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Premessa

In questo articolo si tratterà un caso oggetto di un processo penale ancora in corso, nel quale è imputato, per il reato di abuso di ufficio, un Dirigente del settore dei servizi sociali di un Comune, che ha gestito un appalto di servizi di natura assistenziale – dalla redazione del bando di gara, alla assegnazione dell’appalto, alla stipula del relativo contratto e alla sorveglianza della sua corretta esecuzione – stipulato tra la pubblica amministrazione e un operatore economico.

Il Dirigente è stato accusato di avere mantenuto, nello svolgimento delle funzioni, specificamente nella interpretazione del contratto di appalto, comportamenti contrari alla buona fede, al principio di correttezza e di imparzialità della P.A., in violazione dell’art. 97 Cost. (principio di imparzialità della pubblica amministrazione), degli artt. 1366 (interpretazione di buona fede) e 1375 (esecuzione di buona fede) c.c., nonché dell’art. 2 commi 1 e 4 del d.lgs. 163/06 (codice dei contratti pubblici), al fine di arrecare un ingiusto danno alla impresa appaltatrice.

Il punto è che comportamenti in violazione delle norme individuate nella imputazione normalmente generano illeciti civili, in quanto l’appalto pubblico rappresenta l’oggetto di un contratto, la cui nozione e la cui disciplina trovano la loro fonte originaria nel codice civile.

Ed è per ciò che l’istituto, in tutti i suoi aspetti, non può che essere regolato principalmente da tale fonte, fatta eccezione per particolari e specifici aspetti che trovano la loro regolamentazione nella lex specialis, anche in deroga alla normativa codicistica.

Per tali contratti valgono i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, quelli propri dettati, ad esempio, in caso di inadempimento contrattuale, di valutazione dei comportamenti delle parti sotto il profilo della buona fede, della correttezza nella fase esecutiva, di interpretazione delle clausole contrattuali.

Pertanto, la eventuale violazione dei suddetti principi normalmente genera illeciti civili e, a carico delle parti contraenti, le conseguenti responsabilità contrattuali ed extracontrattuali.

1. Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale

E’ opportuno precisare che la responsabilità è contrattuale allorchè vi è violazione delle obbligazioni previste in contratto, mentre, è extracontrattuale quando non vi è la violazione di una preesistente, specifica obbligazione corrente tra l’autore dell’illecito e il danneggiato, scaturente da contratto, bensì dalla violazione dell’obbligo generico del neminem laedere, imposto a salvaguardia dell’altrui sfera giuridica.

Più precisamente, nell’illecito contrattuale si ha una trasformazione del preesistente rapporto obbligatorio relativamente all’oggetto, perché alla prestazione dedotta in obbligazione si sostituisce il risarcimento del danno. Nell’illecito extracontrattuale, invece, l’obbligazione di risarcimento sorge ex novo, sulla base della violazione del predetto obbligo generico dell’alterum non laedere. (cfr. commento all’art. 1173 c.c., pag. 7, codice civile commentato IPSOA)

2. La violazione dell’art. 97 Cost. da parte di un funzionario pubblico

Ciò specificato, si rileva che, secondo un orientamento della Suprema Corte, la violazione dell’art. 97 Cost. può costituire parametro di riferimento per il reato di abuso di ufficio allorché sia violato il precetto in esso contenuto, che impone al funzionario pubblico di non usare, nell’esercizio delle funzioni, favoritismi, di non realizzare discriminazioni e procurare ingiusti vantaggi.

Ebbene, sulla base di questo orientamento giurisprudenziale un dirigente comunale si ritrova oggi a rispondere, dinanzi al giudice penale, per il reato di abuso di ufficio.

3. Oggetto del contratto di appalto di servizi

Si è accennato in esordio che il contratto stipulato tra l’ente pubblico e l’impresa appaltatrice aveva ad oggetto un appalto di servizi di natura assistenziale. Trattavasi, invero, di assistenza di cittadini, nella specie, anziani, disabili, minori e adulti, in condizioni di fragilità, persone con patologie oncologiche e HIV correlate in fase avanzata, con patologie in fase terminale, che determinavano una limitazione della autonomia, invalidanti e trattabili a domicilio. Il servizio di assistenza era finalizzato a salvaguardare le singole persone in stato di bisogno e a garantire la permanenza della persona assistita nel proprio ambiente di vita, attraverso interventi a sostegno della famiglia e con prestazioni sociosanitarie integrate svolte in regime domiciliare, ovvero nel contesto della vita quotidiana della persona. E ciò per evitare il ricovero ospedaliero, l’istituzionalizzazione in residenza Sanitaria Assistita, in Residenza Protetta o in Casa di Riposo.

