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1) Procedure dirette alla conclusione di contratti ed appalti pubblici con le nuove norme dal sistema cartaceo a quello informatico

Il giorno 1 del mese di gennaio del corrente anno le procedure per la conclusione di appalti e i contratti pubblici regolamentate all’interno del decreto legislativo 31 marzo 2023 n. 36 sono state oggetto di una radicale riforma. Da tale data hanno acquistato efficacia una serie di norme dirette ad assicurare una più ampia digitalizzazione ed una maggiore applicazione degli strumenti informatici nelle procedure di contrattazione.

Le modifiche sono destinate ad assolvere, nel disegno del legislatore, la funzione di consentire un più rapido svolgimento delle procedure assicurando al contempo una maggiore tutela dei soggetti coinvolti.

Alla digitalizzazione delle procedure dirette alla conclusione dei contratti pubblici, a riprova dell’importanza assunta nel disegno legislativo di tale aspetto della riforma, è dedicata nel Codice dei contratti pubblici la Parte Seconda intitolata “Della digitalizzazione del ciclo di vita dei contratti pubblici”.

Il procedimento di innovazione e digitalizzazione viene assicurata attraverso due modalità distinte. Una prima costituita dall’applicazione delle disposizioni contenute nel Codice dell’amministrazione digitale di cui al decreto legislativo 7 marzo 1982 n. 82 integrato con il decreto legislativo 22 agosto 2016 n. 179 poi con il decreto legislativo 13 dicembre 2017 n. 217, e una seconda tramite la previsione di alcune norme di carattere specifico espressamente destinate alle procedure dirette alla stipulazione di contratti pubblici.

L’applicazione delle disposizioni contenute all’interno del Codice dell‘amministrazione digitale dovrà essere garantita dalle stazioni appaltanti e dagli enti concedenti ai sensi dell’art.19 del Codice.

Il testo legislativo contiene una ulteriore importante precisazione circa l’operatività delle norme contenute nel Codice dell’amministrazione digitale, l’art. 21 precisa, infatti, che esse dovranno trovare applicazione in tutte le fasi della vita del contratto pubblico (programmazione, progettazione, pubblicazione, affidamento, esecuzione). La seconda strada imboccata del legislatore al fine di sviluppare la digitalizzazione è stata quella di prevedere disposizioni specifiche all’interno del codice dei contratti pubblici, destinate ad operare nel corso delle procedure volte alla conclusione di contratti pubblici.

Originale e di particolare importanza è, ad avviso di chi scrive, la previsione di un vero e proprio fascicolo virtuale dell’operatore economico che sostituisce la precedente documentazione di carattere cartaceo.

Importante è la previsione di un utilizzo generale delle procedure automatizzate tra cui possono rientrare anche l’intelligenza artificiale e le tecnologie dei registri distribuiti.

2) Le piattaforme di approvvigionamento informatico struttura ed utilizzo

Tra le modifiche di maggiore rilievo contenute nel Codice dei contratti pubblici, senza ombra di dubbio, rientra quella della previsione delle cosiddette piattaforme di approvvigionamento digitale.

Ma vediamo di che cosa si tratta.

L’art. 22 che sotto la rubrica “ecosistema di approvvigionamento digitale” inserisce nelle operazioni dirette alla conclusione di contratti pubblici un sistema del tutto nuovo di acquisizione delle informazioni da parte di stazioni appaltanti ed enti concedenti.

Il comma 1 dell’art. 22 non contiene comunque nessuna definizione analitica del concetto di piattaforma di approvvigionamento digitale e neppure di ecosistema di approvvigionamento digitale, limitandosi più semplicemente a definire quali sono gli elementi che costituiscono un ecosistema di approvvigionamento digitale.

Al numero 3 dell’art. 22 è contenuta una importante precisazione circa le modalità operative dell’ecosistema nazionale di approvvigionamento digitale con la specificazione di uno dei suoi caratteri basilari. Viene infatti espressamente previsto che l’ecosistema di approvvigionamento digitale possa essere alimentato anche dalle basi di dati di interesse nazionale ai sensi dell’art. 60 del codice dell’amministrazione digitale di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.

Sia pure in assenza di una espressa definizione è possibile ricostruire le caratteristiche di un ecosistema digitale esaminando quali sono ai sensi del comma 1 dell’art. 22 del Codice dei contratti pubblici gli elementi che lo costituiscono e che lo contraddistinguono da tutti gli altri strumenti informatici. Un ecosistema di approvvigionamento digitale è secondo la definizione normativa un sistema informatico, costituito dalle piattaforme ed i servizi infrastrutturali abilitanti la gestione del ciclo di vita dei contratti pubblici di cui all’art. 23 e dalle piattaforme di approvvigionamento digitale previste dall’art. 25.

