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( votes)Commento alla delibera numero 6 del 26 gennaio 2021 la Sezione di Controllo della Corte dei Conti della Sardegna
Premessa
Vogliamo prima di tutto porre l’attenzione sulla seguente affermazione tratta dalla recente relazione della Corte dei Conti in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, svoltasi il 19 febbraio 2021:
“Indubbiamente, la previsione della obbligatorietà della copertura assicurativa, nell’esercizio della professione medica, ha ridotto gli ambiti per la configurazione di un danno erariale da risarcire, che ora coincide con tutte quelle ipotesi estreme di fatti dannosi non coperti dalla polizza in tutto o in parte ovvero coincidenti con la quota rientrante nella franchigia, per i quali l’amministrazione è stata chiamata a rispondere per conto del suo sanitario”.
Con la delibera numero 6 del 26 gennaio 2021 la Sezione di Controllo della Corte dei Conti della Sardegna, apre, nuovamente, una discussione sul tema del legittimo pagamento del premio da parte dell’Ente di appartenenza di una polizza di Responsabilità Civile terzi a favore dei propri verificatori interni.
Per comprendere la soluzione raggiunta dal giudice contabile, bisogna fare due considerazioni di fondo:
• Il codice dei contratti del 2016 non prevede alcun obbligo assicurativo per il verificatore ma solo per il progettista (a differenza della precedente edizione del 2006).
• Dal 2018, è stato abrogato il decreto ministeriale (123 del 2004) contenente i testi delle polizze tipo obbligatorie negli appalti pubblici.
La Corte dei Conti, adita da un sindaco, nell’evidenziare una disparità di trattamento “interna” fra le attività di progettazione e le attività di verifica e di validazione dei progetti” sul crinale della possibilità di stipulare polizze assicurative con imputazione dell’onere a carico del quadro economico dell’opera o, comunque, dell’ente pubblico per la copertura dei rischi professionali a favore del verificatore, ne ammette la stipula “limitatamente all’ipotesi di danno prodotto dal dipendente con colpa lieve”.
Ora la domanda sorge spontanea: per i tecnici, questa copertura è sufficiente?
Poichè riteniamo che la risposta debba essere negativa, vediamo di scoprire quali sono i punti deboli della delibera del nostro giudice contabile e perché debba esserci una relazione con una polizza adeguata a copertura della responsabilità civile propria dell’ente di appartenenza (da qui l’affermazione riportata all’inizio di questa premessa).
Ma andiamo con ordine.
Stiamo comunque parlando di una polizza di Responsabilità Civile Terzi
A questo proposito merita riportare il seguente passaggio tratto da Corte di Cassazione, Sezione III civile, sentenza numero 30314 del 21 novembre 2019, che ancorché tratti di responsabilità sanitaria, ben può adattarsi anche a qualunque altro ente pubblico.
Queste parole ci servono per comprendere, prima di passare al pensiero del giudice contabile sardo, quali sono i rapporti esistenti fra una polizza di Responsabilità Civile per la quale l’Ente pubblico è contraente e anche assicurato con una polizza, sempre di Responsabilità civile, ma per la quale è la singola persona, dipendente pubblico, ad essere assicurato.
Vediamo cosa dicono gli Ermellini:
“L’assicurazione della responsabilità civile del medico operante all’interno d’una struttura sanitaria ha ad oggetto un rischio del tutto diverso rispetto a quello coperto dall’assicurazione della responsabilità civile dalla struttura in cui il medico si trova ad operare.
Nell’assicurazione di responsabilità civile infatti – che è assicurazione di patrimoni e non di cose – il “rischio” oggetto del contratto è l’impoverimento dell’assicurato, non il danno eventualmente patito dal terzo e causato dall’assicurato.
Pertanto una assicurazione “personale” della responsabilità civile del medico copre per definizione il rischio di depauperamento del patrimonio di quest’ultimo.
L’assicurazione della responsabilità civile della clinica, invece, copre il rischio di depauperamento del patrimonio della struttura sanitaria.
