Questo articolo è valutato
( votes)Analisi di pareri e pronunce su questioni attinenti all’attività contrattuale ed in genere all’azione amministrativa delle stazioni appaltanti
Danno erariale per acquisto di beni con perizia tecnica scorretta
(Corte dei Conti, sez. giurisdizionale regione Toscana – delibera n. 221 del 5 settembre 2016; Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Calabria – sentenza del 6 settembre 2016 n. 197)
Indice
- Premessa
- La distinzione tra funzioni politiche e gestionali e la questione della competenza
- La condanna per danni erariali
- La corretta applicazione dell’esimente politica
1. Premessa
La recente sentenza – di condanna per danni erariali – della Corte dei Conti sezione giurisdizionale della regione Toscana n. 221 del 5 settembre 2016, è di evidente utilità perché consente di illustrare certe dinamiche dell’azione amministrativa che devono essere evitate e/o attentamente ponderate.
Nel caso di specie, l’ente procedeva all’acquisto di una serie di attrezzature e beni di un locale comunale destinato al servizio di ristorazione (a gestione esternalizzata). I beni appartenevano al gestore.
Nel caso di specie, la giunta comunale conferisce l’incarico per svolgere una perizia all’economo comunale il quale effettuate le valutazioni dei beni presenta – per il tramite del dirigente responsabile del servizio – la proposta di acquisto in giunta comunale.
La giunta approvava la perizia disponendo l’acquisto senza alcuna valutazione critica sulla correttezza della perizia che la procura, attraverso specifico incarico, dimostrava assolutamente incongrua con indicazione di prezzi assolutamente superiore al valore dei beni poi acquistati.
Da qui, la giunta e l’economo venivano convenuti in giudizio per rispondere di danni erariali.
2. La distinzione tra funzioni politiche e gestionali e la questione della competenza
Tra le varie considerazioni – della difesa – spesso viene evidenziata la distinzione tra funzione di controllo (del politico) e la funzione gestionale (di competenza del burocrate) con il conseguente tentativo di far valere la c.d. esimente che consente, in caso di buona fede, all’organo politico di non essere chiamato a rispondere delle conseguenze dell’atto adottato.
In questo senso, nella deliberazione si legge che “la difesa afferma inoltre che si tratterebbe di atti che comunque rientrerebbero nelle competenze proprie dei funzionari e dirigenti sicchè ai componenti degli organi politici che li abbiano approvati in buona fede nulla potrebbe essere contestato. Infine viene affermata l’inesistenza di colpa grave”.
La procura, di contro, ribadisce la consueta affermazione per cui l’insindacabilità nel merito di scelte discrezionali compiute dai soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti non comporta affatto la sottrazione “di tali scelte ad ogni possibilità di controllo della conformità alla legge dell’attività amministrativa”.
A tal riguardo, infatti, si è rilevato che il giudice contabile può “sindacare che le concrete iniziative dei soggetti sottoposti al suo giudizio non siano palesemente irrazionali, ovvero manifestazione di assoluta e incontrovertibile estraneità rispetto ai fini del soggetto pubblico.” (Corte conti, sez. giur. Lazio, 10.1.2012. n. 22).
Ed in ogni caso, continua la procura, il comportamento contra legem del pubblico amministratore non è mai al riparo dalla valutazione giurisdizionale “non potendo esso costituire esercizio di scelta discrezionale insindacabile” (Corte conti, sez. app. II, 8.6.2015, n. 296).
Interessante appaiono anche le riflessioni espresse dal dipendente nel tentativo di andare esente da responsabilità.
L’economo, nel caso di specie, affermava che la perizia di stima – ad esso commissionata dalla giunta – “non sarebbe rientrata nelle proprie competenze e che avrebbe comunque dovuto accettare di redigerla in quanto dipendente dell’ente locale”.
Di diverso avviso, evidentemente, è il giudice dell’erario che ha puntualizzato che in ogni caso tali incombenze potevano “essere oggettivamente riconducibile nell’ambito delle possibili competenze del servizio provveditorato- economato, cui il medesima era preposto, trattandosi dell’unità competente ad occuparsi dell’approvvigionamento dei beni dell’ente nonché alle operazione di inventariazione e contabilizzazione degli stessi”.
Non a caso l’economo risultava espressamente incaricato (cfr. provvedimento dirigenziale n. 146 del 22.12.2006) oltre che di espletare tutte le funzioni del servizio economale anche di pianificare il fabbisogno dei beni e degli strumenti di consumo, predisponendo atti e i procedimenti necessari agli acquisti.
E’ importante, dal lato pratico/operativo, la considerazione ulteriore espressa dalla procura. In sintesi, la circostanza di non ritenersi (o addirittura non essere competenti) non può restare taciuta da parte del dipendente incaricato.
Costituisce infatti ulteriore responsabilità del dipendente manifestare eventuali perplessità e/o esigere anche formazione specifica e/o che l’incarico possa essere assegnato – se del caso – a soggetto maggiormente titolato e adatto allo svolgimento del compito.
