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( votes)Commento alla sentenza della Corte di Giustizia UE, Sez. IX, del 2 maggio 2019, nella causa C309/18 sulla mancata indicazione separata dei costi della manodopera
1. La sentenza della Corte di Giustizia, vista nel più ampio panorama del soccorso istruttorio
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata il 2 maggio 2019 su una questione pregiudiziale riferita dal TAR Lazio, Sez. II bis, con Ordinanza del 20 marzo 2018 – 24 aprile 2018, n. 4562, confermando la legittimità del diniego di soccorso istruttorio in caso di omessa specificazione, nell’offerta economica, degli oneri della manodopera.
Secondo la Corte di Giustizia, “i principi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza, quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto, sempreché tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione.”.
Appena dopo aver affermato questo principio, però, la stessa Corte di Giustizia lo mitiga, affermando: “Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice.”.
La Corte, quindi, da un lato conferma la correttezza dell’interpretazione data dalla giurisprudenza italiana, ma al contempo adotta una decisione di stampo sostanzialistico, a sottolineare che – “tuttavia” – gli stessi principi di trasparenza e di proporzionalità che impongono di non ammettere al soccorso istruttorio l’offerta economica, per altro verso impongono alla stazione appaltante di lasciare ai concorrenti la possibilità di colmare un “vuoto” della lex specialis di gara.
La sentenza in commento, in definitiva, si segnala per aver valorizzato il dialogo e l’apporto partecipativo dei privati alla correttezza e completezza dell’azione amministrativa, che sono alla base della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e che, tramite il cd. “soccorso istruttorio”, sono stati trasportati anche nel settore degli appalti pubblici.
2. La vicenda vagliata dalla Corte UE
La domanda di pronuncia pregiudiziale sottoposta dal TAR Lazio alla Corte UE verte sull’interpretazione della Direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici, invocata nell’ambito di un giudizio tra un operatore economico (la Lavorgna S.r.l.) ed un Ente locale (il Comune di Montelanico) nell’ambito di una gara sopra soglia per la raccolta, il trasporto ed il trattamento/recupero dei rifiuti. Nell’ambito di tale gara la concorrente poi risultata aggiudicataria (Gea S.r.l.) era stata ammessa – con la procedura del soccorso istruttorio – a indicare i costi della manodopera, che non aveva correttamente evidenziato nell’ambito della sua offerta economica, non avendoli indicati separatamente – come invece è imposto dall’art. 95, comma 10 d.lgs. n. 50/2016 -.
A questo punto, la Lavorgna S.r.l., posizionatasi al secondo posto in esito alla procedura di selezione, ha proposto un ricorso, dinanzi al TAR Lazio, per ottenere l’annullamento dell’aggiudicazione a favore della Gea S.r.l., sostenendo che quest’ultima avrebbe dovuto essere esclusa dalla procedura di gara proprio per aver omesso di indicare, nella sua offerta, i costi della manodopera – non essendo applicabile al caso di specie la procedura di soccorso istruttorio (in particolare, giacché tale beneficio non è estensibile alla sanatoria dei vizi dell’offerta, ma è utilizzabile solo per sanare mancanze e difformità delle dichiarazioni sui requisiti generali di partecipazione) –.
Dal canto suo, la stazione appaltante ha obiettato che il soccorso istruttorio è stato applicato in via generale a tutti i concorrenti, al fine di consentire la conservazione della procedura amministrativa di gara, integrando i relativi atti con la correzione che avrebbe permesso di adeguarli a quanto previsto dall’art. 95, comma 10 del Codice; infatti, gli atti di gara pubblicati non prevedevano – erroneamente – l’obbligo di indicare separatamente i costi della manodopera e, pertanto, nessuna esclusione avrebbe potuto legittimamente colpire i concorrenti che non li avevano esposti.
