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1. Premesse

Il D.L. 24 gennaio 2012 n. 1, cd. “Decreto Liberalizzazioni” o “CrescItalia” (G.U. del 24.1.2012 n. 19), recante “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”, apporta l’ennesimo “ritocco” alla disciplina dei servizi pubblici locali (“SPL”) di cui al D.L. 13 agosto 2011 n. 138 (cd. “Manovra di ferragosto”).

Le novità introdotte dal Decreto, in attesa di conversione, lungi dal conferire maggiore chiarezza all’esistente quadro in materia di affidamento e gestione dei SPL, accrescono l’incertezza e le perplessità degli operatori, chiamati il più delle volte ad una difficile opera di raccordo tra disposizioni – generali e speciali – spesso contrastanti nonchè al rispetto di un “calendario” vago e mutevole, in grado di destabilizzare anche le più salde intenzioni di sviluppo e investimento.

Tale contesto vede prossimi i termini di scadenza entro cui regioni, enti locali e imprese devono provvedere a dare avvio alla fase “a regime”, caratterizzata, in particolare, dall’affidamento dei servizi mediante gara e dalla cessazione degli affidamenti diretti preesistenti.

Tra i principali “adempimenti” ad essi richiesti dai Decreti sopra citati hanno particolare rilievo le prescrizioni relative alla determinazione degli ambiti territoriali ottimali, all’adozione della cd. “delibera – quadro”, al regime transitorio.

2. La determinazione degli ambiti territoriali ottimali

L’art. 25, comma 1, lett. a, D.L. n. 1/2012 nel modificare l’art. 3, comma 3-bis, D.L. 138/2011, incide sull’organizzazione e affidamento dei SPL innanzitutto con la previsione della costituzione obbligatoria di “ambiti o bacini territoriali”, finalizzati a garantire dimensioni adeguate ad una organizzazione più efficiente dei servizi pubblici locali (“SPL”), “a tutela della concorrenza e dell’ambiente”.

A tal fine si assegna alle regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano un termine entro cui provvedere (30.6.2012), il cui rispetto è presidiato dalla previsione dell’esercizio dei poteri sostitutivi da parte del Governo, a conferma peraltro della perentorietà del termine stesso.

Se è vero che destinatari dell’obbligo in questione sono le Regioni e le Province autonome, come emerge dal tenore letterale della norma, gli enti preposti al governo dei suddetti ambiti o bacini non coincidono necessariamente con tali soggetti e neppure con gli enti locali, potendosi ammettere anche la costituzione di eventuali soggetti “terzi”, quali, ad esempio, apposite “autorità d’ambito”, sul modello già recepito dal Codice dell’ambiente[1].

Inoltre, tale previsione ha portata potenzialmente assai ampia in quanto, stando al tenore letterale della stessa, essa riguarderebbe  tutti i SPL, sia quelli a rilevanza economica, compresi quelli esclusi invece dall’ambito applicativo del successivo art. 4, comma 34, D.L. 138/2011 (quali servizio idrico integrato, ad eccezione di quanto previsto dai commi da 19 a 27 in tema di incompatibilità, gas naturale, energia elettrica, gestione delle farmacie comunali), che quelli privi di tale rilevanza. Di qui la necessità di “leggere” la norma in parola in correlazione con il successivo art. 4 e agli obiettivi di liberalizzazione e concorrenza nel settore, lasciando spazio ad una valutazione discrezionale delle regioni circa la selezione dei servizi per i quali risulti più idonea ed efficiente la gestione a livello di “ambito” o “bacino” e di quelli, invece, per i quali è più opportuna una gestione a livello comunale.

Ai sensi del nuovo art. 3-bis, tali ambiti devono essere determinati in maniera tale da:

  • essere “ottimali e omogenei”;
  • avere comunque dimensioni non inferiori a quella del territorio provinciale[2];
  • consentire “economie di scala e di differenziazione inidonee a massimizzare l’efficienza del servizio”.

