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( votes)Analisi di pareri e pronunce su questioni attinenti all’attività contrattuale ed in genere all’azione amministrativa delle stazioni appaltanti
La carenza dei pareri dei responsabili nelle deliberazioni non determinano l’illegittimità dell’atto
Corte dei Conti sezione regione Basilicata deliberazione n. 79 del 15 maggio 2014 (parere n. 11/2014)
Indice
- Premessa;
- La questione giuridica determinata dalla assenza dei pareri nella deliberazione di giunta o di consiglio;
- L’utilizzo di economie per implementare il fondo dello straordinario;
- La recente norma contenuta nell’articolo 4 del d.l. 16/2014.
1. Premessa
Alle considerazioni espresse con il commento della sentenza della Corte dei Conti della regione Toscana – in relazione ai pareri e, più in generale, all’intervento dei responsabili sulla proposta di deliberazione giuntale – si collega idealmente la recente deliberazione della Corte dei Conti della sezione regionale della Basilicata del 15 maggio 2014 n. 79 che contiene il parere n. 11/2014.
Nel caso di specie, il Sindaco di un comune lucano sottopone alla sezione un articolato quesito tendente ad ottenere un riscontro circa la congruità dell’adozione in giunta di un piano obiettivi strategici di interventi in tema di lavori pubblici, sulla necessità o meno dei pareri dei responsabili di servizio (compresa la regolarità contabile) ed infine sulla possibilità o meno di remunerare il lavoro amministrativo, finalizzato al compimento degli atti propedeutici per attivare il piano degli obiettivi attraverso economie su spesa del personale da far affluire sul “fondo” dello straordinario dei dipendenti ex articolo 14 del C.C.N.L. – enti locali – del 1999 ([1]).
La questione giuridica determinata dalla assenza dei pareri nella deliberazione di giunta o di consiglio
In relazione alla questione centrale relativa alle conseguenze giuridiche determinate dall’assenza del parere nella deliberazione, la sezione si affida all’orientamento giurisprudenziale costante del giudice amministrativo. Orientamento, di recente ribadito dal Consiglio di Stato, sezione V, con la sentenza n. 1663/2014.
Nella circostanza specifica, si è reiterata la deduzione secondo cui l’assenza dei pareri nelle deliberazioni per cui l’articolo 49 del decreto legislativo 267/2000 li esige – e quindi ad eccezione delle deliberazioni che sono mera espressione del potere di indirizzo dell’organo politico – non determina affatto la nullità né illegittimità dell’atto considerato che i pareri non sono requisiti di legittimità ma risultano esclusivamente preordinati alla individuazione sotto il profilo formale dei “funzionari che li formulano, della responsabilità eventualmente in solido con i componenti degli organi politici in via amministrativa e contabile, così che la loro eventuale mancanza costituisce una mera irregolarità che non incide sulla legittimità e la validità delle deliberazioni stesse (Cons. St., sez. V, n. 5012/2009; sez. IV, n. 3888/2008)”.
Secondo la sezione interpellata, non determinerebbe la nullità/invalidità della deliberazione neppure la mancanza del parere di regolarità contabile su atti programmatori determinando una “semplice” irregolarità amministrativa (in questo senso il Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 351/2012).
Evidentemente, la riflessione è molto importante e tende a sfatare la frettolosa riflessione secondo cui l’assenza del parere genererebbe addirittura la nullità degli atti.
E’ necessario però soffermarsi sulla questione piuttosto delicata che si pone nel caso in cui la giunta autorizzi degli interventi e/o procedure che abbiano una incidenza sul bilancio e sui cui il responsabile del servizio finanziario venga chiamato ad esprimersi sulla incidenza della decisione rispetto alla “situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell’ente”.
Seppur vero che non si pone probabilmente un problema di nullità dell’atto o di illegittimità in caso di carenza di parere – considerato che sulla deliberazione non si pone un problema di copertura che deve essere affrontato quando viene predisposto l’atto gestionale (ovvero la determinazione di impegno di spesa) – è chiaro che nella fase di redazione dell’istruttoria da parte del responsabile del procedimento di spesa occorre comunque verificare le implicanze finanziarie/contabili a maggior ragione nel caso in cui si aggiungesse il parere del responsabile del servizio finanziario. Questi non potrà sottrarsi dall’obbligo di segnalare immediatamente le conseguenze sotto il profilo della contabilità e, come visto, l’incidenza rispetto al bilancio ed al patrimonio dell’ente. Per semplificare, se il prosieguo dell’azione che l’organo politico intende attivare esigesse uno stanziamento specifico e questo non sia recuperabile e/o addirittura risulti in contrasto con le regole del patto di stabilità (e più in generale con le regole della finanza pubblica), ciascun responsabile pro quota dovrà segnalare la discrepanza e l’incongruità. Qualora questo non venisse segnalato o il parere non venisse espresso – e qui il senso del parere – la deliberazione adottata non è viziata per illegittimità né nulla, ma irregolare – più che rispetto all’esterno – rispetto allo stesso ente e foriera di determinare non poche conseguenze erariali a danno degli autori.
