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( votes)Analisi di pareri e pronunce su questioni attinenti all’attività contrattuale ed in genere all’azione amministrativa delle stazioni appaltanti
Bene immobile in luogo del pagamento di tributi comunali
(Corte dei Conti, sezione regionale del Lazio, deliberazione n. 162 del 18 settembre 2015)
Indice
- Premessa
- Il quesito: beni in luogo del tributo (dovuto)
- L’indisponibilità dell’obbligazione tributaria (nei tributi comunali)
- Il baratto amministrativo
1. Premessa
La sezione regionale del Lazio affronta una questione di particolare rilievo sotto il profilo pratico, più frequente di quanto si possa immaginare ovvero la possibilità di estinguere l’obbligazione tributaria (tributi comunali) attraverso modalità diverse rispetto al pagamento.
Nel caso di specie, il parere richiesto mirava ad ottenere un chiarimento sulla possibilità di soddisfare un debito tributario (con sanzioni e interessi) attraverso l’acquisizione – attraverso una transazione – di un immobile (c.d. datio in solutum) del debitore.
La sezione ha ritenuto il quesito inammissibile da un punto di vista oggettivo in quanto il caso portato all’attenzione configurava l’ipotesi di “ricorrere all’istituto civilistico della “datio in solutum”, per l’estinzione di crediti di tipo impositivo”, pertanto, secondo il collegio la questione finiva per porsi su un “piano suscettibile di essere attratto in una sfera non riconducibile alla nozione di “contabilità pubblica”, (…), coinvolgendo contenuti più propriamente riferibili al diverso ambito del diritto tributario”.
A conforto il giudice richiama il prevalente orientamento delle diverse Corti regionali “in base al quale il diritto tributario, che ha ad oggetto le regole concernenti l’istituzione e la riscossione dei tributi, la disciplina del rapporto che si instaura tra il soggetto attivo (l’Ente impositivo) ed il soggetto passivo (il contribuente), nonché la relativa prestazione obbligatoria (… ) attiene ad aspetti del diritto finanziario nettamente distinti dalla contabilità pubblica (Sez. Veneto n. 353/2014; si vedano anche Sez. Emilia Romagna delib. 31/2011/par, Sez. Lombardia delib. 117/2013/par, Sez. Veneto delib. 228/2012/par)”.
Inoltre, sempre sotto il profilo oggettivo la richiesta è apparsa inammissibile anche perché riferita a una fattispecie concreta, funzionale all’adozione di uno specifico atto di gestione, e pertanto, priva dei necessari caratteri di generalità ed astrattezza.
La questione pertanto, avrebbe finito per sostanziarsi in una indebita interferenza nei poteri discrezionali della pubblica amministrazione e, per consolidato orientamento delle Sezioni di Controllo, l’essenza della funzione consultiva, affidata a un organo neutrale e indipendente, del tutto estraneo al “potere amministrativo”, non consente che siano resi pareri su questioni che investono direttamente l’ambito di discrezionalità riservata agli organi dell’ente locale, né su aspetti di carattere gestionale, né su vicende per cui siano pendenti giudizi, come nel caso di specie, o, comunque, che siano suscettibili di essere verificate in altra sede, se e in quanto foriere di danno all’erario.
Nonostante tale premessa, la deliberazione fornisce preziose indicazioni sul corretto modus operandi non nel senso prospettato dal sindaco instante.
2. Il quesito: beni in luogo del tributo (dovuto)
Nel formulare il quesito, il Sindaco evidenziava anche gli aspetti positivi della ipotizzata “datio in solutum”. In primo luogo dal tenore della richiesta, la corte veniva sollecitata a sulla “possibilità per il Comune di ricevere immobili, di categoria non residenziale, da parte (…), a soddisfazione dei debiti da questa maturati, a titolo di imposte comunali non versate, interessi e sanzioni”.
Ad avvallo della fattibilità dell’ipotesi descritta, nel parere si evidenzia che l’azienda interessata ad estinguere il proprio debito tributario aveva già subito una procedura giudiziale, per mancato adempimento delle obbligazioni tributarie e, pertanto prospettava “l’eventualità di una cessione gratuita dei beni che tenesse luogo del pagamento, attraverso un accordo transattivo, formulato dallo stesso debitore, nel quale si sarebbe dato atto che il valore catastale dei compendi da trasferire era superiore al credito vantato dal Comune, con esclusione di qualunque esborso a carico dell’Amministrazione”.
In particolare, circa la praticabilità della soluzione veniva richiamato il disposto di cui all’articolo 12 del D.L. n. 98 del 06 luglio 2011, modificato dall’art. 1, comma 138 della L. 228 del 24 dicembre 2012, in cui si stabilisce “che le operazioni di acquisizione immobiliare da parte delle pubbliche amministrazioni sono consentite, a decorrere” dal primo gennaio 2014, “solo qualora ricorrano le condizioni di indispensabilità e non dilazionabilità dell’acquisto, di congruità del prezzo, attestata dall’Agenzia del Demanio, e di pubblicazione dell’iniziativa sul sito web dell’Ente”.