La precisazione legislativa secondo cui la dimensione del bacino o ambito non debba essere inferiore a quella provinciale (art. 3-bis cit.) letta alla luce del disposto di cui al successivo art. 4, comma 32, lett. a), in tema di aggregazione volta alla configurazione di un “gestore unico”, induce a ritenere che l’obiettivo del legislatore sia, da un lato, quello di incentivare la costituzione di ambiti relativamente ampi e, dall’altro, quello di favorire l’aggregazione delle imprese esercenti tramite la creazione di “gestori unici” che gestiscano l’intera rete dei servizi per ciascun ambito, come in seguito meglio si vedrà.

In questa prospettiva, l’aggregazione tra gli operatori economici dovrebbe quindi avvenire entro quei perimetri in cui gli stessi possano candidarsi a concorrere per il ruolo di “gestori unici”. 

Le norme in commento sono pertanto destinate inevitabilmente ad incidere sulla definizione dei bacini o lotti di gara: uno degli obiettivi sottesi a simili previsioni è evidentemente, infatti, quello di impedire il frazionamento dell’oggetto delle future gare per l’affidamento dei SPL in singoli lotti che siano di per se inadeguati e sprovvisti di “una propria funzione economica o tecnica”, così eludendo la disciplina comunitaria sugli appalti pubblici[3]. La definizione di ambiti o bacini ottimali, così come richiesta dall’art. 3-bis citato, risponde quindi all’esigenza di formare lotti funzionali economicamente sostenibili.

Al riguardo, può evidenziarsi come, secondo quanto osservato dall’AGCM, l’individuazione concreta della dimensione e delle caratteristiche di uno o più lotti presupponga l’analisi delle condizioni proprie delle reti nei diversi ambiti territoriali, nonché la valutazione, da parte dell’amministrazione locale, degli elementi tecnici ed economici concernenti la produzione dei servizi, “con particolare riguardo alle economie di scala e di gamma, e alle eventuali esigenze di coordinamento fra i diversi gestori dei servizi, che assumono speciale rilievo nel caso di un affidamento che ha ad oggetto l’intero territorio regionale”[4].

Il corretto adempimento degli obblighi in questione è incentivato, in ottica prettamente “premiale”, – oltre che dalla previsione di poteri sostitutivi – dal riconoscimento legislativo di una veste “virtuosa”, ai sensi dell’art. 20, comma 3, D.L. 98/2011, conv. in L. 111/2011, nonché di una preferenza nell’attribuzione dei finanziamenti pubblici statali[5] in favore degli enti di governo dei suddetti ambiti o bacini ovvero dei gestori dei servizi selezionati con gara o, ancora, dei gestori, anche in via diretta, di cui comunque sia verificata “dall’Autorità competente” – ancora da individuarsil’efficienza gestionale e la qualità del servizio reso.

Quanto alla concreta determinazione di tali ambiti o bacini la legge non fornisce indicazioni più dettagliate con la conseguenza che dovrà farsi riferimento alle discipline di settore, anche regionali  e alla prassi[6].

Il Decreto Liberalizzazioni impone alla Regioni di organizzare i SPL in ambiti territoriali ottimali, di dimensione non inferiore a quella del territorio provinciale, da determinarsi entro il 30.6.2012.

Il riferimento agli “ambiti territoriali ottimali” e alle sottese esigenze di omogeneità e semplificazione nell’organizzazione dei servizi pubblici erano peraltro presenti già nell’art. 14, comma 30, D.L. 78/2010, conv. in L. 122/2010, nonché nell’art. 13, comma 2, lett. c), della L. n. 180/2011 recante “Norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle imprese” (cd. “Statuto delle imprese”), che prevede al riguardo:

1) l’individuazione, in sede di predisposizione degli atti di gara, di lotti che siano adeguati alla “dimensione ottimale del servizio pubblico locale”;

2) l’individuazione di “ambiti di servizio compatibili con le caratteristiche della comunità locale”, con particolare riferimento ai servizi tradizionalmente volti a soddisfare esigenze della collettività locale, tra cui appunto il trasporto pubblico locale.