I due contratti sono diversi, i due rischi sono diversi, i due assicurati sono diversi: e nulla rileva che tanto la responsabilità della clinica, quanto quella dei medici, possano sorgere dal medesimo fatto illecito, che abbia causato in capo al terzo il medesimo danno.
Se due contratti di assicurazione garantiscono rischi diversi, non può mai sussistere per definizione nè una coassicurazione, nè una assicurazione plurima, nè una copertura “a secondo rischio”, come ritenuto dalla Corte d’appello. Quest’ultima, infatti, presuppone che il rischio dedotto nel contratto sia già assicurato da un’altra polizza. Ma poiché il rischio cui è esposto il medico è ben diverso dal rischio cui è esposta la struttura (tali rischi, infatti, minacciano patrimoni diversi), una assicurazione stipulata dalla clinica “per conto proprio” non potrebbe mai garantire anche la responsabilità del medico.
Ne consegue che una polizza stipulata a copertura della responsabilità civile della clinica (tanto per il fatto proprio, quanto per il fatto altrui) non può mai “operare in eccesso alle assicurazioni personali dei medici”, perché non vi è coincidenza di rischio assicurato tra i due contratti.
L’interpretazione adottata dalla Corte d’appello, pertanto, ha violato da un lato l’art.1362 c.c., perché ha travisato il significato giuridico dell’espressione “operare in eccesso”, riferito ad un contratto di assicurazione. Dall’altro lato ha violato l’art. 1367 c.c., perché l’interpretazione adottata renderebbe la clausola inutile: per quanto detto, infatti, un’assicurazione del patrimonio di Primus mai potrebbe “operare in eccesso” rispetto ad un’assicurazione del patrimonio di Secundus, perché l’impoverimento di quest’ultimo è del tutto indifferente per l’altro, e non costituisce per lui un rischio assicurabile.
L’interpretazione della corte d’appello non appare neppure conforme al canone intepretativo che impone di rispettare la comune intenzione delle parti che è quella di fornire, in via principale, alla casa di cura una copertura assicurativa per tutti i danni provocati a terzi nell’ambito delle sue attività c.d. istituzionali, a causa di carenze della struttura o di errori dei medici o del personale a fronte del pagamento di un premio remunerativo dell’assunzione del rischio per l’assicurazione: interpretata la clausola nel senso indicato dalla corte d’appello, la clinica rimarrebbe in concreto priva di copertura assicurativa per quasi tutti i danni provocati al suo patrimonio dall’operato dei medici non dipendenti, fino all’ingentissimo limite di lire 1.5000.000.000 a sinistro.”
L’oggetto della richiesta di parere della Corte dei Conti della Sardegna
Il Sindaco del Comune di Cagliari, dopo un’articolata premessa, chiedeva a questa Sezione di esprimere un parere, ai sensi dell’art. 7, comma 8, della legge n. 131/2003, sui seguenti quesiti: “1. quale sia la disciplina attualmente applicabile nei confronti dei verificatori c.d. interni ai sensi dell’articolo 26 del d.lgs. n. 50/2016, in ordine alla possibilità di stipulare una polizza assicurativa professionale per la copertura dei rischi di natura professionale contro i danni causati a terzi dall’attività di verifica dei progetti con imputazione dell’onere a carico del quadro economico dell’opera o, comunque, della stazione appaltante.
2. In mancanza di specifica disposizione normativa quali sono i canoni interpretativi applicabili alla fattispecie: il canone “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”, ovvero il canone “ubi eadem ratio, ibi eadem iuris dispositio”, avuto riguardo al fatto che l’affidamento dell’incarico, a dipendenti dell’ente, della progettazione e della verificazione e validazione siano casi assolutamente simili: si tratta, in entrambi i casi, di incarichi specialistici di natura tecnica assegnati a dei funzionari dell’amministrazione, in ordine all’unica fase di predisposizione degli atti necessari all’avvio del procedimento di scelta del contraente per la realizzazione dei lavori.”.