La norma, come risulta evidente dalla sua lettura effettua un rinvio ad altre due disposizioni al fine di consentire l’individuazione delle caratteristiche strutturali di una piattaforma di approvvigionamento digitale.

Vediamo anzitutto il contenuto dell’art. 25 che definisce comunque al comma 1 quali piattaforme di approvvigionamento digitale l’insieme dei servizi e dei sistemi informatici interconnessi ed interoperanti utilizzati dalle stazioni appaltanti e dagli enti concedenti per svolgere una o più delle attività e per assicurare la piena digitalizzazione dell’intero ciclo di vita dei contratti pubblici.

Si tratta di una disposizione di carattere piuttosto generale che pare fare riferimento a tutti i sistemi informatici utilizzati da stazioni appaltanti e dagli enti concedenti nel corso delle procedure dirette alla conclusione di un contratto pubblico.

Neppure la seconda norma richiamata dall’art. 22 presenta un carattere definitorio più accentuato in quanto fa un semplice riferimento nel comma 1 alla disponibilità da parte di Anac della banca dati nazionale dei contratti pubblici ai sensi dell’art. 62 bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 che sviluppa i servizi dell’ecosistema di approvvigionamento digitale.

Come si evidenzia dall’esame della normativa ci si trova in presenza di definizioni che non presentano un elevato grado di tassatività ed analiticità che inoltre difettano di tecnicismo così da essere facilmente prevedibile lo sviluppo di contenziosi relativi all’accertamento della presenza o meno di una piattaforma di approvvigionamento digitale.

Forse, proprio per evitare tali problemi il legislatore ha accompagnato alla definizione contenuta nel comma 1 dell’art. 22 del d.lgs. 31 marzo 2023 n. 36 una ulteriore specificazione circa le funzioni svolte da tali strumenti informatici. L’art. 22 questa volta al suo numero 2 contiene una serie di precisazioni sulle attività che debbono essere svolte dalle piattaforme di approvvigionamento digitale con una precisa individuazione delle loro modalità esecuzione.

Si tratta di sette tipologie di attività distinte in relazione alla loro natura ed ai compiti svolti dal sistema informatico.

Ci si trova in presenza di una piattaforma di approvvigionamento digitale nel caso in cui ad un sistema informatico sia affidato una delle operazioni di cui sotto:

1) la redazione od acquisizione di atti in formato nativo digitale,

2) la pubblicazione e l’acquisizione dei dati e dei documenti alla banca dati nazionale dei contratti,

3) l’accesso elettronico alla documentazione di gara,

4) la presentazione del documento di gara unico europeo in formato digitale e l’interoperabilità con il fascicolo virtuale dell’operatore economico,

5) la presentazione delle offerte,

6)  l’apertura, la gestione e la conservazione del fascicolo di gara in modalità digitale,

7) il controllo tecnico, contabile od amministrativo dei contratti anche in fase di esecuzione e la gestione delle garanzie.

Si tratta di una elencazione di attività piuttosto articolata e che senza ombra di dubbio risolve numerosi problemi in sede applicativa ma che non svolge una funzione di carattere tassativo in assenza di una espressa indicazione di carattere legislativo in tal senso.

Ci si potrà trovare in presenza di una piattaforma di approvvigionamento digitale, pertanto, anche nel caso di un sistema di approvvigionamento informatico che svolga una funzione diversa da quelle indicate nella disposizione di cui sopra.

L’elenco previsto dal codice dei contratti pubblici, tuttavia, assolve una funzione specifica, in quanto nel caso di accertamento dello svolgimento di una delle funzioni in esso contenute non sarà più possibile negare la qualità di piattaforma di approvvigionamento digitale ad un sistema informatico.

Inoltre, ad avviso di chi scrive, la previsione di una elencazione di funzioni come quella contenuta nell’art. 22 comma 2 si rivela come utile e funzionale per la riduzione del possibile contenzioso giudiziario fondato sul riconoscimento o meno della qualità di piattaforma di approvvigionamento digitale.

In sintesi, dalla lettura del contenuto degli articoli 22, 23, 25 del Codice degli appalti è comunque possibile ricavare una nozione abbastanza definita di piattaforma di approvvigionamento digitale. Assumerà la qualità di cui sopra lo strumento di carattere informatico diretto ad assicurare o, perlomeno, ad agevolare l’esecuzione delle procedure diretta alla conclusione di contratti di carattere pubblico.

