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( votes)1. Premessa
L’ultima edizione del codice degli appalti (DLgs 36/23) ha introdotto il riferimento ad alcune nuove norme in tema di project management al fine di raccomandare l’uso di cosiddette buone pratiche nella realizzazione di nuovi progetti, che nella fattispecie abbiano per oggetto una nuova opera, prodotto o servizio posto a base di un pubblico contratto. Trattasi delle norme UNI ISO 21500 e 21502 [1, 2], rispettivamente citate in particolare in allegato I.7, art.3 (Documento di indirizzo alla progettazione) e art. 30 (Cronoprogramma) nonché in altri punti in modo più o meno diretto. Per alcuni operatori, quali le società di ingegneria e le imprese più mature nella disciplina di gestione progetti, queste sigle possono essere già note; per altri può trattarsi di nuovi oggetti o “intrusi”, anche per l’introduzione relativamente recente degli stessi riferimenti nel quadro normativo nazionale. Altri riferimenti sono la norma UNI 11337 [3], che riguarda il volgarizzato BIM (Building Information Modelling) e tutta una serie di norme, oggetto di altro allegato (II.13), in materia di certificazioni e marchi rilevanti ai fini della riduzione della garanzia), come da art. 106 del codice. Lo scopo delle presenti note è di fare un po’ di chiarezza su questi temi, anche perché spesso li riteniamo non ancora del tutto compresi. Ma dapprima cogliamo l’occasione per introdurre più in generale la disciplina di dette norme o cosiddetti standard.
2. Norme o standard (internazionali e nazionali)
La nuova norma UNI ISO 21502 costituisce la naturale evoluzione della precedente (2012), promossa a livello internazionale ISO (Organizzazione internazionale degli standard) oltre che recepita nel nostro paese, la quale definisce i contenuti generali della disciplina del project management. Pubblicata infatti da ISO (International Standardization Organization) verso la fine del 2020, è stata quindi recepita e tradotta dal nostro Ente di normazione (UNI), divenendo appunto “UNI ISO”. Ricordiamo che la materia è presidiata da un apposito comitato costituito in seno all’UNI fin dal 2008, in occasione dell’avvio da parte dell’ISO dei lavori per una nuova serie di norme internazionali sul project management. Ciò diede origine alla prima ISO 21500 nel 2012, mentre i lavori si rivitalizzarono alcuni anni or sono, originando la nuova ISO 21500, che tuttavia cambiava di struttura rispetto alla precedente, configurandosi solo come una norma di introduzione alla stessa serie, e rinviando alla nuova UNI ISO 21502 la disciplina più in dettaglio del project management.
Allo stesso tavolo UNI partecipano diversi enti e stakeholder, fra cui tutte le associazioni di project management del nostro paese, dal cui contributo è stata inoltre licenziata una norma nazionale (UNI 11648) rivolta alla certificazione della figura di project manager. In sintesi, tale norma definisce la figura professionale del project manager, declinando quelli che sono i requisiti di conoscenze, abilità, autonomia e responsabilità, ovvero in senso lato le qualità che un project manager dovrebbe possedere nei diversi contesti di lavoro.
3. Significato di “norma”
Con l’occasione ci sembra opportuno spendere alcune parole sul significato e sui concetti di norma, non solo riferita come norma o standard tecnico, con particolare riferimento ai settori di ingegneria e architettura, ma anche ad altri e più generali campi di applicazione. Infatti, le norme rappresentano in generale uno “standard” di riferimento per le attività di mercato, industria, servizi ecc. nelle più svariate applicazioni dello scibile umano.
Per chiarire i termini, osserviamo che alcuni potrebbero distinguere tra “norma” e “standard”, ritenendo il primo un tipo di documento il cui uso risulti in generale obbligatorio o come si dice mandatorio, e il secondo termine – standard – un documento di meno imperativo utilizzo, quale una linea guida di buone prassi e raccomandazioni. In realtà quest’ultimo è lo stesso termine utilizzato nel lessico inglese e come tale in generale impiegato. Infatti, all’origine i due termini hanno pari significato e valenza, con l’intento di promuoverne un utilizzo volontario, salvo avere, in particolari contesti, effettivamente un significato più restrittivo, quale documento riconosciuto e d’uso obbligatorio per determinati ambiti e professioni, come ad esempio le “norme tecniche di costruzione”. Nel presente contesto non faremo distinzione fra le due voci, salvo appunto le restrizioni del caso, peraltro oggetto di successivi chiarimenti.
