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( votes)La corruzione uccide. Non è un crimine che riversa conseguenze esclusivamente socio economiche. Uccide. Ed è per tale ragione che la determinazione con la quale va affrontata deve assumere i connotati di una mobilitazione generale.
Le vittime del Misa, sono anche vittime della corruzione. La necessità di realizzare opere per sedare la furia omicida di quel corso d’acqua è nota sin dagli anni ’80. “La storia della messa in sicurezza di questo fiume è costellata di ritardi, intoppi burocratici ed inchieste che hanno rallentato i lavori”, si leggeva all’indomani del disastro della notte tra il 15 e il 16 settembre sul Corriere Adriatico. Ultimo atto di questa catena di intoppi, l’inchiesta della primavera scorsa che blocca il cantiere, assegnato solo pochi mesi prima, per turbativa d’asta. Dalla fase della progettazione a quella della cantierizzazione (non ancora definitiva) la storia del Misa è caratterizzata da una lungaggine che si è rivelata letale.
La lentezza con la quale si sviluppa il ciclo degli appalti pubblici è l’effetto collaterale di un sistema di procedure ideato proprio per contrastare la corruzione. Un dedalo intricato di documentazioni, autorizzazioni, controlli, ricorsi. Un labirinto che finisce per condurci al cospetto del feroce Minotauro che assume le sembianze di una farraginosità che divora tempi e progetti. Lungaggini che producono disagi alle comunità che attendono i benefici di una determinata opera e che finiscono per portare a completamento un’infrastruttura divenuta vetusta mentre è ancora nel grembo della burocrazia.
Dinanzi a notizie come quelle dell’alluvione di metà settembre, ci chiediamo quale sia la postura corretta da assumere. Indignazione. Frustrazione. Rabbia. Niente di positivo. Dovremmo, ragionevolmente, rimanere tutti profondamente turbati. Ciò che è accaduto poteva essere evitato se avessimo a disposizione procedure più snelle e semplificate. Ma la società civile è sensibile a questo genere di notizie? Riesce a provare risentimento e desiderio di essere partecipe del cambiamento? Tra cittadini e pubbliche amministrazioni si è da tempo scavato un solco di rassegnazione. Decenni di nebulosa gestione della cosa pubblica hanno ridotto ai minimi termini la fiducia nelle istituzioni innescando una pericolosa reazione a catena: la presa di coscienza dell’esistenza di collusioni e cattiva amministrazione ha generato disinteresse, nell’indifferenza dei cittadini alla vita pubblica trova ulteriore terreno fertile la corruzione.
Per combattere il fenomeno non saranno mai abbastanza le leggi, le sanzioni, gli organi di vigilanza. È necessario il coinvolgimento di porzioni sempre più ampie di persone comuni. L’Italia è costituita da cittadini onesti, lavoratori e rispettosi di sani valori. Ma l’onestà è sterile se non si responsabilizza a favore del bene comune. Se ognuno resta un singolo, la comunità non ne beneficia. E noi italiani saremo ancora bollati come inclini alla criminalità.
Nel 2020 l’affermazione della vicepresidente dell’argentina Cristina Kirchner che parlò degli italiani come “geneticamente mafiosi”, giustamente condannata, passata per una gaffe, manifesta quello che è l’immagine del paese all’estero. Nella realtà gli individui dediti al crimine sono in minoranza. Una strettissima percentuale che macchia l’intera comunità. Poche gocce di veleno che contaminano un intero bacino d’acqua.
I numeri non ci aiutano: i dati di Trasparency solo negli ultimissimi anni hanno rivalutato l’Italia nella classifica dell’indice di percezione della corruzione. L’odierno 42esimo posto, con un balzo di dieci posizioni tra il 2020 e il 2021, ci tiene ancora a notevole distanza dalla media europea. Un salto di qualità potrebbe arrivare dal maggiore coinvolgimento della società civile nel vigilare che il denaro pubblico, il proprio denaro, venga utilizzato correttamente.
“A che serve tenere le mani pulite se si tengono in tasca?” diceva don Lorenzo Milani. Dobbiamo, dunque, impegnarci tutti politicamente? Non occorre. Come si legge in un rapporto ISTAT datato 2013 “non necessariamente l’interesse nella cosa pubblica si traduce in attività di sostegno alla politica in senso stretto, ma si esercita anche con l’informarsi e lo scambiare opinioni sui temi della res publica”. Esiste uno strumento attraverso il quale coltivare tale interesse: la trasparenza. Enti e istituzioni a tutti i livelli sono oggi tenuti a rendere noti documenti di ogni genere. La trasparenza, con la semplificazione, è uno dei capisaldi nella lotta alla corruzione. Ma se la pubblicazione dei documenti da parte delle Pubbliche Amministrazioni non suscita l’interesse dei singoli cittadini, non servirà a molto. L’argomento è all’ordine del giorno dell’incontro regionale europeo Open Government Partnership 2022 in programma a Roma 11 e 12 ottobre 2022: lotta alla corruzione, innovazione digitale, partecipazione democratica.
È da questa partecipazione democratica che dobbiamo tutti farci coinvolgere. La lotta alla corruzione riguarda tutti perché “la corruzione è un ostacolo alla crescita […] alimenta e aumenta le disuguaglianze sociali, erodendo la fiducia nello Stato, nelle istituzioni e nei governi” si legge in un rapporto della Commissione Europea. La lotta alla corruzione ci deve coinvolgere perché mette in pericolo la sicurezza dei territori e delle infrastrutture, mette a rischio la vita di ciascuno di noi. Uccide. E quando lo fa ne siamo anche noi responsabili.
Ogni cittadino ha a disposizione questa importante arma per contrastare la corruzione: la trasparenza. Dovremmo un pò tutti imparare ad armeggiarla, a dedicare un pò del nostro tempo a prendere visione delle documentazioni messe a disposizione dalle istituzioni. Solo quando ci sarà una reale partecipazione collettiva alla cosa pubblica saranno visibili i risultati della trasparenza.