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( votes)Commento alla sentenza della Corte dei Conti, SS.UU., del 22 maggio 2019, n. 16 sulle società partecipate a controllo pubblico.
1. La sentenza della Corte dei Conti identifica il perimetro delle società partecipate a controllo pubblico
La Corte dei Conti, a Sezioni Unite, si è espressa il 22 maggio 2019 con la sentenza n. 16, sulla nozione di “Società partecipate a controllo pubblico”, così dirimendo una questione controversa, nascente dall’interpretazione del combinato disposto dell’art. 2, comma 1, lett. b) ed m), d.lgs. n. 175/2016 (c.d. “Testo Unico sulle Società Partecipate” – T.U.S.P.).
Tale norma, come noto, si occupa delle “definizioni” utilizzate dal T.U.S.P. e prevede: “Ai fini del presente decreto si intendono per: … b) “controllo”: la situazione descritta nell’articolo 2359 del codice civile. Il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo; … m) “società a controllo pubblico”: le società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b);”.
La nozione di “controllo”, dunque, secondo la norma citata deve essere mutuata dalla corrispondente definizione del Codice Civile, e – nello specifico – le “società partecipate a controllo pubblico” sono (forse tautologicamente) quelle in cui i soci pubblici esercitano tale forma civilistica di controllo; non viene precisato, dunque, come debba concretamente esplicitarsi tale funzione di controllo.
La questione sorta dall’interpretazione dell’art. 2, comma 1, lett. b) ed m) T.U.S.P., infatti, attiene proprio la definizione di “società partecipate a controllo pubblico”, che la giurisprudenza e la prassi del M.E.F. (in particolare, l’”Atto di Orientamento” del 15 febbraio 2018 – peraltro oggetto di impugnativa innanzi al TAR Lazio, non ancora definita -) ha via via ampliato, sino a riconoscere lo status di “società partecipate a controllo pubblico” laddove si verificava che “… diverse Pubbliche Amministrazioni esercitano tale controllo “congiuntamente e mediante comportamenti concludenti, pure a prescindere dall’esistenza di un coordinamento formalizzato””.
Alle medesime conclusioni perviene anche l’ANAC, con la Deliberazione n. 1134 del 20 novembre 2017.
La stessa sentenza in commento ricorda, poi, che il panorama giurisprudenziale inaugurato nel 2016, a decorrere dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 175/2016, ha più volte ampliato la nozione di “società partecipate a controllo pubblico” (soprattutto nel caso di “controllo congiunto” o “plurisoggettivo”, cioè fra più Amministrazioni), sino a riconoscere tale fattispecie anche nel caso di una “società in cui una o più – congiuntamente – amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo, estendendo, dunque, la nozione anche alla società a partecipazione pubblica frazionata, in cui nessuna amministrazione pubblica detiene la maggioranza del capitale sociale, pur in assenza di patto parasociale o di analogo strumento di costituzione di una maggioranza stabile.” (così, Corte dei Conti, Sez. Contr. Reg. Liguria, Del. 3/2018 dell’11 gennaio 2018) e focalizzando il criterio distintivo non tanto sul potere concreto di direzione, ma sull’entità della percentuale di quote “in mano pubblica”.
La sentenza in esame, alla quale ne sono seguite altre di pari orientamento, ha invece focalizzato gli elementi identificativi del “controllo pubblico”, rapportandoli ad attività concrete di direzione svolte dal soggetto pubblico partecipante: in altri termini, quindi, operando in controtendenza rispetto alla giurisprudenza delle Corti territoriali e del Ministero dell’Economia e Finanze (rectius, gli “atti di orientamento” emessi dalla “Struttura di Monitoraggio e Controllo delle partecipazioni pubbliche”, istituita presso il M.E.F. ex art. 15 d.lgs. n. 175/2016) – e circoscrivendo il perimetro delle società partecipate a controllo pubblico, sulla base del controllo effettivamente esercitato dal socio pubblico stesso -.
