Questo articolo è valutato
( votes)Premessa
Di recente l’ANAC si è pronunciata, con una serie di pareri, su alcune questioni di estrema attualità e, soprattutto, di grande rilievo pratico/operativo per il RUP.
Appare opportuno, tra i diversi pareri espressi in sede di precontenzioso, analizzare soprattutto gli interventi in tema di dinamiche concrete utilizzabili nell’affidamento diretto, definizione dell’annosa questione dell’omessa dichiarazione degli oneri aziendali interni ed infine sulla fattispecie dell’anticipazione del prezzo in relazione all’ambito operativo di riferimento ovvero se l’istituto risulti applicabile solo nel sopra soglia comunitario o anche nel sotto soglia.
1. L’acquisto fuori MEPA (o mercato elettronico del soggetto aggregatore)
Interessante è la questione – affrontata e risolta con la deliberazione n. 899/2018 – dei rapporti tra affidamento diretto (nella fattispecie di cui all’articolo 36, comma 2, lett. a) del codice dei contratti) e la propedeutica indagine di mercato.
Nel caso di specie, l’appaltatore chiedeva all’Authority “un parere sulla legittimità della procedura di gara segnalando che” la stazione appaltante “non aveva attinto alla piattaforma MEPA per effettuare la selezione; inoltre in violazione delle regole che presiedono l’affidamento diretto non aveva consultato un elenco di operatori accreditati, né svolto un’indagine di mercato previa pubblicazione di avviso pubblico; inoltre sottolineava che l’aggiudicazione sarebbe avvenuta sulla base della valutazione del ribasso più conveniente senza tener conto delle migliorie proposte (…) consistenti nell’automazione del cancello del cimitero per motivi di sicurezza”.
La prima questione che viene affrontata ha riguardato l’acquisto “fuori” dal MEPA. Raccolte le memorie dalla stazione appaltante, in delibera si evidenza che l’acquisizione è dovuta avvenire fuori dal sistema disegnato dalla spending review per irreperibilità del servizio tra le categorie merceologiche presenti in vetrina.
A tal riguardo, in delibera, rammentato che “ai sensi dell’art. 1, comma 450, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 – tutte le amministrazioni statali, centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni universitarie, nonché gli enti nazionali di previdenza e assistenza sociale pubblici e le agenzie fiscali di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, per gli acquisti di beni e servizi di importo pari o superiore a € 1.000 e inferiore alla soglia di rilievo comunitario, sono oggi tenute a fare ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione, si sottolinea – e ciò appare utile per i RUP – che come affermato da costante giurisprudenza “nel caso non siano reperibili i beni o i sevizi necessitati, è possibile ricorrere alla procedura in economia al di fuori del mercato elettronico”.
Nel caso non siano reperibili i beni o i sevizi necessitati nel MEPA, è possibile ricorrere alla procedura in economia al di fuori del mercato elettronico.
2. L’affidamento diretto senza indagine di mercato
Sui rapporti tra affidamento diretto e indagine di mercato, in delibera si ribadisce che per contratti di valore inferiore ai 40.000 è possibile procedere tramite affidamento diretto anche senza alcun confronto competitivo tra due o più imprese, “purché la stazione appaltante adotti una determina a contrarre, o atto equivalente, che contenga, in modo semplificato, l’oggetto dell’affidamento, l’importo, il fornitore, le ragioni della scelta del fornitore, il possesso da parte sua dei requisiti di carattere generale, nonché il possesso dei requisiti tecnico-professionali, ove richiesti (art. 32, comma 2 e art. 36, comma 2, lettera a) d.lgs. n. 50/2016)”.
Deve ritenersi corretto secondo l’ANAC, un comportamento della stazione appaltante che pur decidendo di seguire la dinamica dell’affidamento diretto ma anche “non avendo svolto un’indagine di mercato vera e propria” abbia “comunque consultato più operatori”.
E’ altresì corretto il fatto che il RUP – nella sua istruttoria per il responsabile del servizio – non abbia tenuto conto delle “migliorie” ma si sia attenuto al criterio del minor prezzo “privilegiando il maggior ribasso”.
