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( votes)1. Premessa
“A proposito di ribassi “eccessivamente” convenienti per gli enti appaltanti
Eccellenza Ministro della Guerra, abbiamo opere di costruzione che trasciniamo da anni non mai terminate, e che forse terminate non saranno mai.
Questo succede, Eccellenza, per la confusione causata dai frequenti ribassi che si apportano nelle opere Vostre, poiché va certo che tutte le rotture di contratti, così come i mancamenti di parola ed il ripetersi degli appalti ad altro non servono che ad attirarVi, quali Impresari, tutti i miserabili che non sanno dove batter del capo ed i bricconi e gli ignoranti, facendo al tempo medesimo fuggire da Voi quanti hanno i mezzi e la capacità per condurre un’impresa.
E dirò, inoltre, che tali ribassi ritardano e rincarano considerevolmente i lavori, i quali ognora più scadenti diverranno.
E dirò pure che le economie realizzate con tali ribassi e sconti cotanto accanitamente ricercati, saranno immaginarie, giacché similmente avviene per un Impresario che perde, quanto per un individuo che s’annoia: s’attacca egli a tutto ciò che può, ed attaccarsi a tutto ciò, che si può, in materia di costruzioni, significa non pagare i mercanti che fornirono i materiali, compensare malamente i propri operai, imbrogliare quanto più gente si può, avere la mano d ‘opera più scadente, come quella che a minor prezzo si dona, adoperare i materiali peggiori, trovare cavilli in ogni cosa e leggere la vita ora di questo ora di quello.
Ho scelto di dar inizio a questo contributo, riportando in apertura e in chiusura una lettera del 1693, perchè sembra esser scritta oggi.
2. La concorrenza e il giusto prezzo.
L’obbligo di porre a base d’asta listini aggiornati e quindi realmente competitivi, costituisce principio generale di imparzialità e concorrenza, in quanto essa è parte integrante della disciplina dell’anomalia dell’offerta, posto che, logicamente, se i prezzi a base d’asta non sono corrispondenti all’effettivo andamento attuale del mercato, non è possibile alcun giudizio serio ed efficace sulla congruità dell’offerta, ai fini della sostenibilità economica dell’appalto.
Questo è il primo aspetto da cui muovere una seria ricostruzione su
quale siano le difficoltà che si incontrano in sede di gara quando ci si
cimenta nella verifica della congruità dell’offerta presentata. Si badi bene,
che il primo a doversi porre il problema di cosa sia un’offerta congrua è la
stazione appaltante che predispone gli atti di gara, con particolare riferimento
all’oggetto del capitolato e del successivo contratto e conseguentemente la
fissazione della base d’asta. L’art. 89, comma 3, del
d.lgs.vo 12 aprile 2006, n. 163 (c.d. codice dei contratti), corrispondente al
previgente articolo unico della l. 7 novembre 2000, n. 327, statuisce che,
nella predisposizione delle gare di appalto, le stazioni appaltanti devono
garantire che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo
del lavoro, come determinato, ai sensi del precedente art. 87, comma 2, lettera
g), sulla base di apposite tabelle periodiche predisposte dal Ministro del
lavoro e delle politiche sociali.
In virtù del principio di gerarchia delle fonti, una direttiva assessoriale
(che per esigenze di contenimento dei costi degli appalti, stabilisce una
decurtazione della spesa storica di una percentuale pari al 5,70 %) non può
legittimare la violazione di una norma primaria. (Tribunale Amministrativo Regionale Sicilia
Palermo sez. I 4 marzo 2010 n. 2378)
Purtroppo molto spesso assistiamo al triste fenomeno della sottostimazione del valore del servizio da parte degli uffici, sottostimazione dovuta sempre più di frequente non ad una erronea ricostruzione del prezzo di gara, quanto piuttosto da necessità di ristrettezze finanziarie degli enti.
La giurisprudenza ha stigmatizzato questo comportamento come illegittimo, foriero di annullamenti in autotutela delle procedure attese le gravi conseguenze che comporta ai fini tanto della corretta e sana partecipazione alla gara e tanto ai fini della esecuzione del contratto, della prestazione per la quale si sta andando in gara.
L’obbligo di assicurare nei pubblici incanti l’effettivo adeguamento
dei prezziari ai valori di
mercato correnti, non è un mero elemento di legittimità della procedura di
gara, ma è una sostanziale condizione di efficacia e di efficienza dell’azione
amministrativa che trae fondamento dall’art. 97 della Costituzione, in quanto
attiene a principi di ordine generale che è opportuno evidenziare
accuratamente.