In generale una norma nasce per consolidare una certa disciplina o lo stato dell’arte in una data materia, che perciò si ritiene utile “normare” o rendere standard per facilitare la società o una certa categoria di clienti e utenti nel perseguimento di propri interessi e finalità comuni. Come si intuisce, esistono infatti beni comuni da tutelare, di elevato interesse, come la salute, la sicurezza (nelle sue più ampie e svariate accezioni) e altri, ma anche beni d’uso e utilità di più apparente e modesto valore – come disporre di una stessa spina della corrente quando si viaggia in altri paesi – per i quali si rende necessario od opportuno avere prodotti, sistemi, ma anche processi di lavoro e, in modo sempre più diffuso, anche competenze professionali di carattere standard.
Di diretto effetto è l’impatto che tali standard possono in generale avere anche sul commercio internazionale nonché l’accesso, l’apertura e lo sviluppo dei mercati. Da cui l’interesse dei paesi, nonché delle imprese e delle organizzazioni di diversa natura, a collaborare per definire, rendere pubblici, raccomandare, e nel caso rendere cogente, per legge o de facto, l’uso di cosiddetti standard tecnici. Negli ultimi decenni, con lo sviluppo dell’informatica, sono entrati sempre più nell’uso termini come sistemi interoperabili, aperti (“open”) e simili, oggi di volgare intuizione, ma che hanno alla base gli stessi concetti e, talvolta, hanno alle spalle una lunga storia di accordi, convergenze fra comunità, economie e paesi aventi all’origine anche opposti interessi, che trovano infine convenienza a mettersi d’accordo. La presenza di una norma può essere in particolare utile in causa di giudizio, allorché ad esempio il giudice ne possa richiedere l’eventuale esistenza al consulente tecnico di ufficio (CTU) per avvalorarne i criteri di valutazione[1].
Il mondo degli standard si basa in generale su un modello istituzionale, riconosciuto dagli stati a livello sovranazionale e nazionale, tramite il quale più riuscire infatti più semplice divulgare o richiedere l’applicazione degli standard nei singoli paesi. In breve, questo sistema di normazione può essere rappresentato come in figura 1, che pur non essendo esaustiva di tutte le organizzazioni che operano in materia, copre la maggior parte dell’ambito avente qui interesse. La figura rappresenta infatti gli organismi, che nei diversi contesti rappresentano gli enti istituzionali in argomento.
Internazionali | ONU | IEC, ITU |
Unione Europea | CEN | CENELEC, ETSI |
Italia | UNI | CEI |
Figura 1 – Enti istituzionali di normazione internazionali e nazionali
(in terza colonna, settori elettrotecnico e telecomunicazioni)
Come si rileva, esistono tre livelli di normazione:
- a livello internazionale operano tre organismi: ISO (International Standardization Organization), l’Organizzazione internazionale degli standard, costituita nel 1947 sotto l’egida ONU; IEC (International Electrotechnical Commission, in materia di sistemi elettrici ed elettronici) ed ITU (International Telecommunication Union), in materia di telecomunicazioni;
- a livello di Unione Europea operano tre corrispondenti organismi, rispettivamente CEN, CENELEC e ETSI;
- a livello nazionale, sono presenti in modo analogo UNI, l’Ente italiano di normazione italiana, e CEI, Comitato Elettrotecnico Italiano, le cui rispettive sigle risultano verosimilmente più note.
