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Come è noto, il Codice degli appalti pubblici detta un regime speciale in materia di affidamenti di contratti di servizi alle società in house. L’art. 192 del D. Lgs. n. 50/2016, infatti, impone innanzitutto che le amministrazioni aggiudicatrici che operano mediante affidamenti diretti a proprie società in house si iscrivano in apposito elenco istituito presso l’ANAC e rendano noti e continuamente aggiornati, mediante pubblicazione sul proprio sito istituzionale nella sezione Amministrazione trasparente, i dati sugli affidamenti in house posti in essere.
Inoltre, il comma 2 del citato art. 192 prevede che <<ai fini dell’affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell’offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all’oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche>>.
Tale norma impone quindi una motivazione “aggravata”, ovvero circostanziata e riferita a specifici contenuti, in tutti i casi in cui una Amministrazione intenda affidare direttamente un servizio alla propria società in house anziché mediante ricorso al mercato. Detto onere motivazionale aggravato presuppone lo svolgimento di un’indagine comparativa volta a dimostrare la convenienza economica e sociale dell’affidamento diretto rispetto all’esternalizzazione con procedura ad evidenza pubblica. L’Autorità nazionale anticorruzione ha ritenuto pertanto di fornire indicazioni in merito, mediante l’adozione di apposite Linee guida sul tema, allo scopo di orientare l’azione degli enti interessati verso comportamenti conformi alla normativa vigente e tra loro uniformi, nonché di favorire la diffusione di best practices.
L’esigenza di adottare apposite Linee guida sul tema nasce anche dall’analisi di alcune relazioni relative all’affidamento in house di servizi pubblici locali rinvenute sui siti istituzionali di diverse Amministrazioni. Nella relazione illustrativa di accompagnamento al testo delle Linee guida si legge infatti che l’ANAC ha rilevato come spesso le relazioni redatte secondo lo schema-tipo elaborato dal Ministero per lo Sviluppo economico per l’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica si dilunghino molto sul contesto giuridico e sulla sussistenza dei requisiti di cui all’art. 5 del D. Lgs. n. 50/2016 (relativi al controllo analogo dell’Amministrazione sull’organismo in house) e siano invece molto sintetiche nella parte dedicata alla motivazione del mancato ricorso al mercato. Spesso, la motivazione dell’affidamento diretto in luogo del ricorso al mercato concorrenziale si riduce a mere formule di stile prive di contenuto sostanziale, sintomo questo dell’assenza di una concreta valutazione sulla congruità economica e sociale della scelta effettuata a monte. Da ciò, l’esigenza dell’Autorità di intervenire sul tema.
E’ pertanto attualmente in consultazione sul sito dell’ANAC la bozza di Linee guida recanti «Indicazioni in materia di affidamenti in house di contratti aventi ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza ai sensi dell’articolo 192, comma 2, del decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50 e s.m.i.». Gli stakeholders interessati hanno tempo fino al 15 marzo 2021 per presentare osservazioni e suggerimenti sul testo. A conclusione della consultazione pubblica, le Linee guida saranno adottate ai sensi dell’art. 213, comma 2, del codice dei contratti pubblici.
E’ attualmente in consultazione sul sito dell’ANAC la bozza di Linee guida in materia di affidamenti in house di contratti aventi ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, che fornisce indicazioni in merito all’onere motivazionale aggravato richiesto dall’art. 192 del Codice per giustificare il mancato ricorso al mercato.
Il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento
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L’art. 16 del D. Lgs. n. 175/2016 invece prevede – in conformità a quanto previsto anche dall’art. 5 del Codice appalti – che oltre l’80 per cento del fatturato delle società in house sia effettuato nello svolgimento dei compiti ad esse affidati dall’ente pubblico socio e fornisce ulteriori indicazioni sulla possibilità di svolgimento della «produzione ulteriore» (per la residua quota inferiore al 20 per cento) stabilendo che tale attività è consentita soltanto a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell’attività principale della società.
Il medesimo art. 16 stabilisce inoltre che le società in house ricevano affidamenti diretti di contratti pubblici dalle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo solo se non vi sia partecipazione di capitali privati, ad eccezione di quella prescritta da norme di legge e che avvenga in forme che non comportino controllo o potere di veto, né l’esercizio di un’influenza determinante sulla società controllata.
