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Dopo la nuova condanna della Corte di Giustizia sull’art. 105 (subappalto) è chiaro come la norma sia sempre più da ripensare, ma sorge il problema di come operare nel frattempo.

1. La decisione: Corte di Giustizia, sez. V, 27 novembre 2019, in causa C-402/18, sul c.d. Caso Tedeschi

A due mesi dalla sentenza sul “caso Vitali” [1], la Corte di Giustizia è tornata ad esprimersi sulla compatibilità della disciplina italiana del subappalto (art. 105 del codice degli appalti) nei contratti pubblici rispetto al diritto comunitario, confermando la precedente pronuncia ed estendendo le relative censure alla previsione che, per legge, fissa un limite massimo al ribasso applicabile al subappaltatore sui prezzi unitari di aggiudicazione.

Trattasi della sentenza C-402/18, del 27 novembre 2019, sul “caso Tedeschi”, che nasce dalla pretesa del secondo classificato ad una gara per l’affidamento di servizi di pulizia di revocarne gli esiti, in ragione del fatto che l’aggiudicatario aveva superato il limite del 30% nel ricorso all’attività di terzi e che, all’atto della verifica dell’offerta, ne aveva giustificato i contenuti allegando l’utilizzo di subappaltatori che, in quanto cooperative sociali, godevano di agevolazioni in grado di assicurare riduzioni sul costo del lavoro al di sopra del limite del 20% previsto dall’articolo 105, comma 14, del Codice dei contratti di cui al d.lgs.50/2016, per l’autorizzazione del sub affidamento[2].

Coerentemente con quanto sempre ritenuto in sede comunitaria rispetto alla legislazione nazionale,  i giudici di Lussemburgo hanno condannato non già il diritto del committente a sindacare l’offerta presentata, o i termini delle giustificazioni rese sui relativi contenuti, bensì la previsione codicistica che vincola, in modo generale e astratto, l’esercizio di attività discrezionale in capo alle stazioni appaltanti, riducendo o azzerando ogni ambito valutativo in rapporto alle fattispecie che, di volta in volta, sono destinate a venire in evidenza.

2. Oltre ai limiti quantitativi, viola la disciplina UE anche il tetto di legge al ribasso applicabile ai corrispettivi del subappalto

La Corte, infatti, ha testualmente stabilito che osta all’applicazione del diritto comunitario la normativa nazionale che: a) limita al 30% la quota parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi; b) limita la possibilità di ribassare i prezzi applicabili alle prestazioni subappaltate di oltre il 20% rispetto ai prezzi risultanti dall’aggiudicazione.

Orbene, mentre il primo punto della pronuncia, come accennato, non costituisce novità rispetto alla decisione sul caso Vitali, i cui contenuti sono già stati fatti oggetto di analisi alla quale si fa qui integrale rinvio[3], il secondo pone problematiche operative nuove, anche integrative rispetto ad alcune delle conclusioni basate sulla precedente decisione; ciò nonostante la sentenza C-402/18 riguardi la disciplina ante Codice, in specie l’articolo 118, del d.lgs. 12 aprile 2006, n.163 (Codice c.d. de Lise).

3. La pronuncia riguarda la disciplina previgente, ma le sue indicazioni valgono anche per quella odierna: occorre un intervento legislativo a chiarimento

Le affermazioni che vi si leggono, infatti, sembrano poter pienamente valere anche in rapporto alla normativa attuale.

In tal senso vale considerare come, né le regole comunitarie sul subappalto, né la normativa interna, appaiano mutate in forza delle riformulazioni più recenti. Sul piano comunitario è la stessa decisione di novembre che, pur precisando come il proprio riferimento sia la Direttiva appalti del 2004, non già quella del 2014, finisce per utilizzare le stesse argomentazioni della sentenza Vitali (che alla nuova evidentemente si riferisce): ripetendone, in più passaggi ed in modo pedissequo, i relativi contenuti; considerandola applicabile “per analogia” (punto 47). Sul piano della normativa interna vale, di per sé, il confronto testuale, posto che la formula dell’articolo 118, comma 4, del vecchio codice, è identica, nel fissare il limite massimo dello scarto tra prezzi di appalto e subappalto, a quella che si legge nel comma 14, dell’art. 105, del nuovo.