Un riferimento al territorio e alle esigenze della collettività servita è peraltro presente anche nell’art. 9 della Legge di stabilità 2012, che, modificando l’art. 4 D.L. 138/2011, vi ha introdotto un nuovo comma, il comma 33-ter, secondo le modalità attuative degli obblighi di informazione gravanti in materia sugli enti affidanti devono essere determinate “anche tenendo conto delle diverse condizioni di erogazione in termini di aree, popolazioni e caratteristiche del territorio servito”.

3. La “Delibera quadro”

Il legislatore nazionale (art. 4 D.L. 138/2011), ricalcando quanto già previsto con l’art. 23-bis D.L. 112/2008 s.m.i., impone agli enti locali ed eventualmente agli enti , previa apposita istruttoria, l’obbligo di verificare la realizzabilità o meno della gestione concorrenziale dei SPL di rilevanza economica e di adottare una delibera “quadro” in cui esporne i risultati.

Gli enti locali sono dunque oggi tenuti ad adottare la delibera in questione entro il 13.8.2012 e, comunque, ogniqualvolta intendano procedere al conferimento dei servizi (con gara oppure in house) ovvero al rinnovo della gestione degli stessi, essendo la stessa condizione preliminare e necessaria tali fini: ne viene che, nel caso in cui tali enti intendano procedere in tal senso anche prima del suddetto termine “finale”, devono comunque provvedere all’adozione della delibera citata.

Quanto al contenuto della verifica e della relativa delibera, agli enti affidanti si chiede, in particolare, di motivare in ordine al ricorso alla strumento della cd. “concorrenza per il mercato” (concessione di diritti di esclusiva tramite gara), piuttosto che alla “concorrenza nel mercato” ossia alla liberalizzazione piena del settore, indicandone i relativi benefici per la comunità locale. La regola, dettata al riguardo dal legislatore, è quella di liberalizzare tutte le attività economiche se e nei limiti in cui ciò non comprometta le caratteristiche di universalità e accessibilità del servizio in questione; in subordine, ossia solo ove ciò non sia possibile e si debba ricorrere alla attribuzione di diritti di esclusiva, quest’ultima deve essere limitata alle ipotesi – dimostrate e documentate nella predetta analisi di mercato – in cui “la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità”.

Nell’effettuare tale verifica, gli enti locali devono individuare e tenere in considerazione “i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e universale” (periodo introdotto con l’art. 25 del D.L. 1/2012).

La verifica compiuta dagli enti locali e la relativa delibera sono sottoposti al parere obbligatorio dell’AGCM, da rendersi entro 60 giorni (sono esclusi dall’obbligo di richiedere il parere, invece, gli enti con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti, fermo restando anche per essi, tuttavia, l’obbligo di adottare la “delibera quadro”).

Con la stessa delibera va verificata l’eventuale opportunità di procedere all’affidamento simultaneo con gara di più servizi pubblici locali: in tal caso, gli enti affidanti devono dimostrare che si tratti di una scelta “economicamente vantaggiosa”.

Il nuovo Decreto Liberalizzazioni impone agli enti locali o agli enti di governo locale dell’ambito o del bacino, ove costituiti di adottare e di inviare all’AGCM lo schema di “delibera-quadro” entro il 13.8.2012. L’adozione definitiva avverrà entro 30 gg. dal parere dell’AGCM. L’invio all’AGCM è richiesto solo se si tratta di enti con popolazione superiore ai 10.000 abitanti, diversamente termine unico è il 13.8.2012.

Per la definizione dei criteri in base ai quali effettuare la verifica e adottare la relativa delibera occorrerà attendere l’emanando decreto del Ministro per gli Affari regionali, il Turismo e lo Sport, da adottarsi entro il 31.3.2012, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e dell’interno, sentita la Conferenza unificata (art. 4, comma 33-ter), contenente lo “schema” di delibera-quadro cui gli enti faranno riferimento.