Nel caso di specie ovvero l’adozione di un piano di obiettivi specifici per l’ufficio tecnico, implicando questo lo svolgimento di prestazioni lavorative – fuori orario di lavoro secondo la richiesta del comune – a sommesso avviso esige oltre ad un parere tecnico di congruenza rispetto alla disciplina di definizione degli obiettivi anche un parere contabile sulla questione della remunerazione di prestazioni straordinarie dei dipendenti ([2]).
3. L’utilizzo di economie per implementare il fondo dello straordinario
Di particolare interesse appare anche il quesito circa la possibilità di aumentare il fondo destinato allo straordinario con economie su spese di personale.
La sezione elabora un articolato percorso che prende avvio dalla configurazione giuridica delle economie di spesa.
In particolare, si rileva nella deliberazione che per economie di spesa si intende – ai sensi del decreto legislativo 267/2000 art. 183, comma 4, “le minori spese sostenute rispetto all’impegno assunto, verificate con la conclusione della fase della liquidazione”; mentre altre economie sono altresì rinvenibili nel caso di riduzione/cancellazione o non utilizzo di impegni di spesa solo prenotati e non realmente impegnati al seguito del sorgere dell’obbligazione giuridica.
L’utilizzo di tali economie viene in primo luogo condizionato dalla circostanza che affluiscano nell’avanzo di amministrazione (nel caso di specie potranno essere utilizzate solo con l’applicazione dell’avanzo nel rispetto dei vincoli del patto) o esigano un specifica variazione in corso di esercizio finanziario.
Risolta detta premessa, ulteriore e fondamentale questione riguarda la possibilità ed i limiti posti dal legislatore all’incremento del trattamento accessorio dei dipendenti.
Riguardo alle voci accessorie del trattamento economico del pubblico dipendente, la normativa recente (D.L. 78/2010 come convertito con legge 122/2010 e successive modifiche imposte dalla legge di stabilità per il 2014 – legge 147/2013 -) ha previsto forti limiti al trattamento economico, sia fondamentale che accessorio, dei dipendenti pubblici anche di qualifica dirigenziale. Il comma 1 del citato articolo 9 ha stabilito il limite al trattamento economico spettante al singolo dipendente ancorandolo all’ammontare di quello ordinariamente spettante per l’anno 2010, mentre il comma 2-bis ha puntualizzato che, a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2014, l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni di cui al decreto legislativo 165/2001 non può superare il corrispondente importo dell’anno 2010 ed è, comunque, automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio. A decorrere dal 1° gennaio 2015, inoltre, le risorse destinate annualmente al trattamento economico accessorio sono decurtate di un importo pari alle riduzioni operate per effetto del precedente periodo.
Al riguardo le Sezioni Riunite della Corte che, con deliberazione 51/CONTR/11 del 4 ottobre 2011, hanno chiarito che “la ratio del citato art. 9, comma 2-bis, è quella di cristallizzare al 2010 il tetto di spesa relativo all’ammontare complessivo delle risorse presenti nei fondi unici che dovrebbero tendenzialmente essere destinate al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Si tratta di una norma volta a rafforzare il limite posto alla crescita della spesa di personale che prescinde da ogni considerazione relativa alla provenienza delle risorse, applicabile, pertanto, anche nel caso in cui l’ente disponga di risorse aggiuntive derivanti da incrementi di entrata”.
Oltre ai vincoli predetti, nel parere si segnala che le economie su spese impegnate ad inizio di esercizio – post 2010 – non concorrono più a determinare l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, che viene, comunque, automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio restando acquisite ai bilanci degli enti ai fini del miglioramento dei relativi saldi.
4. La recente norma contenuta nell’articolo 4 del d.l. 16/2014
Nell’ampia ricostruzione effettuata dalla sezione rientra anche una considerazione sul recente disposto contenuto nell’articolo 4 del d.l. 16/2014 che ritorna sulla questione della violazione dei vincoli finanziari imposti alla contrattazione collettiva alle regioni ed agli enti locali.
