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Le aziende innovative hanno più probabilità di vincere la concorrenza, di avere un futuro.

Gli imprenditori che scommettono sull’innovazione guardano al futuro come qualcosa che sta già accadendo, si sporgono in avanti, non aspettano. Vogliono essere protagonisti della trasformazione.

L’industria 4.0 è un’industria digitalizzata. Ogni fase del proprio funzionamento è digitale. Risultato: aumenta l’efficienza produttiva e gestionale. Anche le Pubbliche Amministrazioni dovrebbero far parte di questo processo evolutivo del lavoro. Lo stato dell’arte è stato oggetto di studio della Commissione parlamentare d’inchiesta sul livello di digitalizzazione della PA che a fine ottobre, dopo un anno di attività, ha presentato i dati della propria indagine.

Emerge che le istituzioni pubbliche sono poco digitali. Dall’avvento di internet (1991) ad oggi è stato fatto poco per informatizzare le Amministrazioni. “25 anni di occasioni sprecate con una visione del digitale antiquata”, commenta il Presidente della Commissione Paolo Coppola.

Il settore degli appalti pubblici sarebbe tra quelli che maggiormente risente di questo ritardo. L’85% delle gare d’appalto per l’acquisto software, servizi telefonici, piattaforme di trasmissione dati, manutenzione, viene assegnata all’unico partecipante che risponde al bando. Come ricorda Fabio Tonacci su Repubblica.it, citando la Commissione d’inchiesta, “si utilizzano per lo più metodi di aggiudicazione che non prevedono concorrenza, come la procedura negoziata senza pubblicazione (29%), l’affidamento diretto (20%), la procedura negoziata senza gara (13%)”. Non essendoci concorrenza, non ci sono ribassi d’asta, e le Pubbliche Amministrazioni spendono di più.

Il secondo problema che deriva dalla scarsa digitalizzazione riguarda i tempi di aggiudicazione dell’appalto. In media, tra pubblicazione del bando e aggiudicazione, dovrebbero trascorrere 63 giorni. Sono diffusi in tutta Italia realtà nelle quali questi tempi dilagano fino al caso estremo dei 722 giorni registrato nel Comune di Fiesole.

Uno scenario che, secondo la Commissione, è reso possibile dalla diffusa assenza di competenze digitali nel personale delle Pubbliche Amministrazioni. Ad ogni livello. Per Coppola “è desolante la completa mancanza di competenze specifiche dei dirigenti in materia di informatica”. Il Parlamento prevedeva di introdurre tali competenze sin dal 1993.

La digitalizzazione del lavoro ci rende più efficaci, più veloci e precisi, apre nuove opportunità, ci dà la possibilità di esprimere le nostre competenze in ambiti più vasti. “Si calcola che nel 2020 il 90% degli impieghi richiederà competenze digitali” afferma la Commissaria UE per l’Economia e la Società Digitale Mariya Gabriel intervistata su Il Sole 24 Ore da Beda Romano. La previsione è allarmante perché aldilà dei pionieri dell’industria 4.0, la realtà è quella di un paese con scarse capacità informatiche. Secondo i dati a disposizione di Gabriel solo il 44% della popolazione italiana ha competenze digitali.

Tali dati dimostrano che la scarsa digitalizzazione non è un problema circoscritto alle Pubbliche Amministrazioni. Riguarda anche il privato. Oggi potremmo dotarci delle tecnologie più sofisticate, sono sempre più a basso costo e si può accedere a finanziamenti e incentivi. Ma investire negli strumenti non è sufficiente. E’ nelle persone che devono fare funzionare questi strumenti che si deve investire con la formazione tecnica e con percorsi di motivazione al cambiamento. Con la diffusione di una cultura dell’innovazione per superare la diffidenza nei confronti del digitale; la paura che possa portare via il lavoro umano. In realtà la tecnologia sta cambiando il lavoro. Non lo sta estinguendo. Si deve familiarizzare con l’innovazione. E’ un’opportunità non una condanna alla disoccupazione. Da condannare è invece un ulteriore perdita di tempo. 25 anni di ritardo sono già troppi. 

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Dott. Enzo de Gennaro
Direttore Responsabile
mediagraphic assistenza tecnico legale e soluzioni per l'innovazione p.a.