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1. Premessa

Recesso e revoca nell’ambito della procedura ad evidenza pubblica, che trova fisiologica conclusione con l’aggiudicazione di un appalto, si collocano in un differente ambito temporale.   

Come noto, l’istituto della revoca è espressione dell’esercizio dell’autotutela da parte della P.A. inteso, secondo la nota definizione di Benvenuti, quale manifestazione del potere di imperium da parte della medesima di poter farsi ragione da sé, senza il necessario intervento del giudice. Attualmente la connotazione dell’istituto è notevolmente mutata, sia per la presenza di una regolamentazione all’interno della legge sul procedimento amministrativo, che per le particolari cautele che l’amministrazione deve adottare in conformità ai presupposti prescritti dalla legge. La revoca incide sui provvedimenti amministrativi, mentre il recesso incide sul rapporto negoziale. Nel presente contributo si cercherà di illustrare le differenze tra i due istituti partendo da un breve raffronto tra disciplina pubblicistica e privatistica.

2. Ambito e presupposti del diritto di recesso

L’affidamento di un appalto pubblico si snoda essenzialmente attraverso due fasi. La prima é la scelta del contraente che  si caratterizza per l’esercizio di poteri pubblici e si conclude con l’aggiudicazione definitiva, cui segue la stipula del contratto. Da questo momento inizia una seconda fase, tendenzialmente privatistica, ovvero quella relativa all’esecuzione del contratto. Occorre, infatti, evidenziare che anche in questo momento l’azione della P.A. è pur sempre preordinata al perseguimento dell’interesse pubblico. Il riferimento al carattere tendenziale della posizione di parità deve essere inteso nel senso che la parità negoziale può venire derogata anche sulla base di specifiche norme dettate dal legislatore ordinario a tutela del pubblico interesse ([1]).

Il recesso connota la seconda fase richiamata e richiede preliminarmente un breve richiamo dell’istituto civilistico, al fine di comprenderne meglio la portata applicativa. Appare,  infatti, opportuno, al fine di cogliere le differenze tra la disciplina privatistica e quella pubblicistica, una breve disamina delle disposizioni del codice civile in materia di recesso, 1373 c.c, per poi analizzare la disciplina speciale ([2]) di cui all’art. 1671 ([3]) cc.

Verrà infine analizzato l’istituto del recesso nel diritto amministrativo con particolare riferimento all’art. 21 sexies della L. 241/90 all’art. 134 del d.lgs. 163/06 evidenziando altesì le differenze rispetto alla revoca.

Circa i rapporti tra la disciplina civilistica e pubblicistica il IV comma dell’art. 2 del d.lgs. 163/06, nel disciplinare i principi applicabili agli appalti pubblici, sancisce che: “Per quanto non espressamente previsto nel presente codice, l’attività contrattuale dei soggetti di cui all’articolo 1 si svolge nel rispetto, altresì, delle disposizioni stabilite dal codice civile”.

Il codice civile dopo aver sancito che il contratto ha forza di legge tra le parti afferma che lo stesso non può essere sciolto che per mutuo consenso e negli altri casi previsti dalla legge. Il vincolo contrattuale, come noto, ha carattere bilaterale ed il recesso unilaterale, pur potendo apparire un’eccezione, è in realtà uno strumento normale e fisiologico di sistemazione degli interessi contrattuali ([4]). Il recesso è un negozio giuridico unilaterale con il quale la parte manifesta la volontà di liberarsi dal vincolo contrattuale. Lo stesso è consentito nei contratti ad esecuzione immediata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione; mentre per quelli ad esecuzione continuata o periodica il recesso non ha efficacia per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione ([5]).

Nell’ambito del diritto civile lo stesso è riconducibile essenzialmente a tre tipologie, recesso per liberazione in caso di contratti a tempo indeterminato o con vincoli temporali particolarmente estesi, al pentimento quando lo stesso contratto, magari in fase esecutiva, non si presenta più conveniente ovvero il caso di recesso per comportamenti contrari alla buona fede da parte dell’altro contraente che ad esempio si rifiuti di adempiere.

Il recesso che qui interessa, in materia di appalti pubblici, è riconducibile al c.d. recesso pentimento che autorevole dottrina ([6]) descrive con riferimento alla necessità che la parte, qualora vi siano sopravvenuti mutamenti, possa sciogliersi dal vincolo contrattuale.