Il sindaco si rivolge alla Sezione tratteggiando una situazione di incertezza giuridica in merito alla sussistenza di limiti legislativi, incidenti sulla gestione del bilancio dell’ente e sulla corretta formazione dello stesso, per l’accesso al prodotto assicurativo oggetto di quesito.
Il Collegio, dando continuità alla posizione assunta dalla giurisprudenza contabile in punto di ammissibilità dei quesiti inerenti le polizze assicurative per i dipendenti (Sezione regionale Lombardia n. 665/2011/PAR) e per i volontari (Sezione regionale Piemonte n. 126/2017/PAR, Sezione regionale Friuli Venezia Giulia n. 54/2017/QMIG e n. 69/2017/PAR, Sezione regionale Toscana n. 141/2016, Sezione regionale Emilia-Romagna n. 32/2010/PAR) rileva che il parere richiesto attiene alla “materia di contabilità pubblica” in quanto investe l’interpretazione di principi e di norme che governano l’attività finanziaria dell’amministrazione rispetto ai limiti di assunzione di spesa connessi ai suddetti contratti di assicurazione.
C’è un ulteriore motivo per considerare il quesito ammissibile?
La risposta va ricercata nella possibilità di spostare l’attenzione su di un aspetto a volte trascurato: in presenza di una polizza, l’Ente paga meno di tasca propria!
Così infatti viene interpretato dall’adito giudice contabile:
“L’ulteriore aspetto che, ad avviso della Sezione, milita nella direzione della riconducibilità del quesito nell’alveo all’attività consultiva fa leva sulla “visione dinamica” della contabilità pubblica “che sposta l’angolo visuale dal tradizionale contesto della gestione del bilancio a quello inerente i relativi equilibri”.
Sotto questa addizionale prospettiva, la Sezione considera che un contratto di assicurazione diretto a manlevare il dipendente pubblico dalla responsabilità civile nei confronti di terzi possa avere effetti tali da ripercuotersi “sulla sana gestione finanziaria dell’Ente e sui relativi equilibri di bilancio” se solo si sposta l’angolo visuale dalle poste di spesa collegate al contratto di assicurazione (costo del premio e oneri connessi alla procedura di scelta della compagnia di assicurazione) ai risparmi di spesa corrispondenti alla somme (potenzialmente di incisiva consistenza rispetto a situazioni astrattamente idonee a produrre danni ragguardevoli) di cui l’ente dovesse risultare debitore a titolo di risarcimento verso terzi per effetto dell’illecito posto in essere dal proprio dipendente.
L’attinenza della richiesta di parere alla materia della contabilità pubblica si apprezza, quindi, nell’accezione dinamica di quest’ultima che mira, in ultima analisi, a garantire quell’equilibrio di bilancio che potrebbe essere compromesso da importanti azioni risarcitorie vittoriosamente esperite da terzi e i cui effetti possono essere neutralizzati attraverso il prodotto assicurativo sottoposto al vaglio interpretativo della Sezione.
Attenzione però: questo punto di vista tiene conto degli interessi degli Enti, ma non quelli dei dipendenti pubblici che svolgono le funzioni tecniche i quali potrebbero essere chiamati dai terzi a risarcire direttamente i danni prodotti (situazione prevista dall’articolo 28 della Costituzione)!
Per far fronte a questa possibilità, l’unica alternativa possibile è che il dipendete di un’amministrazione pubblica stipuli, per proprio conto e a proprie spese, un autonomo contratto di polizza di responsabilità civile terzi.
Andando avanti nell’analisi della delibera che ci occupa, capiremo il perché di questa affermazione.
L’adito giudice contabile ci offre una panoramica sui principi che governano la responsabilità civile dell’amministrazione per danno causato a terzi da propri dipendenti
Come sempre, il punto di partenza è un articolo della nostra Costituzione, il 28 appunto:
<<Imprescindibile punto di partenza si palesa l’art. 28 della Costituzione che ha introdotto, come regola generale, la responsabilità diretta dell’agente pubblico disponendo che “I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione dei diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici”>>.