L’ISO, ad esempio, conta oltre 300 comitati tecnici o TC (Technical Committee) competenti ciascuno per le diverse materie[2]. Deriva in particolare da queste sigle la identificazione dei documenti rilasciati dai diversi enti, i cui acronimi fanno da riferimento iniziale al contesto in cui una norma viene riconosciuta ed acquisita, come ad esempio: UNI, UNI ISO, UNI EN ISO e simili. In particolare, le norme europee EN (European Norm) hanno una certa prevalenza di applicazione negli stati dell’Unione, quando in particolare siano richieste o poste a base di “certificazione” delle organizzazioni a livello istituzionale. L’esempio più noto è verosimilmente la norma UNI EN ISO 9001, relativa ai sistemi di gestione della qualità, il cui possesso è ad esempio comune requisito nelle gare pubbliche. La cogenza delle norme EN deriva dal fatto che è d’obbligo riferirsi alla norma europea EN in argomento, se presente nel rispettivo ambito di applicazione, e non ad esempio fare riferimento a testo di altra fonte o di altro paese.
Come si intuisce, una norma più in generale avere origine al tavolo di normazione di un qualsiasi paese, nonché a livello europeo (EN) o mondiale (ISO), e quindi essere acquisita e tradotta negli altri contesti. È ad esempio il caso della norma ISO 21500 di project management, che cercheremo di conoscere meglio, che dapprima è stata promossa e pubblicata a livello ISO, quindi recepita e tradotta nella nostra lingua, come UNI ISO 21500. Viceversa, possono esservi casi di norme nazionali che per il relativo interesse vengono di seguito recepite ed estese a livello EN e/o ISO[3].
Altri tipi di norme, quali ad esempio UNI ed UNI ISO, non hanno in origine carattere mandatorio, poiché qualsiasi norma o standard nasce in principio per avere carattere di applicazione volontaria da parte delle organizzazioni, dal cui uso le stesse possano trarne vantaggio quale miglioramento dei propri processi e prodotti sul mercato, oltre che essere strumento di promozione tecnico-commerciale[4]. La cogenza di una norma deriva quindi dal fatto che esiste un atto legislativo che renda cogente l’utilizzo della stessa norma, oltre che divenire uno standard di fatto di comuni e riconosciute pratiche dello stato dell’arte. Talvolta, peraltro, il processo di nascita è inverso, come ad esempio è avvenuto in certi casi di norme europee per determinati settori. In tal caso una direttiva europea ha anticipato e richiesto, demandando ad opportuni enti ed associazioni industriali, la redazione di specifiche norme, da porre a base della realizzazione di nuovi prodotti e sistemi, per sostenere certe politiche industriali, innovazioni o altri indirizzi strategici per lo sviluppo di un settore comunitario ovvero assicurare la cosiddetta “cross acceptance” dei sistemi nei diversi paesi dell’Unione[5]. Ciò in particolare assicura che un certo prodotto, certificato nel rispetto di determinati standard di progettazione, produzione, qualificazione del personale nonché soggetto a specifici organismi di controllo di un paese UE, possa essere così accettato e commercializzato in altro paese dell’Unione.
Peraltro, un qualsiasi contratto, di natura sia pubblica che privata, può in principio richiedere e quindi rendere cogente l’applicazione di una qualsiasi norma, ad es. americana, quando risulti opportuna o necessaria per la realizzazione di un determinato prodotto. Ciò potrebbe ad esempio valere qualora si debbano rispettare particolari requisiti o non esistano altri standard locali aventi analoga finalità. Ciò può avvenire ad esempio nel caso di certi settori tecnologici o industrie in cui il “prime contractor”, ad esempio un’industria aerospaziale americana, intenda usufruire di un fornitore italiano per la realizzazione di certi componenti. In tal caso, può essere la stessa industria cliente a definire standard interni e certificare il fornitore; un percorso spesso avvenuto in passato, ove si richiedano requisiti specifici o più severi rispetto a quelli standard di mercato. Talvolta in tali settori (difesa, nucleare, aerospazio, farmaceutica ecc.) avere la certificazione nominale di un leader di mercato, o partecipare solo ai relativi progetti, può rappresentare un fiore all’occhiello del subcontraente, oltre che essere più generale prova di competenze e di assicurazione di qualità verso altri clienti.
4. Tipi di norme e processi di certificazione
Il contesto delle norme dovrebbe completarsi richiamando in generale il tipo di norme e il quadro dei processi di cosiddetta “certificazione”, su cui spesso si rilevano improprietà di linguaggio e di contenuti, anche in relazione a quanto appare in bandi pubblici.