3) Piattaforme di approvvigionamento digitale e divieti nel loro utilizzo

L’impiego delle piattaforme di approvvigionamento informatico, sia pure indispensabile per il celere svolgimento della procedura di conclusione di un contratto od appalto pubblico e funzionale al disegno legislativo di digitalizzazione, comporta specifici rischi di lesione per i diritti di coloro che interagiscono con la pubblica amministrazione.

L’applicazione generalizzata dell’informatica nelle procedure di contrattazione pubblica è un fenomeno del tutto nuovo che presenta aspetti di potenziale lesività dei quali per la loro novità non si conoscono tutti i potenziali risvolti.

Comunque, al fine di eliminare o comunque di ridurne l’incidenza il legislatore ha inserito una norma apposita.

L’art. 25 comma 2 del d.lgs. 31 marzo n. 36 prevede quattro specifici obblighi per gli operatori delle stazioni appaltanti o degli enti concedenti che si avvalgano delle piattaforme di approvvigionamento digitale.

Si tratta di una disposizione di evidente carattere cogente che vieta quattro condotte diverse nell’impiego dei sistemi digitali.

Nel corso della procedura diretta alla conclusione di appalti e contratti pubblici non sarà possibile, infatti, effettuare l’utilizzo delle piattaforme di approvvigionamento digitale in modo da:

1) alterare la parità di accesso degli operatori,

2) impedire o limitare la parità di partecipazione alla gara degli stessi,

3) distorcere la concorrenza,

4) modificare l’oggetto dell’appalto come definito dai documenti di gara.

Come si nota dalla lettura della disposizione il legislatore anche in questo caso, utilizza una terminologia di carattere ordinario impiegando lo stesso sistema utilizzato in sede di definizione del

le caratteristiche fondamentali che debbono essere presenti in uno strumento informatico affinché possa essere qualificato quale piattaforma di approvvigionamento digitale.

Ma vediamo, in particolare in che cosa consistono le condotte di cui sopra. Le prime tre sono dirette a tutelare la parità di condizioni tra gli operatori economici che intendono partecipare alla contrattazione e presentano evidenti elementi di similitudine, la quarta invece presenta un carattere leggermente diverso in quanto sia pure tutelando il medesimo interesse degli altri divieti si accentra sulle modalità di svolgimento della procedura ed in particolare il contenuto degli atti emessi nel corso della stessa.

Si tratta comunque di une esposizione di quattro diverse condotte, pertanto, di una tecnica di indicazione, comunque, abbastanza analitica che sanziona diversi comportamenti di carattere illecito.

Sul contenuto dei divieti è opportuno compiere una ulteriore precisazione.

L’art. 25 comma 2 del d. lgs. 31 marzo 2023 n. 36 costituiscono senza ombra di dubbio fatti illeciti e come tali generano una responsabilità in capo agli autori.

La disposizione, tuttavia, si limita ad individuare i soli caratteri materiali delle condotte oggetto del divieto.

Gli aspetti naturalistici del fatto materiale vengono pertanto definiti dal Codice degli appalti che nulla prevede tuttavia in materia di elemento psicologico dell’autore della condotta illecita. La questione può essere risolta sulla base dei principi generali dell’ordinamento. Sarà possibile distinguere una condotta dolosa da una condotta invece di carattere colposo.

La prima di meno frequente realizzazione si configura nel solo caso in cui il comportamento che viola uno dei divieti previsti dal comma 2 dell’art. 25 del Codice degli appalti e dei contratti pubblici trovi realizzazione in una condotta consapevole e volontaria: si pensi al caso di chi alteri volontariamente la documentazione presente in una piattaforma di approvvigionamento digitale in modo tale da determinare una esclusione illegittima di una impresa da un gara nonostante il suo diritto di prendervi parte.

Il secondo caso potenzialmente configurabile riguarda l’ipotesi in cui la condotta che realizza la violazione dei divieti previsti nell’ art. 25 comma 2 assuma un carattere colposo in tale caso il comportamento deriva da una negligenza, da un’imperizia pensiamo al caso di errata interpretazione delle disposizioni contenute in una piattaforma di approvvigionamento digitale che abbiano determinato una illegittima esclusione di un concorrente da una gara.

4) Violazione dei divieti previsti dall’art.25 comma 2 e tutela del soggetto danneggiato

Come abbiamo visto l’utilizzo delle piattaforme di approvvigionamento digitale è soggetto a ben precisi limiti, posti come ovvio a tutela della parte che interagisce con la pubblica amministrazione.

Tuttavia, il legislatore prevede sì quattro divieti diversi ma nulla precisa in merito alle conseguenze della loro violazione non potendosi rinvenire all’interno del testo legislativo, indicazioni circa effetti e conseguenze derivanti dalla realizzazione di una delle condotte vietate.