La medesima disposizione impone infine che le società in house siano tenute all’acquisto di lavori, beni e servizi secondo la disciplina di cui al Codice dei contratti pubblici, fermo restando quanto previsto appunto dagli articoli 5 e 192 del D. Lgs. n. 50/2016.
Sulla compatibilità dell’art. 192 del Codice appalti con il diritto euro-unitario si è recentemente pronunciata la Corte di Giustizia dell’Unione Europea con ordinanza del 6 febbraio 2020 a seguito della questione pregiudiziale sollevata dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 293/2019.
Il Consiglio di Stato aveva infatti sollevato la questione se la norma nazionale contenuta nell’art. 192 citato – che pone gli affidamenti in house su un piano subordinato ed eccezionale rispetto agli affidamenti tramite gara di appalto, in quanto li consente soltanto in caso di dimostrato fallimento del mercato rilevante, e impone all’amministrazione che intenda operare un affidamento in house di fornire una specifica motivazione circa i benefici per la collettività da esso scaturenti – si ponesse in contrasto con il diritto dell’Unione e, segnatamente, con il principio di libera amministrazione degli enti pubblici e di sostanziale equivalenza fra le diverse modalità di affidamento e di gestione dei servizi di interesse degli stessi.
Il Consiglio di Stato, nel rinviare la questione alla Corte di Giustizia, ha evidenziato come la posizione restrittiva sposata dal legislatore italiano del 2016 è perfettamente in linea con l’orientamento giurisprudenziale consolidatosi sino a quel momento[1], che ha chiaramente riconosciuto alla legge nazionale di poter prevedere limitazioni dell’affidamento diretto più estese di quelle comunitarie interpretando l’affidamento in house quale “eccezione” rispetto alla regola generale dell’affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica.
La potenziale antinomia rilevata dal Giudice del rinvio ha riguardato quindi i seguenti due principi generali: da un lato, il principio della libertà e autodeterminazione, per i soggetti pubblici, di organizzare come meglio credono le prestazioni dei servizi di rispettivo interesse, senza particolari vincoli di modalità di gestione (internalizzazione o affidamento mediante gara) derivanti dall’ordinamento europeo o nazionale e, dall’altro, il principio della piena apertura degli appalti pubblici e delle concessioni al mercato concorrenziale.
Secondo il Consiglio di Stato, a differenza di quanto accade nell’ordinamento italiano, nel diritto europeo il secondo principio parrebbe sussidiario rispetto al primo, nel senso che, innanzitutto, le amministrazioni devono valutare se scegliere un regime di autoproduzione ovvero quello di esternalizzazione (equi-ordinati tra loro secondo l’ordinamento UE) e, solo se si sia optato per il secondo di tali modelli, l’amministrazione avrà l’obbligo di operare nel pieno rispetto dell’ulteriore principio della massima concorrenzialità fra gli operatori di mercato.
In altri termini, nell’ordinamento europeo gli affidamenti in house sembrano rappresentare una sorta di prius logico rispetto a qualunque scelta dell’amministrazione pubblica in tema di autoproduzione o esternalizzazione dei servizi di proprio interesse, nel senso che una pubblica amministrazione può procedere all’esternalizzazione nell’acquisizione di beni o servizi solo una volta che le vie interne (dell’autoproduzione o dell’internalizzazione) non si dimostrino percorribili. <<Il che sembra corrispondere ad elementari esigenze di economia, – afferma il Supremo Consesso – per cui ci si rivolge all’esterno solo quando non si è ben in grado di provvedere da soli>>.
Il Consiglio di Stato ha sollevato la questione di compatibilità con il diritto europeo dell’art. 192 del Codice che pone gli affidamenti in house su un piano subordinato ed eccezionale rispetto agli affidamenti tramite gara di appalto. Ciò in apparente contrasto con i principi europei di libera gestione delle amministrazioni pubbliche e di sostanziale equivalenza fra le diverse modalità di affidamento e di gestione dei servizi di interesse delle stesse.