4. La deroga in caso di aggregazione

L’art. 26, comma 1, del Decreto Liberalizzazioni ha modificato la disciplina transitoria relativa agli affidamenti non conformi alla nuova disciplina, sia in house che diretti in favore di soggetti privati, di cui alla lett. a) dell’art. 4, comma 32, D.L. 138/2011 s.m.i.[7].

Ai sensi della nuova disposizione, è possibile derogare al regime transitorio di cui al primo periodo della stessa lett. a) citata, (che prevede la cessazione al 31.12.2012 degli affidamenti in house o diretti non conformi alla nuova normativa) ove le preesistenti “gestioni dirette o in house” si aggreghino entro il 31.12.2012 in maniera tale da configurare un unico gestore del servizio a livello di ambito o di bacino territoriale ottimale ai sensi dell’art. 3-bis. Non solo. A tale aggregazione il legislatore collega la possibilità di beneficiare di un nuovo affidamento diretto, di durata massima di 3 anni. La ratio della norma appare doversi ricondurre ragionevolmente ad esigenze di efficacia ed efficienza della gestione dei SPL.

La norma, tuttavia, manca di coerenza sistematica:

  • essa, da un lato, estende espressamente il proprio ambito applicativo anche alle “gestioni dirette”;
  • dall’altro, fa riferimento ad un nuovo affidamento “in house” che, in quanto tale, potrebbe essere effettuato solo in favore di società a totale partecipazione pubblica (coerentemente alla giurisprudenza comunitaria e nazionale in materia, allo stesso art. 4, comma 13, D.L. 138/2011 cit., agli orientamenti dell’AGCM).

In base ad una rigorosa interpretazione del comma 32, lett. a), dell’art. 4, solo un’azienda risultante dall’integrazione di società totalmente pubbliche potrebbe beneficiare dell’affidamento diretto dei servizi per 3 anni, connesso al processo di aggregazione, di cui all’art. 4,  comma 32, lett. a), ultimo periodo, (introdotto nel D.L. 138/2011 dal Decreto Liberalizzazioni).

Un’interpretazione della norma in esame che ne restringesse l’ambito applicativo alle sole aziende pubbliche sarebbe, tuttavia, irragionevole ed incoerente.

La norma interpretata restrittivamente violerebbe, infatti, il principio di non discriminazione e di parità di trattamento tra imprese pubbliche e private[8]. Se lo scopo ultimo della norma è infatti quello di incrementare il volume dimensionale delle imprese che attualmente gestiscono servizi in affidamento diretto indipendentemente dalla composizione azionaria (e non delle sole imprese pubbliche) contestualmente ad un ampliamento dei bacini territoriali omogenei, una discriminazione in base alla proprietà del capitale può apparire non giustificata.

In materia di trasporto pubblico, ad esempio, il Regolamento (CE) 1370/2007 definisce l’”aggiudicazione diretta” in senso ampio, quale “aggiudicazione di un contratto di servizio pubblico a un determinato operatore di servizio pubblico senza che sia previamente esperita una procedura di gara” (art. 2, lett. h, “Definizioni”); ed altresì definisce l’”operatore di servizio pubblico” come “un’impresa o un gruppo di imprese di diritto pubblico o privato che fornisce servizi di trasporto pubblico di passeggeri o qualsiasi ente pubblico che presta servizi di trasporto pubblico di passeggeri” (art. 2, lett. d)[9].

Una diversa interpretazione della norma in questione, che ne estendesse l’ambito applicativo anche alle imprese private, qualificabili come “gestioni dirette”[10], contrasterebbe peraltro con il dato testuale. In effetti, solo un’azienda risultante dalla fusione di società totalmente pubbliche potrebbe ricevere un affidamento “in house”, qual è quello richiamato dal comma 32, lett. a) in questione. Come noto, l’affidamento in house, infatti, richiede la totale partecipazione pubblica delle imprese a questo titolo affidatarie, con ciò precludendosi la possibilità alle imprese private di far parte dell’unica società risultante dall’aggregazione[11].