Il pensiero della Corte sul punto si può riassumere con uno dei passaggi nodali della motivazione della sentenza, laddove si afferma che “L’accertamento della sussistenza dello status di “società a controllo pubblico” non può essere desunto dai meri indici costituiti dalla maggioranza di azioni e di consiglieri nel C.d.A. ma richiede precipua attività istruttoria volta a verificare se, nel caso concreto, sussistano le condizioni richieste dall’art. 2, lett. b) del Tusp.”.
Il Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali del Ministero dell’Interno, con l’”Atto di indirizzo” del 12 luglio 2019 (di cui si dirà infra), ha ricordato le implicazioni della decisione in esame – che si riverberano su una moltitudine di soggetti direttamente coinvolti nella vita delle Amministrazioni pubbliche, basti pensare al caso delle Società c.d. “multi utility” ed alle società che gestiscono servizi pubblici -. Infatti, “non può peraltro ignorarsi la rilevanza del contrasto registrato sul punto, sia per l’autorevolezza degli orientamenti espressi (che fa rilevare divergenze tra le Sezioni riunite in sede giurisdizionale della Corte dei corti alle Sezioni riunite in sede di controllo, oltre a coinvolgere il Consiglio di Stato e la struttura ex art. 15 del Testo unico) sia per le potenziali implicazioni connesse alla soluzione che dovesse prevalere; considerazioni, queste, che evidenziano l’urgenza di rimuovere l’incertezza qualificatoria sul punto, e con essa il rischio di vedere, a seconda dei casi, ampliata o ridotta (in base alla prospettiva adottata dall’interprete e ai presupposti da cui si muove) la platea del comparto società a controllo pubblico, in netto contrasto con gli intendimenti del legislatore del Testo unico (mosso dalla dichiarata preoccupazione di assicurare la chiarezza delle regole e la semplificazione normativa).”.
2. Il caso di una “multi – utility”, esaminato dalla sentenza: gli elementi distintivi del “controllo pubblico”
La Corte dei Conti muove dal caso di una Società c.d. “multi-servizi” marchigiana che, secondo la Sezione regionale di controllo per le Marche è “da qualificarsi società a controllo pubblico in considerazione del possesso della maggioranza dei voti tanto in assemblea che in consiglio di amministrazione da parte di vari enti locali” e, pertanto, nell’ambito delle verifiche sull’attuazione dell’art. 11 d.lgs. n. 175/2016 svolte dalla medesima Corte territoriale, essa accertava che “il consiglio di amministrazione … era composto da nove membri, in violazione della disposizione sopra menzionata, che prevede di norma l’amministratore unico o, in via eccezionale e previa adozione di delibera motivata, un consiglio di amministrazione composto al massimo da 5 membri. Conseguentemente, la Sezione ritenendo che “trovano applicazione tutte le disposizioni del d.lgs. n. 175 del 2016, ivi incluse quelle che disciplinano la composizione dell’organo di amministrazione” segnalava “l’esigenza che la società provveda a dare attuazione a quanto previsto dall’art. 11 cit.”, accertando che “la società … ha omesso di dare attuazione alla disposizione di cui all’art. 11, c. 2 e 3, del d.lgs. 175/2016 relativi alla composizione dell’organo di amministrazione … e che sia l’interpretazione letterale che la ratio sottesa alla riforma nonché una interpretazione logico-sistematica delle disposizioni citate, inducono a ritenere che la Pubblica Amministrazione, quale ente che esercita il controllo, sia stata intesa dal legislatore del TUSP come soggetto unitario, a prescindere dal fatto che, nelle singole fattispecie, il controllo di cui all’art.2359, comma 1, numeri 1), 2) e 3) faccia capo ad una singola amministrazione o a più amministrazioni cumulativamente”; concludeva, infine, segnalando l’esigenza che le società partecipate dal comune … procedessero “senza ritardo all’adozione di nuove deliberazioni assembleari” in linea con quanto disposto dalla disciplina normativa richiamata, raccomandando all’Ente di procedere alle “necessarie verifiche di legalità preliminarmente all’adozione di ulteriori deliberazioni assembleari da parte dei propri organismi partecipati”.”.