L’oggetto del contratto imponeva, dunque, proprio per la peculiarità del servizio assistenziale, l’effettivo svolgimento dello stesso. E, infatti, sia il contratto sia il relativo capitolato prevedevano che l’operatore economico, assegnatario dell’appalto, espletasse, in concreto, la suddetta assistenza per un numero di ore annue contrattualmente stabilito.

Si rileva, altresì, che il corrispettivo globalmente concordato dell’appalto venne determinato con specifico riferimento alle ore annue da impiegare per l’esecuzione dello stesso.

Ebbene, nel corso della esecuzione del servizio appaltato, il Dirigente Comunale, a seguito di verifiche, riscontrava che non erano state effettuate tutte le ore garantite e, pertanto, in forza delle previsioni contrattuali, chiedeva alla aggiudicataria il recupero delle stesse, specificando che, relativamente al recupero delle ore non “lavorate”, nulla era dovuto dall’amministrazione comunale, avendo quest’ultima già provveduto al pagamento del relativo corrispettivo, liquidando le fatture che mensilmente l’aggiudicataria emetteva in 1/31 e che si riferivano, appunto, alle ore appaltate.

La suddetta richiesta è oggi oggetto della imputazione a carico del dirigente comunale.

4. Le accuse mosse al Dirigente Comunale

L’impresa appaltatrice ha denunciato il funzionario pubblico asserendo che la richiesta di recupero ore avanzata dal Dirigente non fosse legittima, frutto di una interpretazione distorta del contratto e che l’amministrazione, non avendo provveduto al pagamento delle ore “recuperate”, aveva conseguito un ingiusto profitto e generato un danno patrimoniale in capo alla impresa.

La denuncia trovava supporto nella relazione del consulente della pubblica accusa, il quale affermava che il comportamento illecito si sarebbe sostanziato nell’avere il Dirigente interpretato in mala fede il contratto, in difformità rispetto all’indirizzo espresso dall’Avvocatura Comunale in relazione alla interpretazione dei contratti aventi ad oggetto appalto di servizi.

A tal fine, il consulente richiamava un parere reso dall’Avvocatura Comunale, su richiesta dell’imputato, ma per un appalto di servizi diverso e precedente rispetto a quello oggetto della imputazione, e che negava la possibilità di potere richiedere il recupero di ore appaltate e non effettivamente “lavorate”.

5. Il parere dell’Avvocatura Comunale

In sintesi, l’Avvocatura nell’affrontare il tema concernente la modalità di calcolo delle ore oggetto del servizio appaltato, forniva una interpretazione del bando e del capitolato, affermando che, nelle ore oggetto dell’appalto, dovessero computarsi anche quelle “non prestate materialmente”, in quanto ricadenti nelle festività.

Puntualizzava che il contratto di appalto di servizi è un contratto a corpo e non a misura.

E a sostegno di questa insensata interpretazione richiamava:

  • la locuzione contenuta nell’articolo del bando: “indicativamente si presume che la ditta debba garantire complessivamente un numero di ore … per ventotto mesi..”;
  • la circostanza che nella legge di gara era esclusa la prestazione del servizio nei periodi di festività;
  • la circostanza che l’appalto dovesse essere assicurato nei giorni feriali.

Sosteneva, pertanto, che, poiché nella gara era “fissata la delimitazione oggettiva del servizio, che deve espletarsi nell’arco temporale di TOT mesi, non era possibile fare recuperare alla aggiudicataria la effettuazione delle ore non rese nei giorni festivi in ulteriori giorni non festivi, poiché detta ultima possibilità si sarebbe tradotta nel superamento della durata amministrativamente e contrattualmente stabilita del servizio appaltato, ovvero il periodo di ventotto mesi”.

Rilevava, ancora, sbagliando, che per le ore non prestate nei giorni festivi il soggetto aggiudicatario ha dovuto, comunque, corrispondere al personale di cui si è avvalso la relativa retribuzione.

E’ bene immediatamente stabilire che l’Avvocatura Comunale, il cui parere NON è vincolante per un funzionario pubblico, ha reso un’interpretazione errata del contratto d’appalto da lei esaminato. E il grave errore in cui è incorsa ha fornito le basi alla impresa per costruire accuse false in danno dell’imputato.

Infatti, secondo la pubblica accusa e il consulente dalla stessa nominato, l’imputato, sulla base di quanto espresso dalla Avvocatura, avrebbe adottato comportamenti in violazione dei principi innanzi indicati,difformi rispetto ad appalti precedenti,avrebbe, in sostanza, interpretato in mala fede il contratto per avanzare richieste in danno della impresa appaltatrice.

