di costituire società ex art. 14, comma 32, cit. valevole per i Comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti, sembra inserirsi in tale ultimo filone interpretativo, laddove osserva che “(…) l’art. 14 del D.L. 78/2010, il cui comma 32 impedisce in radice, ai comuni con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti, la costituzione di nuove società. 4. Quest’ultima norma in particolare impone che eventuali nuove società, costituite da più enti locali, fermi restando i limiti di cui all’art.3 comma 27 della legge finanziaria n.244/2007, abbiano una giustificazione in termini numerici con riguardo ai destinatari del servizio: eventuali nuove società debbono infatti avere un bacino d’utenza di almeno 30.000 abitanti complessivamente. Ciò con l’evidente fine di evitare il proliferare di società che, se pur costituite per finalità istituzionali o di interesse generale, finiscano pur tuttavia per polverizzare le risorse pubbliche mediante l’erogazione plurima dei medesimi servizi in favore di bacini d’utenza non significativi.”.
[20]Cfr. Consiglio di Stato 20.3.2012 n. 1574.
[21] Cfr. Corte dei Conti, sez. Lombardia n. 517/2011, secondo cui “(…) in base alla previsione legislativa risultante dal citato art. 13 del d.l. n. 223, agli enti locali è precluso lo svolgimento di attività strumentali per il tramite di società che non siano ad oggetto esclusivo. In sostanza non è possibile che la stessa società che opera in house svolga per conto di uno o più enti attività strumentali e gestisca servizi pubblici locali”. A ben vedere, quindi, da un lato, il Comune, per rispettare il limite numerico imposto dall’art. 14, comma 32, D.L. n. 78/2010, dovrebbe avere una sola società (nel complesso); dall’altro, per rispettare il divieto di compresenza tra SPL e SS, questa unica società dovrebbe svolgere o solo SPL o solo SS. Tale interpretazione normativa sembrerebbe difficilmente compatibile con i principi dettati in relazione all’affidamento e alla gestione dei SPL dal legislatore dell’art. 4 D.L. 138/2011 s.m.i., che impongono la parità tra imprese pubbliche e imprese private nella partecipazione alle gare e nell’aggiudicazione dei relativi contratti di servizio, senza volervi escludere le società detenute dai comuni di minori dimensioni.
[22] Cfr. Corte costituzionale n. 326/2008 cit., secondo cui l’ambito di operatività delle società strumentali va limitato e circoscritto allo svolgimento di attività in favore dell’ente locale che le ha costituite. La Corte, nel pronunciarsi in merito alla legittimità costituzionale dell’art. 13 cit. ha ritenuto che “Le disposizioni impugnate mirano a separare le due sfere di attività per evitare che un soggetto, che svolge attività amministrativa, eserciti allo stesso tempo attività d’impresa, beneficiando dei privilegi dei quali esso può godere in quanto pubblica amministrazione” al contempo evidenziando che “Non è negata né limitata la libertà di iniziativa economica degli enti territoriali, ma è imposto loro di esercitarla distintamente dalle proprie funzioni amministrative, rimediando a una frequente commistione, che il legislatore statale ha reputato distorsiva della concorrenza”. Se questa è la ratio dell’art. 13 del Decreto Bersani, non pare corretto allora ritenere vietata – come invece ritenuto dalla Corte dei Conti – la gestione in house, da parte di una stessa società, tanto dei SS che dei SPL proprio in quanto, nel caso della gestione in house (= deroga alla concorrenza) un mercato non c’è e non si porrebbe il problema di impedire l’attività cd. extra moenia, che è lo scopo, invece, del legislatore del 2006. Parrebbe possibile, quindi, circoscrivere alle sole attività svolte per soggetti diversi dall’ente locale, costituente o partecipante, il novero delle attività vietate dal citato art. 13, ritenendo legittimi, invece, i SS e i SPL svolti in house per l’ente medesimo, che pertanto potrebbero coesistere.
[23] Tale soluzione sembrerebbe avallata anche dalla recente pronuncia del Consiglio di Stato (sentenza 20.3.2012 n. 1574), che ammette la gestione contestuale di entrambe le tipologie di servizi, laddove osserva che “Qualora la società svolga attività promiscua – amministrativa e di impresa – è necessario assicurare il rispetto del principio di distinzione tra le due attività al fine di evitare che i vantaggi derivanti dall’operare come pubblica amministrazione possano essere trasposti nel settore in cui lo stesso soggetto svolge attività di impresa alterando così il principio di equiordinazione tra imprese pubbliche e private posto a presidio del rispetto delle regole della concorrenza”. Il Giudice amministrativo pertanto non sancisce alcun divieto in ordine alla possibilità per la società pubblica di espletare tanto SPL che SS. Del resto, l’“Esclusività non è da intendersi quale divieto di società c.d. multiutilities, bensì quale attività rivolta esclusivamente a favore dell’ente, al fine di evitare che la società dopo l’affidamento possa scegliere di fare altro” (Consiglio di Stato nn. 322/2007 e 456/2007). Sui corretti meccanismi di governance pubblica cfr. M. LOMBARDO, La governance delle società a controllo pubblico: riflessioni a margine della nuova disciplina normativa dei servizi pubblici locali, in www.dirittodeiservizipubblici.it