L’art. 1373 ([7]), I comma c.c., disciplina il c.d. recesso convenzionale e prevede la corresponsione di un corrispettivo per lo ius poenitendi. Diversamente l’art. 1671 c.c. costituisce un’ipotesi di recesso legale e  ne presuppone l’esercizio, in qualunque momento, anche posteriore alla conclusione del contratto d’appalto. Si tratta di un diritto potestativo, con efficacia ex nunc, dovendo comunque il committente tenere indenne l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno. Il committente  ha, infatti, un obbligo indennitario ([8]) nei confronti dell’appaltatore ed è ammissibile anche nell’ipotesi di contratti ad esecuzione istantanea o non di durata ([9]). La ratio di tale disposizione più che nell’intuitus personae va ricercata nell’esigenza di tutelare l’interesse del committente che vuole impedire la realizzazione o l’ultimazione dell’opera per qualsiasi ragione. Come si evince dalla lettura dell’art. 1674 c.c. la persona dell’appaltatore rileva in via eccezionale qualora sia stata determinante, (presupposto in assenza del quale il contratto prosegue anche in caso di morte dell’appaltatore va ricercata in ragioni di carattere oggettivo).

Sul versante pubblicistico occorre richiamare quanto previsto dall’art. 21 sexies della  L. 241/90 e la disciplina speciale in materia di contratti, art. 134 del d.lgs. 163/06.

3. Le differenze rispetto al potere di revoca

Al fine di comprendere il discrimen tra revoca e recesso appare opportuno ricordare brevemente le diverse categorie di contratti di cui può essere parte la P.A.:

  1. i contratti di diritto comune ovvero gli ordinari contratti che le pubbliche amministrazioni possono concludere quali vendite, locazioni, contratti di somministrazione, nell’espletamento dell’autonomia privata, ex art. 1322 c.c. In questo caso la disciplina applicabile è quella privatistica del recesso;
  2. i contratti ad oggetto pubblico, detti anche di diritto pubblico, che si collegano ad un provvedimento amministrativo distinguendosi, a seconda della tipologia di legame, in contratti accessivi, ausiliari o sostitutivi di provvedimenti. I primi accedono a provvedimenti che costituiscono già di per sé una fonte di obbligazione per il privato, essendo riservata alla convenzione solo la disciplina di dettaglio; basti pensare alle convenzioni che accedono a concessioni di beni pubblici c.d. concessioni contratto. I contratti ausiliari si inseriscono invece all’interno del procedimento e sono utilizzati per disciplinare aspetti patrimoniali, mentre i contratti sostitutivi sostituiscono il  provvedimento;
  3. i contratti speciali che si caratterizzano per essere dei contratti di diritto privato regolati da alcune norme speciali pubblicistiche quale il contratto di appalto di opere pubbliche o di servizi e forniture.

La disciplina applicabile, recesso o revoca, muta seconda della tipologia di contratto.

La problematica che ha interessato la giurisprudenza e sulla quale si è recentemente pronunziata anche l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ([10]) attiene all’ammissibilità del potere di revoca successivamente alla stipula del contratto.

La risoluzione della questione è differente a seconda della tipologia di contratto. Premesso che il potere di revoca ha carattere generale ([11]) e che per contro il recesso è ammesso nei limiti di cui all’art. 21 sexies della L. 241/90 ovvero nei casi stabiliti dalla legge o dal contratto, l’istituto della revoca ben si attaglia all’ipotesi di cui alla lettera b) ovvero per i contratti di diritto pubblico. La revoca si colloca nell’ambito dell’azione amministrativa di tipo pubblicistico ed è quindi ammissibile anche dopo la stipula del contratto quando il negozio è collegato al provvedimento di cui determina il contenuto e ne regola i rapporti. In questo caso la P.A. conserva la sua autoritatività e non si pone su un piano di parità con il privato. Rientrano in quest’ipotesi anche gli accordi di cui all’art. 11 della L. 241/90 considerato che il poter di recesso ivi ([12]) previsto è in sostanza una revoca, trattandosi di moduli consensuali sostitutivi/integrativi del potere pubblicistico.