Nella fattispecie che ci occupa, vi è un’altra norma importante a cui fare riferimento; questo perché il quesito viene posto in relazione all’assicurazione di dipendenti comunali (attenzione diverso sarebbe stato il caso di dipendenti di Enti pubblici economici o di Spa pubbliche):
“Per quanto di interesse nella corrente esposizione la legge ordinaria che pone limiti alla responsabilità diretta dei funzionari è il d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3 (“Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato” – Statuto degli impiegati civili dello Stato) che definisce l’area dei danni imputabili al dipendente pubblico facendo riferimento alla soglia psicologica dell’illecito che dovrà raggiungere il grado del dolo o della colpa grave, come si avrà modo di precisare nel prosieguo.
Rinvenuta la ratio dell’art. 28 della Costituzione nell’intento di “rafforzare, oltre che la legalità dell’azione amministrativa, la tutela dei privati contro gli atti illeciti della pubblica amministrazione” (sentenza Corte costituzionale n. 64/1992), la finalità di garantire una tutela effettiva del terzo è raggiunta attraverso il meccanismo della solidarietà passiva in forza del quale l’amministrazione di appartenenza dell’agente, legato alla stessa dal rapporto di c.d. immedesimazione organica, è chiamata a rispondere per i danni arrecati a soggetti estranei all’apparato pubblico dal dipendente che ha agito nell’esercizio dei compiti istituzionali.”.
Vale la pena ricordare che per i nostri padri costituenti, la responsabilità della pa intesa come apparato di cui alla norma costituzione, è diretta e non per fatto altrui (quindi non si applica l’articolo 2049 cc): Questa circostanza risulta fondamentale per l’ambito di applicazione della polizza di responsabilità civile terzi e per il fatto che, alla Compagnia di assicurazioni, risulta preclusa la possibilità di rivalsa nei confronti dei dipendenti dell’ente assicurato.
Nella citata delibera, troviamo questa affermazione: “dall’esame della casistica giurisprudenziale in materia di responsabilità per danni cagionati dal personale pubblico, emerge la preferenza, da parte del terzo che ha subito la lesione di un proprio diritto soggettivo o di un proprio interesse legittimo, a rivolgersi, per il ristoro del danno sofferto, anche (se non esclusivamente) nei confronti dell’ente pubblico di appartenenza del dipendente.”
A questo punto, il giudice contabile si pone il problema di rispondere alla seguente domanda:
Come mai, nella maggior parte dei casi, la richiesta di risarcimento del danno viene posta nei confronti dell’Ente e non del singolo la responsabile?
Questa è la risposta:
“Simile opzione processuale trova una ragionevole spiegazione nella duplice circostanza
- l’amministrazione pubblica è soggetto che, tendenzialmente, non ha problemi di solvibilità;
- l’elemento soggettivo per l’imputazione della responsabilità a carico l’amministrazione è ancorato al più ampio parametro della culpa levis (a fronte della culpa lata e del dolo previsti per il dipendente pubblico).”.
A noi il compito di aggiungere una terza possibilità:
- nella grande maggioranza dei casi, l’Ente pubblico è assicurato per la propria responsabilità civile terzi.
Esistenza di un interesse giuridicamente rilevante in capo all’amministrazione rispetto alla stipula di contratti di assicurazione a copertura dei propri agenti
A questo punto, l’attenzione della Corte dei Conti della Sardegna si sposta sull’importanza che l’Ente sia assicurato per quanto commesso dai propri dipendenti.
“In effetti, poter traslare il rischio connesso al risarcimento per responsabilità civile del dipendente su una compagnia di assicurazione ha un effetto positivo per l’ente pubblico che, in difetto di polizza assicurativa, resta esposto all’eventualità di dover rispondere in via esclusiva per l’operato del proprio personale nell’ipotesi in cui la lesione del principio del neminem laedere avvenga con colpa lieve.”.
