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( votes)Se compri la carta per le fotocopie, che sia almeno al 70% riciclata. E consumane il meno possibile, cercando di stampare fronte/retro. Gli arredi interni per la scuola o la biblioteca? Se in legno, occhio che provengano da boschi o foreste gestite in maniera sostenibile e responsabile. Ma attento anche agli imballaggi, che devono essere composti da materiali facilmente separabili per essere riciclati. Se prendi i pannolini per l’asilo nido o i pannoloni per la casa di riposo controlla che siano realizzati essenzialmente con pasta di cellulosa in fiocco e polimeri, e che le sostanze usate per profumarli non siano costituite da formaldeide o nitromuschi. Per l’illuminazione pubblica meglio lampade a led, e assicurati che vengano installate da chi conosce le norme in materia di gestione dei rifiuti. Per la mensa pubblica, scegli prodotti che provengano per almeno il 40% da produzione biologica, siano essi frutta, verdure e ortaggi, legumi, cereali, pane e prodotti da forno, pasta, riso, farina, patate, polenta, pomodori e prodotti trasformati, formaggio, latte, yogurt, uova o olio extravergine. E per le bevande meglio acqua del rubinetto microfiltrata o bibite naturali e gassate alla spina, per non consumare bottiglie di plastica o vetro.
L’elenco di queste raccomandazioni non è fantasioso: da nove mesi è legge. E potrebbe continuare a lungo spulciando tra le indicazioni che il Ministero dell’Ambiente ha destinato agli enti pubblici da quando il Green Public Procurement è diventato obbligatorio, lo scorso maggio 2017. Tra le novità inserite nel Nuovo Codice degli Appalti Pubblici e nel decreto correttivo rientrano infatti i cosiddetti “acquisti verdi” da parte delle Pubbliche Amministrazioni. In tutte le fasi delle procedure di gara, compresi gli affidamenti diretti, ciascun ente sarà tenuto ad adottare una serie di Criteri Ambientali Minimi (C.A.M.) che sono stati individuati per ridurre l’impatto ambientale derivante da ogni forma di approvvigionamento, e favorire un nuovo modello di consumo più sostenibile. Il nuovo, ennesimo, impegno richiesto agli enti pubblici fa dell’Italia il primo Paese in Europa a trasformare in legge questa rivoluzione ambientale: e la sensibilità che il nostro bel Paese ha dimostrato verso il rispetto per l’ambiente è sicuramente un motivo di orgoglio. Ma non si possono sottovalutare tutte le difficoltà che portano con sé i nuovi adeguamenti.
Basti guardare, per fare un esempio, alle innumerevoli tipologie di prodotti e servizi che prevedono il rispetto dei Cam: scorrendo l’elenco troviamo mobili per ufficio, arredi scolastici, arredi per sale archiviazione e sale lettura, costruzioni e ristrutturazioni di edifici con particolare attenzione ai materiali da costruzione, realizzazione di nuove strade e manutenzione di quelle esistenti, articoli per la gestione dei rifiuti urbani e assimilati, materiale per la gestione del verde pubblico, arredo urbano, servizi per l’illuminazione, il riscaldamento e raffrescamento degli edifici, attrezzature elettriche ed elettroniche d’ufficio e relativi materiali di consumo, apparati di telecomunicazione, prodotti tessili e calzature, carta e materiali di consumo, servizio mensa e forniture di alimenti, servizi di pulizia e materiali per l’igiene, mezzi e servizi di trasporto, sistemi di mobilità sostenibile.
Come se non bastasse tenere sotto controllo questa vasta gamma di beni e servizi, gli enti devono far fronte ai tanti possibili imprevisti sulle verifiche di conformità di quanto viene offerto dai fornitori: conformità che devono essere ricercate con modalità differenti, di volta in volta, a seconda della tipologia di prodotto, non essendoci sempre delle specifiche etichette riportanti le caratteristiche del prodotto da sottoporre a valutazione. Per questo, come riporta l’ultima relazione sull’applicazione degli “acquisti verdi” presentata agli Stati Generali della Green Economy 2017, la proposta avanzata da più parti, ma probabilmente di difficile percorribilità, è di costruire uno schema unico di certificazione dei Cam che possa essere svolto da organismi esterni e appositi di valutazione della conformità al fine di avere un unico documento che attesti la rispondenza del prodotto o servizio ai criteri posti in essere dal Ministero. Ma da qui al mettere in pratica questo, il salto è lungo.
Si torna, insomma, al solito problema, che lo Stato fatica a scrollarsi di dosso: una possibile “buona legge”, che parte da un principio sacrosanto, diventa insopportabile e quasi impraticabile dall’eccesso di norme e procedure, spesso poco chiare. Ma anche dalla loro estrema complessità e dalla mancanza di omogeneità, dato che in alcuni casi queste indicazioni entrano addirittura in conflitto tra loro, contraddicendosi nei contenuti. Il tutto in un contesto di totale impreparazione degli operatori delle stazioni appaltanti, lasciati soli con pesanti faldoni di nuove disposizioni da studiare (meglio se di fronte allo schermo del computer per risparmiare carta), e delle stesse imprese fornitrici, che necessiterebbero di un maggiore coinvolgimento nel processo formativo per adempiere in maniera più precisa e puntuale alle nuove esigenze imposte alla Pubblica Amministrazione.
Per questo cerchiamo oggi di ricordare e rilanciare quanto chiesto nelle raccomandazioni finali presentate in conclusione della relazione redatta dagli esperti del settore sul Green Public Procurement. Serve prima di tutto formare e qualificare il personale degli enti pubblici, rafforzando altresì le strutture per affrontare adeguatamente e con efficienza le sfide innovative, economiche e culturali legate a un nuovo modo di fare acquisti ecosostenibili. Occorre rendere più snelle le procedure e semplici i passaggi, anche per favorire una più ampia conoscenza dei meccanismi alle aziende fornitrici, chiamate a intervenire sulla produzione per non trovarsi fuori da una fetta di mercato spesso fondamentale come quella della Pubblica Amministrazione. È poi necessario rendere il quadro normativo più chiaro e coerente, eliminando aspetti contradditori come potrebbero essere, ad esempio, i vincoli sulla qualità di un prodotto associati alle esigenze di contenimento della spesa pubblica. Non di minore importanza sono, infine, i sussidi: che devono essere mirati a promuovere, e non a disincentivare, la sensibilità ecologica e le buone pratiche di chi acquista per conto di un ente pubblico.
Ben venga quindi anche il Green Public Procurement, così come gli adempimenti anticorruzione, le pratiche di trasparenza e tante altre iniziative riformatrici della Pubblica Amministrazione indirizzate verso l’affermazione di giusti principi e cambiamenti culturali. Ma ben vengano, allo stesso tempo e non con i soliti anni di ritardo, anche le misure concrete per favorire il pieno rispetto e la piena applicazione di queste nuove leggi, per non farli restare solo su carta. Perché alla fine, in Italia, abbiamo anche dimostrato più volte di saper trasformare dei buoni propositi in leggi, quando c’è la volontà politica di farlo. Quello che ci riesce forse un po’ meno, anche di fronte alla piena volontà di legislatori e cittadini, è applicare e far rispettare le norme.