La Corte di Giustizia Europea, con ordinanza del 6 febbraio 2020, ha risolto la questione di compatibilità con il diritto europeo sollevata dai giudici italiani chiarendo che la direttiva europea sugli appalti pubblici, la n. 2014/24/UE, si limita a precisare le condizioni che un’amministrazione deve rispettare quando desidera concludere un’operazione interna ed ha soltanto l’effetto di autorizzare gli Stati membri ad escludere una tale operazione dal campo di applicazione della direttiva medesima. Secondo la Corte di Giustizia, la direttiva non può quindi privare gli Stati membri della libertà di favorire una modalità di acquisizione di beni e servizi a scapito di altre. A ben vedere, tale libertà implica una scelta che viene effettuata in una fase precedente all’aggiudicazione di un appalto e che non può quindi rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva europea.
La Corte di Giustizia richiama altresì il considerando 5 della stessa direttiva 2014/24, che stabilisce che «nessuna disposizione della presente direttiva obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o a esternalizzare la prestazione di servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare con strumenti diversi dagli appalti pubblici ai sensi della presente direttiva». Pertanto, così come la direttiva 2014/24 non obbliga gli Stati membri a ricorrere a una procedura di appalto pubblico, essa non può d’altro canto obbligare gli Stati membri a ricorrere a un’operazione interna pur essendo soddisfatte le condizioni per l’affidamento in house previste dalla direttiva stessa.
Chiarita la libertà degli Stati membri di scegliere il metodo di gestione che ritengono più appropriato per l’esecuzione dei lavori o la prestazione dei servizi, detta libertà tuttavia non può essere illimitata. Essa deve essere esercitata nel rispetto delle regole fondamentali dell’ordinamento europeo e in particolare della libertà di circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, oltre che dei principi di parità di trattamento, di proporzionalità, di trasparenza e di divieto di discriminazione. Di conseguenza, una norma nazionale che subordini l’affidamento in house di un servizio alla condizione che l’aggiudicazione di un appalto pubblico non garantisca la qualità del servizio fornito, la sua accessibilità o continuità – sempre che tale scelta, compiuta in un momento antecedente a quello di aggiudicare all’esterno l’appalto pubblico, rispetti i principi di parità di trattamento, non discriminazione, riconoscimento reciproco, proporzionalità e trasparenza – appare del tutto in linea con quanto previsto a livello europeo.
La Corte ha quindi risposto alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 12, paragrafo 3, della direttiva 2014/24 deve essere interpretato nel senso che esso non appare in contrasto con una norma nazionale che subordini la conclusione di un’operazione interna, quale il contratto in house, all’impossibilità di procedere all’aggiudicazione di un appalto e, in ogni caso, alla dimostrazione, da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, dei vantaggi per la collettività specificamente connessi al ricorso all’operazione interna. La Corte di Giustizia ha pertanto affermato la compatibilità con il diritto euro-unitario dell’art. 192, comma 2, del Codice appalti, richiedendo soltanto che la scelta operata dall’amministrazione a favore di una particolare modalità di prestazione di servizi rispetti i principi di parità di trattamento, non discriminazione, riconoscimento reciproco, proporzionalità e trasparenza.
La Corte di Giustizia ha dichiarato la compatibilità con il diritto euro-unitario dell’art. 192, del Codice dei contratti, in quanto il diritto europeo, così come non obbliga gli Stati membri a ricorrere a una procedura di appalto pubblico, non può nemmeno obbligarli all’internalizzazione di un servizio pur sussistendone le condizioni. Ciò che conta è che la scelta dell’amministrazione verso l’una o l’altra modalità rispetti i principi di parità di trattamento, non discriminazione, riconoscimento reciproco, proporzionalità e trasparenza.
L’ambito di applicazione dell’art. 192 del Codice secondo la bozza di Linee guida ANAC
Accertata la compatibilità dell’art. 192 comma 2 del Codice con le direttive europee, l’Autorità Anticorruzione ha pertanto deciso di dettare indirizzi sulle modalità applicative del medesimo e, in particolare, sull’onere motivazionale aggravato in esso previsto.