La riflessione è molto importante in quanto diretta a chiarire che se la stazione appaltante adotta un procedimento informale non ha particolari vincoli da seguire se non quelli “ovvi” del procedimento amministrativo in generale.
E’ chiaro che per valutare secondo il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa, occorre anche stabilire dei criteri/sottocriteri di valutazione ciò che implica, evidentemente, la formalizzazione di una procedura e quindi la fissazione di regole “a monte” del procedimento.
3. L’obbligo di sottoporre l’offerta a verifica di congruità
Con un secondo parere – riscontrato con la deliberazione n. 898/2018 – l’istante segnala la violazione dell’obbligo “normativo di ricorrere alla verifica dell’anomalia dell’offerta dell’aggiudicataria nella procedura in oggetto” rilevando, altresì, un comportamento illegittimo da parte della stazione appaltante nella “nomina dei membri della Commissione che non sarebbe avvenuta secondo regole di trasparenza e competenza, preventivamente individuate dalla stazione appaltante e l’illegittimità dei successivi atti della procedura di gara che ne sarebbe derivata”.
Dalla documentazione, l’ANAC rileva che effettivamente l’aggiudicataria si trovava nelle condizioni di cui all’articolo 97, comma 3 ovvero ha raggiunto un punteggio pari o superiore ai 4/5 del punteggio massimo attribuibile. In questo caso, gioco forza, il RUP non si può sottrarre dall’obbligo della verifica di congruità che non è affatto “disponibile”.
Da notare – secondo il ragionamento espresso dalla stazione appaltante – che il RUP rivendicava una certa discrezionalità nell’operare o meno la verifica.
Queste riflessioni vengono prontamente respinte dall’ANAC che rimarca come un potere discrezionale sulla sottoposizione a verifica riguarda solo il caso dell’assenza di “fumus” ovvero quando non siano rinvenibili “in base ad elementi specifici” concreti sospetti che l’offerta possa essere “anormalmente bassa”.
Ed il giudizio della stazione appaltante, è sindacabile soltanto in caso di macroscopica irragionevolezza o illogicità (in questo senso, TAR Umbria 30 marzo 2018, n. 192; TAR Lombardia 27 ottobre 2017, n. 2048).
Negli altri casi, se la fattispecie è inquadrabile, nell’ambito del comma 3 dell’art. 97 del D.lgs. 50/2016 – che corrisponde al previgente art. 86, comma 2, D.lgs.163/2006 e prevede, per gli appalti pubblici da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che “sono giudicate anomale le offerte per le quali sia per la componente tecnica che per quella economica realizzino un punteggio pari o superiore ai quattro quinti dei corrispondenti punti massimi previsti nel bando di gara” – l’offerta è sempre considerata anomala se “ottiene un punteggio alto sul piano tecnico e, contemporaneamente, un punteggio alto relativamente all’offerta economica in virtù di un ribasso consistente”.
Nel caso di specie insiste un obbligo “non negoziabile” di procedere con la verifica.
L’ANAC rimarca che un potere discrezionale del RUP circa la sottoposizione a verifica riguarda solo il caso dell’assenza di “fumus” ovvero quando non siano rinvenibili “in base ad elementi specifici” concreti sospetti che l’offerta possa essere “anormalmente bassa”.
4. La nomina della commissione di gara
Sempre nell’ambito della stessa deliberazione, come anticipato, viene analizzata la questione della corretta procedura per la nomina della commissione di gara.
La querelle si focalizza sulla circostanza che la stazione appaltante (il RUP) può procedere con la individuazione dei commissari di gara (da comprendersi anche il presidente) solo dopo aver fissato delle regole oggettive di trasparenza e competenza (in questo senso il comma 12, dell’articolo 216 del codice dei contratti).
Secondo l’istante ciò non sarebbe avvenuto. Di diverso avviso l’ANAC che ha rilevato – previa verifica della documentazione fornita dalla stazione appaltante – “che la nomina della commissione nella gara (…) è avvenuta in attuazione delle disposizioni contenute in apposita convenzione in cui” si “è espressamente previsto che l’ente possa avvalersi di personale degli enti associati”.