5. I processi di certificazione
Tutti gli standard in parola possono distinguersi, secondo l’oggetto di applicazione, fra norme di prodotto, di processo e, sempre più spesso negli anni recenti, di personale. Quelle di primo tipo, o di prodotto, come si può intendere riguardano il rispetto di determinate specifiche tecniche di un certo prodotto o componente, da impiegare nell’industria per la manifattura di componenti e sistemi più complessi. Ciò si può ad esempio riconoscere in determinati simboli che la legge impone di applicare, come il “marchio CE” e altri.
Le norme di processo riguardano invece il rispetto di standard inerenti la gestione di attività, procedure e approcci di carattere aziendale, per lo svolgimento di determinati processi organizzativi. Tipica la citata norma UNI EN ISO 9001 sulla qualità, che in pratica tutti riconoscono: dalla certificazione di una azienda ovvero requisito dovuto o migliorativo in una gara pubblica, all’omonimo marchio sulla bottiglia di acqua minerale sulla nostra tavola. Dette norme appartengono più in generale alla cosiddetta categoria dei “sistemi di gestione” (management systems), di cui il più noto è quello relativo alla stessa qualità, ma ve ne sono numerosi altri che specie negli ultimi anni sono cresciuti di numero, ad esempio in tema di ambiente, sicurezza delle informazioni ecc. Attraverso questi standard e rispettivi processi di valutazione e audit nonché la dichiarazione di un ente terzo accreditato (organismo di certificazione, OdC), si può “certificare” che una determinata azienda od organizzazione ha posto in essere e persegue un certo sistema di processi di gestione, quale modello imperativo attraverso cui si conducono i propri processi di lavoro e attività; ma altrettanto si rispettano determinati approcci e criteri di valori posti a base della missione o del settore di competenza[6].
Si osservi tuttavia che tali standard dei sistemi di gestione riguardano i requisiti di conformità dei relativi “processi”, per cui in principio non se ne può tradurre sic et simpliciter la valenza ai risultati di “tutti” i prodotti nella fattispecie realizzati; avere per esempio un sistema di gestione qualità non offre l’assoluta garanzia di (totale) qualità dell’intera produzione, anche in virtù di metriche e altri processi di misura, che abbiano definito ad esempio certe tolleranze o criteri di accettabilità degli stessi processi (possibilmente soggetti al rispetto di altri standard e controlli)[7]. L’uso di una norma è pertanto una testimonianza di approccio, di organizzazione, etica e leadership del management, ma non già una certezza assoluta.
Le norme del personale riguardano infine la certificazione di singole persone, ritenute capaci o che si riconoscono avere certe competenze per svolgere determinati ruoli o professioni. La norma nazionale UNI 11648 [4], come si dirà in seguito nella presente serie di articoli, riguarda appunto il caso della certificazione di project manager.
Un processo di certificazione ha quindi l’obiettivo di attestare che un certo prodotto, processo o persona risultino conformi secondo un determinato standard, fornendo assicurazione o garanzia verso il mercato, comunità di consumatori, istituzioni o perfino la direzione delle stesse industrie, che una certa organizzazione, settore merceologico o singoli professionisti adottino riconosciuti processi, norme tecniche e buone pratiche dello stato dell’arte nella fornitura dei propri prodotti e servizi. La materia è come s’intende molto ampia, ma trova principale riferimento nel Regolamento europeo UE 765/2008 [5], in particolare attraverso l’istituzione e il riconoscimento, nei singoli paesi, degli enti di accreditamento – in Italia è presente Accredia [6] – cui è demandata la responsabilità di governare la materia di certificazione; dal citato regolamento è esclusa la più delicata materia del personale, di interesse più recente ed avente altri riferimenti, anche a livello dei singoli paesi. Accredia svolge la missione di accreditamento e ispezione dei singoli Organismi di Certificazione (OdC), organizzazioni specializzate e deputate nei diversi campi ad offrire al mercato servizi appunto di certificazione di terza parte[8].