La multi-servizi ha chiesto l’annullamento delle Deliberazioni della Corte marchigiana, sostenendo “la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 11 del decreto legislativo n. 175 del 2016, nella misura in cui la Sezione di controllo inserisce nel perimetro delle “società a controllo pubblico”, ai sensi del predetto art. 2, anche la … ritenendo sufficiente – al fine di condizionare l’andamento gestionale complessivo della Società – il semplice possesso da parte dei soci pubblici della maggioranza delle azioni e dei voti in Consiglio di amministrazione.”.
In particolare, la Società ricorrente “contesta la mancata valorizzazione, da parte della Sezione marchigiana, ai fini della valutazione dell’effettivo condizionamento dell’andamento gestionale, di un patto parasociale stipulato il 28 luglio del 2015 di durata quinquennale e, quindi, tuttora vigente, che rende essenziale il voto dei consiglieri nominati dal socio privato … per tutte le operazioni principali; a proprio favore cita, inoltre, quanto affermato, sul punto, dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) con delibera del 6 settembre 2007 … ovvero, che pur in presenza di partecipazioni pubbliche, poiché l’assetto statutario prevedeva la maggioranza qualificata di 6 consiglieri su 7 per l’approvazione del budget annuale preventivo e del piano industriale, oltre che per la designazione dei componenti degli organi sociali delle società controllate e/o partecipate, la Società sarebbe stata “soggetta al controllo congiunto di HERA e del Comune di Pesaro, in quanto in assenza del voto favorevole di almeno uno dei consiglieri nominati da tali soggetti, le predette decisioni del CdA non potrebbero essere adottate”.
Inoltre, la multi-servizi affermava di non ritenersi “Società in controllo pubblico”, poiché “la maggioranza relativa, pari al 46,2% del capitale sociale è detenuta proprio dal socio privato … a fronte del 25,3% posseduto dal Comune di Pesaro, dell’8,61% detenuto dalla Provincia … e di partecipazioni pulviscolari (tra lo 0,0003% e il 2,4%) detenute da diversi comuni (tra i quali quelli destinatari delle deliberazioni impugnate) e da due unioni montane.”.
In particolare, la tesi della multi-servizi si riassume nel passaggio in cui essa obietta che siffatta ripartizione del capitale sociale: “preclude, infatti, ogni modifica statutaria (comprensiva anche dello stesso mutamento del numero dei componenti del Consiglio di amministrazione) senza la partecipazione e il consenso del socio privato, che può, in questo modo, esercitare una posizione di blocco, ai sensi dell’art. 13 dell’attuale Statuto, il quale espressamente dispone che “l’Assemblea straordinaria sarà validamente costituita e validamente delibererà, in prima, seconda e terza convocazione con una presenza e con una maggioranza superiore all’85% del capitale sociale.”. Inoltre, sussiste “il diritto di veto dei consiglieri espressione del capitale privato per decisioni essenziali per il funzionamento della società”.
Secondo la Corte dei Conti, le su-esposte considerazioni sono assentibili e, pertanto, ha accolto il ricorso, rilevando che la Società in questione non può annoverarsi tra le “società partecipate a controllo pubblico”, soggette alle norme del d.lgs. n. 175/2016 previste per queste tipologie di Società.