Valga comunque la seguente, ovvia, considerazione: un ente pubblico può assicurare esclusivamente quei rischi che rientrino nella sfera della propria responsabilità patrimoniale e che trasferiscono all’assicuratore la responsabilità patrimoniale stessa, ove si verifichi l’evento temuto, mentre sarebbe priva di giustificazione e, come tale, causativa di danno erariale, l’assicurazione di eventi per i quali l’ente non deve rispondere e che non rappresentano un rischio per l’ente medesimo.
Il beneficio dell’esenzione della colpa lieve per i dipendenti comunali: mentre il Comune inteso come apparato risponde per il 2043 cc nella sua interezza
Nel tornare al quesito posto dal sindaco, così continuano i giudici sardi:
“Per il personale degli enti locali viene in rilievo l’art. 93 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (“Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali” – Tuel) che, per la responsabilità patrimoniale dei dipendenti delle amministrazioni locali, richiama “le disposizioni vigenti in materia di responsabilità degli impiegati civili dello Stato”. Il riferimento è agli artt. 18 e seguenti del d.p.r. n. 3/1957 e, segnatamente, all’art. 22, intitolato “Responsabilità verso i terzi”, in base al quale “L’impiegato che, nell’esercizio delle attribuzioni ad esso conferite dalle leggi o dai regolamenti, cagioni ad altri un danno ingiusto (chiaro il riferimento all’articolo 2043 c.c. ndr)ai sensi dell’art. 23 è personalmente obbligato a risarcirlo”, cui fa immediato seguito il precetto per cui “L’azione di risarcimento nei suoi confronti può essere esercitata congiuntamente con l’azione diretta nei confronti dell’Amministrazione”. Il successivo art. 23 delinea i tratti del danno ingiusto rilevante per il sorgere della connessa responsabilità circoscrivendolo a “quello derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi che l’impiegato abbia commesso per dolo o colpa grave”.
In armonia con il dettato costituzionale risulta, quindi, che anche per il personale degli enti locali la regola generale è quella della responsabilità diretta del dipendente che è chiamato a rispondere per i danni causati con azioni (atti o attività) o omissioni (inerzie o ritardi). A tale responsabilità si affianca quella diretta e solidale dell’amministrazione di appartenenza, rispetto alla quale non vale la limitazione, sul crinale soggettivo, al dolo e alla colpa grave.”
Bisogna quindi distinguere:
“Il regime della responsabilità civile verso terzi del lavoratore pubblico importa che nel caso di colpa lieve dell’agente risponde unicamente l’amministrazione e il debito connesso al risarcimento del danno entra, come elemento negativo, nel patrimonio dell’ente causandone il depauperamento.
Nel diverso caso di dolo o colpa grave dell’agente, l’amministrazione e il dipendente rispondono entrambi, direttamente e solidalmente; qualora sia l’ente a rifondere il danneggiato il dipendente risponderà a titolo di responsabilità erariale per danno c.d. indiretto”.
Ed arriviamo quindi al dunque: la polizza del verificatore interno può essere pagata dal Comune?
Ricordiamo infatti che la questione posta dal sindaco del Comune di Cagliari riguarda la diversa fattispecie della polizza assicurativa, da stipulare con oneri a carico dell’ente, per la responsabilità civile verso terzi a copertura dei danni arrecati da propri dipendenti “verificatori”, vale a dire dal personale a cui viene assegnato un incarico tecnico che si compendia nell’attività di accertamento della rispondenza degli elaborati di progetto e della loro conformità alla normativa vigente, secondo le specifiche dettate al riguardo dal d.lgs. n. 50/2016 e nelle Linee guida Anac n. 1 del 2016 recanti “Indirizzi generali sull’affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria”. Il mancato rilievo di errori e/o omissioni del progetto verificato può produrre danni all’opera o pregiudicarne, in tutto o in parte, la realizzabilità o l’utilizzazione e, più in generale, il non corretto assolvimento dell’incarico può essere fonte di danni verso soggetti estranei all’amministrazione pubblica.