Sarebbe pertanto opportuna una modifica chiarificatrice del testo vigente dell’art. 25, comma 1, del Decreto Liberalizzazioni, in maniera tale da sostituire la locuzione “l’affidamento per la gestione “in house” con la locuzione “l’affidamento diretto”, espungendo quindi la locuzione “in house” dall’ultimo periodo del comma in esame.

La considerazione secondo cui, in tal modo, si potrebbe configurare un’ipotesi di affidamento diretto (non in house) difforme da quanto disposto dall’art. 4 (in base al quale l’unico affidamento diretto ammissibile – e sempre in via di deroga – appare essere quello in house) potrebbe essere agevolmente superata dalla necessità di coerenza con la ratio legis (creazione di operatori aventi dimensione di bacino mediante aggregazione di gestioni preesistenti), oltre che di evitare discriminazioni ingiustificate tra gli operatori nella fase transitoria (l’art. 25, comma 1, n. 6, cit., come detto, tratta delle modifiche da apportare al comma 32 dell’art. 4 cit., che riguarda il periodo transitorio – non già la fase “a regime” – ed è in relazione a tale fase transitoria che esso prevede la possibilità di aggregazione e di affidamento ex novo).

L’incentivo all’aggregazione, infatti, come previsto dall’art. 25, comma 1, n. 6, cit., presuppone necessariamente che le imprese si aggreghino in maniera “tale da configurare un unico gestore del servizio a livello di ambito o di bacino territoriale ottimale” ai sensi dell’art. 3-bis D.L. 138/2011 s.m.i..

La determinazione degli ambiti o bacini, come evidenziato ai paragrafi che precedono, dovrebbe essere funzionale prioritariamente ad esigenze di efficienza e creazione di economie di scala, perseguibile (nel disegno normativo in commento) mediante l’aggregazione dei preesistenti gestori entro quei perimetri in cui gli stessi possano candidarsi a concorrere per il ruolo di “gestori unici”[12].

Per contro, l’esclusiva applicabilità della norma in esame alle società pubbliche, anche in considerazione della effettiva presenza di molteplici operatori privati negli ambiti di riferimento regionali o locali, potrebbe costituire, in determinate specificità territoriali, un ostacolo alla realizzazione del disegno normativo nel suo complesso.

Quadro  temporale


[1] Al riguardo, non poche perplessità suscita il problema del coordinamento con la disciplina di settore che, per quanto attiene al servizio idrico e dei rifiuti, già prevede la costituzione obbligatoria di ambiti territoriali ottimali nonché di apposite Autorità d’ambito (cfr. D.Lgs. 152/2006, “Codice dell’ambiente”). L’art. 3-bis, invero, a differenza dell’art. 4 D.L. 138/2011 s.m.i., disciplinante le modalità di affidamento dei SPL , non ha espressa efficacia “prevalente” sulle discipline di settore con esso incompatibili e ciò lascerebbe spazio al principio “lex specialis derogat generali”. Tuttavia, la questione andrebbe ridimensionata anche in considerazione delle modifiche che da ultimo hanno riguardato il suddetto Codice dell’ambiente, disponendo la soppressione delle Autorità d’ambito territoriali ottimali per la gestione di rifiuti e servizio idrico a decorrere dal 31.12.2012 (cfr., sul punto, l’art. 2, comma 186-bis, L. n. 191/2009, introdotto dall’art. 1, comma 1-quinquies L. n. 42/2010 come modificato dall’art. 13 del recente D.L. n. 216/2011, cd. “Milleproroghe”). In conseguenza di tale soppressione, le funzioni prima attribuite in materia alle suddette Autorità – in assenza di ulteriori chiarimenti legislativi – torneranno presumibilmente in capo alle Regioni, raccordandosi pertanto con il nuovo disegno legislativo delineato dall’art. 3-bis più volte richiamato.