Da notare che l’ANAC ritiene legittimo tale modus agendi considerato che “in attesa dell’attuazione della disciplina relativa all’Albo istituito presso l’ANAC di cui all’art. 78 D.lgs. 50/2016, la stazione appaltante può nominare alcuni componenti interni nel rispetto del principio di rotazione (vd. art. 216, comma 12)”.
L’ultimo inciso – ovvero quello della possibilità di nominare solo alcuni componenti interni non sembra, ad ora, trovare conforto nelle norme del codice in quanto necessità postasi solo per il futuro una volta entrato in vigore l’ALBO dei commissari di gara.
5. L’indicazione degli oneri di sicurezza interni
Altra questione – estremamente attuale (e conflittuale) nel nostro paese – è quella dell’obbligo di indicare (con scorporo rispetto all’offerta) l’ammontare degli oneri di sicurezza interni dell’azienda (al fine della verifica del rispetto della normativa di settore).
Nel caso di specie, l’indicazione è avvenuta ma con un errore rispetto agli anni dell’appalto. In sostanza, l’appaltatore indicava un importo valido per 5 anni anziché 7 relativi alla durata del contratto.
La questione viene affrontata e risolta con la deliberazione n. 1072/2018.
In particolare, l’istante si duole per il fatto che l’impresa era stata ammessa a soccorso istruttorio integrativo “per consentire (…) di integrare la propria offerta economica con ciò violando il principio di immodificabilità dell’offerta”.
Secondo l’istante, evidentemente, la stazione appaltante – ai sensi dell’articolo 95, comma 10 del codice -, avrebbe dovuto procedere con l’esclusione dalla gara.
Acquisiti di documenti dall’appaltatore interessato, emerge che lo stesso è incorso in “un mero refuso della dichiarazione con la precisazione che “a ben vedere, di null’altro potrebbe trattarsi, giacché non avrebbe senso alcuno calcolare gli oneri della sicurezza per un quinquennio nell’ambito di una gara settennale, ed essendo l’importo indicato coerente rispetto alla durata complessiva dell’appalto”.
6. L’orientamento in materia di previa indicazione degli oneri della sicurezza interni
L’ Authority evidenzia, in primo luogo, che in merito ad una gara indetta in vigenza del d.lgs. n. 50/2016, nella cui lex specialis non era stato previsto specificamente l’obbligo di indicazione degli oneri di sicurezza l’amministrazione è tenuta ad applicare il principio del soccorso istruttorio entro i limiti indicati dalle Adunanze Plenarie n. 19 e 20 del 27 luglio 2016, “nonché secondo i principi espressi dalla Corte di giustizia nella sentenza del 10 novembre 2016, ovvero previa verifica della natura sostanziale o formale dell’eventuale integrazione dell’indicazione degli oneri”.
Nel primo caso, prosegue l’ANAC, il soccorso istruttorio non potrebbe essere esperito, in quanto il concorrente, formulando un’offerta economica senza considerare gli oneri di sicurezza, nel sanare la propria offerta, apporterebbe una modifica sostanziale all’offerta medesima, in violazione dei principi generali in materia dei contratti pubblici.
Nel secondo caso, invece, avendo il concorrente indicato un prezzo comprensivo degli oneri di sicurezza, senza tuttavia chiarirne l’importo, l’amministrazione potrebbe procedere alla richiesta di integrazione mediante soccorso istruttorio, trattandosi di una specificazione formale di una voce, già prevista nell’offerta, ma non indicata separatamente (cfr., in termini, pareri n. 423 del 12 aprile 2017; n. 616 del 7 giugno 2017; n. 1081 del 25 ottobre 2017; n. 1354 del 20 dicembre 2017; n. 71 del 24 gennaio 2018).
