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La Direttiva 2014/23/UE sui contratti di concessione rappresenta una novità nell’ambito della legislazione comunitaria. Scopo del legislatore comunitario è di superare le differenze tra le varie discipline nazionali stratificatesi negli anni in seno agli ordinamenti interni dei vari Stati membri, conferendo alla materia un disegno organico ed assicurando quindi parità di condizioni per tutti gli operatori economici per l’accesso ad un mercato di sempre crescente rilevanza. Si è ritenuto necessario, infatti, garantire l’applicazione uniforme dei principi del Trattato in tutti gli Stati membri ed eliminare le discrepanze nell’interpretazione degli stessi cui non di rado conseguivano distorsioni nel mercato rilevante.
2 Il rischio operativo
Contrariamente alla precedente disciplina contenuta nella Direttiva 2004/18/CE, che aveva previsto solo una limitata regolamentazione delle concessioni di lavori mentre aveva espressamente escluso dal suo campo di applicazione le concessioni di servizi, la nuova Direttiva si propone di dare una disciplina unitaria ed organica sia delle concessioni di lavori[1] che delle concessioni di servizi[2]. In entrambi i casi, secondo quanto previsto dall’art. 3 della nuova Direttiva, tratto fondamentale dell’istituto della concessione (sia essa di lavori o di servizi) è l’espresso trasferimento in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei lavori o dei servizi. Il rischio operativo può comprendere il rischio sul lato della domanda[3] o sul lato dell’offerta[4], o entrambi. L’individuazione dell’allocazione di tali rischi in capo al concessionario quali elementi dirimenti per la qualificazione dell’affidamento del contratto pubblico alla stregua di una concessione e non di un appalto, invero, sebbene sotto altro profilo, risultava già da tempo acquisita a livello comunitario, poiché derivazione di alcuni principi espressi da Eurostat nella celebre Decisione del 2004, in seno alla quale veniva stabilito che il debito eventualmente contratto (funzionalizzato alla realizzazione dei lavori affidati) da parte dell’affidatario del contratto pubblico poteva essere posto quale passività di bilancio del soggetto privato anziché da parte della pubblica amministrazione affidante, a condizione che sussistessero le anzi citate circostanze fattuali di esternalizzazione dei rischi. In altri termini, attraverso tali raccomandazioni contabili, l’istituto di statistica europeo ha evidenziato che per poter verificare che l’affidamento posto in essere dall’amministrazione si concreti in una vera a propria traslazione in capo a terzi di responsabilità finanziarie e contabili circa la restituzione delle somme erogate a titolo di finanziamento nei confronti dell’affidatario di un contratto pubblico, appare necessario che l’affidatario sia esposto da un punto di vista strettamente contrattuale nei riguardi dell’ente affidante alternativamente o al rischio delle fluttuazione del mercato (domanda di prestazioni) ovvero al rischio di poter offrire la disponibilità piena ed esatta delle prestazioni ad esso affidate tramite gara ad evidenza pubblica. In assenza di tali condizioni, l’eventuale debito contratto dall’affidatario privato non potrebbe essere contabilizzato dallo Stato fuori dal proprio bilancio, con l’indiretta conseguenza che l’affidamento in questione non avrebbe potuto considerarsi come un partenariato pubblico privato, di cui la concessione ne è una delle varie estrinsecazioni.