[2] Al riguardo va rilevato che nel recente “Parere sul ddl di conversione in l. del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, recante: “disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività” (A.S. 3110)” è previsto un emendamento (n. 6) volto ad eliminare dal testo dell’art. 3-bis in commento le parole “comunque non inferiori alle dimensioni del territorio provinciale”.  Nel citato Parere si osserva infatti che “non è auspicabile la definizione di una dimensione minima provinciale e non di una tendenziale di riferimento. Ad esempio, nel caso di bacini urbani molto grandi, è noto che l’apertura al mercato si ottiene attraverso il frazionamento in più lotti ottimali di circa 10.000.000 di chilometri. Analogamente, nel caso di servizi suburbani che collegano bacini di piccoli comuni caratterizzati da interrelazioni istituzionali (ad esempio scuole, asl, INPS, ecc., distribuite su più comuni limitrofi che costituiscono una conurbazione), il bacino ottimale sarebbe ben inferiore al territorio provinciale, mentre una pianificazione di livello provinciale non soddisferebbe la domanda e sarebbe finanche diseconomica.”.

[3] Cfr. AGCM, Bandi di gara in materia di appalti pubblici, Segnalazione del 17.12.1999 (AS187).                   

[4]Cfr. AGCM, Segnalazione del 27 aprile 2009, AS519, “LEGGE FINANZIARIA REGIONALE DEL LAZIO – SERVIZIO DI TRASPORTO PUBBLICO LOCALE SU STRADA”, in cui tra, l’altro, l’AGCM evidenzia che “la decisione di procedere alla individuazione di un lotto unico non appare neutra rispetto alle dinamiche competitive che possono presentarsi sul mercato, in quanto la scelta del numero dei lotti in base al quale suddividere il servizio e le caratteristiche degli stessi possono avere rilevanti implicazioni concorrenziali sulla struttura del mercato interessato da un eventuale bando di gara, in termini di numerosità e caratteristiche degli operatori.”.

[5]L’art. 3-bis, comma 2, infatti prevede che “A decorrere dal 2013, l’applicazione di procedure di affidamento dei servizi a evidenza pubblica da parte di Regioni, Province e Comuni o degli enti di governo locali dell’ambito o del bacino costituisce elemento di valutazione della virtuosità degli stessi ai sensi dell’articolo 20, comma 3, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. A tal fine, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nell’ambito dei compiti di tutela e promozione della concorrenza nelle Regioni e negli enti locali comunica, entro il termine perentorio del 31 gennaio di ciascun anno, al Ministero dell’economia e delle finanze gli enti che hanno provveduto all’applicazione delle procedure previste dal presente articolo. In caso di mancata comunicazione entro il termine di cui al periodo precedente, si prescinde dal predetto elemento di valutazione della virtuosità”.

Ai sensi del comma 3 del citato articolo, inoltre, “(…) i finanziamenti a qualsiasi titolo concessi a valere su risorse pubbliche statali ai sensi dell’articolo 119, quinto comma, della Costituzione sono prioritariamente attribuiti agli enti di governo degli ambiti o dei bacini territoriali ottimali ovvero ai relativi gestori del servizio selezionati tramite procedura ad evidenza pubblica o di cui comunque l’Autorità di regolazione competente abbia verificato l’efficienza gestionale e la qualità del servizio reso sulla base dei parametri stabiliti dall’Autorità stessa.”.

[6] Più preciso al riguardo – sebbene non vincolante per le regioni – era l’abrogato art. 23-bis, comma 7, D.L. 112/2008 s.m.i., secondo cui “Le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze e d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’ articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, possono definire, nel rispetto delle normative settoriali, i bacini di gara per i diversi servizi, in maniera da consentire lo sfruttamento delle economie di scala e di scopo e favorire una maggiore efficienza ed efficacia nell’espletamento dei servizi, nonché l’integrazione di servizi a domanda debole nel quadro di servizi più redditizi, garantendo il raggiungimento della dimensione minima efficiente a livello di impianto per più soggetti gestori e la copertura degli obblighi di servizio universale”.

[7]Ai sensi del citato comma 32, lett. a) “In deroga, l’affidamento per la gestione «in house» può avvenire a favore di azienda risultante dalla integrazione operativa, perfezionata entro il termine del 31 dicembre 2012, di preesistenti gestioni dirette o in house tale da configurare un unico gestore del servizio a livello di ambito o di bacino territoriale ottimale ai sensi dell’articolo 3-bis.

