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Premessa 

Le vicende legate alla necessità di arginare gli effetti del contagio da Covid19 che, soprattutto nel primo semestre 2020, hanno pesantemente interessato il nostro Paese, sovvertendone il quotidiano e compromettendo, anche in prospettiva, buona parte del ciclo economico, si sono inevitabilmente ripercosse sui contratti in corso, creando rilevanti problemi operativi e mettendo in luce un quadro normativo in tema di corretta allocazione dei conseguenti maggiori oneri esecutivi non scevro da interrogativi sulla sua adeguatezza, per lo meno a far fronte ad eventi tanto eccezionali.

Le restrizioni all’esercizio delle attività d’impresa, estese a tutto il territorio nazionale dal 23 marzo[1], ma attive in alcuni contesti fin dal mese precedente[2], per altro non sempre da subito chiare nella relativa portata, hanno generato difficoltà esecutive conseguenti ad esternalità di varia natura (rarefazione degli approvvigionamenti, limitazioni negli spostamenti di tecnici e maestranze, rischio di sanzioni per mancata osservanza di prescrizioni diverse ecc.), condizionando in modo importante gli adempimenti contrattuali, con rallentamenti e blocchi operativi fonte di problemi sia nei casi di successiva adozione di formali provvedimenti di sospensione delle attività interessate, sia, a maggior ragione, nei casi di continuazione per esigenze di ordine pubblico (es. raccolta rifiuti, servizi di trasporto ecc.).

In tale contesto, le questioni che si pongono riguardano profili molteplici: l’imputabilità alle parti di ritardi esecutivi, mancate consegne ed altre inadempienze conseguenti al lockdown o, a quel che potremmo definire il pre-lockdown; gli oneri, prevalentemente di natura economica, legati alla necessità di sospendere attività in corso a seguito di indicazioni in tal senso rese dalla committenza (ordini di servizio); gli oneri, tanto economici che organizzativi, conseguenti alla ripresa e/o alla continuazione delle attività esecutive in presenza dei nuovi modi di operare imposti dalla sicurezza (es. minore produttività della manodopera per il rispetto del distanziamento) e/o dalle diverse modalità di svolgimento della commessa (es. riduzione dei pasti da fornire in presenza di un minor numero di presenze fisiche sui luoghi di lavoro, ecc.).

L’intervento dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione che vale anche per i contratti pubblici

Come gestire tali elementi di criticità e, soprattutto, a quale parte contrattuale ricondurre il peso dei relativi oneri è questione delicata, sulla quale anche la Corte di Cassazione, Ufficio del Massimario, è intervenuta nello scorso mese di luglio, con una relazione specificamente dedicata all’impatto della normativa emergenziale da Covid 19 sui contratti[3].

Il dato normativo

Il quadro normativo applicabile è il riferimento dal quale necessariamente partire. 

In tal senso viene anzitutto in evidenza la disciplina generale di cui agli articoli 106 e 107 del d.lgs. 18 aprile 2016, n.50, in tema di modifiche contrattuali e sospensioni, nonché il dm 7 marzo 2018, n.49, recante la regolamentazione dell’esecuzione, incluso l’istituto delle riserve, qui da considerare anche nell’ottica del ripristino di un regolamento unico, come previsto dal decreto sbloccacantieri[4]. Deve aggiungersi, nel quadro dei provvedimenti emergenziali adottati dal Governo, l’articolo 3, comma 6 bis, del dl 23 febbraio 2020, n.6, introdotto dall’articolo 91 del dl 17 marzo 2020, n. 18, “Cura Italia”, convertito con legge 24 aprile 2020, n. 27, e l’articolo 8, comma 4, lett. c), del dl 16 luglio 2020, n.76, “Semplificazioni”, convertito con legge 11 settembre 2020, n. 120, oltre ai diversi dpcm via via adottati, contenenti in allegato i protocolli operativi da rispettare per l’esercizio delle diverse attività in sicurezza, come definiti tra committenza pubblica, imprese e sindacati[5]. Rilevano, infine, anche alcune previsioni specifiche, con applicazione limitata a contesti particolari[6].

  • La non imputabilità alle parti di ritardi esecutivi, mancate consegne

Venendo al merito dei singoli problemi, va ricordato come, in via di principio, il rispetto dei tempi contrattuali costituisca obbligo fondamentale per l’affidatario di una commessa, vieppiù rilevante nel caso di rapporti pubblici dove l’interesse generale all’ottenimento della prestazione nei modi ed alle scadenze previste è ancor più rilevante. Per tali ragioni, la ritardata consegna o ultimazione e/o la sospensione operativa sono considerati a tutti gli effetti come inadempimenti, con tutte le conseguenze del caso; tra queste l’applicazione di penali da ritardo, la risoluzione del rapporto in danno laddove la relativa entità sia tale da sconfinare nell’ambito dell’ inadempimento grave, l’escussione delle garanzie prestate, l’iscrizione nel Casellario dell’Anac, l’esclusione dalle gare, ai sensi dell’articolo 80, comma 5, lettera c-ter), del Codice dei contratti.