Nell’ipotesi di cui alla lettera a), ovvero per i contratti di diritto privato in cui la P.A. si trova in una posizione di parità, trova applicazione la disciplina di cui all’art. 21 sexies ([13]) L 241/90 secondo cui: “Il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto”.([14]) Questo in coerenza con il comma 1bis dell’art. 1 della stessa legge secondo cui: “La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente”. La norma de qua è ritenuta da alcuni superflua e inutiliter scripta, mentre secondo più attenta dottrina la norma avrebbe la funzione di escludere l’esistenza di un generale potere di recesso operando una traslazione dell’istituto civilistico ed individuando chiaramente le fonti che lo legittimano quando parte è una P.A.

Con riferimento ai contratti di cui alla lettera c) ed in particolare ai contratti aventi ad oggetto lavori pubblici trova applicazione la disposizione di cui all’art. 134 ([15]) del d.lgs. 163/06 che è destinata a prevalere, ai sensi dell’art. 2, comma 2 del d.lgs. 163/06 richiamato. Tale disposizione disciplina l’esercizio del diritto di recesso in materia di opere pubbliche, con delle peculiarità rispetto all’art. 1671 c.c., prevedendo un preavviso all’appaltatore non inferiore a venti giorni e per quanto attiene agi oneri una forfetizzazione del lucro cessante pari al dieci per cento del valore delle opere non eseguite oltre al pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere. Nell’ambito civilistico l’art. 1671 c.c. prevede l’obbligo di tenere indenne l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno che è invece dovuto per intero. Come affermato dalla giurisprudenza amministrativa una volta stipulato il contratto la posizione, tendenzialmente, paritetica porta all’applicazione della disciplina del recesso in luogo di quella della revoca pur basandosi su presupposti comuni ovvero la rinnovata valutazione dell’interesse pubblico ed effetti analoghi sul piano giuridico, la cessazione ex nunc del rapporto negoziale.

Sotto il profilo delle posizioni giuridiche soggettive diverse sono le posizioni vantate dal privato, interesse legittimo nei confronti della revoca e diritto soggettivo, in caso di recesso contrattuale.

Il recesso, tuttavia, si differenzia per la diversa natura considerato che il divieto di revoca in fase esecutiva si giustifica in ragione dell’affidamento del privato negli impegni contrattuali. Questi ultimi comportano che la P.A., qualora torni sui suoi passi, non possa limitarsi ad un mero indennizzo ex art. 21 quinquies della L. 241/90, ma debba corrispondere la maggior somma di cui all’art. 134 del d.lgs. 163/06.

Il maggiore onere economico potrebbe essere controbilanciato dall’amministrazione non assicurando un contradditorio procedimentale, né esternando compiutamente le ragioni della scelta.

4. Conclusioni

Concludendo occorre quindi ricordare che:

  1. L’annullamento in autotutela, a differenza della revoca, presuppone l’illegittimità dell’atto, non prevede in via generale il riconoscimento di indennizzo e ha efficacia ex tunc;
  2. La revoca è un potere di carattere generale cui la P.A. può far ricorso in caso di contratti ad oggetto pubblico, per ragioni di merito e ha efficacia ex nunc;
  3. Il recesso presuppone una posizione di tendenziale parità delle parti ed è ammesso qualora previsto dalla legge o dal contratto.

[1] Per un cfr. si rinvia a Salvatore Alberto Romano, Procedura ad evidenza pubblica e contratto, in Giurisprudenza italiana, novembre 2014.

[2] Art. 134 d.lgs. 163/06. Recesso (art. 122, decreto del Presidente della Repubblica n. 554/1999; art. 345, legge n. 2248/1865, all. F) (519) La stazione appaltante ha il diritto di recedere in qualunque tempo dal contratto previo il pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell’importo delle opere non eseguite.  Il decimo dell’importo delle opere non eseguite è calcolato sulla differenza tra l’importo dei quattro quinti del prezzo posto a base di gara, depurato del ribasso d’asta, e l’ammontare netto dei lavori eseguiti.  L’esercizio del diritto di recesso è preceduto da formale comunicazione all’appaltatore da darsi con un preavviso non inferiore a venti giorni, decorsi i quali la stazione appaltante prende in consegna i lavori ed effettua il collaudo definitivo.  I materiali il cui valore è riconosciuto dalla stazione appaltante a norma del comma 1 sono soltanto quelli già accettati dal direttore dei lavori prima della comunicazione del preavviso di cui al comma 3.  La stazione appaltante può trattenere le opere provvisionali e gli impianti che non siano in tutto o in parte asportabili ove li ritenga ancora utilizzabili. In tal caso essa corrisponde all’appaltatore, per il valore delle opere e degli impianti non ammortizzato nel corso dei lavori eseguiti, un compenso da determinare nella minor somma fra il costo di costruzione e il valore delle opere e degli impianti al momento dello scioglimento del contratto. L’appaltatore deve rimuovere dai magazzini e dai cantieri i materiali non accettati dal direttore dei lavori e deve mettere i predetti magazzini e cantieri a disposizione della stazione appaltante nel termine stabilito; in caso contrario lo sgombero è effettuato d’ufficio e a sue spese.