Inoltre, è opportuno ricordare che, anche sotto il profilo più strettamente giuridico, in avallo di quanto chiarito sotto il profilo pubblico contabile da Eurostat, nella giurisprudenza della Corte di Giustizia Europa, l’effettiva sussistenza del succitato trasferimento del rischio operativo in capo al concessionario, è stato storicamente individuato quale l’elemento distintivo che consente di identificare l’affidamento de quo quale una concessione e non invece un appalto. A tal proposito la Corte ha più volte rilevato che: “si è in presenza di una concessione di servizi allorquando le modalità di remunerazione pattuite consistono nel diritto del prestatore di sfruttare la propria prestazione ed implicano che quest’ultimo assume il rischio legato alla gestione dei servizi in questione (sentenza 18 luglio 2007, C‑382/05, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑6657, punto 34, e giurisprudenza ivi citata)” (Corte di Giustizia delle C.E., sezione III, 13 ottobre 2008, C-437/07). Ai sensi della Direttiva, in particolare, si considera che il concessionario assuma il rischio operativo nel caso in cui, in condizioni operative normali, non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti, prendendo in considerazione il valore attuale netto dell’insieme degli investimenti, dei costi e dei ricavi del concessionario. Non è poi indispensabile che al concessionario sia trasferito integralmente il rischio operativo (sia esso sul lato domanda o offerta), ma è comunque necessario che la parte del rischio trasferita comporti una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato, tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile. Infatti, come chiarito nel 18° considerando, la caratteristica principale di una concessione implica sempre il trasferimento al concessionario di un rischio operativo di natura economica che comporta la possibilità di non riuscire a recuperare gli investimenti effettuati e i costi sostenuti in condizioni operative normali, anche se una parte del rischio resta a carico dell’amministrazione aggiudicatrice. Non si sarebbe quindi di fronte ad una concessione ma ad un semplice appalto nel caso in cui l’operatore economico fosse sollevato da qualsiasi perdita potenziale mediante la garanzia di un introito minimo assicurato dall’amministrazione aggiudicatrice pari o superiore agli investimenti effettuati e ai costi sostenuti in relazione all’esecuzione del contratto.[5] Viceversa, la semplice limitazione del rischio non esclude che il contratto si configuri come concessione, come avviene, per esempio, nei settori con tariffe regolamentate (come quello autostradale) ovvero nel caso in cui il rischio operativo sia limitato mediante accordi di natura contrattuale che prevedano una compensazione parziale, inclusa una compensazione in caso di cessazione anticipata della concessione per motivi imputabili all’amministrazione aggiudicatrice o all’ente aggiudicatore ovvero per cause di forza maggiore (cfr. 19° considerando). Il concetto di rischio operativo, quale elemento distintivo della concessione rispetto all’appalto, era peraltro già stato ampiamente individuato dalla Corte di Giustizia. Nella pronuncia del 10 novembre 2011 (Causa C-348/10), la Corte ha, infatti, ritenuto che “se è vero che la modalità di remunerazione è uno degli elementi determinanti per la qualificazione come concessione di servizi, dalla giurisprudenza risulta inoltre che la concessione di servizi implica che il concessionario si assuma il rischio legato alla gestione dei servizi in questione. Il non avvenuto trasferimento al prestatore del rischio legato alla prestazione dei servizi indica che l’operazione in parola rappresenta un appalto pubblico di servizi e non una concessione di servizi (…). Occorre pertanto verificare se il prestatore si assuma il rischio legato alla gestione del servizio. Se è pur vero che tale rischio può essere, ab origine, considerevolmente ridotto, ai fini della qualificazione come concessione di servizi è necessario, tuttavia, che l’amministrazione aggiudicatrice trasferisca integralmente o, almeno, in misura significativa al concessionario il rischio nel quale essa incorre. È, infatti, noto che taluni settori di attività, in particolare quelli riguardanti attività di pubblica utilità, come quello controverso nella causa principale, sono disciplinati da normative che possono avere l’effetto di limitarne i rischi economici”. Alla luce di quanto sopra, è possibile asserire che il disposto codificato dalla Direttiva Europea in ordine alla necessità del trasferimento del rischio operativo in capo all’affidatario, quale elemento dirimente per condurre alla qualificazione giuridica dell’affidamento alla stregua di una concessione, appare in linea con l’orientamento da tempo consolidatosi della Corte di Giustizia Europea, cui la giurisprudenza amministrativa nazionale ha aderito completamente, non rivenendosi particolari novità sul piano della disciplina sostanziale rispetto al precedente assetto legale, nonché in linea con a quanto aveva già chiarito Eurostat nel 2004 in seno alle condizioni per la classificazione fuori bilancio dei debiti contratti dall’affidatario del contratto pubblico.