Sullo stesso termine di “certificazione” si devono porre peraltro alcune attenzioni, essendo lo stesso termine utilizzato in diversi contesti e con significati più generici e informali. Si ricordi, ad esempio, che specie nei sistemi di qualità, che sono stati prodromi in materia, viene tendenzialmente usata la definizione di certificazione di “prima”, “seconda” e “terza parte”, a seconda del livello di indipendenza nonché assenza di conflitto di interesse fra chi attesta e assicura la conformità, e l’organizzazione soggetta a valutazione, ove nella fattispecie si usino le dizioni di certificazione di “prima” e di “seconda parte”; ad esempio trattasi di:
- “prima parte” il caso di enti od organizzazioni non indipendenti dalla medesima organizzazione oggetto di valutazione e audit, come ad esempio un ufficio o dipartimento diversi della generale organizzazione in oggetto[9];
- “seconda parte” il caso di un ente ispettivo esterno, che tuttavia conservi una certa relazione di contiguità e comunità di interessi, come per esempio un ente o associazione professionale di appartenenza.
Per non confondersi con detta terminologia, sarebbe infatti più appropriato definire come “certificazione” solo quella istituzionale di terza parte, e meglio come “qualificazione” quella di parte “inferiore”. Tanto anche in ossequio ad una maggiore chiarezza e trasparenza verso un pubblico non perfettamente esperto in argomento. Infatti, secondo un tale approccio, una “qualificazione” potrebbe anche essere intesa come un livello di riconoscimento inferiore o requisito preliminare per la stessa certificazione, come meglio si chiarerà introducendo il tema della certificazione di project manager, un requisito progressivamente entrato anche in diversi bandi della pubblica amministrazione.
Ci si può chiedere infine come nasce una norma, sebbene il quesito non abbia risposta univoca. A parte infatti i casi di più alto livello istituzionale, che comunque interpretano certe esigenze originate dal mercato e da segmenti della società, settori produttivi e altri, ogni membro o gruppo di stakeholder, associazioni industriali, professionali ecc., partecipanti ad esempio ad uno degli enti nazionali di normazione, o tali da farvi pervenire le proprie istanze, può farsi promotore e originalmente proporre la redazione di un nuovo standard; per cui seguendo certe procedure si potrà istituire un nuovo tavolo di lavoro a ciò dedicato, con la partecipazione di un certo numero di membri, esperti e diverse parti interessate, che possano rispondere all’esigenza di approfondire il tema e costituire il tavolo di lavoro incaricato di avviare la redazione di un nuovo testo. Si procederà quindi nell’iter previsto, attraverso un processo più o meno lungo di convergenza verso il risultato atteso, il coinvolgimento di altri stakeholder ecc., sino alle auspicate fasi di inchiesta pubblica e approvazione finale dell’ente di normazione. In campo internazionale il processo è sostanzialmente simile, avviando ad esempio i lavori per un nuovo standard sulla base dell’esigenza manifestata da una o più delegazioni di enti nazionali, la costituzione di un gruppo di paesi membri interessati, l’approvazione di un certo consenso di interessi e così via. Più semplice può essere naturalmente il processo quando si tratti di votare l’acquisizione di un testo già esistente e, riconoscendo l’esperienza già maturata per esempio in un ambito nazionale, convertirlo in uno standard avente più ampio contesto di applicazione, come europeo (EN) o mondiale (ISO).
6. Tipi di norme
Entrando nel merito di aspetti più strumentali e formali dell’uso delle norme, osserviamo che in ambito ISO si distinguono diversi tipi di standard, in relazione a finalità e utilizzo degli stessi [7].
Una prima distinzione riguarda le norme dei cosiddetti e già menzionati “Management System Standard” (MSS) o sistemi di gestione, che riguardano i requisiti di sistemi di processi idonei a supportare le funzioni di guida o cosiddetta “governance” delle organizzazioni ai diversi livelli – come il già citato sistema di gestione della qualità (basato sulla norma UNI EN ISO 9001) ―, nonché altre norme di “Requisiti” (“Requirements”) di più generale impiego.
Ulteriore classificazione riguarda i cosiddetti “Tipi” (“Types”) di standard, rispettivamente Tipo A e Tipo B, in relazione ai requisiti di certificazione della rispettiva disciplina ivi trattata. In particolare, unicamente gli standard di Tipo A possono essere posti a base di un processo di certificazione aziendale, comprendendo infatti una serie di requisiti che dovranno in generale essere soddisfatti nel loro insieme dall’organizzazione. La quale dovrà appunto dimostrarne il possesso nel corso degli audit condotti dai citati Organismi di certificazione. Gli standard Tipo B non possono invece essere posti a base di processi certificativi, ma costituire ulteriori linee guida, raccomandazioni e simili, per applicare gli stessi standard di Tipo A ovvero rappresentare altri documenti di riferimento, al fine di supportare altri processi aziendali.