L’orientamento giurisprudenziale recente ha aderito alla tesi sostanzialistica dell’obbligo della dichiarazione di cui all’articolo 95 e “con specifico riferimento al caso di errata indicazione del costo della manodopera, ha ritenuto che non può essere escluso l’operatore economico che abbia presentato un’offerta economica tenendo in considerazione i costi della manodopera e li abbia indicati separatamente nella propria offerta commettendo tuttavia un mero errore formale nella indicazione numerica di tale costo, qualora successivamente, in sede di contraddittorio con la stazione appaltante, tale errore formale venga rilevato come tale a seguito della positiva verifica che i costi della manodopera sono stati debitamente conteggiati dal concorrente nella predisposizione della propria offerta”.
Nel caso di mero errore materiale, l’eventuale richiesta di soccorso istruttorio non può essere intesa come “indebita modifica dell’offerta economica (TAR Venezia, 1° ottobre 2018, n. 916, nello stesso anche TAR Piemonte, 7 maggio 2018, n 523)”.
Sa notare che, nel caso di specie, il soccorso che il RUP è tenuto ad attivare è solo quello specificativo e non integrativo.
Nel caso trattato si evidenziava proprio l’errore materiale non avrebbe avuto senso predisporre l’offerta con riferimento al quinquennio visto che la durata prevista del contratto era di 7 anni e, soprattutto, lo stesso aveva previsto (pur pro quota) gli oneri pertanto è parso corretto il comportamento del RUP che ha avviato il procedimento di soccorso istruttorio più che integrativo di mero chiarimento/specificativo.
L’ ANAC evidenzia che in merito ad una gara indetta in vigenza del d.lgs. n. 50/2016, nella cui lex specialis non era stato previsto specificamente l’obbligo di indicazione degli oneri di sicurezza l’amministrazione è tenuta ad applicare il principio del soccorso istruttorio entro i limiti indicati dalle Adunanze Plenarie n. 19 e 20 del 27 luglio 2016.
7. L’anticipazione del prezzo
Importante chiarimento viene fornito dall’ANAC con la deliberazione n. 1050/2018 in tema di corretta applicazione della fattispecie dell’anticipazione del prezzo ai sensi del comma 18 dell’articolo 35 del codice dei contratti.
Nel caso di specie, l’operatore si rivolge all’autorità anticorruzione per avere cognizione sulla sussistenza o meno “dell’obbligo per le stazioni appaltanti di prevedere l’anticipazione del prezzo nelle procedure sotto soglia.
La stazione appaltante, nel caso di specie, per l’affidamento dei lavori indiceva una procedura ristretta ai sensi dell’art. 61 D.lgs. 50/2016 il cui capitolato, all’art. 26 prevedeva che “non è dovuta l’anticipazione del prezzo e non trova applicazione l’art. 35 co. 18 del Codice dei Contratti”.
Dalle “memorie” raccolte emergeva che secondo la stazione appaltante l’art. 35 – e quindi la previsione dell’anticipazione del prezzo – riguarda solamente “le procedure sopra soglia comunitaria” non trovando applicazione alle procedure – come quella in oggetto – sottosoglia “e quindi disciplinata dal successivo art. 36 in cui dell’anticipazione del prezzo non si fa menzione”.
8. La ratio dell’anticipazione del prezzo
La richiesta di parere fornisce l’occasione all’ANAC per chiarire la ratio dell’anticipazione. Si tratta di una fattispecie – si legge in delibera – “avente la finalità di consentire all’appaltatore di affrontare le spese iniziali necessarie all’esecuzione del contratto (…) oggetto di numerose modifiche normative.
In un primo tempo l’istituto è rimasto alla “discrezionalità dell’amministrazione, è stato poi ritenuto obbligatorio. In particolare in tutte le procedure di gara (art. 3 L. n.741/1981), come ribadito dall’art. 26, co.1, L. 109/1994.
Successivamente l’anticipazione è stata ridimensionata dal 10% al 5% dell’importo contrattuale dall’art. 2, commi 91 e 92, L. n. 662 del 1996 (finanziaria 1997).
