Sulla rilevanza, ai fini dichiarativi ex art. 80, comma 5, lett. c), del Codice dei contratti pubblici della presenza di un decreto penale di condanna opposto
Sulla rilevanza, ai fini dichiarativi ex art. 80, comma 5, lett. c), del Codice dei contratti pubblici della presenza di un decreto penale di condanna opposto
Premessa e quadro normativo Il Consiglio di Stato, con la pronuncia Cons. St., Sez. III, 18 marzo 2022, n. 1977, torna nuovamente a pronunciarsi sul tema degli oneri dichiarativi ex articolo 80 del Codice dei Contratti pubblici stavolta rispetto al caso in cui sussista, a carico di un soggetto rilevante ex art. 80, Comma 3, del Codice un decreto penale di condanna opposto. Non pare inutile rammentare che l’articolo 80, comma 5, lettera c) del Codice prescrive che le stazioni appaltanti hanno la facoltà di escludere un operatore economico dalla partecipazione alla procedura d’appalto qualora possa essere adeguatamente dimostrato che lo stesso operatore si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. Come è noto, la valutazione della stazione appaltante dell’integrità e affidabilità dell’aggiudicatario è espressione di ampia discrezionalità. Corollario è che la stazione appaltante debba essere messa nella condizione di poter giudicare dell’affidabilità professionale dell’operatore economico sulla base degli elementi conoscitivi forniti dal partecipante alla gara. La corrispondente attività dell’amministrazione di verifica, valutazione e decisione presuppone, infatti, a monte, la completezza del patrimonio conoscitivo che è la risultante delle dichiarazioni rese dalle imprese concorrenti. Ed è infatti per consentire alla stazione appaltante un’adeguata e ponderata valutazione sull’affidabilità e sull’integrità dell’operatore economico, che quest’ultimo è tenuto a fornire una rappresentazione quanto più dettagliata possibile delle proprie pregresse vicende professionali in cui, per varie ragioni, gli è stata contestata una condotta contraria a norma o, comunque, si è verificata la rottura del rapporto di fiducia con altre stazioni appaltanti (cfr. Cons. Stato, Sezione V, 12 aprile 2019, n. 2407, con ampi richiami). Quel che conta pertanto è la rilevanza delle cd. “material information”, cioè la loro idoneità a incidere sul processo decisionale della stazione appaltante (in tal senso si è espresso il TAR Campania, Napoli, Sezione V, 9 dicembre 2021, n. 7912). Del resto, su un diverso piano la violazione degli obblighi informativi può integrare, a sua volta, il “grave illecito professionale” endoprocedurale, con conseguente facoltà della stazione appaltante di valutare tale omissione o reticenza pervenuta attraverso altre fonti, ai fini dell’attendibilità e dell’integrità dell’operatore economico. Come chiarito dalla giurisprudenza, l’omissione in sé può rilevare rispetto ad un presupposto obbligo dichiarativo, in ciò esprimendosi il disvalore di tale causa di esclusione, ed in tanto può parlarsi di “omissione” in quanto l’obbligo dichiarativo sia stato previsto o a livello normativo o dalla stazione appaltante nella legge di gara (Consiglio di Stato, Sez. V,15 giugno 2021, n. 04641 che a sua volta richiama le proprie sentenze 6 luglio 2020, n. 4316 e 5 agosto 2020, n. 4937). Un onere informativo, però, può legittimamente considerarsi posto a carico del concorrente solo se circoscritto alle notizie astrattamente idonee a porne in dubbio l’integrità o l’affidabilità, da individuarsi sulla base di un criterio di “ragionevole esigibilità”, dovendosi in tal senso intendere solo quelle espressamente previste come tali dal Codice dei contratti e dalla lex specialis di gara (in tal senso, ex plurimis, cfr. Cons. St., Sez. V, 18 marzo 2021, n. 2350, id., 5 agosto 2020, n. 4937, id., 6 luglio 2020, n. 4316, id., 28 dicembre 2020, n. 8406; id., 3 settembre 2018, n. 5136). Ciò risponde del resto ai noti principi di tassatività delle cause di esclusione e di favor partecipationis, anche in ossequio al fondamentale insegnamento della giurisprudenza eurounitaria secondo cui l’inadempimento ad eventuali oneri dichiarativi può essere legittimamente sanzionato con l’esclusione solo laddove detti oneri siano stati espressamente previsti “in maniera chiara, precisa e univoca” dalla legge ovvero dalla disciplina speciale della singola gara, senza potere viceversa essere desunti da una mera interpretazione giurisprudenziale del diritto nazionale (cfr., tra le tante, CGUE, sent. 02.06.2016 in C-27/15; sent. 06.11.2014 in C-42/13; sent. 09.02.2006 in C-226/04). Di conseguenza, secondo un ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale, la violazione degli obblighi informativi che incombono sui partecipanti alle pubbliche gare intanto può comportare l’esclusione del concorrente reticente, in quanto essa sia stata effettivamente valutata