L’istituto dell’adeguamento dei prezziari
delle opere pubbliche è difatti rivolto a tutelare interessi pubblici generali,
quali le condizioni di serietà dell’offerta nel sistema degli appalti pubblici
ed la connessa tutela di una sana concorrenza del mercato. Nel settore dei pubblici
appalti dunque i prezzari, strumenti di riferimento per le opere pubbliche,
devono essere aggiornati con procedure amministrative tipiche, ossia
specifiche, non surrogabili in via di fatto con analisi di mercato non rese
nelle pubbliche forme: l’aggiornamento dei prezzari è procedimentalizzato
perché serve a rendere di pubblica fede e conoscibile da parte della generalità
dei terzi e del mercato che l’Amministrazione appaltante ha utilizzato per la base d’asta valori competitivi, ciò allo scopo di consentire la massima
partecipazione possibile alla procedura di gara e di tutelare l’affidamento
delle imprese alla serietà della proposta al pubblico di progetto e di
contratto che la base d’asta implica.
Proprio in applicazione di tale previsione, si è già più volte ritenuto
illegittimo il bando che ponga a base
di gara un prezzario non aggiornato ai sensi dell’art. 133, co. 8, d.lgs. n.
163/2006, con prezzi incongrui e non attualizzati, oggettivamente inferiori a
quelli di mercato come rilevabili dal tariffario regionale (Tar Veneto, I, 17 marzo 2008 n. 670; Tar Sicilia Catania, I, 20 maggio
2008 n. 938 e n. 2281/08 cit.; Tar Umbria, I, 7 giugno 2008 n. 247). Più
specificatamente la giurisprudenza ha puntualizzato la necessità che le
procedure di gara siano poste in essere sulla base di prezzari aggiornati, con valori economici coerenti con
l’attuale andamento del mercato, a pena di intuibili carenze di effettività
delle offerte e di efficacia dell’azione della Pubblica Amministrazione, oltre
che di sensibili alterazioni della concorrenza tra imprese, essendo penalizzate
dai prezzi non aggiornati soprattutto le imprese più competitive, perché
sopportano i maggiori oneri per l’aggiornamento dei costi del lavoro, per
l’investimento, la formazione e così via (cfr.
Tar Calabria Reggio Calabria n. 131 del 2009; Tribunale
Amministrativo Regionale Campania Napoli sez. I 1ottobre 2009 n. 5130).
La congruità di un’offerta deve esser accertata in gara, ma ben sappiamo che il nostro sistema attuale non fa nulla di tutto ciò, in quanto la legislazione attuale impone semmai una verifica della anomalia di un’offerta e non già la congruità.
La formulazione dell’art. 86 è esemplare nella parte in cui dopo aver previsto i due meccanismi matematici attraverso i quali individuare la offerta sospetta di anomalia, precisa che in ogni caso la stazione appaltante può verificare la congruità di qualsiasi offerta presenti elementi anomalia, dando prova di confondere oltretutto due concetti assolutamente diversi: quello di anomalia, giudizio relativo risultante di un’operazione matematica, e quello di congruità , giudizio assoluto ricostruito a posteriori in ragione di elementi di valutazione oggettivi desumibili quanto meno dai listini prezzi e dai prezzi di mercato ove deve esser resa la prestazione.
Ebbene, in questo strano conflitto tra offerta congrua e offerta anomala, la stazione appaltante dovrebbe rintracciare una normativa che disciplini con rigore cosa si debba fare in gara per individuare non già l’offerta anomala o congrua, ma la miglior offerta presentata per lo svolgimento della prestazione.
In un mercato concorrenziale sano, non si dovrebbe neppure porre il problema dell’anomalia dell’offerta e della congruità, in quanto la prestazione che la stazione appaltante vuole è perfettamente descritta e quantificata nella base d’asta; si vorrebbe solo sapere quale ribasso l’imprenditore, – facendo uso della sua maestria e, non giochi di prestigio – , riesca ad offrire alla stazione appaltante. Purtroppo sappiamo bene che non è così e ci ritroviamo a combattere con una normativa che nel tentativo di arginare un fenomeno ormai patologico, quale quello delle offerte anomale, ogni anno introduce una novità, anche per perseguire fini che non sono proprio diretti di una amministrazione in quanto stazione appaltante, ma interessi più generali, come il rispetto delle condizioni di lavoro, il contratto collettivo, le tariffe, gli oneri della sicurezza. Indirettamente attraverso la verifica dell’anomalia dell’offerta, il legislatore impone alle amministrazione di assicurare il rispetto di obblighi che in realtà da altri dovrebbero esser controllati in quanto obblighi inerenti l’imprenditore in quanto tale ai sensi dell’art. 2082 cod. civ.