Il TAR Lazio, ravvisando un contrasto tra i principi del Trattato UE trasfusi nella Direttiva 2014/24/UE, con la normativa nazionale (segnatamente, con gli articoli 95, comma 10 e 83, comma 9 d.lgs. n. 50/2016) ha chiesto alla Corte di Giustizia di pronunciarsi in sede pregiudiziale sul seguente quesito: “Se i principi comunitari di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto, unitamente ai principi di libera circolazione delle merci, di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui al Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), nonché i principi che ne derivano, come la parità di trattamento, la non discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità e la trasparenza, di cui alla direttiva n. 2014/24/UE, ostino all’applicazione di una normativa nazionale, quale quella italiana derivante dal combinato disposto degli artt. 95, comma 10, e 83, comma 9, del D. Lgs. n. 50/2016, secondo la quale l’omessa separata indicazione dei costi della manodopera nelle offerte economiche di una procedura di affidamento di servizi pubblici determina, in ogni caso, l’esclusione della ditta offerente senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicazione separata non sia stato specificato nella documentazione di gara e, ancora, a prescindere dalla circostanza che, dal punto di vista sostanziale, l’offerta rispetti effettivamente i costi minimi della manodopera, in linea peraltro con una dichiarazione all’uopo resa dalla concorrente”.
In altri termini, l’art. 95, comma 10 dispone che l’omessa, separata indicazione dei costi della manodopera nelle offerte economiche di una procedura di gara per l’affidamento di servizi pubblici comporti l’esclusione del concorrente – indipendentemente dalla circostanza che tale obbligo e sanzione siano o meno stabiliti dalla lex specialis di gara (e dalla modulistica che i concorrenti sono tenuti a compilare secondo tale lex specialis) – senza possibilità di applicare la procedura di soccorso istruttorio.
L’esclusione, dunque, conseguirebbe quale oggettiva (e meramente formale) conseguenza della carenza della dichiarazione e ciò, quindi, anche nel caso in cui, dal punto di vista sostanziale, l’offerta rispettasse realmente i costi minimi della manodopera (con dichiarazione resa appositamente dal concorrente).
Il TAR Lazio, tuttavia, non appare persuaso di questa argomentazione e, invece, ritiene che essa possa stridere con “i principi comunitari di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto, di libera circolazione delle merci, di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui al Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), nonché con i principi che ne derivano, come la parità di trattamento, la non discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità e la trasparenza, di cui alla direttiva 2014/24/UE.”.
3. La decisione della Corte di Giustizia UE.
La Corte, quindi, si trova a dover dibattere, in sostanza, sulla prevalenza del principio di legittimo affidamento (che il concorrente ripone nella lex specialis di gara) sul principio di parità di trattamento (che impone rigorosamente a tutti i concorrenti di esporre la propria offerta economica in modo omogeneo e (ovviamente) secundum legem – quindi, senza dover ricorrere al soccorso istruttorio per adeguare la propria offerta al vigente quadro normativo –.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza in commento, ha preliminarmente ribadito come “discendano dal principio della parità di trattamento e dall’obbligo di trasparenza, l’obbligo – per l’amministrazione appaltante – di formulare in modo chiaro, preciso e univoco, negli atti di gara, tutte le condizioni e le modalità della procedura di aggiudicazione, in modo da permettere a tutti gli offerenti di comprenderne l’esatta portata e d’interpretarle allo stesso modo (sentenza del 2 giugno 2016, Pizzo, C‑27/15, EU:C:2016:404, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).”.
Inoltre, essa “ha già statuito che osta all’esclusione di un operatore economico da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, il mancato rispetto, da parte di tale operatore, di un obbligo che non risulti espressamente dai documenti relativi a tale procedura o dal diritto nazionale vigente, bensì da un’interpretazione di tale diritto e di tali documenti nonché dal meccanismo diretto a colmare, con un intervento delle autorità o dei giudici amministrativi nazionali, le lacune presenti in tali documenti (sentenza del 2 giugno 2016, Pizzo, C‑27/15, EU:C:2016:404, punto 51; v., in tal senso, ordinanza del 10 novembre 2016, Spinosa Costruzioni Generali e Melfi, C‑162/16, non pubblicata, EU:C:2016:870, punto 32).”.