Inoltre, il D.L. del 28 marzo 1997, n. 79, convertito in legge 28 maggio 1997, n. 140, con finalità di contenimento della spesa pubblica, ha disposto “il generale divieto alle pubbliche amministrazioni e agli enti pubblici economici di concedere, in qualsiasi forma, anticipazioni del prezzo in materia di appalti di lavori, servizi e forniture, facendo salvi i contratti già aggiudicati alla data di entrata in vigore del decreto medesimo e quelli riguardanti attività oggetto di cofinanziamento comunitario”.
Dal 2013, si legge ancora in deliberazione, “l’opposta esigenza di favorire gli investimenti e dare impulso all’imprenditoria, in una fase di stagnazione economica e di crisi del mercato, ha indotto il legislatore a ripristinare temporaneamente l’istituto dell’anticipazione (vd. art. 26-ter DL 21.6.2013, n. 69 cd. decreto del fare) fissato prima nell’importo del 10%, poi del 20% (art. 8, co. 3-bis DL 192/2014 e poi art. 7, co.1, D.L. 210/2015)”.
9. L’anticipazione nel nuovo codice dei contratti
Con l’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti la previsione è stata declinata al comma 18, dell’articolo 35 rubricato “Rilevanza comunitaria e contratti sotto soglia” e viene, perciò, “istituzionalizzata l’anticipazione del 20% calcolata non più sull’importo contrattuale, come nella corrispondente previsione del vecchio regolamento all’art. 140 D.P.R. 207/2010, ma sul valore stimato dell’appalto.
La norma chiarisce altresì, che tale anticipazione deve essere corrisposta all’appaltatore entro quindici giorni “dall’effettivo inizio dei lavori ed è subordinata alla costituzione di garanzia fideiussoria bancaria o assicurativa di importo pari all’anticipazione maggiorato del tasso di interesse legale applicato al periodo necessario al recupero dell’anticipazione stessa secondo il cronoprogramma dei lavori”.
Secondo l’ANAC, la collocazione della norma nell’ambito dell’art. 35 rubricato “Soglie di rilevanza comunitaria e metodi di calcolo del valore stimato degli appalti” è stata giudicata “infelice e inconferente” dalla dottrina, mostrandosi come una scelta erronea e non sorretta da adeguata motivazione.
Lo stesso Consiglio di Stato, con il parere 30/03/2017, n. 782 ha osservato che “la sede più corretta della disciplina racchiusa nel comma 18 dell’art. 35 sarebbe il titolo V, relativo all’esecuzione (…), se del caso nell’art. 113-bis, con appropriata modifica della relativa rubrica”.
L’intensità dell’obbligo (dell’anticipazione)
La portata generale dell’obbligo soddisfa, quindi, la ratio che sorregge il principio di anticipazione delle somme erogate dall’amministrazione “al fine di dare impulso all’iniziativa imprenditoriale, assicurando la disponibilità delle stesse nella delicata fase di avvio dei lavori e di perseguire il pubblico interesse alla corretta e tempestiva esecuzione del contratto”.
Per effetto di quanto, non avrebbe senso – puntualizza l’ANAC – precludere tale facoltà di accesso all’anticipazione per affidamenti di importo inferiore che spesso vedono protagoniste imprese di dimensioni medio piccole e maggiormente tutelate dal legislatore.
Alla luce di quanto, l’art. 35 del codice dei contratti deve essere considerato come una norma di carattere generale “che detta disposizioni in ordine alle modalità di calcolo del valore dell’appalto e non una norma specifica relativa ai contratti sopra soglia in contrapposizione alla successiva di cui all’art. 36.
Per tali motivi, la disposizione del Capitolato che prevede il diniego all’erogazione dell’anticipazione del prezzo deve ritenersi illegittima in quanto contraria alla normativa di settore”.
Con l’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti la previsione è stata declinata al comma 18, dell’articolo 35 rubricato “Rilevanza comunitaria e contratti sotto soglia” e viene, perciò, “istituzionalizzata l’anticipazione del 20% calcolata non più sull’importo contrattuale, come nella corrispondente previsione del vecchio Regolamento all’art. 140 D.P.R. 207/2010, ma sul valore stimato dell’appalto.