Il primo problema è il seguente: l’attuale norma del codice dei contratti non prevede l’obbligo di una tale assicurazione.
Infatti nel “vecchio” Codice degli appalti era espressamente e obbligatoriamente fatto carico all’amministrazione di appartenenza del verificatore c.d. interno di munirsi di polizza assicurativa per la copertura dei rischi connessi all’attività svolta dal proprio dipendente mentre la Sezione rileva che, nella disciplina dettata dal c.d. “nuovo” Codice dei contratti permane inalterato il riferimento, in precedenza contenuto nel comma 4 dell’art. 112 del d.lgs. n. 163/2006, agli oneri derivanti dall’accertamento della rispondenza agli elaborati progettuali che, anche in base alla normativa vigente, ai sensi del comma 5 dell’art. 26 del d.lgs. n. 50/2016, sono ricompresi nelle risorse stanziate per la realizzazione delle opere; di contro, viene meno ogni riferimento all’obbligo, previsto dall’art. 112, comma 4-bis dell’abrogato d.lgs. n. 163/2006, dell’amministrazione di appartenenza di procedere al pagamento del premio assicurativo nel caso in cui il soggetto a cui viene affidato il compito di procede all’attività di verifica sia un dipendente della stazione appaltante.
L’omessa riproduzione di quanto statuito dal suindicato (e abrogato) comma 4-bis dell’art. 112 è oggetto di censura da parte del Comune di Cagliari che rinviene in essa la scaturigine di una “disparità di trattamento “interna” fra le attività di progettazione e le attività di verifica e di validazione dei progetti” sul crinale della possibilità di stipulare polizze assicurative con imputazione dell’onere a carico del quadro economico dell’opera o, comunque, dell’ente pubblico per la copertura dei rischi professionali a favore del verificatore, possibilità espressamente prevista dall’art. 24, comma 4, del d.lgs. n. 50/2016 in favore dei dipendenti incaricati della progettazione.”.
Vi è quindi la possibilità di estendere, attraverso un processo giuridico presuntivo, la possibilità di assicurare anche il verificatore interno?
La risposta dell’adito giudice contabile, in primis, risulta essere negativa in quanto:
”Il divieto di estensione analogica delle norme eccezionali (la cui ratio si rinviene nell’esigenza di non allargare le deroghe alla disciplina generale facendo applicazione, nei casi sprovvisti di apposita disciplina, della norma di carattere generale secondo il principio quod contra rationem iuris receptum est, non est producendum ad consequentias) impedisce di applicare al verificatore la regola della copertura assicurativa a carico dell’amministrazione di appartenenza prevista, in virtù di norma di carattere eccezionale (tale essendo l’art. 24, comma 4, d.lgs. n. 50/2016) per l’incaricato alla progettazione.
E neppure l’art. 26 del d.lgs. n. 50/2016 può essere assunto a referente normativo per la sottoscrizione della polizza assicurativa del verificatore c.d. interno dato che non ne contempla né l’obbligo e né la facoltà.”.
Però c’è uno spiraglio:
Acclarata l’assenza, all’interno del d.lgs. n. 50/2016, di una norma che, riproducendo l’abrogato art. 112, comma 4-bis del d.lgs. n. 163/2006, obblighi l’ente all’assicurazione del verificatore con costi a proprio carico, la Sezione segnala un alternativo percorso giuridico che rimette alla facoltà dell’ente la possibilità di concludere simili polizze.
Ecco il ragionamento finale dell’adito giudice contabile sardo:
“per effetto della c.d. privatizzazione del pubblico impiego, avviata con il d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 e proseguita con il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, tra le fonti giuridiche per la disciplina del rapporto di lavoro del personale delle amministrazioni pubbliche ex art. 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001 (“Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” – c.d. Testo unico del pubblico impiego – Tupi), Comuni inclusi, è da annoverare la contrattazione collettiva nazionale, cui fa riferimento anche l’art. 89 del Tuel.
