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( votes)Analisi di pareri e pronunce su questioni attinenti all’attività contrattuale ed in genere all’azione amministrativa delle stazioni appaltanti
La riduzione dei canoni di locazione passiva
Corte dei Conti, sezione regionale Toscana, deliberazione del 3 febbraio 2015 n. 8
Indice
- Premessa
- Il parere
- La formulazione della norma
- Il caso specifico
- Il procedimento amministrativo
1. Premessa
Innanzi alla sezione regionale della Toscana, il Sindaco di un comune chiede chiarimenti sulla corretta interpretazione della prescrizione contenuta nell’articolo 3 – commi dal 4 al 7 – della seconda spending review (legge 135/2012) come modificata ed adeguata dal d.l. 66/2014 (modificata in fase conversione con legge 89/2014).
La disposizione, come noto, in funzione della razionalizzazione “del patrimonio pubblico e riduzione dei costi per locazioni passive” impone una disciplina specifica in tema di locazioni passive ed in particolare la riduzione dell’importo degli affitti pagati nella misura del 15%.
Il quesito era diretto ad ottenere un chiarimento riguardo all’ambito soggettivo di applicazione della prescrizione ed in particolare se “le disposizioni previste dall’articolo 3, commi da 4 a 6, relativamente alla riduzione obbligatoria del 15 per cento del canone di locazione passiva di immobili destinati ad uso istituzionale, di proprietà di terzi” consentano “margini di discrezionalità” e, in caso affermativo, se detti limiti siano da ritenersi operativi “nel caso di un immobile di proprietà di privati, destinato dall’amministrazione comunale a sede dell’ufficio urbanistica, il cui canone di locazione risulti già inferiore all’importo ritenuto congruo dall’Agenzia del demanio”.
2. Il parere
La sezione precisa che la norma sulla riduzione obbligatoria del canone non può non ritenersi applicabile anche agli enti locali soprattutto per effetto della modifica introdotta dal d.l. 66/2014 (conv. con legge 89/2014) che ha sostituito il comma 7 dell’articolo 3 della legge 135/2012 secondo cui “le previsioni di cui ai commi da 4 a 6 si applicano altresì alle altre amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in quanto compatibili. Le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano possono adottare misure alternative di contenimento della spesa corrente al fine di conseguire risparmi non inferiori a quelli derivanti dall’applicazione della presente disposizione”.
La sezione, a fondamento della propria posizione ribadisce la ratio della recente legislazione spending ovvero che le contingenze in tema di erario pubblico e di razionalizzazione delle risorse finanziarie fanno capo ad “esigenze, sempre più pressanti nell’attuale congiuntura economica, (che) non ammettano, nelle intenzioni del legislatore fatte palesi nel testo, alcuna deroga. A riprova di tale affermazione sta la considerazione che, anche laddove il legislatore abbia inteso consentire opzioni diverse dalla riduzione obbligatoria – com’è il caso per le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano – il risultato di risparmio da perseguire è mantenuto comunque fermo. L’ultima parte del comma 7, infatti, così recita:“Le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano possono adottare misure alternative di contenimento della spesa corrente al fine di conseguire risparmi non inferiori a quelli derivanti dall’applicazione della presente disposizione”.
3. La formulazione della norma
Evidentemente, il collegio è stato chiamato in causa per l’inciso che conclude il primo periodo della norma ovvero il riferimento “in quanto compatibili”.
Oggettivamente, l’inciso sembrerebbe ammettere un margine di discrezionalità dell’ente locale in merito alla possibilità di avviare altre ipotesi in luogo della riduzione obbligatoria e su questo viene focalizzato il quesito.
La sezione non si esime da un chiarimento che non elimina tutte le incertezze e che ripropongono la questione di una discutibile tecnica legislativa.
Secondo i giudici, La locuzione riportata “non vale, pertanto, a valle, a relativizzare la portata dell’obbligo introducendovi un margine di discrezionalità, ma opera piuttosto, a monte, per delimitare l’ambito soggettivo di applicazione della norma, per individuare, cioè, la platea dei soggetti che sono tenuti a realizzarne il contenuto precettivo: fra questi, come detto, gli enti locali”.