3. La disciplina intertemporale
Affinché la Direttiva possa trovare applicazione in Italia occorre un formale recepimento con atto avente forza di legge. Infatti l’articolo 51 della Direttiva stabilisce che “Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 18 aprile 201[6]. Solo trascorso tale termine, la Direttiva avrebbe efficacia verticale diretta anche in Italia, e pertanto diventerebbe azionabile dagli operatori economici nei confronti dello Stato e delle sue propaggini amministrative. Nessuna rilevanza, ad avviso di chi scrive, può trovare al riguardo dell’applicazione ratione temporis, l’art. 54 della Direttiva secondo cui “La presente direttiva non si applica all’aggiudicazione di concessioni per le quali è stata presentata un’offerta o che sono state aggiudicate prima del 17 aprile 2014 “, dal momento che tale disposizione, sancisce l’obbligo per gli Stati membri eventualmente più solerti nel recepimento nel proprio diritto interno, di prevedere una disciplina di coordinamento intertemporale che preveda l’applicabilità di tali norme non prima della suddetta data. In assenza, pertanto, di un formale recepimento nell’ordinamento nazionale, qualsiasi modifica introdotta dalla direttiva in relazione al trattamento giuridico degli affidamenti delle concessioni nell’ordinamento interno italiano non potrebbe trovare diretta applicazione (attesa la natura giuridica dello strumento normativo della Direttiva che necessita, secondo la gerarchia delle fonti del diritto europeo, della previa trasposizione formale da parte degli Stati membri[7]). Inoltre, va tenuto presente che, in tema di affidamenti pubblici, domina il noto principio del tempus regit actum, il cui scopo è quello di dare certezza ai rapporti giuridici instaurati tra pubbliche amministrazioni e privati. Tale principio sancisce l’irrilevanza dello ius superveniens rispetto ai rapporti giudici sorti precedentemente ad una novella legislativa intervenuta, cristallizzando la normativa applicabile alla data della pubblicazione del bando. In questo senso è il consolidato indirizzo del Consiglio di Stato, secondo cui “in sede di gara indetta per l’aggiudicazione di un contratto, la Pubblica amministrazione è tenuta ad applicare le regole fissate nel bando, atteso che questo, unitamente alla lettera d’invito, costituisce la lex specialis della gara che non può essere disapplicata nel corso del procedimento, neppure nel caso in cui talune delle regole in essa contenute risultino non più conformi allo jus superveniens, salvo naturalmente l’esercizio del potere di autotutela (Sez. V, 11 luglio 1998, n. 224; id., 3 settembre 1998, n. 591). Tale soluzione è giustificata, si ripete, in base al rilevo per cui il bando è atto amministrativo a carattere normativo, lex specialis della procedura, rispetto alla quale l’eventuale jus superveniens di abrogazione o di modifica di clausole non ha effetti innovatori (Cons. Giust. Amm., 3 novembre 1999, n. 576; Cons. St., Sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5714). Nel medesimo senso questo Consiglio ha chiarito che il bando, unitamente alla lettera di invito, assolve la funzione precipua di dettare il regolamento della gara e che, in quanto lex specialis della procedura di selezione, impone all’Amministrazione la stretta osservanza delle relative prescrizioni. Da siffatto principio generale discende, quale logico corollario, quello della indifferenza ed insensibilità del bando, e, quindi, delle regole della gara, alle modifiche, sopravvenute, del regime normativo vigente, ed osservato con la lex specialis, al momento della sua emanazione (cfr., ex multis, Cons. St., Sez. IV, 29 dicembre 1998, n. 1605). Ne consegue che l’Amministrazione è tenuta, nella conduzione della procedura selettiva, ad applicare le regole contenute nel bando, anche nel caso di sopravvenuta abrogazione o modifica della disciplina vigente al momento della sua adozione, e che, al contempo, le è precluso di derogare al regolamento di gara per come cristallizzato nella lex specialis, quand’anche fosse divenuto medio tempore difforme dallo ius superveniens (Cons. St., Sez. V, 15 novembre 2001, n. 5843; Cons. St., Sez. V, 3 ottobre 2002, n. 5206)” (Consiglio di Stato n. 3964 del 23 giugno 2010).
Pertanto, anche qualora recepita immediatamente del legislatore, la nuova normativa nazionale di recepimento della Direttiva non potrà trovare applicazione rispetto alle procedure e ai contratti i cui bandi o avvisi con cui si indice la gara siano stati pubblicati precedentemente alla data di entrata in vigore della norma di riferimento.