In assenza di espresse indicazioni legislative, non potranno che soccorrere i principi generali al fine di individuare le forme di tutela e di garanzia del soggetto che prende parte alla procedura di contrattazione pubblica. L’ordinamento, infatti inutile ricordarlo, prevede espressamente numerosi mezzi sostanziali e processuali per garantire tali posizioni.

La questione di non scarsa rilevanza pratica necessita di alcune distinzioni in relazione alla natura dell’operatore che pone in essere la procedura di contrattazione, nonché delle diverse modalità tramite le quali esso agisce.

La procedura diretta alla conclusione di un contratto pubblico vede infatti ai sensi della normativa vigenti due soggetti diversi quali promotori della stessa: le stazioni appaltanti e gli enti concedenti.

In capo a tali soggetti incomberanno i divieti previsti dall’art. 25 comma 2 del Codice dei contratti pubblici previsti in sede di utilizzazione delle piattaforme di approvvigionamento digitale.

Ma in quali casi ci si trova di fronte ad una stazione appaltante o ad un ente concedente. La definizione legislativa è contenuta nell’allegato 1 al testo del Codice dei contratti pubblici che contiene una elencazione dei soggetti che possono assumere tale qualifica.

L’elencazione contenuta in tale documento è piuttosto analitica e contiene soggetti che presentano una tipologia oltremodo eterogenea e che spazia da enti che presentano una natura pubblicistica ad enti invece che assumono la connotazione di organismo privato.

Poniamo la nostra attenzione anzitutto sull’attività posta in essere da soggetti di carattere pubblico, al fine di individuare le forme di tutela consentite nei confronti di condotte vietate nell’utilizzo delle piattaforme di approvvigionamento digitale.

Tali enti in virtù della loro natura ai sensi della normativa vigente possono operare attraverso due

modalità ben distinte che incidono in maniera diversa sulle posizioni di coloro che interagiscono con l’amministrazione.

Cominciamo dalla prima e più frequente di tali modalità, che caratterizza in maniera statisticamente maggiore l’operato di stazioni appaltanti ed enti concedenti che presentino una natura di carattere pubblicistico.

Ci si riferisce, ai casi in cui l’azione amministrativa venga posta in essere attraverso l’emissione di provvedimenti ovvero di atti che possono modificare le posizioni dei destinatari anche in assenza del loro consenso.

Nel corso di una delle procedure regolamentate dal Codice dei contratti pubblici può verificarsi che uno di tali provvedimenti emesso per la regolamentazione dell’utilizzo di una piattaforma di approvvigionamento digitale contrasti con uno dei divieti contenuti nel numero 2 dell’art. 25. È il caso, ad esempio, della previsione che inibisca la partecipazione ad una procedura di determinati soggetti in assenza di adeguata giustificazione, la violazione al comma 2 dell’art 25 del codice dei contratti pubblici è palese ed evidente ma in tali casi quid iuris? Che cosa succede? Nel caso in cui le stazioni appaltanti o gli enti concedenti ledano nel corso di una procedura diretta alla conclusione di un contratto pubblico tramite l’emissione di un provvedimento posto in essere in violazione di legge i diritti del suo destinatario quali saranno i suoi diritti?

In tali casi il provvedimento si presenta come affetto dallo specifico vizio della violazione di legge.

Si tratta della forma di vizio più frequente di vizio cui possono essere affetti i provvedimenti amministrativi e che si sostanzia in una particolare anomalia la cui caratteristiche sono state più volte evidenziate dalla dottrina e che si configura in tutti i casi in cui l’atto emesso dall’amministrazione, a seguito della mancata applicazione della normativa prevista per la sua redazione, presenti una struttura difforme a quella per esso prevista dalla legislazione.

Tale vizio è sicuramente configurabile nel caso in cui venga posto in essere un provvedimento che disciplini l’impiego di una piattaforma di approvvigionamento digitale in modo da alterare la libera concorrenza. La conformità del provvedimento alla disciplina legislativa costituisce un principio legislativo basilare che deve essere osservato da parte dell’amministrazione in sede di emissione di tutti i provvedimenti tra i quali vi rientrano anche quelli riguardanti l’utilizzo delle piattaforme digitali nel corso delle procedure dirette alla conclusione di appalti e contratti pubblici.