Nel caso di specie, però, l’obbligo sanzionato con l’esclusione non proviene dalla lex specialis di gara, bensì direttamente dalla legge (cioè, dall’art. 95, comma 10 d.lgs. n. 50/2016) e, quindi, non può essere ignorato.
La norma nazionale, poi, “non osta con la disciplina europea in quanto l’articolo 56, paragrafo 3, della direttiva 2014/24 autorizza gli Stati membri a limitare i casi nei quali le amministrazioni aggiudicatrici possono chiedere agli operatori economici interessati di presentare, integrare, chiarire o completare le informazioni o la documentazione asseritamente incomplete, errate o mancanti entro un termine adeguato.” – e questo è proprio il caso del legislatore italiano che, quindi, ha posto in grado tutti gli operatori di prendere conoscenza delle norme pertinenti applicabili alla procedura di gara, incluso l’obbligo di indicare nell’offerta economica i costi della manodopera.–.
Secondo la Corte di Giustizia, quindi, ne consegue che “i principi della parità di trattamento e di trasparenza non ostano a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, secondo la quale la mancata indicazione dei costi della manodopera comporta l’esclusione dell’offerente interessato senza possibilità di ricorrere alla procedura di soccorso istruttorio, anche in un caso in cui il bando di gara non richiamasse espressamente l’obbligo legale di fornire detta indicazione.”.
Il principio esposto, tuttavia, non è sclerotizzato su un mero rispetto formale delle nome, è invece da considerarsi come un concetto generale, che ammette comunque una eccezione “pratica”: laddove il giudice nazionale ravvisi una “materiale impossibilità, per l’offerente, di indicare separatamente i costi della manodopera” (ad esempio, a causa della modulistica predisposta dalla stazione appaltante, che non preveda nemmeno lo spazio fisico per l’indicazione separata di tali costi), allora il concorrente medesimo ben potrà essere ammesso a sanare tale mancanza “entro un termine stabilito dalla stessa amministrazione aggiudicatrice”.
La sentenza, sul punto, valorizza quindi le “osservazioni scritte sottoposte alla Corte dalla Gea… dalle quali emerge che il modulo predisposto che gli offerenti della gara d’appalto di cui al procedimento principale dovevano obbligatoriamente utilizzare non lasciava loro alcuno spazio fisico per l’indicazione separata dei costi della manodopera. In più, il capitolato d’oneri relativo alla medesima gara d’appalto precisava che gli offerenti non potevano presentare alcun documento che non fosse stato specificamente richiesto dall’amministrazione aggiudicatrice.”.
Conclude, poi, con una visione sostanzialistica che sembra in antitesi con il formalismo sopra enunciato (in realtà, secondo la Corte, le due visioni sono una logica conseguenza l’una dell’altra), affermando: “Spetta al giudice del rinvio, che è il solo competente a statuire sui fatti della controversia principale e sulla documentazione relativa al bando di gara in questione, verificare se per gli offerenti fosse in effetti materialmente impossibile indicare i costi della manodopera conformemente all’articolo 95, comma 10, del codice dei contratti pubblici e valutare se, di conseguenza, tale documentazione generasse confusione in capo agli offerenti, nonostante il rinvio esplicito alle chiare disposizioni del succitato codice. Nell’ipotesi in cui lo stesso giudice accertasse che effettivamente ciò è avvenuto, occorre altresì aggiungere che, in tal caso, in considerazione dei principi della certezza del diritto, di trasparenza e di proporzionalità, l’amministrazione aggiudicatrice può accordare a un simile offerente la possibilità di sanare la sua situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla legislazione nazionale in materia”.
4. … Questione di principi ….