Il rispetto delle misure di contenimento del contagio

è sempre valutata ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore

Il richiamato articolo 3, comma 6 bis, del dl 6/2020, interviene espressamente sul punto disponendo che il rispetto delle misure di contenimento del contagio da Covid 19 è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.

Il riferimento all’articolo 1218 del codice civile – non già al 1256 che punta sull’estinzione del rapporto obbligatorio[7] – esclude (solo) la responsabilità del debitore per inadempimento laddove la prestazione convenuta sia divenuta impossibile per causa a lui non imputabile, andando incontro all’appaltatore che, per problemi conseguenti alle restrizioni legate alla pandemia, non sia stato in grado di far fronte ai propri impegni anche prima della generalizzata sospensione del 23 marzo.

Da notare peraltro che la pandemia non viene configurata come un’esimente in sé, ma la legge impone di valutare l’effettivo impatto sul contratto delle misure adottate per limitarne la diffusione, caso per caso; in quest’ottica i protocolli firmati tra le parti sociali[8] recano alcune tipizzazioni, ancorché non esaustive, delle situazioni che, a tali fini, potrebbero considerarsi rilevanti.

Da notare, ancora, che la norma non contiene richiami specifici alla figura dell’appaltatore, né al codice dei contratti pubblici, che viceversa è citato nella parte successiva dello stesso articolato, in tema di anticipazione.

Tale carenza non è, peraltro, d’ostacolo alla sua applicazione anche ai contratti pubblici, in quanto la soluzione data al problema dal legislatore, riferita ai rapporti regolati dal codice civile e basata sulla conservazione dei contratti in funzione del primario interesse alla loro realizzazione, vale ancor più nel caso in cui il committente sia una pubblica amministrazione; in questo senso sono anche le indicazioni dell’Ufficio del Massimario della Cassazione sopra richiamato.

Da notare, infine, come il comma 6 bis trovi applicazione su ambo i lati del rapporto, in quanto l’appalto è contratto a prestazioni corrispettive, e quindi anche nel caso in cui il ritardo o l’ipotizzato inadempimento riguardi comportamenti riconducibili al lato stazione appaltante. Unica eccezione, peraltro espressamente prevista come tale, riguarda i pagamenti, per i quali il decreto legge 18 impone, comunque, il rispetto delle relative tempistiche[9].

Gli oneri da sospensione

Posta l’inimputabilità della sospensione o del ritardo, peraltro nei limiti ed alle condizioni indicate, la questione successiva che si pone è se i relativi oneri di natura economica, ad esempio la messa in sicurezza di un cantiere riguardante una galleria, possano essere legittimamente compensati all’appaltatore da parte della committenza.

Primo aspetto da considerare è se la sospensione sia l’esito di un’indicazione normativa vincolante o di un provvedimento della stazione appaltante, ancorché sollecitato dall’affidatario, o ancora da situazioni di fatto, come ad esempio l’impossibilità di approvvigionare le forniture necessarie all’adempimento della prestazione.

In tema di sospensione dell’esecuzione nei contratti pubblici occorre riferirsi all’articolo 107 del Codice dei contratti che considera tre casistiche tipizzate, più una aperta, regolate rispettivamente ai commi 1, 2, 4 e 6; le indicazioni si riferiscono in modo esplicito ai contratti di lavori, ma il comma 7 dello stesso articolo prevede che queste trovino applicazione, in quanto compatibili, anche per servizi e forniture.