[3] Art. 1671 Il committente può recedere dal contratto, anche se è stata iniziata l’esecuzione dell’opera o la prestazione del servizio, purché tenga indenne l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno.

[4] Roppo, Il contratto, pag 541

[5] Con riferimento a questa distinzione nell’ambito degli appalti pubblici può essere fatto il parallelo con i contratti di forniture c.d. secche (ad esecuzione immediata) ed i contratti di lavori, di servizi e di forniture frazionate nel tempo (ad esecuzione periodica).

[6] Roppo, Il contratto

[7] 1373 c.c Se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione.

[8] Perdine subite dall’appaltatore, per le spese sostenute ed i lavori eseguiti, e il mancato guadagno.

[9] La Cassazione rileva la differenza tra i due istituti: “La domanda dell’appaltatore volta a conseguire dal committente il corrispettivo previsto per l’esercizio della facoltà di recesso pattuita in suo favore ai sensi dell’art. 1373 c. c. e la domanda dello stesso appaltatore di essere tenuto indenne dal committente avvalsosi del diritto di recesso riconosciutogli dall’art. 1671 c. c. sono sostanzialmente diverse: la prima presuppone l’esistenza di un patto espresso che attribuisca al committente la facoltà di recedere dal contratto prima che questo abbia avuto un principio di esecuzione, nonché l’avvenuto esercizio del recesso entro tale limite temporale, ed ha per oggetto la prestazione, in corrispettivo dello ius poenitendi, di una somma (multa poenitentialis) integrante un debito di valuta e non di valore; la seconda, invece, presuppone l’esercizio, in un qualsiasi momento posteriore alla conclusione del contratto e quindi anche ad iniziata esecuzione del medesimo, di una facoltà di recesso che al committente è attribuita direttamente dalla legge ed ha per oggetto un obbligo indennitario (delle perdite subite dall’appaltatore – per le spese sostenute ed i lavori eseguiti – e del mancato guadagno) cui sono applicabili gli stessi principi in tema di risarcimento del danno da inadempimento e, in particolare, sia quello della possibilità di una liquidazione equitativa sia quello della necessità di tener conto, anche d’ufficio, della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla data della liquidazione”. Cass. civ. Sez. II, 29/04/1991, n. 4750

[10] Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria , sentenza 20 giugno 2014 n. 14

[11] Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, sentenza n. 49 del 21.01.2015: “Le condizioni per la revoca pubblicistica, invece, sono di carattere generale sia perché, a tacer d’altro, si applicano anche a provvedimenti amministrativi che non incidono su rapporti contrattuali sia perché prendono in considerazioni ipotesi del tutto generali (sopravvenuti motivi di pubblico interesse, mutamento della situazione di fatto, rivalutazione dell’interesse pubblico originario”).

[12] Art. 11, comma IV L. 241/90: “Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse l’amministrazione recede unilateralmente dall’accordo, salvo l’obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato”.

[13] L 241/90 Art. 21-sexies  Recesso dai contratti (135)

1.  Il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto

[14]L’art. 21 sexies della L. 241/90 rubricato Recesso dai contratti, introdotto con il capo IV  bis Efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo. revoca e recesso, dall’art. 14, comma 1, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

[15] Una norma analoga era già contenuta nella L 20/03/1865 n. 2248 345.  [È facoltativo all’Amministrazione di risolvere in qualunque tempo il contratto, mediante il pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell’importare delle opere non eseguite]

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Questo articolo è stato scritto da...

Dott.ssa Michela Deiana
Esperta in appalti pubblici
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