La decisione in esame, quindi, riporta a nuova vitalità il dibattito sulla prevalenza del principio di trasparenza (la cui conseguenza, in questo caso, sarebbe la oggettiva applicazione della sanzione dell’esclusione), declinato sotto l’aspetto della “parità di trattamento” e del principio di proporzionalità (di matrice sostanzialistica, che impone la valutazione del caso in concreto, per decidere sull’effettiva possibilità per l’operatore di adempiere all’obbligo normativo di dichiarare separatamente i costi della manodopera), qui in luce sotto l’aspetto del “legittimo affidamento”.
Secondo la Corte di Giustizia – e questo è l’aspetto più interessante della sentenza – tali principi possono ben convivere, poiché costituiscono due declinazioni del principio – ancor più generale ed immanente nelle norme in materia di appalti pubblici – del favor partecipationis.
Infatti, là dove il principio di parità di trattamento impone che i concorrenti abbiano pari opportunità nel formulare le rispettive offerte – soggiacendo alle medesime condizioni/norme -, il principio di proporzionalità garantisce che i concorrenti non vengano sanzionati per non aver effettuato adempimenti che la stessa stazione appaltante ha reso impossibili (o addirittura vietati, con la lex specialis di gara).
Entrambi i suddetti principi hanno come obiettivo comune quello di ampliare il mercato degli appalti pubblici, consentendo – a condizioni sostanzialmente eque e senz’altro paritarie – a tutti gli operatori di concorrere nelle gare di appalto, a beneficio della concorrenza.
5. … “Prequel” …
La sentenza della Corte di Giustizia qui esaminata può considerarsi una “risposta” indiretta anche ad altri quesiti analoghi posti in via pregiudiziale alla Corte stessa: la questione dell’applicabilità del soccorso istruttorio anche all’indicazione dei costi del personale, nell’ambito dell’offerta tecnica, infatti, è stata oggetto di ampia valutazione – e non solo da parte dei Tribunali di merito –.
Da ultimo, infatti, il tema dell’applicabilità del soccorso istruttorio all’indicazione separata dei costi del personale è stata oggetto di un triplice rinvio alla Corte di Giustizia UE da parte dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che ha dedicato a questo tema le Ordinanze nn. 1, 2, e 3 del 2019.
La questione, che spesso viene abbinata a quella della mancata indicazione degli oneri per la sicurezza del personale, ruota proprio intorno alla necessità (o meno) di privilegiare l’aspetto formalistico – cioè ottemperare all’obbligo di indicazione separata dei costi, nell’ambito dell’offerta economica – o quello sostanzialistico – che consiste nel dimostrare, eventualmente in sede di verifica dell’anomalia, che l’impresa ha effettivamente ottemperato agli obblighi a suo carico, sia sotto il profilo del rispetto dei minimi contrattuali, sia per quanto concerne gli oneri di sicurezza -.
In altre parole, si torna al punto di svolta della sentenza della Corte: il rispetto degli vincoli sostanziali a carico del concorrente, è sufficiente per ottemperare in modo corretto agli obblighi comunitari, oppure la legge italiana è troppo formalistica?
In questa analisi – che come si è visto si sostanzia nel bilanciamento fra il favor partecipationis e la par condicio dei concorrenti –, la Corte trova un contemperamento che le permette di non disattendere nessuno dei due anzidetti principi: certo, non si può far a meno di notare una lieve preponderanza della tesi sostanzialistica, che conduce alla soluzione “creativa” adottata dalla sentenza in commento.
Sì, dunque, al rispetto degli obblighi di natura sostanziale a carico dei concorrenti, ma – per quanto concerne l’obbligo formale di dichiarazione – ove ciò risulti effettivamente impossibile (si badi, deve trattarsi di una impossibilità oggettiva e non solo di una “dimenticanza” della lex specialis di gara, altrimenti il “vuoto” sarebbe comunque colmato dalla norma) il soccorso istruttorio è ammesso.