Mentre la corte territoriale aveva ritenuto che “la frammentazione delle quote di partecipazione in capo ad una pluralità di amministrazioni non osti alla configurabilità del controllo pubblico, a tal fine richiamando l’atto di orientamento della Struttura di controllo e monitoraggio del MEF”, le Sezioni Unite in sede giurisdizionale hanno obiettato che “il richiamo alla nota di orientamento della struttura di controllo e monitoraggio non sia risolutivo, e che l’accertamento della sussistenza dello status di “società a controllo pubblico” … richieda precipua attività istruttoria volta a verificare se, nel caso concreto, sussistano le condizioni richieste dall’art. 2, lett. b) del TUSP” ; e “ai fini del decidere se “(…) S.p.a.” possa definirsi o meno società a controllo pubblico ovvero semplicemente società a partecipazione pubblica, assume rilievo decisivo lo scrutinio delle disposizioni statutarie e dei patti parasociali per verificare in che termini le pubbliche amministrazioni (enti locali) che detengono partecipazioni azionarie sono in grado di influire sulle “decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale.”.
Più precisamente, le Sezioni Unite hanno osservato che il T.U.S.P. circoscrive “in modo più rigoroso la nozione di “controllo pubblico” … pertanto va rivisto l’orientamento giurisprudenziale formatosi antecedentemente in relazione alla nozione pubblicistica di “controllo congiunto” (Cfr. Cons. Stato, sez. I, parere 4 giugno 2014, n.1801) elaborata sulla scorta delle Direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE del 26 febbraio 2014 rispettivamente sugli appalti pubblici e sulle procedure di appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali.”.
In particolare, la nozione di “controllo” sostenuta dalle Sezioni Unite, alla luce della lettura dell’art. 2, comma 1, lett. m) d.lgs. n. 175/2016 è distinta da quella meramente civilistica richiamata dalla medesima norma alla precedente lett. b) e deve intendersi nel senso che si afferma che il controllo “per la definizione di “società partecipate a controllo pubblico” … la situazione di controllo pubblico non può essere presunta in presenza di “comportamenti univoci o concludenti” ma deve risultare esclusivamente da norme di legge, statutarie a da patti parasociali che, richiedendo il consenso unanime di tutte le pubbliche amministrazioni partecipanti, siano in grado di incidere sulle decisioni finanziarie e strategiche della società.”.
In altre parole, secondo il Testo Unico sulle Società Partecipate “con riferimento specifico alla nozione di società partecipata a controllo pubblico il TUSP, oltre a richiamare la nozione di controllo prevista all’art. 2359 del codice civile, aggiunge un’ulteriore ipotesi di controllo nella seconda parte della lettera b) del comma 1 dell’art. 2 che stabilisce che “Il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo.”; il “controllo pubblico”, quindi, non si verifica “per fatti concludenti”, né attraverso la mera “maggioranza azionaria”, ma solo in presenza di “norme di legge, statutarie o patti parasociali.”
E, in tal senso, l’orientamento espresso dalla prassi e dalla giurisprudenza, divergendo da tale piana disposizione normativa (e poiché in claris non fit interpretatio), va “oltre il dettato normativo, ponendosi, anzi, in contrasto con la volontà del legislatore che ha espressamente e precisamente circoscritto la nozione di società partecipate a controllo pubblico… “.
La nozione di “controllo congiunto” – cui nel caso di specie non corrispondeva alcun effettivo potere direzionale e, addirittura, si concretizzava in partecipazioni “pulviscolari” – è una creazione meramente giurisprudenziale che – come notano le Sezioni Unite – ha la sola finalità di consentire affidamenti in house, ma non incide sulla qualificazione del soggetto; ciò nonostante, la Corte territoriale marchigiana ha enfatizzato tale definizione ritenendola “qualificante” e, di conseguenza, andando contro le espresse indicazioni del legislatore.
In proposito, si ricorda che “laddove il legislatore avesse voluto intendere analoga modalità di azione fra pubbliche amministrazioni avrebbe usato identica terminologia. Peraltro, sotto il profilo normativo, nessuna disposizione prevede espressamente che gli enti detentori di partecipazioni debbano provvedere alla gestione delle partecipazioni in modo associato e congiunto: l’interesse pubblico che le stesse sono tenute a perseguire, infatti, non è necessariamente compromesso dall’adozione di differenti scelte gestionali o strategiche che ben possono far capo a ciascun socio pubblico in relazione agli interessi locali di cui sono esponenziali.”.