Ed è per questa strana ricostruzione che noi ci ritroviamo a parlare di oneri della sicurezza, utile di impresa, spese generali e quant’altro non in una disposizione ad hoc dedicata agli elementi costitutivi di un’offerta, inserita nel codice dei contratti possibilmente prima dei criteri di aggiudicazione e della norma che oggi leggiamo solo all’art.89, dopo si badi bene a quelle che trattano dell’anomalia, bensì in quella norma che serve per portare dopo un lungo procedimento all’esclusione dalla gara.
Anche la collocazione sistematica delle disposizioni è importante per una corretta ricostruzione della norma da parte dell’interprete; invece, occorre cimentarsi con voli pindarici tra norme, disposizioni e in esse tra comma diversi per riuscire ad enucleare un qualcosa che sembra assolutamente scontato , ma non lo è: la stazione appaltante chiede qualcosa e dice quanto è disposta a spendere per quel qualcosa alla luce dei dati ufficiali di mercato; a questa, risponde un operatore economico nella sua autonomia e libera iniziativa economica deve offrire la propria prestazione che si colloca sul solco di quanto descritto dalla stazione appaltante. Questo dovrebbe darci il mercato, con l’unico correttivo che il Legislatore giustamente prevede della verifica di qualche offerta che si presenti particolarmente interessante sotto il profilo economico, tanto interessante da dover richiedere una verifica in contraddittorio, per poter beneficiare di condizioni che il mercato offre in quel preciso momento.
Questo ha tentato di descrivere il nostro legislatore agli articoli 86, 87 e 89 quando ha cercato di far incontrare la volontà della stazione appaltante con l’offerta dell’operatore economico, ricostruendo un percorso ad ostacoli ove diversi profili di un offerta si trovano a dover esser verificati e valutati spesso in modo superficiale, perché il fine è quello di dimostrare che quell’offerta è attendibile.
La giurisprudenza, sul punto ha chiarito che il giudizio di verifica della congruità di un’offerta anomala ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell’offerta nel suo insieme e costituisce espressione di un potere tecnico-discrezionale dell’Amministrazione di per sé insindacabile in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui le valutazioni siano manifestamente illogiche o fondate su insufficiente motivazione o affette da errori di fatto (da ultimo Consiglio di Stato sez. V 11 marzo 2010 n. 1414). Si pensi che nel caso di aggiudicazione all’offerta economicamente più vantaggiosa, le giustificazioni in caso di sospetto di anomalia non devono riguardare solo le voci di prezzo che concorrono a formare l’importo complessivo posto a base di gara, ma anche gli altri elementi di valutazione dell’offerta. (Tribunale Amministrativo Regionale Calabria Reggio Calabria 4 giugno 2010 n. 532; la sentenza prosegue, peraltro precisando, che l’incombenza di effettuare la verifica di congruità delle offerte non può essere affidata al responsabile unico del procedimento, ciò non impedisce, però, al medesimo di effettuare ogni indagine e verifica che egli ritenga necessaria, purché ciò non si traduca in una integrale sottrazione alla commissione delle funzioni valutative alla stessa riservate (in termini Tar Ancona, 30 settembre 2009 n. 908; T.A.R. Trentino Alto Adige Bolzano, 30 luglio 2008 n. 269; Id, 21 aprile 2009 n. 146).
Ed è per questo che in sede di verifica delle offerte si comincia una vivisezione della offerta al fine di scandagliare sin al più recondito aggettivo o avverbio cosa stia macchiando l’impresa, una sorta di tac impietosa di un qualcosa che è un corpus unico e sta in piedi in quanto considerata nella sua complessità.
Dalla giurisprudenza si desume che ciò che si può consentire in sede di verifica dell’offerta anormalmente bassa è: a) o una modifica delle giustificazioni delle singole voci di costo (rispetto alle giustificazioni già fornite), lasciando le voci di costo invariate; b) oppure un aggiustamento di singole voci di costo, che trovi il suo fondamento o in sopravvenienze di fatto o normative che comportino una riduzione dei costi, o in originari e comprovati errori di calcolo, o in altre ragioni plausibili. La giurisprudenza ha, infatti, precisato che il subprocedimento di giustificazione dell’offerta anomala non è volto a consentire aggiustamenti dell’offerta per così dire in itinere ma mira, al contrario, a verificare la serietà di una offerta consapevolmente già formulata ed immutabile (Cons. St., sez. V, 12 marzo 2009 n. 1451).