6. La difesa del Dirigente Pubblico                 

Per approntare la difesa del Dirigente pubblico, confutare gli assunti dell’Avvocatura, recepiti dal consulente della Pubblica Accusa, e dimostrare che, nella fattispecie in esame, il reato contestato al Dirigente non esiste e il suo operato è stato conforme a legge, si è dovuto, preliminarmente, accertare se il contratto di appalto di servizio, stipulato dal Comune e dalla impresa, abbia natura di contratto a corpo o a misura.

Si è proceduto, dunque, alla disamina degli elementi costitutivi e caratterizzanti la figura contrattuale in oggetto, ricorrendo ai principi generali di diritto previsti in materia di obbligazioni e contratti, la cui applicazione non può essere elusa neanche dalla vigenza, in materia di appalti pubblici, di norme speciali dettate per materie non tipicamente previste dal codice civile.

7. Disamina del contratto di appalto

Il contratto di appalto è a corpo o a forfait quando, al momento della stipulazione del contratto, il prezzo è stabilito in un importo globale, fisso e invariabile per l’intera opera, ovvero indipendentemente dalla misura della stessa, e il corrispettivo è parametrato al risultato piuttosto che alla quantità delle singole prestazioni.

L’appalto è a misura quando, al momento della stipulazione del contratto, le parti stabiliscono il prezzo di una unità di misura dell’opera. Il corrispettivo globale è determinato moltiplicando il prezzo unitario per il numero delle singole unità di misura di cui sarà composta l’opera o il servizio.

Partendo da questi principi di diritto sostanziale si sono dunque esaminati tutti gli atti correlati all’appalto, ovvero il bando di gara, il contratto stipulato, il capitolato, i verbali di aggiudicazione.

A tal proposito, si rileva che il criterio di aggiudicazione del servizio fu quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

E, infatti, l’impresa, per aggiudicarsi l’appalto, dopo avere esaminato le basi d’asta, predispose e inoltrò al Comune committente una proposta migliorativa, offrendo un’implementazione dell’equipe, con un’ulteriore unità operativa, rispetto a quella prevista dal CSA, per 38 ore settimanali per tutta la durata dell’appalto. A tal fine allegava una scheda di scomposizione della offerta, con cui dettagliatamente e specificamente indicava i costi riferiti sia ad ogni singola ora di espletamento del servizio, sia al singolo assistente sociale e/o domiciliare incaricato dalla Impresa medesima, e, per la determinazione dei costi, aveva seguito le indicazioni fornite dalla tabelle ministeriali, cui doveva attenersi.

Dunque, l’aggiudicataria aveva l’obbligo – in forza del Contratto, del Capitolato Speciale di Appalto, del progetto tecnico e delle relative proposte migliorative presentate in sede di gara – di assicurare in TOT mesi, l’effettivo espletamento delle ore poste a base d’asta oltre a quelle, in aggiunta, offerte in sede di gara, non una di meno. E sapeva anche che l’appalto aveva ad oggetto non ore teoriche ma quelle effettivamente erogate dagli operatori, le sole che l’amministrazione comunale era tenuta a retribuire.

Il prezzo venne stabilito sulla base di ogni singola ora di servizio da effettuare ad un costo definito dalle tabelle predisposte in materia dal “Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali per determinare il costo orario del lavoro per le lavoratrici ed i lavoratori delle Cooperative del Settore Socio-Sanitario-Assistenziale Educativo e di inserimento lavorativo.

Dalla lettura delle indicate tabelle emergeva che:

  • la “quantificazione del costo orario” si basava sul numero delle ore mediamente lavorate (pari a n.1.548) e non di quelle teoriche (38 x 52 settimane) pari a 1.976.
  • le ore mediamente “non lavorate” (pari a 428) costituivano la differenza tra le ore teoriche e le ore mediamente lavorate;
  • nelle ore mediamente “non lavorate” venivano computate: ferie, festività soppresse, assemblee sindacali, malattia, gravidanza, infortunio, diritto allo studio, formazione professionale, permessi.

Quanto al pagamento del corrispettivo, il capitolato prevedeva che fosse subordinato alla ricezione delle fatture pari ad 1/31 dell’importo offerto in sede di gara e che il prestatore era tenuto ad emettere, all’inizio di ogni mese, previa attestazione della regolarità e conferma dei servizi da parte del dirigente.