Data quindi la spendibilità della decisione che qui si commenta anche rispetto alla legislazione odierna, si rafforza la necessità di un intervento urgente del legislatore per porre fine alle incertezze ed alle difformità operative che, ovviamente, si generano; ciò sia in relazione alla più che concreta ipotesi di diretta disapplicazione, ad opera delle stazioni appaltanti, di norme in acclarato contrasto con il diritto comunitario, sia per il rischio, anch’esso tutt’altro che remoto, della perdita dei finanziamenti europei, laddove questi risultino utilizzati, qualsiasi sia il valore del contratto, in violazione delle Direttive applicabili in ragione di tempo.

Non a caso la Provincia di Bolzano ha già provveduto ad aggiornare i propri disciplinari e capitolati speciali d’appalto per forniture e servizi, regolando l’istituto in conformità al diritto dell’Unione[4], mentre ANAS sembra andare in senso diverso, posto che i bandi più recenti tuttora richiamano l’operatività dell’art. 105, incluse, quindi, le limitazioni ivi contemplate.

Tanto premesso, per quel che specificamente riguarda le (censurate) limitazioni alla possibilità di fissare in modo libero i prezzi di subappalto, va preliminarmente osservato come il rischio della loro eliminazione, paventato anche nel corso del giudizio di fronte alla Corte di Giustizia, sia quello di compromettere la redditività dell’offerta e la corretta esecuzione dell’appalto (punto 68), ovvero, in rapporto alla specificità del caso, di innescare forme occulte di dumping salariale, idonee a produrre effetti anticoncorrenziali (punti 19 e 56).

4. L’autorizzazione del subappalto è il punto nodale per evitare abusi e distorsione

Nel farsi carico dell’osservazione, le argomentazioni rese dalla Corte confermano, anzitutto, che, essendo il subappalto istituto generalmente ammesso, per giustificare i prezzi offerti in gara è legittimo riferirsi alle condizioni economiche alle quali si impegnano ad operare i subappaltatori.

Nel merito, i giudici osservano che, sebbene l’obiettivo della tutela dei lavoratori impiegati nel contesto di un subappalto possa, in linea di principio, giustificare talune limitazioni al ricorso al subappalto e sebbene l’articolo 26 della Direttiva 2004/18/CE consentisse alle amministrazioni aggiudicatrici di esigere condizioni particolari in merito all’esecuzione di un appalto basate anche su considerazioni sociali, la disciplina nazionale in esame eccedeva quanto necessario al fine di assicurare ai lavoratori impiegati nel contesto di un subappalto una tutela salariale. Ciò in quanto il limite del 20% non lascia spazio ad una valutazione caso per caso da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, dal momento che si applica indipendentemente da qualsiasi presa in considerazione della tutela sociale garantita dalle leggi, dai regolamenti e dai contratti collettivi (punto 65).

Nel caso di specie, infatti, il subappalto prevedeva il ricorso a cooperative sociali che, come precisa la decisione, beneficiano, di diritto, di … un regime preferenziale in materia di fiscalità, di contributi, di retribuzione e di previdenza sociale, che mira a facilitare l’integrazione nel mercato del lavoro di alcune persone svantaggiate, rendendo possibile il versamento ad esse di un corrispettivo meno elevato di quello che si impone nel caso di altri soggetti che effettuano prestazioni analoghe (punto 67).

Escluso con tale argomento, peraltro non scevro da elementi di perplessità, il rischio di dumping salariale, e considerato altresì che il subappalto va preventivamente dichiarato proprio per verificare i singoli presupposti in grado di legittimarlo (vedi infra), la decisione giunge ad estendere la portata delle proprie affermazioni a tutto l’ambito delle prestazioni astrattamente subappaltabili, altresì allegando, qui in modo senz’altro più efficace, che la mera circostanza che un offerente sia in grado di limitare i propri costi in ragione dei prezzi che egli negozia con i subappaltatori non è di per sé tale da violare il principio della parità di trattamento, contribuendo piuttosto a una concorrenza rafforzata e quindi all’obiettivo perseguito dalle direttive adottate in materia di appalti pubblici (punto 74).