La norma, come noto, impone agli enti predetti che non hanno rispettato i vincoli finanziari posti alla contrattazione collettiva integrativa di “recuperare integralmente, a valere sulle risorse finanziarie a questa destinate, rispettivamente al personale dirigenziale e non dirigenziale, le somme indebitamente erogate mediante il graduale riassorbimento delle stesse, con quote annuali e per un numero massimo di annualità corrispondente a quelle in cui si è verificato il superamento di tali vincoli. Nei predetti casi, le regioni adottano misure di contenimento della spesa per il personale, ulteriori rispetto a quelle già previste dalla vigente normativa, mediante l’attuazione di piani di riorganizzazione finalizzati alla razionalizzazione e allo snellimento delle strutture burocratico-amministrative, anche attraverso accorpamenti di uffici con la contestuale riduzione delle dotazioni organiche del personale dirigenziale in misura non inferiore al 20 per cento e della spesa complessiva del personale non dirigenziale in misura non inferiore al 10 per cento. Gli enti locali adottano le misure di razionalizzazione organizzativa garantendo in ogni caso la riduzione delle dotazioni organiche entro i parametri definiti” dal decreto di cui all’articolo 263, comma 2 del decreto legislativo 267/2000.
In ogni caso, le cessazioni dal servizio non determinano risparmio utile “neppure per definire l’ammontare delle disponibilità finanziarie da destinare alle assunzioni o il numero delle unità sostituibili in relazione alle limitazioni del turn over”. In ogni caso, conclude la sezione, le norme sul contenimento del trattamento economico (tanto accessorio quanto fondamentale) del dipendente pubblico non possono essere derogate o escluse (cfr. anche Sezione regionale di controllo per il Veneto n. 285 del 2011) atteso che “la regola generale voluta dal legislatore è quella di porre un limite alla crescita dei fondi della contrattazione integrativa destinati alla generalità dei dipendenti dell’ente pubblico. In tal senso vale il richiamo al citato art. 4, D.L. n. 16/2014”.
In ultima analisi, rileva la sezione, l’unica possibilità – in tema di lavori pubblici e progettazione – che consente di implementare l’accessorio del dipendente pubblico è dato dall’incentivo sulla progettazione interna ([3]).
[1] Per completezza la richiesta era la seguente: “L’Amministrazione comunale ha manifestato la volontà di portare a compimento, nell’interesse della collettività amministrata, una serie di lavori pubblici. A tale scopo ha conferito al Responsabile di Posizione Organizzativa dell’Area tecnica l’incarico di predisporre, in base a obiettivi strategici prefissati, un Piano di lavoro o <Piano degli Obiettivi strategici> da far realizzare al personale tecnico in servizio presso la struttura comunale. Il predetto responsabile, in esecuzione dell’incarico, ha predisposto il piano indicando il personale da utilizzare, i tempi, gli adempimenti da effettuare per la realizzazione degli obiettivi prestabiliti e la presumibile spesa occorrente. Per avviare l’iter amministrativo e tecnico, l’Amministrazione è intenzionata a far proprio, sotto il profilo politico e programmatico, il <Piano degli Obiettivi strategici> come sopra predisposto, prendendo preliminarmente atto dello stesso e successivamente ponendo in essere le fasi procedimentali con l’adozione degli atti presupposti e autorizzativi per la copertura della spesa prevista.
A tal proposito, l’Amministrazione pone i seguenti quesiti: se la delibera di Giunta di semplice “presa d’atto”, avendo natura politico-programmatoria e non già provvedimentale di approvazione del <Piano>, e neppure di impegno della relativa spesa, richieda l’acquisizione dei pareri di regolarità tecnica e contabile di cui all’art. 49, comma 1, del TUEL;posto che per la dichiarazione di immediata eseguibilità di una delibera di Giunta o di Consiglio occorre indicare, anche sinteticamente, i motivi contingenti a corredo della qualificazione del livello di necessità e di urgenza attribuito dall’organo deliberante e attesi i presupposti richiesti dall’art. 134, comma 4 del TUEL, si chiede: se tale modalità deve essere anche prevista e rispettata nelle deliberazioni aventi carattere politico-programmatorio, di cui al precedente punto; a quali conseguenze giuridiche è esposta l’Amministrazione nel caso in cui le delibere di Giunta o di Consiglio non esplicitino i motivi di immediata eseguibilità;se per il finanziamento della spesa necessaria per attivare il <Piano> in argomento è possibile utilizzare economie di bilancio non vincolate e rivenienti da spese per il personale non sostenute, in aggiunta alle risorse dell’art. 14, CCNL 1 aprile 1999 per la retribuzione di lavoro svolto al di fuori del normale orario di servizio”.
[2] E’ bene rilevare che sul punto specifico la sezione non si è pronunciata ritenendo la richiesta inammissibile e non riconducibile alle materie di competenza.
[3] Fermo restando che occorrerà verificarne gli ulteriori sviluppi, è bene rilevare che anche gli incentivi in argomento sono stati “presi di mira” dalla predisponendo riforma della P.A. (che ne prevede la soppressione così come per i diritti di rogito).