Quello che non si può, invece, consentire è che in sede di giustificazioni vengano apoditticamente rimodulate le voci di costo senza alcuna motivazione, con un’operazione di finanza creativa priva di pezze d’appoggio, al solo scopo di “far quadrare i conti” ossia di assicurarsi che il prezzo complessivo offerto resti immutato e si superino le contestazioni sollevate dalla stazione appaltante su alcune voci di costo (Consiglio di Stato sez. V 15 giugno 2010 n. 3759).
In altri termini, le norme dettate in materia di offerte anomale, per la loro esclusione dalle gare di appalto, devono essere intese non come un insieme di disposizioni rigide, ma come lo strumento attraverso cui le stazioni appaltanti pubbliche devono verificare la serietà delle offerte presentate dai concorrenti. Esse consentono, tramite il contraddittorio che si instaura con le PA, di condurre in modo approfondito tale verifica (Tar del Lazio, III ter 20 maggio 2010 n. 12518). La sentenza chiarisce che anche la stessa offerta iniziale, in sede di verifica della anomalia, può essere parzialmente modificata. Infatti viene chiarito che “nella procedura di verifica dell’anomalia un limitato rimaneggiamento degli elementi dell’offerta è ammissibile, ferma restando l’immodificabilità dell’offerta nel suo complessivo importo economico, poiché cosa diversa è la immodificabilità dell’offerta dai parametri dimostrativi dell’affidabilità e remunerabilità dell’offerta stessa, che non possono dirsi predeterminati, essendo essi influenzati da una molteplicità di elementi per loro natura variabili: condizioni di mercato delle materie prime e dei semilavorati, credito contrattuale, economie di scala, costi di mano d’opera etc. (Consiglio di Stato, Sezione VI, 21.5.2009, n. 3146)”. Ed ancora, viene ricordato che “secondo la costante giurisprudenza amministrativa, nelle gare d’appalto la possibilità di ribassare la percentuale dell’utile è consentita pur escludendosi che un’impresa possa proporre un’offerta economica sguarnita da qualsiasi previsione di utile, né è possibile fissare una quota di utile rigida al di sotto della quale la proposta dell’appaltatore debba considerarsi per definizione incongrua (Cons. St., sez. V, 5 ottobre 2005 n. 5315; Cons. St., sez. VI, 8 marzo 2004 n. 1072; Cons. St., sez. IV, 14 febbraio 2002 n. 882), assumendo invece rilievo la circostanza che l’offerta si appalesi seria, e cioè non animata dall’intenzione di trarre lucro dal futuro inadempimento delle obbligazioni contrattuali (Cons. St., sez. V, 20 febbraio 2009 n. 1018). Solo un utile pari a zero è ingiustificabile (Tar Lazio – Roma, sez. III-ter, 21 febbraio 2007 n. 1527), essendo esso rimesso alla discrezionalità dell’offerente”. Quindi, come dire che nessun controllo/limite può esser posto in esser dalla stazione appaltante a cautela dell’interesse pubblico.
Ed infatti, dalla disamina effettuata emerge che le singole voci che compongono l’offerta nella ricostruzione della giurisprudenza spesso rendono vana qualsiasi iniziativa della stazione appaltante di contestare qualcosa. In questa sede, se ne vuol dare un brevissimo saggio con una sintesi delle problematiche più interessanti trattate nell’ultimo anno, riportando le massime espresse dalla giurisprudenza .
a) Utile di impresa
Non esiste una quota di utile rigida al di sotto della quale la proposta dell’appaltatore debba considerarsi per definizione incongrua (Cons. Stato, VI, 8 marzo 2004, n. 1072; Cons Stato, V, 814/99 e 882/02).Laddove il bando non preveda una percentuale minima di utile d’impresa, né sussistano previsioni normative in tal senso, al fine di valutare l’anomalia ciò che rileva è che vi sia comunque un margine di utile d’impresa e cioè che l’appalto non venga eseguito in perdita (TAR Catania, III, 5/09/2007 n. 1393).Non si può trascurare, infatti, che l’accettazione di un margine ridotto di utile può inserirsi in una più vasta strategia imprenditoriale volta ad acquisire o a mantenere quote di mercato; senza contare che per le aziende operanti nel settore pubblico l’aggiudicazione di commesse comporta l’acquisizione di requisiti tecnici, quali il fatturato e lo svolgimento specifico di particolari servizi, che costituiscono elementi essenziali per poter continuare a partecipare alle gare. (Tribunale Amministrativo Regionale Lombardia Milano sez. III 23/2/2009 n. 1356)
b) Costo del lavoro