dalla stazione appaltante in termini di incidenza sulla permanenza degli imprescindibili requisiti di integrità ed affidabilità del concorrente stesso sì che l’esclusione non è automatica, ma è rimessa all’apprezzamento discrezionale della Stazione Appaltante, la quale potrà adottare la misura espulsiva una volta appurato – indipendentemente dalle modalità di acquisizione dei relativi elementi di fatto – che l’omissione dichiarativa abbia intaccato l’attendibilità professionale del singolo operatore economico, minando la relazione di fiducia venutasi a creare a seguito della partecipazione alla gara” (così Cons. St., Sez. V, 9 gennaio 2019, n. 196). In sostanza, venuta a conoscenza della mancata informativa, la stazione appaltante può escludere dalla gara il concorrente reticente solo dopo aver accertato, mediante il discrezionale apprezzamento di tutte le circostanze del caso, che sussistano fondati dubbi sulla integrità o affidabilità dell’operatore stesso. È stato chiarito che una ricostruzione a posteriori degli obblighi dichiarativi può essere ammessa, nella misura in cui si tratti di casi palesemente incidenti sulla moralità ed affidabilità dell’operatore economico, di cui quest’ultimo doveva ritenersi consapevole e rispetto al quale non sono predicabili esclusioni “a sorpresa” a carico dello stesso (Cons. St., Sez. IV, 5 agosto 2020, n. 4937). Va infatti conferita “determinatezza e concretezza” all’elemento normativo della fattispecie, ovvero al carattere “dovuto” dell’informazione, al fine di “individuare con precisione le condizioni per considerare giuridicamente dovuta l’informazione”, dovendosi tenere distinte le due fattispecie: a) dell’omissione delle informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, che comprende anche la reticenza, cioè l’incompletezza della dichiarazione resa; b) della falsità delle dichiarazioni, per tale intendendosi la presentazione nella procedura di gara in corso di dichiarazioni non veritiere, rappresentative di una circostanza in fatto diversa dal vero (c.d. immutatio veri; cfr. ordinanza Cons. Stato, V, 9 aprile 2020, n. 2332). Nelle omissioni dichiarative poi non può certamente essere insito alcun automatismo escludente, in quanto esse postulano sempre un apprezzamento di rilevanza della stazione appaltante, a fini della formulazione di prognosi in concreto sfavorevole sull’affidabilità del concorrente. L’Adunanza Plenaria, con la sentenza n. 16 del 28 agosto 2020, ha ribadito che l’esclusione per omissioni dichiarative del concorrente in relazione a reati c.d. “non ostativi” non può mai essere automatica. Del resto, la falsità di informazioni rese dal partecipante a procedure di affidamento di contratti pubblici e finalizzata all’adozione dei provvedimenti di competenza della stazione appaltante concernenti l’ammissione alla gara, la selezione delle offerte e l’aggiudicazione, è riconducibile all’ipotesi prevista dalla lett. c-bis) dell’art. 80, comma 5, del Codice dei contratti. In conseguenza di ciò la stazione appaltante è tenuta a svolgere la valutazione di integrità e affidabilità del concorrente, ai sensi della medesima disposizione, senza alcun automatismo espulsivo; alle conseguenze ora esposte conduce anche l’omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, nell’ambito della quale rilevano, oltre ai casi oggetto di obblighi dichiarativi predeterminati dalla legge o dalla normativa di gara, solo quelle evidentemente incidenti sull’integrità ed affidabilità dell’operatore economico». Pertanto, anche in caso di informazioni “false o fuorvianti” l’esclusione non può essere disposta se non previa valutazione della loro idoneità ad «influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione» della stazione appaltante. Alle informazioni “false o fuorvianti” sono equiparate quelle “omissioni” che riguardano «informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione», dovendo, a maggior ragione, anche per esse escludersi ogni automatismo espulsivo. Già prima della citata decisione dell’Adunanza Plenaria, l’orientamento maggioritario della giurisprudenza amministrativa era nel senso che le omissioni assumono portata escludente non in sé, cioè come mero inadempimento al dovere di informazione, ma se e nella misura in cui siano anche state reputate rilevanti – sia nell’omissione in sé, che, necessariamente, rispetto al fatto omesso – da parte della stazione appaltante (cfr. ex multis Cons. St., Sez. V, 30 dicembre 2019, n. 8906; tra le tante, Id., Sez. V, 12 aprile 2019, n. 2407; sez. V, 12 settembre 2019, n. 6157). Si deve infatti considerare che non rileva, ai fini della relativa verifica che le informazioni dovute siano state omesse in sede di gara, tanto è vero che si tratta di omissione suscettibile di soccorso istruttorio” (Cons. St., Sez. V, 18 marzo 2021, n. 2350).