In sostanza, innanzi alla richiesta di riduzione dell’importo del canone, l’appaltatore può solo valutare – se non intendesse accettare – la possibilità di recedere dal contratto.
4. Il caso specifico
La sezione, in modo esaustivo, entra nel merito anche della specifica ipotesi ad essa sottoposta. Nel caso concreto, come si evince dal quesito sopra riportato l’amministrazione – per le proprie esigenze istituzionali – è riuscita a stipulare un contratto di locazione ad un prezzo inferiore da quanto stabilito dall’agenzia delle entrate.
In questo specifico caso, rileva il giudice escusso, il recesso dal contratto obbligherebbe l’amministrazione alla ricerca di altro contraente magari con la stipula di un contratto a condizioni peggiorative. E’ chiaro che la norma, si legge nel parere, è finalizzata a regolarizzare situazioni di tipo generale e non può essere interpretate in modo che la sua applicazione pratica determini un peggioramento delle condizioni economiche e/o maggiore esborso per la p.a.
In questo senso, nella delibera si puntualizza che “proprio l’unicità del rimedio (e l’inevitabilità delle sue conseguenze, ove l’amministrazione si trovi ancora necessitata a fruire di spazi in locazione) appare suscettibile però di condurre a un esito manifestamente incoerente, nel caso, prospettato dal Comune (…) che il canone corrisposto al privato, in base al contratto di locazione in corso, sia già inferiore all’importo ritenuto congruo dall’Agenzia del demanio, ridotto del 15 per cento. In tale ipotesi, infatti, ove l’ulteriore automatica riduzione, operata ai sensi dell’art. 3, comma 4, inducesse il privato ad esercitare il proprio diritto di recesso, l’amministrazione si troverebbe nella necessità di stipulare un nuovo contratto ad un canone più alto di quello attualmente corrisposto, con ciò vanificando proprio la finalità di vantaggio per l’Erario perseguita dalla norma (senza contare gli inevitabili inconvenienti, sul piano logistico e organizzativo, di un eventuale trasferimento di uffici). Rispetto alla richiamata finalità di risparmio, il rischio che si produca tale illogico risultato (tanto più illogico ove, in ipotesi, il nuovo contratto venisse concluso, in esito a procedura di gara, con il precedente proprietario per i medesimi locali) non può ritenersi consapevolmente assunto dal legislatore, che, però, ha omesso di regolarlo. Nel silenzio della norma, appare plausibile una interpretazione integrativa che, in luogo di applicare il 15 per cento di riduzione ad un canone di importo già modesto – provocando, in caso di recesso da parte del privato, la successiva stipula di un contratto meno vantaggioso per l’amministrazione – consenta di mantenere in essere il contratto in corso al canone attuale, fino alla naturale scadenza, ed eventualmente anche di procedere al rinnovo alle medesime condizioni. Resta attribuito all’amministrazione l’onere di valutare complessivamente l’economicità dell’operazione, in coerenza con la citata disciplina di contenimento della spesa”.
5. Il procedimento amministrativo
L’indicazione ultima fornita dal collegio costituisce utile suggerimento pratico/operativo per il responsabile del procedimento di spesa.
Questi, innanzi all’obbligo perentorio di applicare una norma giuridica – come quella della riduzione del canone di locazione – dovrà pertanto valutare la situazione concreta in cui si trova ad operare.
Se il contratto di locazione risultasse stipulato – per effetto anche della dinamica concorrenziale – ad un prezzo inferiore da quanto avrebbe potuto essere (purché ciò risulti certificato come nel caso in esame dall’agenzia delle entrate) dovranno essere tenute bene a mente le conseguenze che potranno prodursi giungendo ad un nuovo contratto (in caso di recesso da parte del locatore) evitando una stereotipata applicazione della disposizione se questa oggettivamente determini condizioni peggiorative.