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Arroccati sulla cima di un’altura, a ridosso di un lago, sospesi tra mare e montagna, stesi al centro di una pianura. Una manciata di case, una chiesa, forse due, poche botteghe, pochi negozi, un paio di bar. Una scuola ed un ufficio postale solo dove la popolazione supera una certa soglia. Sono luoghi lontani dal caos delle città. Spopolati. Dimenticati. In alcuni casi, ormai, disabitati. Chi ci è nato è andato in città per lavoro. E non ci ha fatto più ritorno. Da anni. Da una vita.

Qualcosa di eccezionale è accaduto in questi ultimi tempi. Qualcuno è tornato indietro. Spinti dalla necessità di fuggire dai luoghi sovraffollati dei grandi centri urbani, complice il lavoro agile, sono stati tanti gli italiani che sono ripartiti alla riscoperta dei luoghi d’origine, riportando le voci dei bambini tra quelle antiche e taciturne stradine, un po’ di movimento tra le piazzette dove il tempo sembra essersi fermato. 

L’Italia è disseminata di piccoli e piccolissimi borghi. In parte sono stati riscoperti negli ultimi anni da un turismo alternativo, promosso da associazioni che stanno rivalutando la genuina bellezza dei territori rurali. Ma è negli ultimi mesi che si è registrato un ripopolamento eccezionale.

Come riporta Legambiente il 72% dei comuni italiani è formato da centri con meno di 5000 abitanti. Ci vive appena il 17% della popolazione nazionale pur ricoprendo complessivamente il 55% della Penisola.  

Il covid-19 ha offerto loro un’opportunità di rilancio. Affascinati dalla possibilità di riavvicinarsi alle proprie origini e alla natura, tanti italiani sono tornati a ripopolare i piccoli borghi dai quali loro, i loro padri, i loro nonni erano partiti per cercare fortuna in città. Ma accanto al fascino di lavorare affacciati sul mare, davanti alle rotondità verdeggianti delle colline, con il naso all’insù tra le vette innevate, serve concretezza, servono infrastrutture che permettano di massimizzare ovunque il tempo passato nella postura uomo/tastiera/schermo di cui parla Alessandro Baricco nel saggio sull’era digitale “The Game”.

Durante il lockdown abbiamo vissuto in emergenza. Abbiamo potuto sopportare la lentezza della linea internet o l’impervia impresa di guidare tra itinerari stradali carenti di manutenzione. La pandemia ci ha fatto scoprire i vantaggi della delocalizzazione del lavoro, ha proposto lo smart working come il miglior alleato contro l’eccesiva urbanizzazione. Ma per rendere vincente questa alleanza si deve investire sulle strade che portano fuori dalle grandi città: quelle d’asfalto e quelle digitali.

Le strade d’asfalto: se non ci sono è inutile pensare a qualsiasi altra forma di movimento. Si deve dare la possibilità ai cittadini di potersi spostare in maniera agevole da un luogo all’altro. Dalla città alla provincia più remota. Dagli svincoli delle autostrade, dalle stazioni ferroviarie e dagli aeroporti, ogni punto, anche il più lontano deve potersi raggiungere senza aggravi di tempo e sicurezza. E’ nelle competenze delle Province che risiede il compito di occuparsi delle strade che collegano i centro urbani del proprio territorio. In questo senso c’è fermento lungo tutto lo stivale. Un esempio: nella Provincia di Campobasso è previsto lo stanziamento di un milione di euro previsto per appaltare il miglioramento della viabilità e combattere lo spopolamento. Proprio il Molise è una regione a forte rischio di svuotamento. Secondo i dati Istat è la prima regione a perdere il numero più alto di popolazione ogni anno. 3500 i cittadini che sono andati a vivere altrove nel 2019.

La viabilità è l’essenza dell’economia di un territorio. Di pari passo con il rifacimento delle strade dovranno essere promossi investimenti per sopperire alle carenze in termini di dissesto idrogeologico e rischio frane. Altre due grandi note incognite della nostra Italia. Vogliamo lavorare in un posto dove la linea internet sia efficiente, ma prima ancora dove sia affidabile il terreno che percorriamo o sul quale è edificata la nostra casa.

Dal mondo all’oltremondo come lo definisce Baricco. Entriamo nella dimensione del web, là dove abbiamo spostato parte del nostro lavoro e del nostro tempo libero, del nostro impegno sociale e della cura dei nostri affetti. All’infrastruttura che regge il web, la rete, chiediamo prestazioni sempre più importanti. Alla strada digitale che ci permette di essere ovunque vogliamo senza muoverci dalla posizione uomo/tastiera/schermo, si chiede oggi una fruibilità estesa in ogni dove. E’ il tema dell’estate. La rete unica nazionale della banda larga. Un tessuto capillare di fibre ottiche che dovrà essere cucito omogeneamente per tutta l’Italia perché la digitalizzazione sia veicolo di pari opportunità di sviluppo per le imprese, i lavoratori, gli studenti, le famiglie, il territorio. Sono principi che possono essere ritrovati nelle fondamenta dell’Agenda Digitale presentata dalla Commissione Europea nel 2010 nella quale si chiedeva un forte impulso alla creazione della banda larga e ultralarga.

Ci siamo persi un decennio di alta velocità digitale. Non ci abbiamo dato grande peso fino a quando il distanziamento sociale ci ha costretti a lavorare da casa e ha riportato in auge l’argomento. La rete unica è diventato una priorità di Governo. Ma altri anni dovranno passare prima che ogni piccolo angolo di Italia sia raggiunto da una rete ultraveloce. La mappa di bandaultralarga.italia.it non è confortante. Le gare d’appalto da indire per poter spingere al massimo i motori del web sono innumerevoli e dislocate per tutta la nazione. Intanto, aspettando che una pagina web finisca di caricarsi, potremo concederci ancora di guardare il paesaggio fuori dalla finestra, distogliendoci per un po’ dall’assetto uomo/tastiera/schermo. E forse la lentezza della rete ci sembrerà più sopportabile.

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Dott. Enzo de Gennaro
Direttore Responsabile
mediagraphic assistenza tecnico legale e soluzioni per l'innovazione p.a.