La vicenda decisa dal Consiglio di Stato,Sez. III, 18 marzo 2022, n. 1977 Come anticipato in premessa il Consiglio di Stato si è pronunciato su una fattispecie del tutto peculiare ovvero sulla mancata esclusione di un o.e. primo classificatosi che aveva omesso di dichiarare taluni precedenti penali gravanti sui legali rappresentanti costituiti da decreti penali di condanna opposti, in quanto tali fattispecie astrattamente rilevanti ex art. 80, comma 5, lett. c bis) e f bis) del d. lgs. n. 50/2016. Il TAR Piemonte, con la pronuncia n. 746 del 19 luglio 2021, respingeva la censura ritenendo il decreto penale di condanna opposto non utilizzabile per il giudizio di inaffidabilità di un operatore economico partecipante ad una gara pubblica, stante l’impossibilità di ricollegare effetti vincolanti ad un accertamento sommario e privo di contraddittorio, quale è quello del decreto penale (sul punto si veda anche TAR Piemonte, Sez. I, 14 maggio 2019, n. 576). Da tale premessa, il giudice di prime cure ha tratto la conclusione che in sede di gara non sussistevano condanne a carico dei legali rappresentanti ma procedimenti penali pendenti, nei confronti dei quali non sussiste alcun obbligo dichiarativo atteso che “in fase di partecipazione alla gara, l’onere informativo a carico degli operatori economici, per gli atti di rilevanza penale, non include in via generica i carichi pendenti ma solo per alcune fattispecie di reato le sentenze di condanna definitiva, in linea con le previsioni di cui all’art. 80, commi 1 e 3, d. lgs 50/2016 sulle cause di esclusione dalla gara” (TAR Lazio, sez. III, 02 luglio 2020, n. 7587 espressione di un orientamento non univoco). Il Consiglio di Stato, investito della vicenda, ha ritenuto in via di principio corretta la statuizione del primo giudice per quanto concerne la fattispecie di cui all’art. 80, commi 1 e 3, del codice dei contratti pubblici, potendosi considerare pacifico, alla luce del chiaro tenore testuale delle disposizioni citate, che il decreto penale di condanna è causa di obbligatoria esclusione – sempre che riguardi i reati di cui al comma 1 e i soggetti di cui al comma 3 dell’art. 80 – solo quando il decreto è “divenuto irrevocabile”. Mentre ha ritenuto non esaminata dal primo giudice la questione in rapporto al comma 5 dell’art. 80 cit. e al generale e necessario vaglio di affidabilità professionale dell’operatore economico, tenuto conto di quanto allo scopo prescritto dal disciplinare di gara. Nel caso di specie, la stazione appaltante, anche in funzione del reperimento degli eventuali “mezzi adeguati” di prova aveva infatti previsto, in seno al disciplinare di gara, che “l’operatore economico concorrente è tenuto, altresì, a dichiarare tutte le fattispecie di cui all’art. 80, comma 5 del Codice, ancorché possano considerarsi non significative ai fini dell’esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice, essendo rimessa alla Stazione appaltante ogni valutazione circa la condotta posta in essere dal medesimo”. Di conseguenza, avuto riguardo a siffatta prescrizione, i decreti penali, anche se opposti, costituivano fatti rilevanti da dichiarare, in quanto afferenti a ipotesi di reati in materia di salute e sicurezza sul lavoro, di diritto ambientale, sociale e del lavoro, violazioni che certamente rientrano nelle casistiche indicate dall’art. 80, c. 5, lett. a) e lett. c). In particolare le lett. a) e c) della citata disposizione prevedono che: “Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni, qualora: a) la stazione appaltante possa dimostrare con qualunque mezzo adeguato la presenza di gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro nonché agli obblighi di cui all’articolo 30, comma 3 del presente codice; […] c) la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”. Il Collegio, ha quindi ritenuto che se è pure vero che dal punto di vista dello spessore e dell’accertamento della notitia criminis il decreto penale opposto può considerarsi equipollente ad un mero procedimento penale pendente, e dunque, esso non afferisce a un fatto professionale di rilievo penale che possa dirsi definitivamente acclarato; tuttavia è del pari innegabile che esso costituisca un elemento fattuale rilevante nell’ambito della valutazione rimessa alla stazione appaltante, ed è a quest’ultima, anche in forza della prescrizione del disciplinare sopra citata, che dev’essere rimessa ogni decisione in ordine alla “significatività” di tale elemento, letto anche alla luce degli elementi indiziari che