La remunerazione minima dovuta a tale categoria di prestatori non deve necessariamente essere quella, prevista nei contratti collettivi applicabili ai lavoratori subordinati .Ai lavoratori autonomi, fra cui rientrano quelli a progetto, i contratti collettivi che disciplinano il lavoro subordinato non sono applicabili né direttamente né indirettamente. Invero, trattandosi di una categoria di prestatori diversa da quella dei lavoratori subordinati, ad essa non può estendersi la disciplina contrattuale che i rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro hanno sottoscritto con riferimento ai lavoratori dipendenti. Né è possibile applicare ai lavoratori a progetto il principio costituzionale della retribuzione sufficiente poiché tale principio riguarda esclusivamente il lavoro subordinato e non può essere invocato in tema di compenso per prestazioni lavorative autonome, ancorché rese, con carattere di continuità e coordinazione, nell’ambito di un rapporto di collaborazione (fra le tante Cass. 1/09/2004 n. 17564).Il lavoro a progetto risulta quindi esclusivamente disciplinato dalle norme dettate dal codice civile in materia di lavoro autonomo e dalle norme speciali contenute nel D.Lgs 276/03 le quali, a proposito della retribuzione, prevedono che, fatta salva la applicazione di specifici accordi collettivi più favorevoli (art. 61), il compenso corrisposto debba essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito, e debba tenere conto dei compensi normalmente erogati per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto (art. 63).Da quanto sopra deriva che, in sede di valutazione della anomalia dell’offerta, il parametro diretto a verificare la congruità dei costi previsti per la retribuzione dei lavoratori a progetto non può essere individuato nei minimi tabellari previsti dalla contrattazione collettiva di settore per i lavoratori subordinati (Tribunale Amministrativo Regionale Lombardia Milano sez. III 23/2/2009 n. 1356).
c) Rispetto delle tabelle del costo del lavoro.
Riguardo alla rilevanza delle tabelle FISE ai fini della valutazione della congruità del costo del lavoro, questo Tribunale ha rilevato che “mentre i valori tabellari del CCNL rappresentano un costo del lavoro che tiene conto solo di voci ed elementi inerenti la retribuzione, oltre che di eventi fisiologici ed ordinari incidenti sulla complessiva entità della prestazione lavorativa, le tabelle FISE considerano ai fini del calcolo anche vicende di carattere non necessario, ma comunque per l’impresa incidenti sul costo del lavoro, quali permessi sindacali, assenze per malattia; d’altronde, mentre il CCNL ha come obiettivo la salvaguardia dei livelli minimi retributivi nell’esclusivo interesse dei lavoratori, le tabelle FISE sono volte a monitorare ed a valutare l’incidenza media del costo del lavoro per l’impresa, tenendo conto, oltre che del costo contrattualmente stabilito, anche di vicende ulteriori, frequentemente ricorrenti, che tendono ad aumentarne l’incidenza rispetto alla produttività aziendale. Di qui, mentre i limiti dalla contrattazione collettiva assumono connotati di assoluta rigidità, le tabelle FISE contengono valori di riferimento più elastici, in quanto indicativi di costi per la manodopera comprensivi di variabili suscettibili di aumentarne l’incidenza, ma in ogni caso superabili nella loro portata generale nel caso concreto da un’impresa che riuscisse a dimostrare di poter sostenere costi inferiori, seppur non oltre il limite invalicabile posto dalla contrattazione collettiva (TAR Campania Napoli I Sezione 15 marzo 2007 n. 2201). La Sezione nella richiamata decisione ha così ritenuto che ben può l’organo di gara assumere come parametro di riferimento, oltre ai valori inderogabili della contrattazione collettiva in funzione di tutela dei lavoratori, anche quelli riportati nelle tabelle FISE, dovendo solo nel caso di scostamenti non particolarmente significativi, approfondire l’indagine conoscitiva e verificare l’effettiva sostenibilità dei costi per la manodopera indicati nell’offerta. (Tribunale Amministrativo Regionale Campania Napoli sez. I 26/11/2008 n. 19678)
d) oneri accessori, anche della percentuale di incidenza di IRES e IRAP
Quanto al calcolo, tra gli oneri accessori, anche della percentuale di incidenza di IRES e IRAP, correttamente la commissione di gara ne ha tenuto conto, atteso che tutte le tabelle ministeriali relative al costo medio del lavoro (emanate in passato in base all’articolo unico della l. n. 327/2000 e ora in base all’art. 87, co. 1, lett. g), d.lgs. n. 163/2006) fanno espresso riferimento all’incidenza dell’IRES e all’incidenza dell’IRAP. D’altra parte la tesi secondo cui tali imposte gravano sulla fiscalità generale dell’impresa e non sul costo delle singole commesse prova troppo, atteso che si tratta di oneri che vanno distribuiti necessariamente sulle singole commesse, trovando copertura mediante le entrate di ciascuna commessa. (Consiglio di Stato sez. VI 21/5/2009 n. 3143)
