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( votes)Analisi di pareri e pronunce su questioni attinenti all’attività contrattuale ed in genere all’azione amministrativa delle stazioni appaltanti
L’incentivo per le funzioni tecniche nel passaggio dal decreto legislativo 163/2006 al nuovo codice degli appalti e le questioni interpretative sulla corretta liquidazione
(Corte dei Conti, sezione regionale della Basilicata, deliberazione n. 22/2017)
Indice
- Premessa
- L’analisi della sezione
- La questione interpretativa posta dal nuovo codice degli appalti
- La disciplina del trattamento incentivante nel passaggio al nuovo codice degli appalti
- Il divieto di incentivare la progettazione interna
1. Premessa
Il quesito posto da un presidente di provincia risulta di particolare attualità afferendo ad alcune questioni applicative relative all’incentivo delle prestazioni tecniche in tema di lavori (art. 113 del codice degli appalti).
In particolare, la questione involge due aspetti precisi su cui si chiede un chiarimento, in particolare:
- se la disciplina regolante l’incentivo debba ritenersi quella vigente al momento in cui l’opera è stata inserita nei documenti di programmazione, indipendentemente dal momento in cui le prestazioni incentivate vengono in concreto poste in essere;
- se, in subordine, in caso di opere già approvate e in corso di realizzazione, debbano continuare ad essere applicate le disposizioni normative vigenti al momento dell’applicazione anche per le attività tecniche già avviate ma completate successivamente (responsabile del procedimento, direzione lavori, coordinamento in fase di esecuzione, collaudo in corso d’opera e finale).
2. L’analisi della sezione
La sezione rammenta che il quesito posto prende a spunto un precedente deliberato (delibera n. 3/2015) in cui si affermava “che la disciplina che regola l’incentivo (allora destinato alla “progettazione”) fosse quella vigente al momento in cui l’opera era stata approvata. Ciò nel senso che l’obbligo di prestare l’attività richiesta e, per corrispettivo, l’obbligo di pagare l’incentivo, dovessero essere regolati secondo la disciplina vigente nel momento genetico in cui tali obblighi sono stati assunti. Tale momento, per le argomentazioni (…) sviluppate, si era ritenuto che dovesse identificarsi con l’approvazione dell’opera o del lavoro sul cui stanziamento far valere l’aliquota del 2% da destinare al “fondo” per la progettazione e l’innovazione. Di conseguenza, in osservanza del principio di (tendenziale) irretroattività della norma, un mutamento della disciplina di settore non avrebbe avuto effetti sul diritto all’incentivo, così come regolato dalla disciplina vigente al momento dell’approvazione dell’opera o del lavoro, salvo la necessaria verifica del corretto adempimento”.
Questa posizione, rammenta l’estensore della deliberazione, veniva confermata anche dalle sezioni unite (con deliberazione n. 11/2015) che ribadiva la sostanziale irretroattività della legge ed l’evidente principio per cui una legge non può “andare a modificare o a incidere su posizioni giuridiche sorte in precedenza”.
Tra le due posizioni però insisteva una diversa valutazione circa il momento in cui si sarebbe dovuta sancire l’irretroattività: secondo la sezione calabrese tale momento doveva essere individuato con l’approvazione dell’opera o del lavoro; secondo la sezione autonomie il momento invece doveva coincidere con l’esecuzione delle prestazioni (oggetto dell’incentivo) secondo il principio del “tempus regit actum”.
Circostanza quest’ultima, evidentemente, particolarmente rigorosa che esige l’applicazione anche dei vincoli eventuali che sorgessero successivamente rispetto al momento dell’approvazione dell’opera da realizzare.
Nel caso di specie la soluzione prospettata dalla sezione autonomie, “giungeva, in concreto, a rendere applicabile il limite massimo di incentivo anche alle attività tecnico-professionali espletate dai dipendenti successivamente all’entrata in vigore del D.L. 24 giugno 2014, n.90, ancorché riferibili a progetti approvati in precedenza. A seguito di tale ultimo D.L., infatti, il limite dell’incentivo pagabile annualmente per ciascun percettore, che la norma precedentemente vigente aveva fissato nella misura del 100% del trattamento economico annuo lordo, veniva ulteriormente ridotto alla misura massima del 50%. Si trattava, quindi, di spiegare l’applicazione di detto limite, più restrittivo rispetto a quello vigente in precedenza, anche a quelle prestazioni poste in essere successivamente all’entrata in vigore del decreto legge, seppure in adempimento di obblighi sorti quando il limite non sussisteva. A questo scopo la Sezione delle Autonomie si era richiamata al principio “tempus regit actum” per mantenere, da un lato, ferma l’irretroattività della nuova norma e, dall’altro, applicare la nuova regola alle prestazioni ricadenti nel tempo successivo alla sua entrata in vigore, senza che rilevasse la disciplina vigente nel momento in cui l’obbligazione era sorta”.