caratterizzano l’ipotesi accusatoria, nonché degli altri elementi aliunde eventualmente acquisiti dalla stessa Amministrazione. I decreti penali di condanna, anche se opposti, costituiscono fatti rilevanti da dichiarare ai fini del giudizio di affidabilità rimesso alla discrezionalità della S.A. ex art. 80, comma 5, lett. c) del Codice Nel caso di specie siffatta valutazione è stata impedita dall’omessa dichiarazione. Tanto statuito, il Collegio si è soffermato sulle conseguenze dell’omessa dichiarazione. Il Collegio, infatti, applicando l’insegnamento contenuto nella pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 16/2020 di cui in Premessa, ha escluso che nel caso di speciesi vertesse in una situazione di omessa dichiarazione di fatti dalla quale possa discendere l’automatismo espulsivo. In effetti, nella specie l’obbligo di dichiarazione era caratterizzato da uno spettro amplissimo (“tutte le fattispecie di cui all’art. 80, comma 5 del Codice, ancorché possano considerarsi non significative ai fini dell’esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c)”) e non era imposto dal disciplinare a pena di esclusione. In secondo luogo, l’apprezzamento della gravità e rilevanza dei fatti nonché della loro significatività e idoneità a fornire un’adeguata dimostrazione della sussistenza di illeciti professionali suscettibili di minare l’integrità o affidabilità dell’operatore economico, pur in mancanza di un accertamento dei fatti che possa dirsi definitivo, compete in prima battuta all’Amministrazione e non al giudice amministrativo, pena la violazione del divieto di immissione di quest’ultimo nell’esercizio di poteri non ancora esercitati dall’amministrazione. Così come compete in prima battuta all’Amministrazione la valutazione circa la rilevanza dell’omessa dichiarazione quale comportamento di per sé (ossia a prescindere dalla valenza pregiudizievole del dichiarato) sintomatico di un illecito professionale, ex art. 80, comma 5, lett. c bis). La disposizione da ultimo citata, com’è noto, attribuisce autonomo rilievo ai fini della configurazione di un grave illecito professionale, alle condotte del “fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione”, o dell’“omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”. Il grave illecito professionale non è però, a differenza dell’ipotesi di cui alla lett. f-bis) (“l’operatore economico che presenti nella procedura di gara in corso e negli affidamenti di subappalti documentazione o dichiarazioni non veritiere”) integrato dalla semplice omessa dichiarazione, essendo piuttosto – secondo l’insegnamento fornito dall’Adunanza Plenaria n. 16/2020 – rimessa all’Amministrazione una valutazione in concreto circa il raggiungimento del “punto di rottura dell’affidamento nel pregresso e/o futuro contraente»” alla luce del comportamento serbato, dei contenuti e della significatività dei contenuti dichiarativi omessi. Nello statuire ciò, il Collegio si è soffermato sulla contestazione dei resistenti, secondo la quale la decisione dell’Adunanza Plenaria si porrebbe in violazione dell’art. 57, lett. h), della direttiva 2014/24 che invece fonderebbe una ipotesi di esclusione automatica. Sul punto ha ritenuto, però, che l’art. 57 della Direttiva UE richiamata, infatti, non impone affatto un simile automatismo, ma si limita a prevedere che le amministrazioni aggiudicatrici “possono” escludere, oppure che gli Stati membri “possono” chiedere alle amministrazioni aggiudicatrici di escludere dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico quando vi sia stata un’omissione dichiarativa. La facoltà concessa agli Stati è stata esercitata dal legislatore nazionale attraverso disposizioni che richiedono nel caso di specie – secondo l’esegesi datane dall’Adunanza Plenaria – l’intermediazione valutativa della stazione appaltante in ordine ai requisiti di rilevanza, gravità, significatività dell’omissione. Per effetto di tale ragionamento, il Consiglio di Stato ha disposto l’annullamento dell’aggiudicazione e la necessaria apertura di una parentesi procedimentale tesa all’apprezzamento e valutazione, da parte dell’Amministrazione: a) del concreto rilievo, significatività e verosimiglianza dei fatti per i quali v’è procedimento penale pendente a carico degli amministratori delegati; b) del concreto rilievo e significatività dell’omessa dichiarazione della pendenza di tali procedimenti ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c bis), secondo la lettura datane dall’Adunanza Plenaria n. 16/2020.