In primo luogo, l’ANAC si preoccupa di delineare l’ambito oggettivo della norma in esame, partendo dall’assunto che, trattandosi di norma di carattere eccezionale, la stessa debba essere interpretata in modo restrittivo. Da ciò deriva che la disposizione, che parla di <<servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza>>, vada interpretata in modo letterale. Gli affidamenti oggetto della disposizione sono pertanto soltanto quelli aventi ad oggetto <<servizi>> e non anche forniture o lavori, anche se, come sopra accennato, le società in house possono teoricamente svolgere anche attività di progettazione e realizzazione di opere pubbliche, per esempio in attuazione di un Accordo di programma tra diverse amministrazioni, oppure possono avere quale oggetto di attività l’autoproduzione di beni.
I servizi rientranti nel campo di applicazione dell’art. 192 devono avere ad oggetto le seguenti attività consentite alle società in house dall’art. 4, comma 2, del citato D. Lgs. n. 175/2016:
a) la produzione di servizi di interesse economico generale, ovvero quei servizi che non sarebbero svolti dal mercato senza un intervento pubblico o comunque sarebbero svolti a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza, e che siano tuttavia erogati o suscettibili di essere erogati dietro corrispettivo economico su un mercato[2];
b) la produzione di servizi strumentali all’ente o agli enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni;
c) i servizi di committenza, ivi incluse le attività di committenza ausiliarie, apprestati a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici.
I servizi rientranti dell’ambito di applicazione dell’art. 192, inoltre, devono essere presenti sul mercato oppure potrebbero esserlo a seguito di opportuni adeguamenti da parte dei soggetti erogatori, ovviamente purché ciò accada in tempi compatibili con le esigenze dell’amministrazione. Essi devono inoltre essere presenti sul mercato <<in regime di concorrenza>>, quindi devono essere offerti dietro corresponsione di un prezzo in regime di concorrenza nel mercato o per il mercato, eventualmente anche in regime di monopolio o di oligopolio.
Qui l’Autorità intende il termine “concorrenza” in senso atecnico, riferendosi ai servizi che siano prestati in modo alternativo sul mercato e, quindi, in tutti i casi in cui vi sia una concorrenza per il mercato o nel mercato. Come sopra accennato, la norma si applica anche ai servizi offerti in regime di monopolio oppure oligopolio e a quelli che possono essere concessi in esclusiva ad un unico operatore[3].
Restano pertanto esclusi dall’applicazione della norma i soli servizi che non sono al momento disponibili sul mercato e non potranno esserlo in futuro, neppure a seguito di un’attività di adeguamento da parte dei possibili esecutori. Ciò comporta che l’amministrazione, nel valutare la condizione della disponibilità del servizio sul mercato dovrà indagare anche in merito alla possibile futura disponibilità di offerta dietro corrispettivo da parte di eventuali esecutori che, al momento, non risultino in grado di offrire il servizio in regime di concorrenza ma che non si può escludere che lo siano in un prossimo futuro.
Data l’assenza di specificazioni in senso diverso, l’ANAC precisa infine che i criteri e gli oneri previsti dall’art. 192 si applicano agli appalti e alle concessioni di servizi sia sotto che sopra soglia comunitaria, nonché a tutti i settori, sia ordinari che speciali.
L’ANAC delinea l’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 192, il quale, essendo norma di carattere eccezionale, va interpretato in modo restrittivo. Tale disposizione si applica pertanto ai soli servizi che siano disponibili sul mercato o che lo potranno essere in futuro, in regime di concorrenza, cioè che siano prestati in modo alternativo sul mercato, ivi compresi i servizi offerti in regime di monopolio o oligopolio.
L’onere motivazionale aggravato
L’art. 192 comma 2 del Codice prescrive che le stazioni appaltanti diano conto, nella motivazione del provvedimento di affidamento in house di un servizio, delle ragioni del mancato ricorso al mercato, alla luce della preventiva valutazione che esse devono aver compiuto sulla congruità economica dell’offerta della società in house, nonché sui benefici per la collettività che l’internalizzazione del servizio avrebbe in termini di conseguimento degli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche.