La sua mancata osservanza determina la presenza del vizio della violazione di legge che potrà essere fatto valere innanzi agli organi della giustizia amministrativa. Nel caso in cui il giudice amministrativo accerti la presenza del vizio di violazione di legge dovrà provvedere all’annullamento del provvedimento che perderà in tale caso ogni efficacia. Ma questa non è la sola forma di tutela consentita alla persona danneggiata, per espressa disposizione della legislazione vigente ed in particolare dell’art. 30 del Codice del processo amministrativo è consentito a colui che si ritenga leso da un provvedimento legislativo illegittimo ricorrere agli organi della giustizia amministrativa al fine di ottenere il risarcimento di tutti i danni patiti nel caso concreto.

L’azione risarcitoria potrà trovare applicazione anche alle procedure dirette alla conclusione di un contratto pubblico nel caso in cui a seguito di un provvedimento posto in essere da parte della stazione appaltante ovvero dell’ente condente si sia verificato un danno per l’altra parte.

Tuttavia, le amministrazioni non operano in via esclusiva attraverso l’emissione di provvedimenti ma con frequenza si avvalgono degli strumenti del diritto comune che per la loro agilità consentono in molti casi un più rapido perseguimento dell’interesse pubblico cui è finalizzato l’azione pubblica.

Tale sistema di operare può essere utilizzato anche nel caso di procedure dirette alla conclusione di contratti pubblici in sede di impiego delle piattaforme di approvvigionamento digitale qualora si rendano necessarie regolamentazioni specifiche per integrare quelle legislative o regolamentari.

Tuttavia, anche in questo caso non vengono meno i divieti previsti nell’utilizzo delle piattaforme di approvvigionamento digitale che resteranno perfettamente cogenti ed efficaci.

In tale caso proprio per le modalità che hanno caratterizzato l’azione dell’amministrazione anche la tutela del soggetto che da essa lamenta un danno assumerà una connotazione ben diversa e troverà la propria fonte nel contenuto di disposizioni di carattere diverso.

Il soggetto danneggiato potrà infatti avvalersi degli strumenti del diritto privato tra i quali vi rientra anzitutto quello della responsabilità extracontrattuale e poi di quelli che regolamentano l’annullamento dei contratti e dei negozi giuridici in generale.

L’imprenditore illegittimamente escluso da una procedura di gara acquista la qualità di soggetto danneggiato da un fatto illecito realizzato da parte dell’amministrazione. Si tratta con tutta evidenza di una ipotesi di responsabilità extracontrattuale e che espone il responsabile, nel caso di specie l’amministrazione pubblica all’obbligo di risarcire tutti i danni conseguenti alla condotta illecita.

Fin qui per quel che riguarda i casi in cui l’ente promotore di una procedura di contrattazione assuma un carattere di ente pubblico. Ma che cosa succede nel caso in cui esso invece abbia una natura giuridica di carattere diverso ovvero nel caso in cui ci si trovi in presenza di un ente privato, ipotesi prevista dalla normativa vigente che consente di assumere la natura di stazione appaltante od ente concedente anche a soggetti che non presentino la natura di ente pubblico.

Dalla natura del soggetto che in questo secondo caso è ben diversa dalla precedente discende una precisa conseguenza in relazione alla natura giuridica dell’attività esercitata quale promotore di una procedura e dei suoi effetti con i soggetti che con esso interagiscono.

Si tratta di una attività che non potrà esprimersi attraverso l’emissione di provvedimenti amministrativi data la mancanza di poteri autoritativi nel caso concreto ma che troverà la propria realizzazione attraverso le ordinarie forme del diritto privato.

Pensiamo ad esempio al caso delle pattuizioni concluse che tra stazione appaltante e soggetto che vuole partecipare alla procedura e che contengano clausole dirette alla regolamentazione dell’utilizzo delle piattaforme di approvvigionamento digitale. Ma che cosa succede se vengono poste in essere in violazione dei divieti previsti dalla normativa. Anche in questo caso potranno soccorrere le ordinarie forme di tutela previste in via generale dalla normativa vigente. Si pensi ad esempio alle norme che regolamentano la stipulazione dei contratti contenute nel Codice Civile ovvero a quelle che prevedono le diverse forme di responsabilità civile.

Ai sensi della normativa vigente il soggetto danneggiato potrà ottenere l’annullamento delle clausole delle disposizioni poste in essere in violazione delle norme ed inoltre beneficiare del risarcimento previsto per i casi di responsabilità contrattuale od extracontrattuale.

Questi i rimedi carattere amministrativo o civile, tuttavia, non dobbiamo dimenticare come la presenza nell’ordinamento di norme di carattere penale potenzialmente applicabili anche agli operatori delle stazioni appaltanti o degli enti concedenti.

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Questo articolo è stato scritto da...

Andrea Magagnoli
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