Di diverso avviso sembra essere la tesi dell’Adunanza Plenaria, in particolare la n. 3/2019, “chiamata a dirimere il contrasto giurisprudenziale sull’interpretazione dell’art. 95, comma 10, del d.lgs. n. 50 del 2016 (codice dei contratti pubblici), in relazione alla mancata indicazione separata, nell’offerta, dei costi di manodopera e degli oneri di sicurezza”; il Collegio decide, infatti, di aderire alla tesi favorevole all’automatica esclusione dei concorrenti che omettono di indicare separatamente i costi del personale … tuttavia, il dubbio sulla possibile fondatezza delle ragioni a sostegno della testi sostanzialistica spingono l’Adunanza Plenaria a sottoporre la questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia.
La decisione dell’Adunanza Plenaria n. 3/2019 è forse quella più formalistica – tra le tre ordinanze di rinvio sul medesimo tema – e, nelle pieghe della motivazione sul rinvio, il Collegio illustra anche le ragioni per cui non si porrebbe alcun contrasto tra la norma nazionale (formalistica) ed il diritto comunitario.
Innanzitutto, il Consiglio di Stato sintetizza il panorama normativo comunitario ricordando che: “La questione dedotta resta attratta nelle seguenti disposizioni di cui alla Direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici. In primo luogo viene in rilievo l’articolo 18 (“Principi per l’aggiudicazione degli appalti”) il quale stabilisce … al paragrafo 2: “Gli Stati membri adottano misure adeguate per garantire che gli operatori economici, nell’esecuzione di appalti pubblici, rispettino gli obblighi applicabili in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dal diritto dell’Unione, dal diritto nazionale, da contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro elencate nell’allegato X”. In termini, sostanzialmente coincidenti, dispongono sia l’art. 30 (“Principi generali”), comma 3 della Direttiva 2014/23/UE … sia l’articolo 36 (“Principi per l’aggiudicazione degli appalti”), comma 2 della Direttiva 2014/25/UE sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali … L’articolo 56, paragrafo 3 della direttiva 2014/24/UE stabilisce … “Se le informazioni o la documentazione che gli operatori economici devono presentare sono o sembrano essere incomplete o non corrette, o se mancano documenti specifici, le amministrazioni aggiudicatrici possono chiedere, salvo disposizione contraria del diritto nazionale che attua la presente direttiva, agli operatori economici interessati di presentare, integrare, chiarire o completare le informazioni o la documentazione in questione entro un termine adeguato, a condizione che tale richiesta sia effettuata nella piena osservanza dei principi di parità di trattamento e trasparenza”. L’articolo 69 (“Offerte anormalmente basse”) della medesima direttiva stabilisce … “1. Le amministrazioni aggiudicatrici impongono agli operatori economici di fornire spiegazioni sul prezzo o sui costi proposti nelle offerte se queste appaiono anormalmente basse rispetto a lavori, forniture o servizi 2. Le spiegazioni di cui al paragrafo 1 possono, in particolare, riferirsi a: (omissis) d) il rispetto degli obblighi di cui all’articolo 18, paragrafo 2”.”.
Poi afferma che “questo Giudice ritiene che il pertinente quadro giuridico nazionale imponga di aderire alla tesi secondo cui, nelle circostanze rilevanti ai fini del decidere, la mancata puntuale indicazione in sede di offerta dei costi della manodopera comporti necessariamente l’esclusione dalla gara e che tale lacuna non sia colmabile attraverso il soccorso istruttorio. Ritiene anche che, ai sensi del diritto nazionale, siccome l’obbligo di separata indicazione di tali costi è contenuto in disposizioni di legge dal carattere sufficientemente chiaro per gli operatori professionali, la mancata riproduzione di tale obbligo nel bando e nel capitolato della gara non potrebbe comunque giovare a tali operatori in termini di scusabilità dell’errore.”
In altri termini, secondo il Collegio, gli operatori non sarebbero gravati da un onere, ma da un vero e proprio obbligo giuridico, il cui adempimento consente non solo di valutare la serietà dell’offerta, ma anche di por effettivamente tutti i concorrenti in una situazione paritaria.