e) Cooperative sociali
Ove venga data la possibilità di giustificare l’anomalia mediante la correzione delle voci di costo oggetto di contraddittorio, conferendo ad esse valori diversi rispetto a quelli indicati nella documentazione presentata al momento della gara, ne risulterebbe di fatto “vanificata la procedura concorsuale stessa, che è basata sulla perfetta parità tra tutti i partecipanti” (sentenza n. 11314/2005 cit.).Inoltre, la maggior parte delle pronunce favorevoli alla rimodulazione di singole voci di costo (ad es. Cons. St., sez. IV, 19 giugno 2006, n. 3657), fanno esplicito riferimento ad una necessità di “aggiornamento degli elementi originari al fine di sincronizzarne la valutazione con il momento dell’analisi delle giustificazioni definitive”. Ciò al fine di tenere in debito conto tutte le sopravvenute modifiche delle circostanze di fatto che hanno comportato una maggiore onerosità dei costi offerti (Cons. St., V, 5 ottobre 2005, n. 5315). Tali pronunce riguardano poi, in genere, appalti di lavori aggiudicati al criterio del prezzo più basso, laddove, nella fattispecie, si verte in ordine ad un appalto di servizi aggiudicato con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. In tale ipotesi, la struttura dei costi dell’offerta economica deve essere verificata con particolare attenzione dalle imprese, in quanto costituisce un parametro di immediato riscontro della qualità dell’offerta tecnica e del punteggio alla stessa attribuito.La possibilità di rimodulare liberamente i costi in sede di giustificazioni potrebbe infatti indurre i partecipanti alla gara a presentare offerte a basso costo per poi successivamente effettuare le correzioni necessarie per evitare l’anomalia. Quanto circostanza che l’offerente sia una cooperativa sociale che non persegue fini di lucro, essa non esime l’impresa dall’onere di fornire la prova della congruità della propria offerta, e cioè la dimostrazione che, nonostante il ridotto margine di utile, quest’ultima possa essere comunque resa in condizioni e con modalità tali da soddisfare in misura adeguata l’interesse pubblico alla regolare esecuzione della prestazione o del servizio dedotto in appalto (TAR Lazio, sez. I^, 21 luglio 2006, n. 6200). Infatti, il margine operativo costituisce l’unico dato certo di mantenimento della qualità delle prestazioni dovute e, pertanto, dal punto di vista della stazione appaltante, esso rappresenta la misura dell’idoneità dell’impresa a soddisfare l’interesse pubblico alla regolare esecuzione dell’appalto. Non appare inutile ricordare, quanto all’assenza di finalità lucrativa delle cooperative sociali, particolarmente enfatizzata da parte ricorrente, che tale requisito comporta non già l’ammissibilità di una gestione antieconomica quanto, più semplicemente, (cfr. in particolare l’art. 26 del d.lgs. C.P.S. n. 1577, l’art. 3 della l. 8.11.1991, n. 381, recante disciplina delle cooperative sociali, nonché l’art. 10, comma 1, lett. d) e f) del d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, in tema di organizzazioni non lucrative di utilità sociale), il “divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’organizzazione”, nonché “l’obbligo di impiegare gli utili o gli avanzi di gestione per la realizzazione delle attività istituzionali e di quelle ad esse direttamente connesse” (cfr., per un’articolata analisi in ordine alla partecipazione agli appalti pubblici delle cooperative sociali, T.A.R. Lazio, sez. III, 22 febbraio 2007 , n. 1559). Tribunale Amministrativo Regionale Lazio Roma sez. I 17/3/2008 n. 2392
f) Logistica, spese generali,locali nella sede
Vanno condivisi i rilievi circa la possibilità della concorrente, per la sua favorevole collocazione logistica, di ridurre le spese generali variabili. Considerato che le spese generali variabili comprendono le spese per il personale ed i locali della sede, la gestione mano d’opera e di direzione tecnica di cantiere e esercizio delle attrezzature di cantiere, nulla osta sul piano logico che siano condizionate da situazioni specifiche delle singole imprese e concorrano a determinare il prezzo offerto in modo differenziato. Il giudizio sulla congruità della consistenza delle spese generali costituisce espressione di lata discrezionalità tecnica, come tale insuscettibile di sindacato in assenza di profili di illogicità apprezzabili (Cons. Stato, V, 29 luglio 2003, n. 4330). La valutazione aprioristica dell’amministrazione può pertanto essere derogata nel caso concreto in base alle giustificazioni fornite dall’impresa concorrente (Cons. Stato, VI, 8 maggio 2001, n. 2569).
g) Contributi.