4 Conclusioni
Alla luce delle superiori considerazioni possono spendersi alcune osservazioni in termini generali di cui è opportuno tener conto al fine di poter comprendere l’attuale assetto legale in tema di concessione pubbliche. In primo luogo occorre sottolineare che l’avvenuta codificazione della necessità di traslare in capo al concessionario del rischio operativo quale condizione per poter qualificare l’affidamento quale concessione, risulta quindi una santificazione positiva di principi che a livello comunitario erano già stati delineati sotto il profilo strettamente giuridico dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea laddove si è trovata a dover distinguere i tratti distintivi dell’appalto rispetto alla concessione, nonché, sotto un profilo finanziario-contabile da Eurostat, allorquando ha dettato regole omogenee per la classificazione in bilancio dei debiti contratti dagli affidatari di commesse pubbliche, asserendo che si tratta di partenariato pubblico privato esclusivamente nel caso in cui sussista un effettiva traslazione del rischio operativo in capo al soggetto privato. In secondo luogo appare necessario ricordare quanto previsto dal Trattato in tema di recepimento e trasposizione della normativa europea negli ordinamenti interni laddove la Comunità abbia dettato regola comuni secondo lo strumento della Direttiva. Operatori di mercato del settore delle concessioni hanno sin da subito avvertito la necessità di avere chiarezza in ordine all’applicabilità della nuova Direttiva agli affidamenti in corso di pubblicazione. Su tale specifico punto il disposto della stessa Direttiva, in coerenza con la tipologia dello strumento normativo che concede ai singoli Stati membri di valutare quale sia il modo più idoneo di introitare le nuove regole nel proprio ordinamento interno, è chiaro nel porre un termini ultimo per il recepimento, trascorso il quale la Direttiva diverrà self-executing e pertanto, sebbene solo in via verticale e relativamente ai diritti attributi agli operatori, azionabile in via giurisdizionale da parte degli operatori del mercato. Viceversa prima del suddetto formale ed espresso recepimento, qualora non sia decorso il termine, non possono che valere le regole di tempo in tempo vigenti negli ordinamenti interni per gli affidamenti di concessioni. Un volta trascorso tale termine, è opportuno sottolineare, la Commissione Europea, come spesso succede, si troverà costretta ad aprire una procedura di infrazione nei confronti dello Stato inadempiente, tesa a sollecitare il recepimento della direttiva disattesa. Auspicio comune non potrà che essere un sollecito e quanto mai avveduto recepimento della nuova Direttiva, questa volta, badando bene, a non appesantire l’assetto legale strutturato dalla stessa Direttiva al fine di consentire ad operatori stranieri di non incorrere in eccessivi formalismi che non rado sostanziano ostacoli alla libera circolazione dei capitali.
[1] La «concessione di lavori» è definita come un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più amministrazioni aggiudicatrici o uno o più enti aggiudicatori affidano l’esecuzione di lavori ad uno o più operatori economici, ove il corrispettivo consista unicamente nel diritto di gestire i lavori oggetto del contratto o in tale diritto accompagnato da un prezzo.
[2] Per «concessione di servizi» si intende un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più amministrazioni aggiudicatrici o uno o più enti aggiudicatori affidano la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori di cui alla lettera a) ad uno o più operatori economici, ove il corrispettivo consista unicamente nel diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o in tale diritto accompagnato da un prezzo.
[3] Per rischio sul lato della domanda si intende il rischio associato alla domanda effettiva di lavori o servizi che sono oggetto del contratto.
[4] Per rischio sul lato dell’offerta si intende il rischio associato all’offerta dei lavori o servizi che sono oggetto del contratto, in particolare il rischio che la fornitura di servizi non corrisponda alla domanda.
[5] Sul tema vedasiCorte di Giustizia U.E., Sezione III – Sentenza 10/03/2011 n. C-274/09, secondo cui: “L’art. 1, nn. 2, lett. d), e 4, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, deve essere interpretato nel senso che, quando la remunerazione dell’operatore economico selezionato è integralmente garantita da soggetti diversi dall’amministrazione aggiudicatrice che ha attribuito il contratto di prestazione di servizi di soccorso e tale operatore economico incorre in un rischio di gestione, per quanto molto ridotto, poiché, in particolare, l’importo dei corrispettivi d’uso dei servizi in questione dipende dall’esito di trattative annuali con soggetti terzi e non gli è garantita una copertura integrale dei costi sostenuti nell’ambito di una gestione delle sue attività conforme ai principi sanciti dal diritto nazionale, tale contratto deve essere qualificato come contratto di «concessione di servizi», ai sensi dell’art. 1, n. 4, della stessa direttiva”.
[7] Vedasi sul punto l’art. 288 comma 2 del Trattato sul Funzionamento della Unione Europea secondo cui “La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi”. Pertanto, secondo la interpretazione univoca di tale articolo, gli Stati membri devono procedere a un recepimento preciso e completo di tutte le disposizioni rilevanti delle Direttive al fine di garantirne la piena efficacia, conformemente allo scopo che esse perseguono (CG, 17 giugno 1999, Commissione/Italia, C -336/97). In secondo luogo essi devono fare ricorso agli strumenti più idonei per la realizzazione degli obiettivi e la puntuale definizione delle situazioni giuridiche previste dalle Direttive (CG, 8 aprile 1976, Royer, 48/75). Inoltre, gli atti di recepimento devono essere adottati entro il termine previsto in modo da assicurare l’applicazione uniforme della disciplina dettata nelle Direttive (CG, 22 settembre 1976, Commissione/Italia, 10/76).