Ma la tesi formalistica sembra incrinarsi subito dopo, allorché il Collegio chiarisce: “questo Consiglio di Stato si domanda tuttavia se il quadro normativo nazionale in tal modo ricostruito risulti in contrasto con le pertinenti disposizioni e princìpi del diritto dell’Unione europea, con particolare riguardo ai princìpi di legittimo affidamento, di certezza del diritto, di libera circolazione, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi.”.
La tesi formalistica, secondo l’Adunanza Plenaria discende “dalla pertinente giurisprudenza della Corte di Giustizia. Si osserva al riguardo che l’illegittimità dei provvedimenti di esclusione di un concorrente per violazione di obblighi da lui non adeguatamente conoscibili è stata ritenuta dalla Corte di giustizia in relazione a ipotesi in cui tali obblighi non emergevano con chiarezza “dai documenti di gara o dalla normativa nazionale” (in tal senso, la sentenza 2 giugno 2016 in causa C-27/15 – Pippo Pizzo – e l’ordinanza 10 novembre 2016 in causa C-140/16 – Edra Costruzioni -).”.
Ed è proprio su questo passaggio, sulla “conoscibilità”, ovvero sulla “concreta attuabilità” che, come si è visto, la Corte di Giustizia trova la sintesi – apparentemente impossibile – fra le contrapposte esigenze formalistiche e sostanzialistiche.
Prosegue il Consiglio di Stato riassumendo le ragioni del suo sostegno per la “tesi escludente” ed affermando che: “Una volta che la legge nazionale abbia definitivamente, formalmente e, soprattutto, chiaramente sancito l’obbligo per l’offerente di dichiarare in sede di offerta separatamente i costi aziendali per la sicurezza sul lavoro, si ritiene in primo luogo che gli offerenti, anche di altri Stati membri, non possano più addure a loro discolpa la sussistenza di un condizione meno favorevole. Imporre l’obbligo della dichiarazione degli oneri nell’offerta, peraltro, non costituisce affatto un adempimento meramente formale, in quanto la presenza della dichiarazione non preclude la verifica della sua correttezza sostanziale attraverso la richiesta “di spiegazioni”, di cui all’articolo 69 della Dir. 2014/24 (ed all’art.97, comma 5, del d.lgs. n.50/2014), che è tipica della fase successiva all’apertura delle offerte economiche ed ha un profilo eminentemente oggettivo. In tal caso, non può dunque parlarsi affatto di “soccorso istruttorio”, che come tale afferisce propriamente alla fase dell’ammissione e della verifica dei requisiti e quindi a profili tipicamente soggettivi, in quanto la normativa nazionale, utilizzando la facoltà concessa dalla Direttiva all’art. 56, par. 3 della Dir. 2014/24/UE, all’art. 83, comma 9 del d.lgs. n. 50/2014 e s.m.i. ha limitato il soccorso istruttorio agli elementi formali “(…) del documento di gara unico europeo di cui all’articolo 85, con esclusione di quelle afferenti all’offerta economica e all’offerta tecnica (…)”.
E ancora “Il mancato rispetto dell’obbligo della dichiarazione degli oneri per la sicurezza in sede di offerta a pena di esclusione assume un rilievo concreto in quanto: in una gara d’appalto una offerta presuppone la puntuale valutazione del “punto di convenienza” della commessa sul piano finanziario ed organizzativo e, dunque, la stesura di un vero e proprio business plan; … la verifica in un momento successivo delle omesse dichiarazioni degli oneri in questione trova spesso le più fantasiose allocazioni postume di valori indeterminati (e/o percentuali generiche) operati con riferimento talvolta alle spese generali, talvolta agli imprevisti, talvolta agli oneri indiretti, talvolta agli utili, ecc.. … per questo, a prescindere dalla indubbia addebitabilità all’offerente dell’omesso adempimento, si deve ritenere che la mancata dichiarazione costituisce un elemento in grado di far dubitare della serietà ed appropriatezza dell’offerta.”.