Ciò posto, il primo caso riguarda la possibilità che DL/DEC sospendano l’esecuzione del contratto, laddove circostanze speciali impediscano in via temporanea di procedere utilmente a regola d’arte senza, peraltro, contemplare indennizzo alcuno. Il secondo prevede che sia il RUP a disporre la sospensione per ragioni di necessità o di pubblico interesse e se la sospensione, o le sospensioni, durano per più di un quarto della prevista complessiva durata contrattuale, o comunque per più di 6 mesi, l’esecutore possa chiedere la risoluzione contrattuale senza indennità; solo se la stazione appaltante si oppone nasce il diritto alla rifusione dei maggiori oneri da prolungamento della sospensione oltre i termini. Il terzo caso considera le cause imprevedibili o di forza maggiore che impediscano parzialmente il regolare svolgimento delle prestazioni, ipotesi in cui l’esecutore deve proseguire le parti eseguibili, mentre si provvede alla sospensione parziale di quanto non lo sia con verbale, dove possono esser fatte valere tutte le contestazioni, evidentemente anche di natura economica. L’ultimo attiene alle sospensioni, totali o parziali, disposte dalla stazione appaltante per cause diverse da quelle fin qui elencate, per le quali è possibile chiedere il risarcimento dei danni, da quantificarsi in base all’articolo 1382 del codice civile e secondo i criteri individuati nel dm 49, che declina in dettaglio le singole voci all’articolo 10[10].

Il rispetto delle misure di contenimento del contagio costituisce causa di forza maggiore, ai sensi dell’articolo 107 del Codice dei contratti

In questo quadro è intervenuto, da ultimo, l’articolo 8, comma 4, lett. c), del decreto semplificazioni che, sul punto, prevede che il rispetto delle misure di contenimento previste dall’articolo 1 del decreto-legge n. 6 del 2020 e dall’articolo 1 del decreto-legge n. 19 del 2020 nonché dai relativi provvedimenti attuativi, ove impedisca, anche solo parzialmente, il regolare svolgimento dei lavori ovvero la regolare esecuzione dei servizi o delle forniture costituisce causa di forza maggiore, ai sensi dell’articolo 107, comma 4, del decreto legislativo n. 50 del 2016 e, qualora impedisca di ultimare i lavori, i servizi o le forniture nel termine contrattualmente previsto, costituisce circostanza non imputabile all’esecutore ai sensi del comma 5 del citato articolo 107 ai fini della proroga di detto termine, ove richiesta.

Alla luce delle più recenti indicazioni, l’indennizzo degli oneri da fermo attività, ai sensi del comma 4 dell’articolo 107 del codice dei contratti costituisce opzione percorribile, per lo meno nei casi in cui la sospensione sia l’esito di un provvedimento assunto in tal senso dalla stazione appaltante, e a condizione che di detti oneri l’appaltatore ne abbia fatto richiesta nei modi e nei temimi previsti dalla legge e dal contratto (vedi infra).

Oneri per l’esecuzione dei contratti in sicurezza ed adeguamenti dei contenuti contrattuali

Passando a considerare l’ultimo caso, quello in cui l’esecuzione del contratto non sia mai stata sospesa, o venga ripresa al termine del lockdown, la questione merita specifica attenzione per il fatto di generare non solo maggiori oneri economici legati ai costi delle attrezzature e dei dispositivi volti a garantire la sicurezza, ma anche diverse modalità di esecuzione della prestazione affidata in ordine ai tempi di produzione e/o ai volumi erogati.

In tal senso rilevano, ad esempio, le procedure per la misurazione delle temperature corporee di tutti i dipendenti all’ingresso dei luoghi di lavoro, l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuali, gli obblighi di distanziamento personale ecc. adempimenti che l’appaltatore avrà comunque l’obbligo di rispettare se vorrà andare indenne da responsabilità sul piano penale, come previsto dall’articolo 29 bis del decreto legge 8 aprile 2020 n.23, “Liquidità”, introdotto in sede di conversione dalla legge 5 giugno 2020, n.40.

Al riguardo spetta senz’altro alla stazione appaltante, in specie al coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione (CSE) in caso di lavori o contratti equiparati, ovvero al RUP laddove tale figura non sia prevista, di prendere l’iniziativa per l’adeguamento del singolo contratto in corso alle prescrizioni fissate dai singoli protocolli. Il rispetto di tali misure, oltre ad incidere sui costi di esecuzione, può avere ripercussioni importanti anche sui livelli di produttività contrattualmente fissati, cosa che occorrerà considerare adeguando convenientemente tempi e modi di esecuzione delle commesse.

Nello stesso senso è compito della stazione appaltante intervenire per rimodulare la durata dei contratti per tener conto dei periodi di ridotta attività o di sospensione del servizio, che potranno essere temporalmente traslati.

D’altro canto, anche un adeguamento dello stesso oggetto dell’affidamento potrebbe venire in considerazione, in relazione, ad esempio, alla necessità di integrare un contratto di manutenzione di edifici scolastici già in essere alle esigenze di adeguamento dei plessi, richiesto con urgenza per la necessità di riavviare l’attività didattica in sicurezza.

Al riguardo valgono le disposizioni generali in tema di modifiche dei contratti durante il periodo di efficacia, ai sensi dell’articolo 106 del d.lgs. 50/2016, in particolare i casi di cui al comma 1 lettera c) e al comma 12.

