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Sulla nozione di “socio di maggioranza” in caso di numero di soci inferiore a quattro

La questione centrale della controversia verte sulla corretta applicazione della norma di cui all’art. 38, primo comma del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, nella parte in cui non consente la partecipazione alle gare delle società in cui il socio di maggioranza, nel caso in cui il numero complessivo di soci sia inferiore a quattro, versi nelle condizioni di cui alle lettere b) e c) della predetta disposizione.

La Commissione di gara dispone l’esclusione dalla gara della concorrente “per non avere entrambi i soci reso le dichiarazioni di cui all’art. 38, comma 1, lett. b) e c) del d.lgs. n. 163/2006”.

Nel caso di specie parte ricorrente ritiene di dover ricomprendere nella nozione di socio di maggioranza di società di capitali con meno di quattro soci – tenuto, secondo la novellata formulazione dell’art. 38 citato, alle dichiarazioni sulla assenza di cause di esclusione per sussistenza di procedimenti di prevenzione e per condanne penali -, anche i due soci che detengono, in misura paritaria, una quota pari al 50% del capitale sociale.

Ritiene il Collegio che il requisito debba necessariamente riferirsi solo al socio che detenga la maggioranza del capitale sociale inteso come valore economico assoluto.

L’espressione “socio di maggioranza” esprime un valore assoluto, come tale escludente ogni altra possibile relazione proporzionale nella distribuzione del capitale sociale; va esclusa, quindi, ogni diversa accezione della norma che si allontani da tale specifica “voluntas legis”, quale l’evenienza di una partecipazione paritaria al capitale sociale, come accaduto nel caso di specie; va invero sottolineato che si tratta pur sempre di norma di stretta interpretazione, sia per l’efficacia potenzialmente inibitoria della partecipazione alle gare che reca, sia per la forte connotazione sanzionatoria che assume alla luce della tipizzazione della causa di esclusione introdotta dalla novella del d.l. 13 maggio 2011 n. 70;

Del resto, se il legislatore avesse inteso relativizzare la posizione di maggioranza avrebbe dovuto anche fissare una soglia di valore minima per la determinazione della maggioranza del capitale; in assenza di tali previsioni, alla norma non può che attribuirsi il significato letterale che le è proprio, ossia che “socio di maggioranza”, è colui che da solo è proprietario, in forma diretta, del 50% + 1 del capitale.

Deve ritenersi che, nella fattispecie all’esame (società con meno di quattro soci), il legislatore abbia voluto riconoscere specifica rilevanza solo alla figura del socio di maggioranza, inteso nei termini indicati, assumendone presuntivamente il ruolo di amministratore di fatto qualificato dalla sua posizione di unico maggiore proprietario del capitale sociale (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 4 aprile 2012, n. 1624).

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Avv. Giuseppe Morolla
Avvocato esperto in materia di appalti pubblici
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