Riflessioni conclusive La decisione del Consiglio di Stato, nell’equiparare il decreto penale di condanna ad un procedimento penale in corso, di fatto conferma l’ormai costante orientamento giurisprudenziale secondo il quale la pendenza di un procedimento penale “può legittimare l’esclusione dalla gara per grave illecito professionale non essendo, infatti, a tal fine necessario che il procedimento penale avviato a carico di un concorrente si sia concluso con una sentenza di condanna a suo carico”(cfr. ex multis Cons. St., V, 20/03/2019, n. 1846; Cons. St., Sez. V, 29/10/2020, n. 6615; Cons. St., V, 27/2/2019, n. 1367; Cons. St., V, 3/9/2018 n. 5142; Cons. St., III, 23/11/2017, n. 5467). In tale prospettiva è stato, altresì, affermato che: “anche il rinvio a giudizio per fatti di grave rilevanza penale al pari della adozione di un’ordinanza di custodia cautelare a carico dell’amministratore della società interessata, ancorché non espressamente contemplato quale causa di esclusione dalle norme che regola la aggiudicazione degli appalti pubblici, può astrattamente incidere sulla moralità professionale dell’impresa con conseguente legittimità di un provvedimento di esclusione che previa adeguata motivazione ne abbia vagliato l’incidenza negativa sulla moralità professionale (T.A.R. Napoli, sez. VII, 26/06/2018, n.4271, ma in senso analogo anche Consiglio di Stato sez. VI, 01/02/2013, n.620)” (Cfr. T.A.R. Firenze, sez. I, del 09/01/2019, n. 53). Pertanto, non occorre ai fini dell’adozione del provvedimento d’esclusione che il fatto sia accertato in sede penale con sentenza definitiva (Cons. Stato, n. 158 del 2020, cit.; V, 20 novembre 2015, n. 5299; v. anche Id., 27 febbraio 2019, n. 1367). L’orientamento ad oggi maggioritario ammette, dunque, pur mettendo in forte dubbio il rispetto del principio di definitività dell’accertamento della responsabilità penale e della presunzione di innocenza dell’imputato, che le risultanze delle indagini penali ovvero il decreto di rinvio a giudizio assumano rilievo come fattore sintomatico dell’inaffidabilità dell’operatore economico e, come tali, siano di per sé sufficienti a giustificare l’esclusione dell’operatore economico indagato/imputato, pur in assenza di condanna definitiva. La questione non è di certo nuova e l’unico rimedio attivabile dall’operatore economico di fronte a dette criticità è l’adozione di serie misure di autodisciplina (il c.d. self cleaning), al fine di riabilitare quantomeno pro futuro l’impresa. Del resto, come da ultimo confermato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 168/2020, ben si può configurare un considerevole illecito professionale o comunque un grave inadempimento, che comporti l’esclusione dalla gara, “[…] quand’anche l’illecito non sia stato accertato definitivamente in giudizio (come si può desumere anche dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 19 giugno 2019, in causa C-41/18, Meca), ma sussistano e siano valutati elementi tali da «provocare la rottura del rapporto di fiducia con l’operatore economico» (Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 3 ottobre 2019, in causa C-267/18, D.A.C. SA). Al pari di chiunque altro, la pubblica amministrazione non può infatti essere obbligata a contrarre con parti che essa ritiene, in forza di elementi obiettivi, inaffidabili”. Alla luce di ciò, si può concludere che secondo il costante orientamento giurisprudenziale l’«illecito professionale» rileva non come tale, cioè nella distinta dimensione in cui viene accertato ed eventualmente sanzionato per la sua intrinseca offensività, bensì se e nella misura in cui risulti rilevante sul piano della affidabilità e integrità dell’operatore, e quindi funzionalmente a un apprezzamento – in termini negativi, e cioè ostativi – dell’operatore economico ai fini dell’affidamento d un contratto pubblico.
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Avv. Adriana Presti
Avvocato amministrativista, esperto in contrattualistica pubblica
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