Le previsioni del bando di gara risultano illegittime per la parte in cui impongono alla Commissione di valutazione di determinare i dati numerici di riferimento senza poter tenere conto dei benefici (ad es. contributivi) di cui l’impresa interessata dalla verifica di congruità abbia legittimamente fruito. La previsione secondo cui in sede di valutazione di congruità la Commissione non avrebbe potuto tener presenti “eventuali agevolazioni di cui possono beneficiare per legge o a qualsiasi altro titolo le imprese partecipanti, qualunque sia la loro natura giuridica e le finalità perseguite da queste ultime” risulta illegittima in quanto una siffatta preclusione appare in contrasto con il generale principio di legalità per la parte in cui non ammette (ed anzi, vieta espressamente) di tener conto ai fini del giudizio in questione di benefici contributivi, fiscali o di altra natura previsti da norme di legge e fruiti in conformità delle stesse. Poiché l’evidente ratio della previsione di tutela di cui all’art. 1 della l. 327 del 2000 (così come della fissazione di tabelle di determinazione dei costi medi orari della manodopera) è appunto quella di impedire che gli appaltatori possano violare le diverse discipline normative in materia di trattamento dei lavoratori impiegati nella prestazione dei servizi (sotto l’aspetto retributivo, contributivo, fiscale), ne consegue che siffatta cautela non possa in alcun modo avere quale effetto quello di considerare non giustificabili offerte aziendali i cui importi discendano, appunto, dalla legittima fruizione di benefici previsti dalle richiamate discipline normative. (Tribunale Amministrativo Regionale Puglia Lecce sez. I 13/6/2007 n. 2330)
h) Oneri sicurezza aziendali e oneri della sicurezza non ribassabili
L’art. 86 del codice dei contratti pubblici, al comma 3 bis richiede che il costo relativo alla sicurezza sia specificamente indicato e risulti congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei `servizi o delle forniture. Laddove il bando di gara non prescrive specificazioni aggiuntive, né prevede, a pena di esclusione, la distinzione, dedotta nel ricorso incidentale, tra costi relativi alla sicurezza aziendale ed altri oneri di sicurezza non soggetti a ribasso, quantificati nel DUVRI, l’offerta del concorrente, sotto il profilo dell’indicazione degli oneri per la sicurezza, deve ritenersi, dunque, completa ed ammissibile, ancorchè priva dei costi di sicurezza aziendali. (Tribunale Amministrativo Regionale Calabria Catanzaro sez. II 7/4/2010 n. 429)
La circostanza che i costi per la sicurezza non siano esplicitati nell’offerta non è automaticamente causa di esclusione. L’art. 87 comma 4 del Dlgs. 163/2006 ha come scopo di apprestare una garanzia ulteriore alla sicurezza sul lavoro e deve essere interpretato coerentemente con tale finalità: pertanto è necessario che tali costi siano effettivamente previsti nell’organizzazione aziendale ma è consentito quantificarli anche durante la verifica dell’anomalia, che è la sede adeguata per valutarne la congruità (v. Tar Brescia 21 febbraio 2008 n. 138). Il piano della sicurezza è onnicomprensivo, e in considerazione del tipo di attività (prevalentemente informatica con alcuni sopralluoghi nel corso dell’anno) non richiede di essere replicato per ognuno dei comuni destinatari del servizio. (Tribunale Amministrativo Regionale Lombardia Brescia sez. I 9/6/2009 n. 1201)
Gli oneri per la sicurezza devono essere necessariamente indicati all’interno dei bandi di gara, con espressa esclusione dal ribasso d’asta, solo quando riguardano i piani di sicurezza (o documenti sostitutivi) collegati ad appalti di lavori pubblici (art. 131, comma 3 del d.lgs. 163 del 2006). Al di fuori di questa ipotesi i piani di sicurezza sono una componente dell’offerta che è collegata alla più ampia voce del costo del personale. Al riguardo l’art. 86 comma 3-bis del citato d.lgs. n. 163 impone alle amministrazioni aggiudicatrici di fissare il valore economico dell’appalto posto a base di gara in modo che sia “adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza”. Se il costo per la sicurezza è stabilito direttamente negli atti di gara non è soggetto a ribasso (art. 86 comma 3-ter) in quanto rispetto a questa valutazione fatta nell’interesse dei lavoratori non è ammessa una diversa elaborazione economica finalizzata all’ottimizzazione dell’utile di impresa. Se invece il costo per la sicurezza non è individuato dall’amministrazione aggiudicatrice quale specifica componente del costo del lavoro (come avviene in particolare quando non sia possibile stabilire a priori un modello omogeneo di misure per la sicurezza) è necessario che il relativo importo venga scorporato dalle offerte dei singoli concorrenti e sottoposto a verifica per valutare se sia congruo rispetto alle esigenze di tutela dei lavoratori. (Tribunale Amministrativo Regionale Lombardia Milano sez. I 17/6/2008 n. 2059)
