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Il cartello recita “centro sportivo”. E immagino un via a vai di bambini, bambine, ragazzi e ragazze. Di genitori. Nonni. Sento le voci concitate e le risate. Vedo smorfie di fatica in fondo a una corsa e sorrisi spensierati davanti agli spogliatoi. Ascolto la voce di un adulto in tuta che parla di lealtà e rispetto. Leggo centro sportivo e penso a un luogo di vita e di crescita. E invece la cronaca di questi giorni ci porta in un posto che pare non far parte di questo mondo ma del “sottosopra”. In questo universo al negativo, come ci hanno fatto vedere i ragazzini di Stranger Things, spazi, paesaggi, edifici, sono identici alla realtà ma infestati da demoni e immersi in una cupezza perenne. Il sottosopra è al centro sportivo Delphinia di Caivano: piscina coperta, campo da calcetto, quattro campi da tennis, uno polivalente, un auditorium/teatro. Una favola trasformatasi in horror. Abbandonato dal 2018, il complesso che avrebbe dovuto ospitare momenti di sport e socializzazione, è diventato preda di incuria e violenza. Ora, si corre ai ripari.

L’area sarà bonificata entro il mese in corso per poi essere sottoposta a un intervento di riqualificazione. Si spera possa essere restituita alla collettività nella prossima primavera, con l’auspicio di predisporla per ospitare campi-scuola e colonie estive.

Nell’inchiesta che si occupa della vicenda che coinvolge le bambine del quartiere Prato Verde si fa riferimento anche ad altri luoghi nei quali sarebbero state perpetrate violenze e crimini di varia natura: l’ex Stadio Comunale di Caivano abbandonato dal 2008; un edificio, anch’esso abbandonato, all’interno dell’ex isola ecologica del piccolo comune napoletano.

Cosa ci racconta questa vicenda? Che la disponibilità di aree in disuso è un dono gradito al mondo del delinquere e che le pubbliche amministrazioni non dovrebbero più permettersi di abbandonare le strutture di cui sono titolari perché finiscono per rendersi inconsapevolmente complici di quello che vi accadrà al loro interno.

Il fenomeno percorre tutta l’Italia annoverando ogni tipologia di opera pubblica: scuole, carceri, villaggi turistici, palazzetti dello sport, ospedali. Un giorno qualcuno ha deciso che una certa comunità aveva bisogno di una certa opera. Si fa un progetto, si indice una gara, viene assegnato l’appalto, si avviano e si concludono i lavori, in alcuni casi si svolgono anche cerimonie di inaugurazione (tagli del nastro, foto, interviste) e poi… E poi niente. Alcune strutture vengono gestite per pochi anni e chiuse. Altre non entrano mai in funzione. Per tutte il destino è identico: diventano oggetto di sciacallaggio, vandalismo, illecito bivacco. E tutto questo avviene mentre si lamenta la scarsa disponibilità di luoghi dove poter realizzare iniziative culturali, ricreative, assistenziali. Un esempio concreto di questo folle cortocircuito? In un sistema carcerario sotto stress per un sovraffollamento ormai ingestibile, esistono strutture carcerarie mai entrate in funzione: realizzate, arredate e vandalizzate. Sono i così detti carceri mandamentali, destinati a responsabili di reati minori. È il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria che nell’agosto scorso ha lanciato l’appello. Il Segretario Nazionale Sappe Federico Pilagatti sostiene che la strada del ripristino di questi edifici, realizzati tra gli anni ’80 e ’90, sarebbe più rapida e meno dispendiosa di quella tracciata dal Ministro della Giustizia Carlo Nordio che invece punta al recupero e all’adattamento in carcere di caserme militari dismesse. Qualunque sia la soluzione che prevarrà in questo caso specifico, emerge che abbiamo una abbondanza di strutture che possono essere adibite a svariate destinazioni d’uso. Prima di progettare nuove opere dovremmo pensare ad appaltare la ristrutturazione di quelle già esistenti e recuperabili.

Intervenendo al TG1, don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, ha detto che “lo Stato non è fatto solo di carabinieri, ma anche di scuole, servizi sociali e cultura”. Implorando una maggiore presenza delle istituzioni, Patriciello chiede strutture idonee a ospitare tutte quelle attività che più delle forze di polizia possono contribuire a edificare una vita migliore per le famiglie che vivono quella particolare periferia. Un appello che però va oltre Prato Verde, che vale per ogni periferia. Proprio là, dove sono concentrate la maggior parte di quelle opere alla deriva. Non hanno un passato, possiamo darle un futuro. Facendolo, evitando di costruire opere nuove accanto a vecchie e decadenti, razionalizzeremo i costi, non consumeremo il territorio con altro cemento, priveremo il “sottosopra” degli ambienti in cui potersi drammaticamente propagare.

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Dott. Enzo de Gennaro
Direttore Responsabile
mediagraphic assistenza tecnico legale e soluzioni per l'innovazione p.a.