La differenza fra i due suddetti tipi di standard si evidenzia anche nella forma linguista dei medesimi; mentre infatti quelli che possono essere posti a base di certificazione (Tipo A) impongono i rispettivi requisiti come obbligatori, attraverso l’uso del predicato in forma inglese di “shall” (cioè “deve”), i secondi (Tipo B) si limitano a rappresentare funzioni di linee guida e raccomandazioni, attraverso l’uso del predicato “should” (“dovrebbe”). Alcuni standard Tipo A possono peraltro contenere entrambe le forme.
Si ricorda inoltre che di recente l’ISO ha adottato una struttura comune di alto livello per la redazione dei documenti dei sistemi di gestione, cosiddetta HLS (High Level Structure), avente lo scopo di omogeneizzare termini e definizioni nonché adottare un singolo sistema di gestione “integrato”, comprendente i requisiti di due o più sistemi di gestione tematici; come ad esempio si riscontra nei casi di certificazione integrata dei sistemi di qualità, sicurezza delle informazioni, sostenibilità e altri.
In definitiva si osservi che qualsiasi norma o standard:
- può essere adottato in modo volontario da una organizzazione allo scopo di sviluppo e miglioramento dei processi interni, eventualmente in attesa di conseguire la certificazione, in relazione ad ulteriori esigenze in termini legali o contrattuali;
- può essere preso a riferimento per scopi contrattuali, per tutti o parte dei requisiti previsti, ad esempio trasformando o specializzando specifiche indicazioni di linee guida (should) in requisiti di contratto.
In aggiunta alle famiglie di standard definibili primari, si aggiungono poi altri tipi di documenti, che nella sigla iniziale aggiungono determinate lettere, come ad esempio ISO/TR o /TS, per significare rispettivamente Technical Report (Rapporto Tecnico) o Technical Specification (Specifica Tecnica) quali documenti di natura più tecnica e applicativa per gli esperti di settore.
Infine, devono essere citate le cosiddette (nel lessico nazionale) “Prassi di Riferimento” (PdR), norme la cui edizione può avere processi semplificati e tempi di redazione più spediti (ad es. 6 – 12 mesi) rispetto a quelli normali (alcuni anni). Trattasi di norme a carattere pilota e sperimentale, in genere proposte da un gruppo limitato di stakeholder, che ne promuovono e gestiscono il lavoro per dare più immediata risposta ad una specifica esigenza. Una volta pubblicate, dette prassi possono essere comunque adottate da tutti gli operatori economici di mercato e trascorso un certo tempo di applicazione (non superiore a 5 anni) se ne può valutare la trasformazione in norme con carattere permanente ovvero farle decadere per mancanza di interesse e diffusione. Un esempio in questione è rappresentato dalla UNI/PdR 74:2019 Sistema di Gestione BIM – Requisiti [8], nato per rispondere alle esigenze delle imprese di avere a disposizione un documento certificabile dei processi BIM, a integrazione della norma UNI EN ISO 9001; di questa mentre si scrive dovrebbero essere programmati i lavori di aggiornamento e conversione in standard permanente. La stessa dizione di prassi di riferimento è nota in inglese come PAS (Publicly Available Standard), per indicare il fatto che detti standard sono disponibili in dominio pubblico presso i rispettivi enti di normazione, senza essere soggetti all’onere di acquisto.