3. L’”Atto di indirizzo” del Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali del Ministero dell’Interno del 12 luglio 2019
La tendenza interpretativa della Corte dei Conti, di cui alla sentenza in commento, è stata immediatamente recepita dal Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali del Ministero dell’Interno che – cogliendone la evidente portata innovativa – il 12 luglio 2019 ha emesso “Atto di indirizzo” ex art. 154, comma 2 d.lgs. n. 167/2000 del 12 luglio 2019, con il quale ha delineato la “definizione di società partecipate a controllo pubblico ai sensi e per gli effetti di cui al Testo Unico in materia di Società a partecipazione pubblica”.
Tale atto (pubblicato sul sito istituzionale alla URL: https://dait.interno.gov.it/finanza-locale/documentazione), muove proprio dalla necessità di offrire un univoco sistema di identificazione delle “società partecipate a controllo pubblico”, muovendo dal contrasto giurisprudenziale formatosi in materia – reso emblematicamente dal raffronto fra la Delibera della Corte dei Conti, SS.UU. in sede di controllo n. 11/SSRRCCO/QMIG/19 e dalla sentenza della Corte dei Conti, SS.UU. in sede di controllo n. 11/SSRRCCO/QMIG/19 e dalla sentenza della Corte dei Conti, SS.UU. in sede giurisdizionale n. 16/2019/L oggetto del presente approfondimento -.
Ricorda, preliminarmente, il Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali la definizione normativa di “società partecipate a controllo pubblico” plurisoggettivo contenuta nel T.U.S.P. e che: “In forza delle predette disposizioni si viene ad attribuire rilevanza al c.d. “controllo congiunto” o “controllo plurisoggettivo”, vale a dire quello esercitato (sulla medesima società) da più amministrazioni (nessuna delle quali in condizione di esercitarlo in forma individuale e autonoma), con correlativa imputazione della qualifica di controllante a ciascuna di esse.”.
Nell’attuale quadro interpretativo però, alla tesi “estensiva” (ut supra citata), fatta propria anche dalla Struttura di monitoraggio e controllo delle partecipazioni pubbliche istituita presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, si contrappone quella del Consiglio di Stato, Sez. V, 23 gennaio 2019, n. 578 “che, in relazione a fattispecie avente a oggetto una società a capitale pubblico superiore al 90%, costituito però da partecipazioni pubbliche varianti da un minimo dello 0,05% a un massimo del 2,74% del capitale sociale, ha ritenuto che, pur in presenza di un coordinamento non istituzionalizzato, le partecipazioni in questione non fossero in grado di consentire ai singoli soggetti pubblici partecipanti di incidere sulle decisioni strategiche della società; considerando quindi necessario, al fine di integrare i presupposti per il possesso della partecipazione ai sensi dell’art. 4 del Testo unico (e, quindi, ancor prima che ai fini della configurabilità del controllo), la stipulazione di adeguati patti parasociali ovvero la previsione, negli atti costitutivi della società, di un organo speciale deputato a esprimere la volontà dei soci pubblici.”.