Aggiungasi che, quanto alla quantificazione delle ore, il riferimento soltanto in via “presuntiva” delle ore di servizio da svolgere (utilizzato dal consulente del Pubblico Ministero, per sostenere che il tempo di esecuzione dell’appalto non era riferibile alle ore di servizio poste a base d’asta ma al tempo complessivo di esecuzione, indipendentemente dall’effettivo espletamento delle suddette ore), era funzionale alle esigenze degli utenti, ai quali doveva essere assicurata assistenza giornaliera. Invero, la stazione appaltante aveva la possibilità, sulla base delle richieste degli interessati, di apportare variazioni al servizio agli stessi prezzi, patti e condizioni. Il che avveniva, attraverso il potenziamento, disposto con apposito atto amministrativo, di un maggior numero di operatori o con l’incremento del monte-ore previsto, stabilendo l’ulteriore servizio da svolgere e il prezzo da corrispondere, in virtù delle disposizioni di base dell’appalto in oggetto.

Il potenziamento, dunque, non avrebbe potuto applicarsi se non si fosse partiti da una base certa di ore da prestare, se le ore contrattualizzate non fossero state effettivamente espletate e se il costo orario di ciascuna ora di servizio non fosse stato determinato.

Inoltre, era previsto dal contratto che sulla impresa appaltatrice incombeva l’onere, con cadenza mensile, di aggiornare l’Amministrazione Comunale sull’andamento del Servizio, evidenziando eventuali carenze o difficoltà e avanzando suggerimenti o proposte per il miglioramento dello stesso, e di compilare, settimanalmente, per le verifiche di congruità e di coerenza con i piani di lavoro del mese, una scheda contenute nel dettaglio gli orari e le prestazioni effettuate.

Dunque, dalla lettura del bando di gara, del contratto di appalto, del capitolato, dei verbali di aggiudicazione si è potuto stabilire in via generale e specifica che:

  • il contratto in esame prevedeva prestazioni da corrispondere a misura;
  • l’aggiudicataria aveva l’onere di garantire effettive ore di servizio, nella misura concordata (le ore poste a base di gara cui aggiungere quelle offerte in sede di proposta migliorativa); quindi il periodo complessivo stabilito per la durata dell’appalto era stato calcolato sulle ore annue da espletare,

la richiesta di recupero ore avanzata dal Dirigente era assolutamente legittima.

***

Chiarito, poi, dalle tabelle ministeriali, utilizzate per determinare il costo di ciascuna ora, che:

  • la “quantificazione del costo orario” si basava sul numero delle ore mediamente lavorate (pari a n.1.548) e non di quelle teoriche (38 x 52 settimane) pari a 1.976.
  • le ore mediamente “non lavorate” (pari a 428) costituivano la differenza tra le ore teoriche e le ore mediamente lavorate;
  • nelle ore mediamente “non lavorate” venivano computate: ferie, festività soppresse, assemblee sindacali, malattia, gravidanza, infortunio, diritto allo studio, formazione professionale, permessi,

l’amministrazione comunale aveva legittimamente richiesto il recupero di ore lavorative appaltate e mai effettuate e aveva già provveduto al pagamento delle ore da recuperare, liquidando le fatture che mensilmente l’Impresa emetteva in 1/31 e che si riferivano, come già detto, alle ore appaltate.

8. Prime conclusioni

Sulla base di questi elementi tutti i dubbi sulla natura dell’appalto oggetto del contratto devono ritenersi fugati ed è possibile sostenere, così come si sta sostenendo nel processo penale in corso, che:

–           le parti contraenti avevano stipulato un contratto di appalto di servizi a misura e non a corpo;

–           contrariamente a quanto affermato dalla accusa, nell’espletamento dell’appalto si doveva aver riguardo non al periodo complessivo stabilito per il suo svolgimento (TOT mesi) ma alle singole ore appaltate;

–           l’interpretazione resa dall’Avvocatura Comunale, relativamente alla natura dei contratti di appalto di servizi, è errata;

–           la richiesta avanzata dal Dirigente deve ritenersi assolutamente lecita;

–           il Dirigente non ha mai richiesto il recupero dei giorni festivi, ma soltanto quello delle ore appaltate, contrattualizzate e non espletate, sul presupposto che oggetto dell’appalto erano effettive ore di servizio assistenziale, che l’impresa aveva garantito di svolgere;

–           le ore recuperate, in virtù dei parametri delle Tabelle ministeriali e dell’offerta avanzata con la relativa scheda analitica dall’aggiudicataria, erano già state pagate dall’Amministrazione Comunale;

–           la mancata effettuazione delle ore appaltate avrebbe comportato un effettivo danno economico alla Amministrazione comunale, oltre a quello provocato agli utenti del servizio, e il danno sarebbe stato ancor più grave se il Comune, come richiesto dalla impresa appaltatrice, avesse proceduto alla ripetizione del pagamento delle somme già corrisposte.

Nel prossimo numero, dopo avere stabilito quali sono gli elementi costitutivi del reato di abuso di ufficio, vi aggiorneremo sulla conclusione del processo.

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Rinaldo Alvisi
Avvocato penalista
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