Tab.1 – Termini e concetti
Accreditamento (“accreditation”): riconoscimento formale da parte di un soggetto indipendente, in genere definito come ente di accreditamento (“accreditation body”), che un organismo di certificazione (“certification body”) opera secondo definiti standard internazionali. In Italia l’ente di accreditamento nazionale è Accredia, gli organismi di certificazione si definiscono in breve OdC. Certificazione (“certification”): processo attraverso cui un soggetto indipendente rilascia un’assicurazione scritta o certificato per il quale un prodotto, processo, servizio o sistema soddisfa (è conforme a) specifici requisiti. La certificazione si definisce anche come valutazione (“assessment”) di conformità di terza parte rispetto a una determinata norma (o standard). La certificazione deve riferirsi propriamente a quella di “terza parte”. Mutuo riconoscimento (“mutual recognition”): accordo fra paesi per cui i risultati di una valutazione di conformità – in termini di prove (testing), ispezioni/audit, certificazioni o accreditamento – condotta in un paese è formalmente riconosciuta da un altro paese. Condizione anche nota come “cross acceptance”. |
Completiamo l’articolo fornendo un riquadro di richiamo ad alcuni concetti e termini principali qui esposti, anche quale riferimento ai corrispondenti in lingua inglese (Tabella 1), riservandoci di riprendere l’argomento, in tema di norme di project management e certificazione del project manager.
Bibliografia
[1] UNI ISO 21502:2021. Gestione dei progetti, dei programmi e del portfolio – Guida alla gestione dei progetti. Ente italiano di normazione.
[2] UNI ISO 21500:2021. Gestione dei progetti, dei programmi e del portfolio – Contesto e concetti. Ente italiano di normazione.
[3] UNI 11648:2022. Attività professionali non regolamentate – Project Manager – Requisiti di conoscenza, abilità, autonomia e responsabilità. Ente italiano di normazione.
[4] UNI 11337. Edilizia e opere di ingegneria civile – Gestione digitale dei processi informativi delle costruzioni. Serie di norme Ente italiano di normazione. Ente italiano di normazione.
[5] Regolamento (CE) 765/2008
[6] www.accredia.it/servizi-accreditati/certificazioni/
[7] www.iso.org/management-system-standards-list.html
[8] UNI/PdR 78/2019. Sistema di Gestione BIM – Requisiti. Ente Italiano di Normazione.
[1] Questo fu ad esempio il caso di un nostro conoscente, che designato a svolgere attività di perito di tribunale in un contenzioso in materia di servizi di consulenza direzionale, ebbe tale richiesta dal giudice, che avendone nella fattispecie risposta positiva si mostrò soddisfatto nell’istruire il processo.
[2] A livello europeo esistono ad esempio oltre ad UNI in Italia (fondato nel 1921), altri enti nazionali di normazione quali BSI in Gran Bretagna (1901), AFNOR in Francia (1926), DIN in Germania (1927), e altri.
[3] In generale la disponibilità del testo nella lingua nazionale di un certo paese non è condizione necessaria per l’acquisizione da parte dell’ente di normazione nazionale, potendo ad esempio valere solo il testo originale inglese, anche in attesa di relativa traduzione.
[4] “Organizzazione” è il termine classico normativo per designare ogni soggetto economico e sociale che significhi impresa, azienda, NGO, o parte di un’organizzazione più estesa e simili.
[5] Ciò che è avvenuto ad esempio nel trasporto ferroviario, circa l’introduzione di nuovi standard e specifiche tecniche tesi ad assicurare l’interoperabilità fra paesi dei nuovi sistemi ad alta velocità.
[6] Fra tali valori figurano spesso quelli derivati dallo stesso sistema di gestione qualità, che per primo ha fatto scuola in materia, in termini ad esempio di leadership della direzione, qualificazione del personale, approccio al cliente, e miglioramento continuo.
[7] Ad esempio, nell’industria il caso dei cosiddetti processi “6 σ” o six-sigma che hanno l’obiettivo di produrre poco più di 3 elementi fallati ogni milione di elementi prodotti.
[8] Accredia è infatti l’ente unico nazionale di accreditamento designato dal governo italiano, in applicazione del citato Regolamento, ad attestare la competenza e l’imparzialità degli organismi di certificazione, ispezione, verifica e validazione, e dei laboratori di prova e taratura. Accredia è un’associazione riconosciuta che opera senza scopo di lucro, sotto la vigilanza del Ministero delle Imprese e del Made in Italy [6].
[9] Ad esempio, un dipartimento della funzione qualità che controlli altro dipartimento di produzione, in una stessa o in un gruppo multinazionale di aziende