E nel caso del comparto degli Enti locali, i predetti requisiti – di indispensabilità e non dilazionabilità – sarebbero da ritenersi “soddisfatti se l’acquisto sia tale da determinare effetti finanziari o economici positivi (come nel caso di riduzione di oneri per locazioni passive, al lordo dei costi connessi alla nuova sistemazione)”.
Si palesava, inoltre, ai fini del buon esito dell’operazione, la possibilità di conseguire un risparmio e di “realizzare un’entrata, destinando gli edifici in parte ad attività istituzionali, allo stato gestite in locali in affitto, e in parte per locazioni attive”.
3. L’indisponibilità dell’obbligazione tributaria (nei tributi comunali)
Pur ritenendo, come evidenziato in premessa, il quesito inammissibile, la sezione non si esime da fornire un rilevante riscontro fondato soprattutto su riflessioni pregresse (deliberazione della stessa sezione n. 3 del 2010).
In primo luogo, per inquadrare la fattispecie, il collegio rammenta che nel caso trattato si è in presenza di una obbligazione tributaria (nella titolarità del comune) di cui questi non può disporre nel senso che l’obbligo tributario è per sua natura “natura indisponibile, in virtù di espressa riserva di legge ex art. 23 della Costituzione, oltre che con riferimento ai principi di capacità contributiva e di imparzialità (art. 53 e art. 97 Cost.)”.
Le uniche deroghe, si ricorda in delibera, riguardano i tributi statali (art. 28 bis D.P.R. 602/1973, D. L.vo n. 46 del 1999) e per quanto concerne i comuni il solo caso previsto per i tributi locali dall’art. 16 D.P.R. 380/2001, “riguardante la realizzazione di opere di urbanizzazione a scomputo del contributo di costruzione, sono stabilite con apposite disposizioni di legge, non estensibili analogicamente a situazioni non contemplate”.
Oltre agli aspetti in parola insistono ripercussioni specifiche sotto il profilo tecnico/contabile anche perché il ricevimento di un bene in luogo della risorsa finanziaria incide “sugli equilibri e sui risultati di bilancio, a causa della rinuncia, da parte dell’Ente creditore, a un introito di parte corrente, nonché di tipo finanziario, conseguenti alla rinuncia alla riscossione di somme liquide, gravante sui meccanismi di cassa” inoltre, “l’accettazione di una prestazione in luogo dell’adempimento originario avrebbe come conseguenza la cancellazione di residui attivi (entrate accertate e non riscosse), con inevitabili ricadute sul risultato di amministrazione”.
4. Il baratto amministrativo
Restando in ambito di aspetti che riguardano la pubblica amministrazione, non si può non rilevare che la questione trattata dal collegio laziale rammenta la presunta previsione del c.d. baratto amministrativo contenuto nell’articolo 24 (rubricato: Misure di agevolazione della partecipazione delle comunità locali in materia di tutela e valorizzazione del territorio) del d.l. legge 133/2014 contenente “misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attivita’ produttive”.
In particolare, viene in mente una certa prassi (recente) – che oggettivamente non appare neppure legittimata dalla norma citata – di compensare debiti tributari attraverso “prestazioni lavorative” dei diretti interessati a vantaggio del comune.
E’ noto che la norma ha una ampiezza ed un significato probabilmente più ampio (e diverso) nel momento in cui statuisce che “i comuni possono definire con apposita delibera i criteri e le condizioni per la realizzazione di interventi su progetti presentati da cittadini singoli o associati, purché individuati in relazione al territorio da riqualificare. Gli interventi possono riguardare la pulizia, la manutenzione, l’abbellimento di aree verdi, piazze, strade ovvero interventi di decoro urbano, di recupero e riuso, con finalità di interesse generale, di aree e beni immobili inutilizzati, e in genere la valorizzazione di una limitata zona del territorio urbano o extraurbano. In relazione alla tipologia dei predetti interventi, i comuni possono deliberare riduzioni o esenzioni di tributi inerenti al tipo di attività posta in essere. L’esenzione è concessa per un periodo limitato e definito, per specifici tributi e per attività individuate dai comuni, in ragione dell’esercizio sussidiario dell’attività posta in essere. Tali riduzioni sono concesse prioritariamente a comunità di cittadini costituite in forme associative stabili e giuridicamente riconosciute”.
Si potrebbe rilevare che la previsione normativa faccia venire meno l’ indisponibilità delle obbligazioni tributarie e che, però, dalla norma nulla si rinviene.
Caso mai potrebbe vero un altro aspetto ovvero che la possibilità di presentare progetti e la stessa possibilità della p.a. di accettarli si riferisce a debiti non ancora sorti e non a pendenze pregresse proprio perché “a residuo” e quindi – la loro cancellazione – incide necessariamente sulla contabilità.