Inoltre, nell’atto di indirizzo si ricorda che “analogo contrasto si registra in seno alla giurisprudenza contabile. Secondo le Sezioni riunite in sede di controllo (del. 11/SSRRCCO/QMIG/19) il Testo unico contemplerebbe distinte fattispecie di “società a controllo pubblico”: quelle fondate sull’art. 2359 c.c., … ; quelle in cui una o più amministrazioni pubbliche, al di fuori delle ipotesi disegnate dall’art. 2359 c.c. (come segnalerebbe la congiunzione “anche”, palesante la natura integrativa rispetto a quella precedente, incardinata sull’art. 2359 c.c.), esercitano un’influenza dominante sulla società perché – in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali – ne indirizzano le decisioni finanziarie e gestionali strategiche, essendone richiesto necessariamente il consenso. Di diverso avviso le Sezioni riunite in sede giurisdizionale (sent. 16/2019/L), secondo le quali l’art. 2, comma 1, lett. m) del Testo unico contemplerebbe due nozioni di “controllo pubblico”: la situazione descritta dall’art. 2359 c.c., … ; la situazione in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano il controllo ai sensi della lett. b), ovvero allorché in virtù di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, le decisioni strategiche per la vita sociale richiedono il consenso unanime delle amministrazioni pubbliche che esercitano il controllo.”.
Quindi, la portata innovativa della sentenza in esame consiste proprio nell’aver precisato che “le disposizioni di cui all’art. 2359 c.c. non sono di per sé decisive al fine di valutare il controllo societario da parte di una pluralità di amministrazioni pubbliche, poiché la norma civilistica “in modo chiaro e univoco individua fattispecie tipiche di controllo operato da una società nei confronti di un’altra società”; la situazione di controllo da parte di amministrazioni pubbliche non può essere presunta in presenza di comportamenti univoci e concludenti ma deve risultare esclusivamente da norme di legge, statutarie o da patti parasociali che, richiedendo il consenso unanime di tutte le pubbliche amministrazioni partecipanti, siano in grado di incidere sulle decisioni finanziarie e strategiche della società; tanto più che … sotto il profilo normativo, nessuna disposizione prevede espressamente che gli enti detentori di partecipazioni debbano provvedere alla gestione delle partecipazioni in modo associato e congiunto: l’interesse pubblico che le stesse sono tenute a perseguire, infatti, non è necessariamente compromesso dall’adozione di differenti scelte gestionali o strategiche che ben possono far capo a ciascun socio pubblico in relazione agli interessi locali di cui sono esponenziali”.
A questo punto, l’”Atto di indirizzo” opera un tentativo di armonizzazione delle diverse interpretazioni, in particolare verificando le concrete modalità in cui è possibile rintracciare una definizione di “controllo pubblico plurisoggettivo”, affermando che “Affinché la congiunta dominazione possa dirsi tale occorre però un procedimento di unificazione delle volontà facenti capo alle diverse componenti che a tale dominazione concorrono (e che individualmente non sono in grado di realizzare): più amministrazioni devono coordinarsi in modo stabile a realizzare l’instaurazione e l’esercizio di detta situazione attraverso – come specifica la seconda parte della lett. b) – “norme di legge o statutarie o di patti parasociali”, in assenza delle quali – evidentemente – non sarebbe riscontrabile alcuna stabilità. In tal senso depone anzitutto un argomento logico, dal momento che semplici “comportamenti concludenti” o “maggioranze occasionali” (ancorché ripetute) non valgono a garantire la formazione stabile di soluzioni unanimi e, quindi, a qualificare in modo giuridicamente significativo la società…”.
In prima analisi, quindi, l’”Atto di indirizzo” cerca di individuare gli elementi distintivi del “controllo”, spezzando quella sorta di sinonimo con il concetto di “maggioranza azionaria”.
Infatti, “diversamente opinando, si perviene inevitabilmente a far coincidere il concetto di società a controllo pubblico con quello – diverso – di società a prevalente capitale pubblico (fondato sulla natura, pubblica, della maggioranza del capitale); assimilazione che, allo stato, risulta incompatibile con il valore semantico dei vocaboli utilizzati dal legislatore del Testo unico, il quale – tra tutta la gamma di locuzioni offerte dalla variegata legislazione previgente in materia – ha chiaramente ancorato il discrimine qualificatorio sul concetto di controllo che, alla luce dell’art. 2, comma 1, lett. b) – tanto nella parte in cui rinvia all’art. 2359 c.c. quanto in quella in cui esige la ricorrenza di un coordinamento formalizzato – non coincide con la titolarità congiunta della interezza o anche solo della maggioranza del capitale di per sé sola considerata.