E concludendo: “In tale direzione appare necessario che sia la Corte a risolvere definitivamente la questione interpretativa, soprattutto in considerazione della norma che impone agli Stati membri l’adozione di “misure adeguate” per garantire che gli operatori economici, nell’esecuzione di appalti pubblici, rispettino gli obblighi applicabili in materia di sicurezza sul lavoro di cui al ricordato art. 18 della Dir. 2014/24/UE.”.
L’Adunanza Plenaria cita anche “argomenti a sostegno della tesi qui affermata … desunti dalla giurisprudenza della stessa Corte di giustizia. Va in particolare osservato che il diritto dell’Unione europea (nell’interpretazione fornitane dalla CGUE) non impedisce l’esclusione di un concorrente dalla gara per ragioni di carattere formale e dichiarativo a condizione: i) che le ragioni e le condizioni dell’esclusione siano chiaramente e previamente stabilite dal diritto nazionale o dal bando di gara; ii) che le clausole che dispongono l’esclusione mirino a propria volta a conseguire obiettivi e princìpi di interesse per il diritto UE (quali il principio della par condicio competitorum fra concorrenti professionali). Con la sentenza 6 novembre 2014 in causa C-42/13 (Cartiera dell’Adda), ad esempio, la Corte di giustizia … i) ha stabilito che il concorrente può legittimamente essere escluso dalla gara per una lacuna di carattere formale e dichiarativo, a condizione che la relativa prescrizione sia conoscibile ex ante da un operatore diligente; ii) ha escluso che, in tali circostanze, il concorrente incorso in errore possa essere ammesso a dimostrare che il requisito non dichiarato fosse in concreto posseduto. Quanto sopra, come è evidente, equivale a negare il beneficio del ‘soccorso istruttorio’ tutte le volte in cui la clausola escludente fosse chiara e sia stata comunque violata dal concorrente. … Con la sentenza 2 giugno 2016 in causa C-27/15 (Pippo Pizzo) la Corte di giustizia … ha chiarito: i) che l’esclusione del concorrente ben può essere giustificata dalla violazione di un obbligo determinato quando ciò risulti necessario per garantire il rispetto del principio della par condicio; ii) che la previa conoscibilità della regola la cui violazione comporta l’esclusione può derivare o “dai documenti relativi a tale procedura”, oppure, come nel caso in oggetto, “dal diritto nazionale vigente” (purché, in ambo i casi, la regola fosse adeguatamente conoscibile ex ante).”
Infine “Con l’ordinanza 10 novembre 2016 in causa C-140/16 (Edra costruzioni) la Corte di giustizia, pronunciandosi proprio su un caso italiano relativo agli obblighi dichiarativi in tema di sicurezza sul lavoro, ha stabilito che “il principio della parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza (…) devono essere interpretati nel senso che ostano all’esclusione di un offerente dalla procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico a seguito dell’inosservanza, da parte di detto offerente, dell’obbligo di indicare separatamente nell’offerta i costi aziendali per la sicurezza sul lavoro, obbligo il cui mancato rispetto è sanzionato con l’esclusione dalla procedura e che non risulta espressamente dai documenti di gara o dalla normativa nazionale, bensì emerge da un’interpretazione di tale normativa e dal meccanismo diretto a colmare, con l’intervento del giudice nazionale di ultima istanza, le lacune presenti in tali documenti. I principi della parità di trattamento e di proporzionalità devono inoltre essere interpretati nel senso che non ostano al fatto di concedere a un tale offerente la possibilità di rimediare alla situazione e di adempiere detto obbligo entro un termine fissato dall’amministrazione aggiudicatrice”. La decisione in questione conferma, anche a contrario, le conclusioni sin qui suggerite da questo Giudice del rinvio ….”.
E’ interessante notare che le suesposte considerazioni dell’Adunanza Plenaria – così come la giurisprudenza comunitaria citata – sono state analizzate dalla Corte di Giustizia, con la sentenza in commento, e re-impostate nell’ambito di un quadro di armonizzazione delle esigenze formalistiche con quelle sostanzialistiche.