Viene in rilievo, in primo luogo, l’atto in cui deve essere motivata la scelta dell’affidamento in house. Si tratta – secondo le indicazioni dell’ANAC – della determinazione a contrarre, ovvero il primo atto utile con cui si decide effettivamente la modalità di affidamento di un servizio. Inserire la motivazione de qua in un atto successivo significherebbe adempiere ad un mero obbligo formale di motivazione ex post che non darebbe alcuna garanzia che l’amministrazione abbia effettivamente effettuato in via preventiva la valutazione della congruità economica e dei benefici per la collettività su cui la scelta dell’internalizzazione dovrebbe fondarsi.
Un atto ancora antecedente, quale è quello del programma biennale degli acquisti ex art. 21 del D. Lgs. n. 50/2016, invece, non assolverebbe adeguatamente a tale funzione in quanto in esso non vanno indicate le modalità di affidamento prescelte ma soltanto le tipologie di beni e servizi di cui le amministrazioni necessitano e la stima dei relativi costi[4].
Per quanto attiene all’affidamento di servizi pubblici locali di rilevanza economica, la motivazione deve essere inserita, secondo quanto indicato dall’Autorità – nella relazione di cui all’art. 34, comma 20, del D.L. n. 179/2012, da redigere secondo le indicazioni contenute nel vademecum e nello schema-tipo elaborati dal Ministero per lo Sviluppo economico. Il citato art. 34 prevede che, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l’economicità della gestione e di garantire adeguata pubblicità, l’affidamento del servizio deve essere effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell’ente affidante, che dia conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisca i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, anche indicando le compensazioni economiche se previste.
Per i servizi pubblici locali, l’ANAC ritiene dunque che l’onere motivazionale aggravato, in coerenza con il principio per cui esso debba essere inserito nel primo documento utile, debba essere presente già nella su descritta relazione, che precede la determinazione a contrarre. In tal senso si è espressa anche la giurisprudenza[5]secondo cui la relazione deve essere predisposta antecedentemente alla determinazione della scelta del modello gestionale. Secondo il giudice di merito, infatti, il mancato rispetto di tale circostanza, «lungi dal costituire una mera omissione formale o una discrasia temporale, testimonia l’assenza di un elemento essenziale nel processo decisionale dell’ente», traducendosi – la relazione ex art. 34 fatta successivamente alla determinazione a contrarre – «in una mera giustificazione a posteriori della manifestazione di volontà».
Per quanto riguarda poi il contenuto e le caratteristiche di tale motivazione, l’ANAC, richiamando la giurisprudenza sul punto[6], ha precisato che la valutazione da svolgere e di cui dare conto nella parte motiva della determina a contrarre, perché soddisfi pienamente l’onere motivazionale aggravato previsto dalla norma, deve essere concreta, riscontrabile, controllabile, intellegibile e pregnante sotto il profilo della convenienza, non solo economica, della scelta.
Secondo l’Autorità, l’attività valutativa dell’amministrazione deve essere finalizzata <<all’individuazione del modello più conveniente di affidamento dello specifico servizio, da svolgersi alla luce di una valutazione comparativa di tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti. La scelta è effettuata attraverso una valutazione complessiva che tenga conto, contemporaneamente, degli aspetti prettamente economici riferiti alla congruità dell’offerta e degli elementi di carattere sociale, individuando una scala di priorità tra le varie esigenze ritenute meritevoli di tutela>>. Se necessario, il RUP, che è l’organo deputato a svolgerla, si potrà avvalere di una struttura di supporto laddove tale processo valutativo presenti particolari risvolti di complessità.
La determina a contrarre è soggetta a pubblicazione sul profilo del committente ai sensi degli articoli 29 e 192, comma 3, del Codice.
L’ANAC ha precisato che la valutazione da svolgere, per soddisfare pienamente l’onere motivazionale aggravato previsto dall’art. 192, deve essere concreta, riscontrabile, controllabile, intellegibile e pregnante sotto il profilo della convenienza, non solo economica, della scelta. Di tale valutazione si deve dare conto nella determinazione a contrarre.
L’oggetto della valutazione: la congruità economica dell’offerta della società in house
L’amministrazione che intenda optare per una modalità di gestione interna per l’acquisizione di servizi, dovrà preliminarmente accertare, al fine della valutazione comparativa, che i servizi da affidare siano presenti sul mercato o, comunque, che potrebbero esserlo a seguito di azioni organizzative da parte dei soggetti erogatori. Tale accertamento preliminare è effettuato con modalità congrue e proporzionate rispetto al valore dell’affidamento, quali, ad esempio, consultazioni preliminari di mercato oppure mediante ricorso ad esperti interni alla stazione appaltante o, se ritenuto necessario, esterni ad essa.