La locuzione “anche quando”, presente all’art. 2, comma 1, lett. b), seconda parte del Testo unico, insomma, non pare poter essere interpretata in negativo, a escludere l’esigenza di un coordinamento formale ai fini del controllo congiunto ex art. 2359 c.c. (controllo congiunto che l’art. 2359 c.c. di per sé non contempla), bensì in chiave additiva, ad affermare che il controllo pubblico è configurabile anche al di là dell’art. 2359 c.c., e, dunque, anche con struttura congiunta (e non solo individuale), purché la volontà della parte pubblica del capitale (incarnata dalle diverse amministrazioni socie) risulti ricondotta a unanimità mediante il coordinamento assicurato da norme di legge, o di statuto o di patti parasociali.”.
Anche sotto il profilo interpretativo letterale, quindi, nel caso di controllo pubblico plurisoggettivo “il combinato disposto di cui all’art. 2, comma 1, lett. b) e m) del Testo unico permette di ricondurre una società nel perimetro delle “società a controllo pubblico” allorché: … più amministrazioni pubbliche, in virtù di un coordinamento formalizzato in forza di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, dispongono congiuntamente della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria della società, ovvero dispongono di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria della società, ovvero esercitano un’influenza dominante sulla società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa; ovvero anche quando per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale sia richiesto anche il consenso unanime di tali amministrazioni pubbliche in virtù di norme di legge o statutarie o di patti parasociali (laddove per consenso unanime si intende l’espressione di una volontà collettiva unitaria, vincolante anche per le amministrazioni che abbiano espresso un dissenso minoritario); sempreché non sussista l’influenza dominante del socio privato, anche unitamente ad alcune o tutte le amministrazioni socie.”.
Il Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali del Ministero dell’Interno, quindi, conclude con un appello per “sollecitare un intervento legislativo in grado di rimuovere l’incertezza interpretativa connessa alla nozione di “società a controllo pubblico” come risultante dall’attuale formulazione dell’art. 2, comma 1, lett. b) e m) del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, chiarendo se rientrino nella predetta nozione anche le società aventi totale o prevalente capitale pubblico frazionato tra una pluralità di amministrazioni nessuna delle quali in grado di esercitare un controllo individuale, ancorché tra le medesime non sussista un vincolo legale, statutario, parasociale o contrattuale e/o comunque un coordinamento formalizzato nel senso chiarito dall’art. 2, co. 1, lett. b), seconda parte del Testo unico.”.
Tale appello, allo stato, è senz’altro condivisibile, proprio in considerazione della portata innovativa della sentenza in commento.
In conclusione, se la sentenza in esame definisce effettivamente il perimetro delle “società partecipate a controllo pubblico” – in maniera restrittiva – queste ultime si distinguono proprio per le disposizioni statutarie (o inserite ni patti parasociali) dalle quali si evince che “la mano pubblica” ha un concreto potere di controllo e determinazione in cui “le pubbliche amministrazioni socie sono in grado di influire sulle “decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale” essendosi espressamente previsto che sia necessario il loro consenso unanime, come previsto dal secondo periodo della lettera b) dell’art. 2 comma 1 del TUSP.”.
Nell’attesa della verifica da parte del legislatore, le società sinora operanti nella convinzione di essere “soggetti a controllo pubblico” (in particolare quelle a controllo pubblico plurisoggettivo), dovranno probabilmente accentuare la motivazione delle scelte operative interne, operando riferimenti più preganti agli interessi dei Soci pubblici e coinvolgendo questi ultimi nei processi deliberativi, incoraggiando le iniziative che siano di effettivo interesse pubblico di cui gli stessi sono esponenti.