Sulla tutela della redditività dell’offerta e della corretta esecuzione dell’appalto si legge, infine, che … anche supponendo che il tetto del 20% intenda perseguire detto obiettivo, tale limite generale e astratto è, in ogni caso, sproporzionato rispetto all’obiettivo … dal momento che esistono altre misure meno restrittive che ne faciliterebbero il raggiungimento (punto 70).

Dal piano della censura legislativa a quello propositivo – forse meno appropriato per un organo giudicante – per la tutela degli interessi considerati la Corte si spinge a suggerire che gli offerenti indichino, nella loro offerta, la quota parte dell’appalto e i lavori che … hanno intenzione di subappaltare – cosa che la legge italiana già dispone – nonché l’identità dei subappaltatori proposti, prevedendo, altresì, la possibilità … per l’ente aggiudicatore, di vietare agli offerenti di sostituire i subappaltatori, assumendo peraltro che tale divieto operi laddove l’ente non abbia potuto verificare previamente l’identità, la capacità e l’affidabilità dei nuovi subappaltatori proposti (idem).

Tale affermazione va, peraltro, messa in parallelo con altra, rinvenibile nella medesima decisione, secondo la quale, qualora i documenti dell’appalto impongano agli offerenti di indicare, nelle loro offerte, le parti dell’appalto che essi hanno eventualmente l’intenzione di subappaltare e i subappaltatori proposti … l’amministrazione aggiudicatrice ha il diritto, per quanto riguarda l’esecuzione di parti essenziali dell’appalto, di vietare il ricorso a subappaltatori dei quali non sia stata in grado di verificare le capacità in occasione della valutazione delle offerte e della selezione del l’aggiudicatario (punto 37).

5. La Corte di giustizia traccia una strada

Dall’analisi congiunta delle affermazioni che precedono, sembra, quindi, potersi dedurre che, per la Corte, due sarebbero i casi:

  • quello di un subappalto per così dire ordinario, dove il fatto di potersene avvalere è legato alla presentazione, in gara, dell’operatore proposto come subaffidatario, peraltro senza caratteri di vincolatività data la possibilità di intervenire anche successivamente, autorizzando nuovi subappaltatori proposti;
  • quello del subappalto avente ad oggetto parti ritenute dalla stazione appaltante essenziali, dove la possibilità di ricorrervi è legata a valutazioni di idoneità dell’operatore proposto, effettuate necessariamente in sede di ammissione alla gara.

Ciò, fermo restando che, in ogni caso, il subappalto non potrà essere negato, nè successivamente revocato, in base ad acritiche valutazioni basate sulla mera affermazione che i prezzi presentano scostamenti maggiori del 20% rispetto a quelli di aggiudicazione, bensì solo in forza di complete valutazioni e analisi che motivino in ordine all’insostenibilità dello sconto applicato e al rischio di compromettere, in tal modo, la corretta esecuzione dell’appalto.  

Unica osservazione al riguardo è che le cosidette prestazioni essenziali, alle quali anche la sentenza Tedeschi, peraltro, fa richiamo, non erano contemplate nella Direttiva del 2004, normativa alla quale la decisione in commento, come detto, viceversa si riferisce; la relativa menzione compare per la prima volta nelle vigenti Direttive e, tra l’altro, non già nell’articolato riguardante il subappalto, bensì in quello che il legislatore nazionale riferisce al cosiddetto avvalimento.

Solo nel secondo paragrafo dell’articolo 63 della Direttiva 2014/24/UE, infatti, si prevede che in caso di appalti di lavori, di appalti di servizi e opera­zioni di posa in opera o installazione nel quadro di un appalto di fornitura, le amministrazioni aggiudicatrici possono esigere che taluni compiti essenziali siano direttamente svolti dall’offerente stesso o, nel caso di un’offerta presentata da un raggrup­pamento di operatori economici …, da un partecipante al raggruppamento.

