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( votes)Ci vediamo stasera, amore mio, quando vado via dal cantiere, passo dal gabbiotto a riscuotere, faccio un pò di spesa e poi rincaso. Infila le sue solite scarpe da ginnastica logore e infangate. Richiude la porta alle sue spalle. Nel portone è ancora buio. Dalle piccole finestre ritagliate sui pianerottoli intermedi il chiarore dell’alba non riesce a intrufolarsi. È mattino presto. Il cantiere è lontano e la bicicletta è da riparare. Dove lavori, Matteo? In un cantiere in pieno centro. Che lavoro fai? La posa a fresco. Cosa state realizzando? Non lo so. Io faccio la posa a fresco. Matteo non sa cosa sta contribuendo a realizzare con il suo lavoro. Entra nel cantiere passando per una piccola porta di assi lungo una parete di lamiere, nascosta in una stretta strada di terra e fango, sul retro del cantiere. Non gli è permesso entrare dall’ingresso principale, sul viale che porta alla stazione centrale. Tra dodici ore, quando avrà terminato le sue otto ore di lavoro, costeggiando quella stradina raggiungerà il gabbiotto, un chioschetto in legno adagiato ai margini del cantiere, e ritirerà la sua paga. Gli basterà per la spesa di due settimane.
Matteo vive sul retro della storia. Se la si guardasse dalla facciata principale, scopriremmo che sul viale che porta alla stazione stanno ristrutturando una vecchia caserma che sarà convertita in uffici pubblici. Dall’entrata principale, hanno accesso ingegneri e architetti con le cravatte e le valigette, operai dotati dei più moderni sistemi di protezione individuale, dipendenti di quella che chiamano la ditta, l’impresa che si è aggiudicata l’appalto. Lui è agli ordini di un piccolo imprenditore che è riuscito a farsi assegnare la realizzazione dei massetti. Matteo è solo l’anello di una catena che non sa dove inizia e a cosa è agganciata.
In questi giorni, tra la Giornata Mondiale per la Salute e Sicurezza sul Lavoro e la Festa dei Lavoratori, inevitabilmente si è discusso anche della precarietà del sistema dei subappalti a cascata. Del rischio e dei pericoli di una pratica che spesso sfugge alle elementari regole della sicurezza e della garanzia di un salario. Un fenomeno perpetrato anche nell’ombra degli appalti pubblici. Dello Stato. Della struttura sociale che dovrebbe essere garante della salute, del benessere, della dignità di ogni lavoratore.
Nella sua accezione più nobile, il subappalto è il mezzo per assegnare la parte specifica di un lavoro complesso a un’impresa specializzata. È la soluzione per ottenere il massimo risultato sul piano della qualità di un’opera o di un servizio. Nella deriva che ne ha assunto con la pratica, il subappalto è diventato l’artificio per scaricare i costi dell’impresa. “Le aziende scaricano sui lavoratori più deboli i costi della sicurezza. La ditta che entra nella commessa spesso ricorre al lavoro nero e cerca di realizzare l’opera il più velocemente possibile, con una qualità scarsa”. In questi termini si è espresso sulle pagine de La Stampa il Magistrato ed ex Capo dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro Bruno Giordano all’indomani dell’incidente del cantiere Esselunga di Firenze.
Il subappalto, nella visione dell’Unione Europea, che ha chiesto al Legislatore italiano di reintegrare l’istituto, dovrebbe essere garante della libera concorrenza, dando la possibilità a un range di imprese più ampie di partecipare ad una gara d’appalto. Una richiesta che ha dirottato la rotta intrapresa dall’Italia che puntava, sin dal Codice 2016, a limitare fortemente il ricorso al subappalto.
C’è qualcosa di distorto nella traccia dettata dall’Europa. Perché un’impresa che non ha nel suo curriculum una determinata specializzazione deve poter comunque partecipare a una gara d’appalto che prevede esattamente anche quelle specializzazioni in cui è carente? Posso candidarmi a un lavoro che richiede particolari doti nella programmazione informatica e delegare un mio parente a svolgere le prove di esame al mio posto perché io non ne capisco nulla di uno e di zero?
La tesi dell’Unione è che con il subappalto si offre alle imprese di medie e piccole dimensioni di avere accesso alle commesse pubbliche. La divisione in lotti di un appalto definita dalla stazione appaltante con una regolamentazione dettagliata e puntuale, non offrirebbe le stesse possibilità alle imprese di dimensioni ridotte ma con margini di trasparenza più ampi?
Comunque, l’Italia si è adeguata, pur senza rinunciare a confermare dei limiti. Tra questi, il divieto di subappaltare il 100% dell’esecuzione dell’opera e della cessione dell’attività principale, la non ammissibilità di cedere la parte dell’appalto a maggiore intensità di manodopera.
Un’analisi lucida e scevra da pregiudizi ci porta a considerare il subappalto per quello che è: uno strumento contrattuale. In quanto tale non nuoce a nessuno. Si deve ammettere però che si tratta di una forma contrattuale fragile, particolarmente esposta a essere manipolata a favore di chi ha intenzioni al di fuori della legalità. È nel tentativo di arginare questa disfunzione sociale, sempre ampiamente diffusa e infettiva, che il legislatore è tenuto ad alzare barricate contro l’uso eccessivo del subappalto. Nonostante la visione liberalista dell’Unione.
“Il lavoro, le persone, le loro vite, devono tornare ad essere un bene pubblico”, ha detto Maurizio Landini, segretario generale della CGIL in occasione del primo maggio. Intanto, mentre le parole e gli slogan restano tali, tanti Matteo lavorano ogni giorno in condizioni di scarsa sicurezza, con uno stipendio irrisorio e a nero.