Ordunque, procedendo nella disamina delle disposizioni contrattuali vigenti è dato individuare il fondamento giuridico di una polizza assicurativa a beneficio dei verificatori c.d. interni nell’art. 43 del CCNL per il personale del comparto Regioni e autonomie locali (oggi comparto Funzioni locali) del 14 settembre 2000, riservato alla disciplina della “Copertura assicurativa”, che al punto 1. prevede che “Gli enti assumono le iniziative necessarie per la copertura assicurativa della responsabilità civile dei dipendenti ai quali è attribuito uno degli incarichi di cui agli art. 8 e ss. del CCNL del 31.3.1999, ivi compreso il patrocinio legale, salvo le ipotesi di dolo e colpa grave. Le risorse finanziarie destinate a tale finalità sono indicate nei bilanci, nel rispetto delle effettive capacità di spesa”. A sua volta, l’art. 8 (“Area delle posizioni organizzative”) del CCNL del 31 marzo 1999 dispone che “1. Gli enti istituiscono posizioni di lavoro che richiedono, con assunzione diretta di elevata responsabilità di prodotto e di risultato: a) lo svolgimento di funzioni di direzione di unità organizzative di particolare complessità, caratterizzate da elevato grado di autonomia gestionale e organizzativa; b) lo svolgimento di attività con contenuti di alta professionalità e specializzazione correlate a diplomi di laurea e/o di scuole universitarie e/o alla iscrizione ad albi professionali; c) lo svolgimento di attività di staff e/o di studio, ricerca, ispettive, di vigilanza e controllo caratterizzate da elevate autonomia ed esperienza. 2. Tali posizioni, che non coincidono necessariamente con quelle già retribuite con l’indennità di cui all’art. 37, comma 4, del CCNL del 6.7.1995, possono essere assegnate esclusivamente a dipendenti classificati nella categoria D, sulla base e per effetto d’un incarico a termine conferito in conformità alle regole di cui all’art. 9.” Con riferimento all’Area della Dirigenza soccorre l’art. 38 (“Copertura assicurativa”) del relativo CCNL del 23 dicembre 1999 Regioni e autonomie locali in base al quale “1. Gli enti assumono le iniziative necessarie per la copertura assicurativa della responsabilità civile dei dirigenti ivi compreso il patrocinio legale, salvo le ipotesi di dolo e colpa grave. Le risorse finanziarie destinate a tale finalità sono indicate nei bilanci, nel rispetto delle effettive capacità di spesa.”.
Il Collegio, sulla scorta delle riportate prescrizioni negoziali valuta in termini positivi la facoltà per l’ente locale di provvedere, accollandosi i relativi oneri, alla copertura assicurativa per la responsabilità civile dei verificatori c.d. interni, entro i confini tracciati dalla disciplina di fonte pattizia, limitatamente all’ipotesi di danno prodotto dal dipendente con colpa lieve, rispetto al quale si giustifica l’interesse dell’ente all’assicurazione dato che, in tal caso, il comune è esposto all’obbligo del risarcimento senza potersi rivalere nei confronti del dipendente che, di converso, sarà tenuto a titolo di responsabilità erariale c.d. indiretta nelle differenti ipotesi di danno causato con dolo e colpa grave.”
Resta però un problema per il singolo dipendente: quello dei danni prodotti da colpa grave.
E allora?
Come già anticipato, sarà comunque opportuno che il dipendente sia munito di:
- Polizza per la propria responsabilità civile, sia per danni materiali che per perdite pecuniarie
(qualora il danneggiato intenda, e solo davanti al giudice civile, richiedere i danni anche al singolo responsabile)
- Polizza per la propria responsabilità contabile davanti alla Corte dei Conti per danno erariale
(quest’ultima garanzia verrà attivata con meno frequenza nel caso, come evidenziato in premessa, l’ente di appartenenza sia ADEGUATAMENTE assicurato).
Entrambe, attenzione, pagate direttamente dalla singola persona!