3. La questione interpretativa posta dal nuovo codice degli appalti
L’interpretazione impostata dalla sezione autonomie ha evidenti effetti soprattutto nel passaggio normativo tra pregresso codice e quello attuale alla luce del fatto che il decreto legislativo 50/2016 “ha modificato, principalmente, l’oggetto delle prestazioni incentivabili e i soggetti coinvolti, rispetto a quanto precedentemente regolato dall’art. 93, D.Lgs. n. 163/2006. In altre parole, talune attività e talune qualifiche professionali, che prima erano incentivabili, ora non lo sono più e, al contrario, sono oggi divenute incentivabili altre prestazioni e altre professionalità, se presenti all’interno dell’ente”.
Le conseguenze sono evidenti nel caso in cui la stazione appaltante dubitasse che le prestazioni di “progettazione”, già convenute e non ancora adempiute, “ove poste in essere successivamente alla novella legislativa, diano ancora diritto al pagamento dell’incentivo per il quale erano state accantonate le risorse nell’apposito “fondo””.
La questione, secondo il collegio, non sembra essere riconducibile al tema dell’applicazione retroattiva della norma nuova rispetto a situazioni pregresse, trattandosi, semmai, di un problema di ultrattività della norma precedente e della sua idoneità a continuare a regolare un rapporto già in essere.
Nel precedente parere (n. 3/2015), la sezione esprimeva il convincimento che, qualora si succedessero nel tempo disposizioni che diversamente prevedono e regolano l’incentivazione di talune attività (ora di progettazione ora tecniche), il discrimine tra le due discipline non è dato dal momento in cui viene compiuto ogni singolo atto in cui si realizza il rapporto obbligatorio tra il dipendente e la stazione appaltante, consistente nel compimento delle attività di “progettazione” dedotte in obbligazione, e neppure dal momento in cui deve pagarsi l’incentivo, trattandosi di un mero adempimento, ma dal momento in cui l’opera o il lavoro sono approvati e inseriti nei documenti di programmazione vigenti nell’esercizio in cui sono stati adottati o, in prospettiva, nel Documento Unico di Programmazione che la Giunta è tenuta a predisporre e presentare al Consiglio per le conseguenti deliberazioni (art. 170 TUEL).
Secondo l’estensore è proprio questo il momento, infatti, che, con il lavoro:
- viene deciso anche di affidare all’interno dell’ente le attività, (allora) di progettazione (ora) tecniche, necessarie affinché possa realizzarsi l’opera programmata;
- vengono indicati gli disponibili e da inserire nel bilancio di previsione, sulla base dei quali stabilire il valore complessivo dell’appalto da porre a base d’asta;
- vengono identificate/quantificate le risorse da destinare al “fondo” incentivazione.
In altre termini già con la precedente deliberazione n. 3/2015 la disciplina regolante il rapporto tra stazione appaltante e dipendente – trattandosi di rapporto obbligatorio di natura privatistica – è quella fissata nel momento genetico da cui scaturisce l’obbligo di rendere la specifica prestazione di “progettazione”, ovvero di programmazione, di direzione lavori, di supporto tecnico-amministrativo alle attività del responsabile del procedimento e del dirigente competente alla programmazione dei lavori pubblici (ex art. 24, D.Lgs. n. 50/2016)], e che tale momento coincide con quello di inserimento degli interventi nel documento unico di programmazione.
4. La disciplina del trattamento incentivante nel passaggio al nuovo codice degli appalti
Il collegio non sminuisce la rilevanza dell’incidenza di un “passaggio” normativo soprattutto per situazioni afferenti l’esecuzione di lavori, che esigono tempi ampi pertanto è del tutto plausibile che la disciplina del rapporto possa essere incisa con modifiche apportate da successive fonti normative e/o contrattuali.
Non è dubbio, si legge nella deliberazione, che il contenuto della prestazione obbligatoria “debba conformarsi alle regole vigenti al momento in cui essa viene resa: ad esempio, quando la norma sopravvenuta richieda l’adeguamento a certi standard tecnici o giuridici o di qualità, o il rispetto di talune prescrizioni in materia di certificazioni, di tracciabilità, e così oltre. Si tratta, a ben vedere, di disposizioni che incidono non già sulla fonte dell’obbligo, o sulla obbligatorietà della prestazione, ma solo sul suo contenuto, ovvero sui requisiti che la prestazione deve avere per essere considerata correttamente adempiuta”.
In questo contesto può anche accadere, prosegue la sezione, che la prestazione, lecita al momento in cui è sorta, diventi illecita e, quindi, vietata, prima di essere adempiuta ed allora vi è da “se questa sia la situazione venutasi a determinare per il pagamento dell’incentivo per la progettazione (ex art. 93, D.Lgs. n. 163/2006) riferito ad attività che, seppure in precedenza previste, siano state adempiute solo successivamente alla novella (art. 113 D.Lgs. n. 50/2016)”.
Secondo la Corte così non è.