Ne deriva: da una parte, la prova che in ambito comunitario il subappalto è (giustamente) letto come una forma di avvalimento; dall’altra che, in forza del principio per cui l’esecuzione diretta di una prestazione implica (salvo circoscritte fattispecie riguardanti i lavori[5]) il possesso della relativa qualificazione, nel caso in cui per la prestazione indicata come essenziale dalla stazione appaltante un concorrente non risulti espressamente qualificato, l’indicazione in gara del subappaltatore in possesso della qualificazione richiesta costituirà, a tutti gli effetti, un obbligo.

6. La gestione operativa dei subappalti secondo le indicazioni comunitarie

Tanto premesso, ed in attesa di un intervento legislativo a chiarimento, che sembrerebbe oggi avere natura prioritaria, laddove le stazioni appaltanti intendano regolare il proprio operato in conformità al diritto comunitario, come interpretato dalle decisioni “Vitali” e “Tedeschi”, dovrebbero, anzitutto, dare per superati tutti i vincoli quantitativi fissati dall’art. 105 del codice; ciò con riferimento sia all’entità massima delle prestazioni subappaltabili, tanto se riferite all’appalto in genere (comma 2) che alle cosidette SIOS (comma 5), sia alla percentuale di scostamento tra i prezzi di subappalto e quelli di aggiudicazione (comma 14).

Dovrebbero, poi, prevedersi specifiche valutazioni per l’individuazione di eventuali prestazioni da considerare “essenziali” che, proprio per le ragioni e le argomentazioni che i giudici comunitari hanno sempre prospettato, non potranno esser tali da finire per essere sempre presenti in qualsiasi appalto, azzerando i presupposti della loro identificazione e rilevanza caso per caso; per quanto riguarda i lavori, tantomeno coincidere con l’elencazione ed i presupposti operativi definiti dal D.M. 248/2016.

Solo per le prestazioni essenziali dovrebbe, poi, esser prevista la verifica in gara del possesso delle specifiche qualificazioni richieste, direttamente in capo al concorrente, al quale resterebbe peraltro preclusa la possibiltà di subappaltarle; diversamente, laddove ne fosse privo, dell’indicazione di un subappaltatore in possesso di dette qualifiche, quale condizione di partecipazione.

Si dovrebbero, infine, autorizzare i subappalti in base a ponderati giudizi di merito e non solo a meri automatismi.  


[1]              Trattasi della decisione della Corte di giustizia, sez.V, 26 settembre 2019, in causa C-63/18, già commentata sul precedente numero 8/2019 di Questa Rivista, pag.7.

[2]          La pronuncia origina dall’ordinanza di rimessione del Consiglio di Stato, VI Sezione, 11 giugno 2018, n.3553, in sede di appello sulla sentenza del Tar Lazio – Roma, Sezione III, n.12511/2017, che ha sottoposto alla Corte di Giustizia il seguente quesito: “se i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), gli artt. 25 della Direttiva 2004/18 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 e 71 della Direttiva 2014//24 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, che non contemplano limitazioni per quanto concerne la quota subappaltatrice ed il ribasso da applicare ai subappaltatori, nonché il principio eurounitario di proporzionalità, ostino all’applicazione di una normativa nazionale in materia di appalti pubblici, quale quella italiana contenuta nell’art. 118 commi 2 e 4 del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163, secondo la quale il subappalto non può superare la quota del trenta per cento dell’importo complessivo del contratto e l’affidatario deve praticare, per le prestazioni affidate in subappalto, gli stessi prezzi unitari risultanti dall’aggiudicazione, con un ribasso non superiore al venti per cento”.

[3]   Vedi nota n.1

[4]   Fonte www.provincia.bz.it > lavoro-economia > appalti > news 2 ottobre 2019

[5]   Categorie SOA a qualificazione non obbligatoria

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Questo articolo è stato scritto da...

Stefano De Marinis
Avvocato, già vicepresidente FIEC
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