In tal senso, si legge ancora nella deliberazione che “quand’anche l’attività richiesta non fosse stata effettivamente di propria competenza” l’interessato “avrebbe dovuto evidenziare ciò e rifiutare di redigere la perizia, evidenziando altresì la carenza di conoscenze adeguate posto che si trattava di atto fondamentale al fine di individuare l’entità della spesa cui avrebbe dovuto far fronte l’ente; conseguentemente l’accettazione dell’incarico in siffatta situazione comunque denota una condotta connotata da colpa grave”.
In realtà, poi, dalla stessa sentenza emerge che il lavoro di stima richiesto rientrava invece a pieno titolo tra le funzioni dell’unità di provveditorato/economato con la conseguenza che la redazione di una perizia non fondata su alcun elemento concreto determinava – nel caso di specie – addirittura una colpa gravissima in quanto costituiva il risultato di “un lavoro connotato da estrema superficialità ed errori grossolani”.
3. La condanna per danni erariali
Il collegio ritiene di dover condannare la giunta comunale per la decisione di condividere la perizia di stima senza alcuna verifica e/o controllo che consentisse di rilevare le tante anomalie dell’indagine condotta.
A tal riguardo si legge nella deliberazione che, “la Giunta, nel semplice rispetto dei principi di efficienza ed economicità, alla stregua di qualunque operatore economico che si accinge ad acquistare beni usati risalenti nel tempo, avrebbe dovuto, usando un minimo di diligenza, evidenziare la presenza di anomalie e manifestare dubbi sull’attendibilità della stima”.
Rileva la procura che se l’atteggiamento superficiale e di fiducia aprioristica riposto nei confronti della stima redatta dall’economo può aver condotto “il pubblico ministero penale ad escludere l’elemento soggettivo del dolo, necessario ad integrare l’ipotesi dell’abuso d’ufficio, (…) tale comportamento conduce viceversa a ritenere integrata una condotta assistita dalla colpa grave, sufficiente ai fini della condanna in sede giuscontabile”.
La semplice – ed oggettiva – distinzione tra funzione politica e funzione amministrativa, secondo i giudici dell’erario, “infatti non può giungere ad escludere ogni corresponsabilità degli amministratori che abbiano espressamente avallato un’operazione che sia palesemente antieconomica in pregiudizio dell’ente locale”.
4. La corretta applicazione dell’esimente politica
In tema di esimente politica risulta di particolare rilevo l’intervento della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Calabria, del 6 settembre 2016 n. 197.
Il chiarimento in tema viene in considerazione nel giudizio instaurato da questa procura per danni erariali determinati dall’improvvido riconoscimento della legittimità di un debito fuori bilancio (ai sensi dell’articolo 194 del decreto legislativo n. 267/2000).
Il riconoscimento avveniva senza i connotati essenziali minimi quali la certificazione di una prestazione resa in favore dell’ente – non supportata dall’assunzione del previo impegno di spesa – e la dimostrazione di un arricchimento per l’ente.
A tal riguardo, nella sentenza si legge che “ciò che legittima la riconoscibilità della posizione debitoria maturata al di fuori della previsione autorizzatoria del bilancio, (…), è l’accertata e dimostrata utilità e arricchimento per l’ente”.
Nel caso di specie, invece, non risultavano comprovanti neanche i lavori effettuati. In particolare, “le relazioni tecniche” poste a supporto della proposta presentata in consiglio comunale per il riconoscimento del debito non contenevano “gli elementi salienti per comprendere il contesto dello svolgimento dei lavori né il computo metrico di riferimento”, inoltre, dalla documentazione fornita risultavano presenti finanche “lavori ripetuti due volte”.
Inoltre, tali carenze venivano chiaramente esplicitate dal responsabile del servizio finanziario, dal segretario comunale e dal revisore. Circostanza, quindi che avrebbero dovuto indurre massima cautele da parte degli amministratori.
Secondo la valutazione della procura, “l’intero debito riconosciuto” è apparso “privo degli elementi essenziali in forza dei quali è possibile operare, mediante riconoscimento da parte del consiglio, la sanatoria”.
Con la conseguenza che i debiti i debiti fuori bilancio (relativi all’acquisto di beni e/o servizi) non riconoscibili, sarebbero dovuti restare “a carico dell’Amministratore o del dipendente che li ha ordinati (art. 191, comma 4 del TUEL 267/2000)”.
La difesa propugnava l’applicazione dell’esimente politica degli organi politici come disciplinata dall’art. 1, comma 1- ter della legge 20/1994 e succ. modifiche in cui si puntualizza che “nel caso di atti che rientrano nella competenza propria degli Uffici Tecnici o amministrativi la responsabilità non si estende ai titolari degli organi politici che in buona fede li abbiano approvati ovvero ne abbiano autorizzato o consentito l’esecuzione”.
Il giudice ha ritenuto inapplicabile l’esimente perché, nel caso di specie, il riconoscimento del debito è proprio un atto “che rientra nella specifica competenza del Consiglio Comunale”.
Si rileva inoltre che la fattispecie dell’esenzione esige comunque che l’organo incompetente abbia agito in perfetta buona fede mentre nel caso trattato, il Consiglio Comunale ha proceduto al riconoscimento del debito fuori bilancio nonostante i pareri negativi del segretario comunale e del responsabile del servizio finanziario ed è chiaro che “tale circostanza non consente di affermare che la (…) condotta sia stata improntata alla buona fede richiesta”.