In via preliminare, inoltre, si rileva che sulla questione qui in discussione non si rinvengono precedenti pronunciamenti della Sezione delle Autonomie, ed occorre pertanto prendere in considerazione, quanto affermato dall’ANAC nella Delibera n. 973 del 14 settembre 2016 – Linee Guida n. 1, di attuazione del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, recanti “Indirizzi generali sull’affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria”, ove, al capito III, paragrafo 1.3, si legge che nel caso di ricorso alla progettazione interna non potrà essere applicato l’incentivazione del 2%, espressamente vietata dalla legge delega 11/2016 (art. 1, comma 1, lettera oo), principio recepito dall’art. 113, comma 2 del decreto legislativo n. 50/2016.
5. Il divieto di incentivare la progettazione interna
Secondo l’estensore del parere l’affermazione secondo cui la legge delega n. 11/2016 abbia espressamente “vietato” l’applicazione dell’incentivazione precedentemente prevista, merita un approfondimento.
La legge di delega, all’art. 1, comma 1, let. rr (per errore indicata come oo nella citata delibera), è del seguente letterale tenore: “(princìpi e criteri direttivi specifici ai quali il Governo dovrà attenersi) revisione e semplificazione della disciplina vigente per il sistema della validazione dei progetti, stabilendo la soglia di importo al di sotto della quale la validazione è competenza del responsabile unico del procedimento nonché il divieto al fine di evitare conflitti di interesse, dello svolgimento contemporaneo dell’attività di validazione con quella di progettazione; al fine di incentivare l’efficienza e l’efficacia nel perseguimento della realizzazione e dell’esecuzione a regola d’arte, nei tempi previsti dal progetto e senza alcun ricorso a varianti in corso d’opera, è destinata una somma non superiore al 2 per cento dell’importo posto a base di gara per le attività tecniche svolte dai dipendenti pubblici relativamente alla programmazione della spesa per investimenti, alla predisposizione e controllo delle procedure di bando e di esecuzione dei contratti pubblici, di direzione dei lavori e ai collaudi, con particolare riferimento al profilo dei tempi e dei costi, escludendo l’applicazione degli incentivi alla progettazione”.
A ben vedere, l’unico “divieto” che la disposizione prescrive riguarda “lo svolgimento contemporaneo dell’attività di validazione con quella di progettazione”, e ciò per evitare conflitti di interesse.
Nulla del genere, invece, per quanto attiene la disciplina dell’incentivo; la delega si limita, infatti, a prevedere che siano incentivate attività diverse da quelle precedentemente indicate, “escludendo” l’applicazione degli incentivi alla progettazione.
Conformemente alla delega, l’art. 113 ha indicato le attività oggetto di nuova incentivazione. La nuova disciplina “si applica alle procedure e ai contratti per i quali i bandi o avvisi con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o di avvisi, alle procedure e ai contratti in relazione ai quali, alla data di entrata in vigore del presente codice, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte” (art. 216, comma 1); di conseguenza è stato abrogato l’art. 93 del D.Lgs. n. 163/2006 (unitamente all’abrogazione dell’intero articolato, ex art. 217).
In altre parole la vicenda che ha riguardato l’incentivo alla progettazione deve essere inquadrata – secondo la Corte – in un normale avvicendamento di discipline diverse, con applicazione delle nuove disposizioni alle future fattispecie e ciò in ossequio al principio della irretroattività della legge.
La circostanza che l’ordinamento, in realtà, non si sia espresso sulla non meritevolezza o sulla sopravvenuta illiceità del pagamento dell’incentivo per le prestazioni precedentemente affidate e ancora da eseguire, impedisce di pervenire alla conclusione che la nuova disciplina sia di impedimento alla conclusione del programma obbligatorio generatosi sotto la vigenza dell’abrogato art. 93. Nel caso in questione, infatti, si discute di un rapporto obbligatorio, lecitamente instauratosi tra ente (datore di lavoro) e lavoratore, avente ad oggetto diritti patrimoniali da eseguirsi con il pagamento dell’incentivo al verificarsi dell’adempimento della controparte, alle condizioni che ne impongono la liquidazione così come disciplinate dall’art. 93 citato.
Pertanto, in ordine ai quesiti posti, si conferma l’orientamento espresso da questa Sezione nel richiamato parere n. 3/2015, nel senso che la disciplina regolante l’incentivo alla progettazione resta quella vigente al momento in cui l’opera è stata inserita nei documenti di programmazione, indipendentemente dal momento in cui le prestazioni incentivate vengono in concreto poste in essere.
Stesso riscontro deve essere espresso per quanto riguarda l’incentivo collegato ad opere “già approvate e in corso di realizzazione alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 50/2016, l’adempimento della obbligazione pecuniaria (il pagamento), seppure oggetto di uno speciale “procedimento” amministrativo e contabile, non è impedito dal principio “tempus regit actum” per la ragione che: i) trattasi di rapporto obbligatorio di natura privatistica; ii) l’esclusione dell’incentivo alla progettazione è espressamente riferita alle procedure di gara non ancora attivate al momento dell’entrata in vigore della novella legislativa; iii) il pagamento non trova un chiaro e univoco divieto in alcuna disposizione di legge posta in rassegna da questa Sezione, né è precluso da altre disposizioni che impediscano il compimento di tale atto, al tempo in cui deve essere posto in essere”.