Laddove la stazione appaltante non proceda di suo ad adeguare modalità e termini economici dei contratti interessati, lo strumento tipico a disposizione dell’appaltatore per rappresentare le proprie esigenze, principalmente di natura economica, quello delle cosiddette riserve.

Le disposizioni del DM 49

L’istituto delle riserve, espressamente esteso anche a forniture e servizi dal Codice dei contratti, che all’articolo 206 rende percorribile l’accordo bonario, che su queste si basa, anche per tali tipologie di appalto, trova la sua regolamentazione nel citato dm 49 del 2018.

Con due norme gemelle, gli articoli 9 e 21, vi si prevede, infatti, che il direttore dei lavori, ovvero il direttore dell’esecuzione, per la gestione delle contestazioni su aspetti tecnici e delle riserve, si attiene alla relativa disciplina prevista dalla stazione appaltante e riportata nel capitolato d’appalto.

Maggiori oneri esecutivi e riserve: la disciplina è contrattuale

Dette previsioni, in realtà fin qui oggetto di limitata attenzione da parte di dottrina e giurisprudenza, in buona sostanza rinviano per intero alla sede contrattuale quella che in passato era una normativa, ancorché di natura regolamentare, strutturata in modo completo e retta da prescrizioni impegnative, il cui mancato scrupoloso rispetto, ad esempio per ciò che atteneva l’obbligo di tempestiva formulazione delle richieste ed esplicazione delle relative ragioni nonché dei termini del possibile conseguente impatto economico, implicava decadenze insuperabili.

La disciplina più recente implica modifiche sostanziali, anzitutto nel senso che la portata delle singole discipline contrattuali viene oggi verificata caso par caso; inoltre, che l’eventuale presenza, diretta o per rinvio ad altra fonte, di clausole riproduttive di obblighi ed adempimenti particolari, quali ad esempio quelli sopra richiamati, da osservarsi a pena di decadenza del diritto di far valere in altro modo le ragioni dell’affidatario della commessa, laddove non affette da altri vizi, potrebbero considerarsi riconducibili al novero delle clausole vessatorie, con conseguente necessità di specifica approvazione scritta per poter operare, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 1341 del codice civile.

Rispetto alla situazione in essere, la bozza di articolato relativa al nuovo regolamento in gestazione opera due inversioni di rotta: da un lato, infatti, viene spezzata l’unitarietà di impostazione per l’intero ambito dell’attività contrattuale della PA, fin qui perseguito dal legislatore, tornando ad ipotizzare una disciplina differenziata per comparti: lavori da una parte e forniture e servizi dal l’altra. Per i lavori, inoltre, si intenderebbe ripristinare tout court, e per intero, la normativa già prevista dagli articoli 190 e 191 del dpr 5 ottobre 2010, n. 207; per forniture e servizi, confermare l’opzione per una disciplina su base puramente contrattuale, disponendo che spetta al direttore del l’esecuzione gestire le riserve, attenendosi a quanto stabilito dalla stazione appaltante e riportato nel capitolato d’appalto. Considerata l’unitarietà di disciplina correttamente perseguita dal codice dei contratti a livello di gestione delle riserve tramite accordo bonario, ci si domanda per quale ragione, e comunque se sia legittimo, differenziare la regolamentazione a livello di (nuova) normativa secondaria. 

Conclusioni

Alla luce di quanto precede, appare evidente che i maggiori oneri conseguenti all’alterazione dei contenuti contrattuali ed alla necessità di applicare ai processi esecutivi tutte le prescritte cautele volte a contenere la diffusione della pandemia, sia in termini puramente economici sia sotto il profilo dell’operatività e delle tempistiche produttive, andranno opportunamente considerati.

La Cassazione indica la strada: riequilibrio delle prestazioni contrattuali in luogo della risoluzione

Il peso economico di tutto ciò non potrà, infatti, risultare trasferito tout court alle imprese affidatarie, considerate dalla Cassazione parte fragile[11].

Specificamente sul tema dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, la Corte di Cassazione afferma, infatti, che le misure di contenimento hanno potuto sbilanciare, in via definitiva, l’economia del negozio, vuoi impegnando ultra vires una parte nell’esecuzione delle prestazioni che la gravano, vuoi impedendole di trarre dal rapporto le utilità in considerazione delle quali il contratto è stato concluso.

Ed ancora che nel contesto dei contratti commerciali, che sono ancillari all’esercizio dell’impresa e ne supportano la continuità, a fronte della sopravvenienza l’obiettivo precipuo del contraente sfavorito non è lo smantellamento del rapporto, ma la sua messa in sicurezza sul crinale di un riequilibrio reciprocamente appagante delle prestazioni.