Nella procedura di appalto-concorso da aggiudicarsi all’offerta economicamente più vantaggiosa – che affida al concorrente la stesura della progettazione definitiva ed esecutiva – , come questo Consiglio di Stato ha avuto già modo di ribadire (cfr. sez. VI, 4.6.2007, n. 2949), è logico che gli oneri relativi alla sicurezza vadano rapportati a tali progetti in corso di redazione. Potendosi, peraltro, pure verificare che le varianti migliorative, inserite durante la progettazione definitiva ed esecutiva, possano determinare un’attenuazione degli oneri stessi rispetto all’importo indicativamente riportato nel progetto preliminare messo a concorso. Conseguentemente, l’indicazione nell’offerta di oneri per la sicurezza in misura inferiore rispetto a quanto indicativamente specificato dagli atti indittivi non si traduce in un inammissibile ribasso relativamente agli oneri stessi, bensì in una concreta determinazione di essi conforme alla loro incidenza effettiva, ragguagliata ai contenuti specifici dell’offerta.Spetta, poi, ovviamente alla commissione incaricata di valutare le offerte (tecniche ed economiche) verificare la congruità, tra l’altro, anche degli oneri di sicurezza individuati dalle singole partecipanti. (Consiglio di Stato sez. V 17/9/2008 n. 4378)
i) oneri sicurezza e subappalto
Si precisa che anche nell’ipotesi di subappalto gli oneri relativi alla sicurezza non devono essere soggetti a riduzione e vanno evidenziati separatamente da quelli soggetti a ribasso d’asta nel relativo contratto tra aggiudicataria e subappaltatore. In tal caso, inoltre, il direttore dell’esecuzione è tenuto a verificare che l’appaltatore committente corrisponda i costi della sicurezza anche all’impresa subappaltatrice. Con riguardo all’interpretazione dell’art. 2070, c.c., onde procedere all’applicazione diretta dell’art. 36, Cost., la Cassazione ha delineato un orientamento ormai costante (cfr. Sez. un. civ., sent. 26 marzo 1997 n. 2665; Cass. civ., sez. lav., sent. 13 luglio 2009 n. 16340), secondo cui nell’ordinamento attuale, venuto meno il contenuto normativo dell’art. 2070, c.c., vige il principio per il quale, se il datore di lavoro non aderisce al sindacato imprenditoriale firmatario dell’accordo collettivo della cui applicazione si tratti, non vi è un obbligo giuridico per l’imprenditore stesso di applicare il contratto corrispondente all’effettiva attività economica esercitata.
Anche l’art. 118, comma 6, d.lgs. n. 163/2006, quando pone il problema d’individuare quale sia il contratto collettivo di lavoro “in vigore nel settore”, va interpretato nel quadro dei principi derivanti dall’orientamento ormai costante della Cassazione: il che comporta, impregiudicata ogni questione circa la compatibilità, con il principio costituzionale tutelante l’iniziativa economica privata (art. 41, Cost.) e con i principi comunitari in materia di concorrenza tra le imprese, di una clausola del bando che dovesse imporre ai concorrenti l’applicazione al personale, impiegato nei servizi oggetto dell’appalto, di uno specifico contratto collettivo di lavoro, che l’esame dell’incidenza del contratto dei metalmeccanici sulla congruità e affidabilità dell’offerta presentata dalla società, originaria ricorrente, avrebbe dovuto essere svolto dimostrando come il trattamento economico previsto in detto contratto fosse o meno conforme al precetto dell’art. 36, Cost. (tenuto conto anche di quanto ora previsto, in tema di verificazione delle offerte anomale, dall’art 87, comma 3, codice dei contratti pubblici, con la conseguenza che l’offerta economica non rispettosa dei concordati minimi salariali deve essere, in tali casi, automaticamente esclusa dalla gara). (Consiglio di Stato sez. V 30/3/2010 n. 1813)
Conclusioni
Ecco dunque quanto basta, Eccellenza, perché vediate l‘errore di questo Vostro sistema; abbandonatelo quindi in nome di Dio; ristabilite la fiducia, pagate il giusto prezzo dei lavori, non rifiutate un onesto compenso ad un imprenditore che compirà il suo dovere.
Sarà sempre questo l’affare migliore che Voi potrete fare.
Architetto Marchese di Vauban
Parigi, il 17 luglio del 1693”
Questa è la soluzione