L’ANAC opportunamente precisa che la valutazione ex art. 192 del Codice va fatta anche nelle ipotesi in cui l’importo dell’acquisizione consentirebbe in ogni caso l’affidamento diretto del servizio. Anche in questa ipotesi la stazione appaltante sarà tenuta a valutare la convenienza dell’affidamento alla società in house rispetto all’affidamento diretto a soggetti esterni.
Per quanto riguarda la valutazione sulla congruità economica dell’offerta della società in house, questa deve essere effettuata – con riferimento all’oggetto e al valore della prestazione – mediante un confronto con i prezzi medi di mercato di servizi identici o analoghi, intendendosi tali le prestazioni di servizi simili e comparabili rispetto a quelle oggetto dell’affidamento. Detto confronto presuppone l’acquisizione di informazioni sul contesto concreto e attuale al momento dell’affidamento e nello stesso territorio di riferimento.
In alternativa o in aggiunta, se possibile, a tale confronto, l’amministrazione potrà altresì prendere in considerazione i prezzi di riferimento elaborati dall’ANAC; i prezzi delle convenzioni Consip; eventuali prezzari ufficiali, se disponibili; i prezzi medi, intesi come media dei ribassi offerti dai concorrenti, scaturenti da altre gare bandite per l’affidamento di servizi identici o analoghi oppure, in ultima analisi, la ricostruzione dei costi complessivi del servizio determinata prendendo in considerazione tutti i costi necessari all’erogazione dello stesso (costi del personale, delle materie prime, degli ammortamenti, costi generali imputabili per quota).
Al fine di acquisire informazioni sui prezzi medi di mercato o sui costi di erogazione del servizio potranno rivelarsi utili apposite indagini di mercato oppure, nel caso in cui il servizio possa essere offerto soltanto previo adeguamento della struttura organizzativa del prestatore alle esigenze della stazione appaltante, attraverso la richiesta di preventivi ad hoc.
La valutazione della congruità economica per i servizi pubblici locali da affidarsi a società in house viene invece effettuata ai sensi dell’art. 1, comma 553 della L. 147/2013, che prescrive che si debba fare riferimento ai parametri standard dei costi e dei rendimenti costruiti nell’ambito della Banca dati delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 13 della L. n. 196/2009, utilizzando le informazioni disponibili presso le Amministrazioni pubbliche medesime.
Resta fermo che di tali dati e informazioni raccolti, da impiegare per il confronto posto a fondamento della valutazione di congruità economica dell’offerta della società in house, l’amministrazione dovrà dare puntualmente conto nella motivazione da inserire nella determinazione a contrarre dell’affidamento (o nella relazione ex art. 34 del D.L. n. 179/2012 in caso di servizi pubblici locali), a dimostrazione del fatto che vi è stata, effettivamente e preventivamente, la verifica della convenienza, in termini economici e qualitativi, dei servizi offerti in house rispetto a quelli reperibili sul mercato. In merito, nella relazione di accompagnamento alla Linee guida l’ANAC evidenzia che «questa “simulazione di mercato”, quasi mai eseguita dagli enti affidanti, è essenziale per garantire, nell’ambito dei servizi pubblici locali e ancor più di quelli strumentali, l’effettiva convenienza dell’in house, evitando occulti finanziamenti alle partecipate utili solo per garantirne la sopravvivenza a danno delle casse pubbliche».
Le amministrazioni che intendano internalizzare un servizio dovranno preventivamente effettuare una valutazione sulla congruità economica dell’offerta della società in house, mediante un confronto con i prezzi medi di mercato per servizi identici o analoghi, e dovranno valutare i benefici che ne scaturirebbero per la collettività, in termini di universalità e socialità, efficienza, economicità, qualità del servizio e ottimale impiego delle risorse pubbliche.