Sarà ancora più interessante verificare, quindi, se la corte di Giustizia riprenderà le medesime argomentazioni – e se giungerà alle stesse conclusioni – decidendo sulle tre Ordinanze di rinvio riferite dall’Adunanza Plenaria.
6. … e “sequel”…
Per completezza di esposizione và detto che la decisione della Corte comunitaria ha immediatamente avuto un “sequel”; il che conferma non solo l’interesse del panorama giudiziario sul tema, ma anche l’attenzione – si direbbe quasi, la “sensibilità” – con la quale i giudici nazionali hanno accolto le indicazioni di quelli euro-unitari.
Infatti, il TAR Molise, Sez. I, con la sentenza del 3 giugno 2019, n. 204 ha fatto proprio il principio – o, meglio, l’eccezione – enunciato dalla Corte di Giustizia, affermando che: “la Corte [Corte di Giustizia UE, citata proprio con riferimento alla sentenza qui in commento] ha quindi concluso nel senso che: “Spetta al giudice del rinvio, che è il solo competente a statuire sui fatti della controversia principale e sulla documentazione relativa al bando di gara in questione, verificare se per gli offerenti fosse in effetti materialmente impossibile indicare i costi della manodopera conformemente all’articolo 95, comma 10, del codice dei contratti pubblici e valutare se, di conseguenza, tale documentazione generasse confusione in capo agli offerenti, nonostante il rinvio esplicito alle chiare disposizioni del succitato codice. Nell’ipotesi in cui lo stesso giudice accertasse che effettivamente ciò è avvenuto, occorre altresì aggiungere che, in tal caso, in considerazione dei principi della certezza del diritto, di trasparenza e di proporzionalità, l’amministrazione aggiudicatrice può accordare a un simile offerente la possibilità di sanare la sua situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla legislazione nazionale in materia entro un termine stabilito dalla stessa amministrazione aggiudicatrice (v., in tal senso, sentenza del 2 giugno 2016, Pizzo, C-27/15, EU:C:2016:404, punto 51, e ordinanza del 10 novembre 2016, Spinosa Costruzioni Generali e Melfi, C-162/16, non pubblicata, EU:C:2016:870, punto 32)”. Ciò premesso, si osserva che: – nella fattispecie di cui all’odierno ricorso il disciplinare di gara sanzionava espressamente con l’esclusione dalla gara la mancata indicazione degli oneri aziendali relativi alla sicurezza, senza operare alcun riferimento ai costi della manodopera, e stabiliva che l’offerta economica dovesse essere “predisposta in conformità al modello G” (art. 7); – a sua volta il modello G conteneva un apposito spazio per la dichiarazione dei costi in materia di sicurezza e salute sul lavoro, ma non richiedeva (né comunque consentiva di inserire) l’indicazione dei costi della manodopera; – per il resto il disciplinare di gara rinviava al codice appalti (…). All’esito dell’esame di tali prescrizioni, può ritenersi che l’omessa indicazione dei costi della manodopera da parte dell’aggiudicataria non assuma autonoma rilevanza escludente, dal momento che – nonostante la clausola di chiusura che rinvia al codice appalti – tanto le prescrizioni della lex specialis, quanto la struttura del modello allegato al disciplinare di gara ai fini della predisposizione dell’offerta tecnica, risultavano carenti ed ambigue sul punto in questione e potevano risultare ingannevoli rispetto alla sussistenza del relativo obbligo dichiarativo.”.
I giudici di merito, quindi, hanno pienamente applicato l’insegnamento della Corte di Giustizia, concentrandosi sull’effettiva possibilità, per il concorrente, di adempiere all’obbligo dichiarativo – ma, al contempo, valutando gli aspetti sostanziali della dichiarazione resa (sebbene, in questo caso, con riferimento al tema parallelo degli oneri di sicurezza)-.