In tal caso il contratto di servizio dovrà prevedere indicazioni puntuali riguardanti il livello di qualità del servizio reso, il prezzo medio per utente, il livello di investimenti programmati ed effettuati e obiettivi di performance (redditività, qualità, efficienza).

La valutazione dell’efficacia e dell’efficienza della gestione e il rispetto delle condizioni previste nel contratto di servizio sono sottoposti a verifica annuale da parte dell’Autorità di regolazione di settore. 

La durata dell’affidamento in house all’azienda risultante dall’integrazione non può essere in ogni caso superiore a tre anni”.

[8] Si vedano al riguardo:

– Regolamento CE 1370/2007 (Considerando 20) nel senso che “Quando l’autorità pubblica decide di affidare a un terzo un servizio d’interesse generale, la scelta dell’operatore di servizio pubblico deve avvenire nell’osservanza della normativa comunitaria in tema di appalti pubblici e di concessioni, quale risulta dagli articoli d 43 a 49 del trattato, nonché nell’osservanza dei principi di trasparenza e di parità di trattamento.”;

Direttiva 80/723/CEE della Commissione, del 25 giugno 1980, relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie fra gli Stati Membri e le loro imprese pubbliche nel senso che “poiché il trattato CEE lascia del tutto impregiudicato il regime di proprietà negli Stati membri, deve essere assicurata la parità di trattamento tra le imprese pubbliche e le imprese private”;

– Segnalazione al Governo e al Parlamento, AS864 del 26 agosto 2011 “l’Autorità sottolinea l’opportunità di accompagnare il processo di riforma del settore dei servizi pubblici locali con misure di garanzia dell’efficienza e della qualità della gestione del servizio, e ciò indipendentemente dalla natura pubblica o privata del gestore”.

[9] Del pari, l’art. 4 D.L. 138/2011 s.m.i., al comma 33, in tema di divieto di attività extra moenia, fa riferimento agli “affidatari diretti” in senso ampio, comprendendovi anche gli affidamenti diretti in favore di soggetti privati.

[10] La norma in effetti fa riferimento, quanto ai soggetti che potrebbero beneficiare dell’affidamento diretto per un massimo di 3 anni, a “gestioni dirette o in house”: distinguendo così i concetti di società in house e di società titolari di affidamento diretto (tra cui in astratto potrebbero rientrare anche società private titolari di affidamento senza gara).

[11] In realtà, nel caso delle concessioni di servizi di trasporto pubblico locale, il Regolamento CE 1370/2007 (art. 5, par. 2) ammette che l’affidamento in house possa avvenire anche in favore di società a parziale partecipazione pubblica. Tale normativa settoriale è, tuttavia, “recessiva” – poiché incompatibile – rispetto alla “prevalente” normativa nazionale di cui all’art. 4 cit., che, al comma 13, ammette l’in house solo in favore di società al 100% pubbliche (testualmente “capitale interamente pubblico”). Tale “prevalenza” opera in virtù dell’espressa clausola nuovamente introdotta dal legislatore italiano (v. art. 4, comma 34, come modificato dall’art. 9  L. 183/2011).

[12] Con riguardo, ad esempio, al settore del TPL, la disposizione in commento potrebbe avere effetti paralizzanti di forte chiusura del mercato per i soggetti privati in quelle regioni (si pensi al Lazio) caratterizzate dalla prevalenza di forti monopoli pubblici. In altre regioni (si pensi alla Calabria, dove non sussistono affidamenti di TPL in house e le società pubbliche non sono tali da poter configurarsi come “gestore unico” di ambito o bacino), la norma resterebbe praticamente priva di applicazione ove interpretata come riguardante esclusivamente le suddette società pubbliche o in house

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Questo articolo è stato scritto da...

Massimiliano Lombardo
Avv. Massimiliano Lombardo
Esperto e docente in materia di appalti pubblici
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