(Segue) L’oggetto della valutazione: i benefici per la collettività
Il secondo aspetto su cui l’amministrazione che intenda internalizzare un dato servizio deve soffermarsi in sede di valutazione attiene ai benefici per la collettività conseguibili mediante l’affidamento diretto alla società in house, che va indagato attraverso un raffronto comparativo rispetto agli obiettivi perseguibili con il ricorso al mercato. In particolare, tali benefici sono esaminati in rapporto al grado di conseguimento degli obiettivi di universalità e socialità; efficienza; economicità e qualità del servizio; ottimale impiego delle risorse pubbliche.
Gli obiettivi di universalità e socialità vengono in rilievo se oggetto dell’internalizzazione siano servizi di interesse economico generale. In tal caso occorrerà verificare che l’affidamento in house garantisca più e meglio del ricorso al mercato l’uguaglianza di comportamento nei confronti di tutti gli utenti ubicati in un determinato territorio, l’imparzialità in termini di accessibilità fisica ed economica alle prestazioni e la continuità nell’erogazione dei servizi pubblici.
L’efficacia del servizio svolto dalla società in house è valutata con riferimento agli specifici obiettivi dell’intervento, esplicitati nella motivazione, nonché alla previsione di azioni di controllo volte ad accertare, in fase esecutiva, il raggiungimento delle finalità perseguite. Sicuramente i poteri di controllo insiti nel rapporto ente pubblico – società in house sono in grado di consentire penetranti azioni di verifica e monitoraggio del primo sulla seconda.
L’efficienza della forma di gestione prescelta è valutata sulla base del confronto tra le risorse disponibili e i risultati attesi.
L’economicità della gestione è verificata attraverso la previsione di forme di gestione del servizio che consentano il raggiungimento di economie di scala, magari attraverso l’utilizzo condiviso di risorse tra diversi enti dello stesso ambito territoriale, giungendo ad un ottimale impiego delle risorse pubbliche.
La qualità del servizio è valutata con riferimento alla tipologia, alla modalità e ai tempi di svolgimento da prevedere nel contratto di affidamento in house, anche mediante attività di monitoraggio e controllo da svolgere in itinere e a posteriori sull’effettivo rispetto delle prescrizioni contrattuali in fase esecutiva.
Il mancato rispetto dell’onere di motivazione aggravata imposto dall’art. 192 del Codice alle amministrazioni che intendano internalizzare un servizio, oppure l’adozione di una motivazione insufficiente o non adeguata danno luogo all’illegittimità dell’affidamento diretto in favore della società in house e fanno altresì incorrere il RUP nel rischio di contestazione di una specifica responsabilità amministrativa e contabile a suo carico.
Dette omissioni possono essere valutate negativamente anche in relazione alla qualificazione della stazione appaltante ex art. 38 del Codice; non possono tuttavia far venir meno l’iscrizione dell’amministrazione inadempiente all’Elenco delle amministrazioni che operano affidamenti in house di cui all’art. 192, comma 1, del Codice, posto che detta iscrizione dipende soltanto dal possesso dei requisiti indicati dall’art. 5 del Codice.
[1] Corte Cost. 17 novembre 2010, n. 325; Corte cost., 20 marzo 2013, n. 46.
[2] Restano esclusi quindi gli altri servizi di interesse (non economico) generale, in quanto per essi, mancando l’apertura al mercato, non sussiste la necessità per l’amministrazione di motivare la scelta di internalizzazione.
[3] Restano quindi esclusi ad esempio, i servizi di igiene urbana in quanto non riconducibili alla categoria dei servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, e ciò per la semplice ragione che l’art. 198 del d.lgs. n. 152/2006 (norme in materia ambientale) riserva ai Comuni «in regime di privativa» la «gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento», sottraendolo, pertanto, al mercato concorrenziale (TAR Sardegna, sezione I, sentenza 4 maggio 2018, n. 405). Per l’affidamento in house degli stessi non sussisterà quindi alcun onere motivazionale aggravato in capo all’amministrazione.
[4] Per un approfondimento sul punto si veda la Relazione illustrativa al documento di consultazione dell’ANAC in esame.
[5] T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent. n. 1781 del 3/10/2016.
[6] Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 1900/2016 ha delineato, seppur in negativo, il contenuto minimo della valutazione costituente l’oggetto della motivazione aggravata.