Trattasi di indicazioni di rilievo, di cui occorrerà necessariamente tener conto nel gestire situazioni contrattuali in corso ed anche da avviare.


[1]             Di fatto dal giorno 25, vista la previsione recata all’articolo 1, comma 4, del dpcm 22 marzo 2020, in GU dello stesso giorno, n.76.

[2]            Il 23 febbraio 2020 è la data ufficialmente indicata nella legislazione emergenziale, come quella di inizio delle restrizioni legate all’esigenza di contenere la diffusione della pandemia, coincidente con l’adozione del primo provvedimento legislativo avente tale finalità (il decreto legge 26 febbraio 2020 n.6, pubblicato sulla GU dello stesso giorno, n. 45, e convertito con legge 5 marzo 2020, n.13, in GU 9 marzo 2020, n.6), inizialmente circoscritto ad alcuni Comuni della Regione Lombardia e via via progressivamente ampliate; già dal 31 gennaio 2020, peraltro, il Consiglio dei Ministri, con provvedimento ad hoc, in G.U. n. 26, del 1° febbraio 2020, aveva dichiarato lo stato di emergenza nazionale con validità 6 mesi, e dal 20 febbraio due specifiche ordinanze del Ministero della Salute erano intervenute, a livello locale, per limitare la mobilità della popolazione.

[3]          Trattasi della Relazione tematica n.56, dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, dell’8 luglio 2020, reperibile all’indirizzo http://www.cortedicassazione.it/cassazione resources/resources/cms/documents/Relazione_Tematica_Civile_056-2020.pdf.

[4]          L’attesa del ritorno ad una fonte regolamentare integrativa del Codice, tendenzialmente unitaria, generata da quanto previsto dal dl 18 aprile 2019, n.32, in GU 18 aprile 2019, n.92, cosiddetto decreto sbloccacantieri 2019, potrebbe peraltro lasciare il passo a scelte di natura diversa, volte ad incidere direttamente sulla legislazione primaria, per dare un’effettiva radicale svolta alle modalità attuative della spesa per investimenti.

[5]          Trattasi: del Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid 19 negli ambienti di lavoro, del 14 marzo 2020; del Protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del Covid 19 nei cantieri edili, del 20 marzo 2020; del Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid 19 negli ambienti di lavoro del settore edile – Linee guida per il settore edile del 24 marzo 2020. Tali previsioni sono riportate nell’allegato 7 al DPCM 26 aprile 2020, pubblicato in Gazz. Uff. 27 aprile 2020, n. 108, divenuto poi allegato 13 nel DPCM 17 maggio 2020, pubblicato in Gazz. Uff. 17 maggio 2020, n. 126, ad oggi operante in forza del richiamo al DPCM 7 agosto 2020, contenuto nel DPCM 7 settembre 2020, in Gazz. Uff. 7 settembre 2020, n. 222.

[6]          Così, ad esempio, l’articolo 109 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito con legge 17 luglio 2020, n. 77, in Gazz. Uff. n.180 del 18 luglio 2020, S.O. n. 25, recante “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, in tema di prestazioni individuali domiciliari, che possono essere convertite in altra forma, in deroga alle previsioni del d.lgs. 50 /2016, previo accordo tra le parti. Ancora l’articolo 86 – bis del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con legge 24 aprile 2020, n. 27, in Gazz. Uff. n.110 del 29 aprile 2020, recante “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19. Proroga dei termini per l’adozione di decreti legislativi” in tema di progetti di accoglienza … autorizzati alla prosecuzione fino al 30 giugno 2020, e di progetti in scadenza alla medesima data … che hanno presentato domanda di proroga, sono autorizzati alla prosecuzione dei progetti in essere alle attuali condizioni di attività e servizi finanziati, in deroga alle disposizioni del codice di cui al d.lgs. 50/2016.

[7]          Ai sensi dell’articolo 1256 cod. civ. il rapporto obbligatorio si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento. Tuttavia l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla

[8]          Trattasi dei Protocolli condivisi e delle Linee guida indicati alla nota 5.

[9]             Così l’articolo 103., comma 4.

[10]         Trattasi dei maggiori oneri per spese generali infruttifere, ritardata percezione dell’utile d’impresa, mancati ammortamenti e retribuzioni inutilmente corrisposte.

[11]  Così punto 3, pagina 6, in fine.

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Questo articolo è stato scritto da...

Stefano De Marinis
Avvocato, già vicepresidente FIEC
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