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( votes)1. Premesse
Sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea (GUUE) L94 del 28 marzo 2014 sono state pubblicate le tre nuove direttive in materia di appalti pubblici, settori speciali e concessioni approvate lo scorso 15 gennaio 2014 dal Parlamento Europeo. Trattasi in particolare delle seguenti direttive:
- Direttiva 2014/23/UE sui contratti di concessione (completamente innovativa);
- Direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici, che abroga la Direttiva 2004/18/CE;
- Direttiva 2014/25/UE sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, che abroga la Direttiva 2004/17/CE.
Le tre direttive entreranno in vigore 20 giorni dopo la loro pubblicazione in GUUE (ovvero il 17 aprile 2014): a partire da tale data gli Stati membri dell’Unione Europea avranno 24 mesi per recepire le nuove disposizioni nei rispettivi ordinamenti interni.
A tale riguardo, si segnala sin da subito che nell’ambito delle fonti del dritto dell’Unione Europea, le direttive sono identificate come strumenti di legislazione indiretta (o a due stadi): presentano la caratteristica di vincolare gli Stati membri cui sono dirette per quanto riguarda il risultato da raggiungere, lasciandoli tuttavia liberi quanto alla scelta della forma e dei mezzi per conseguirlo. In particolare, a differenza dei regolamenti (che hanno portata generale con valore erga omnes), le direttive non hanno portata generale e si “limitano” ad imporre obblighi di risultato nei confronti degli Stati membri: questi ultimi sono i titolari del potere normativo mentre le direttive hanno solo il compito di armonizzare le discipline nazionali nei diversi settori.
Rivolgendosi le direttive solo agli Stati membri, non hanno carattere direttamente applicabile ma devono necessariamente formare oggetto di provvedimenti nazionali di recepimento.
Fra le tante novità contenute nelle citate nuove direttive, rilievo riveste in particolare la disciplina sull’in house providingmediante la quale il legislatore comunitario ha recepito i principi sanciti negli ultimi anni dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee.
In particolare, come si legge nel Considerando n. 31 della Direttiva 2014/24/UE, la ratio della codificazione risiede nella necessità di eliminare “la notevole incertezza giuridica circa la misura in cui i contratti conclusi fra enti nel settore pubblico debbano essere disciplinati dalle norme relative agli appalti”. La giurisprudenza della Corte di Giustizia, infatti, “viene interpretata in modo divergente dai diversi Stati membri e anche dalle diverse amministrazioni aggiudicatrici”. Si evidenzia, in particolare, che la cornice entro cui opera la richiamata disciplina sull’in house risiede al Considerando n. 5 in cui è confermata per “i soggetti pubblici la libertà di esternalizzare ovvero di prestare essi stessi o di organizzare con strumenti diversi dagli appalti pubblici”.
L’in house providing, modello organizzativo mediante cui la Pubblica Amministrazione può produrre in proprio beni, servizi e lavori, ha trovato, dunque, dignità di atto normativo con valenza sovranazionale rispetto alla disciplina fino ad ora applicabile nei singoli stati membri dell’Unione Europea.
A tale riguardo si ricorda che la normativa vigente nell’ordinamento italiano con riferimento all’in house (art. 4 del DL 138/2011 e art. 4 del DL 95/2012) – che, in contrasto con i principi sanciti dalla giurisprudenza comunitaria secondo cui le Pubbliche Amministrazioni possono legittimamente ricorrervi, prevedeva il ricorso all’in house solo in ipotesi residuali -, è stata di recente abrogata dalla Corte Costituzionale (sentenza 25 luglio 2012 n. 199).
Si segnala che la disciplina del’in house providing è contemplata contemporaneamente nelle tre direttive, ovvero all’art. 12 della Direttiva 24/2014/UE sugli appalti pubblici nei settori ordinari, all’art. 28 della Direttiva 23/2014/UE sulle concessioni e all’art. 17 della Direttiva 25/2014/UE sugli appalti nei settori speciali; per comodità espositive, tuttavia, nel prosieguo del presente contributo si farà riferimento solo all’art. 12 della Direttiva 24/2014/UE sugli appalti pubblici nei settori ordinari.
Con le tre nuove direttive in materia di appalti pubblici, settori speciali e concessioni (pubblicate sulla GUUE Il 28 marzo 2014 e che entreranno in vigore il 17 aprile 2014) la disciplina dell’in house providing, di derivazione giurisprudenziale, ha trovato dignità di atto normativo con valenza sovranazionale
2. L’in house providing ante Direttiva 2014/24/UE
Come noto, è nel Libro Bianco sugli appalti del 1998 della Commissione Europea che in ambito comunitario compare per la prima volta la locuzione “in house contract” ovvero gli appalti “aggiudicati all’interno della Pubblica Amministrazione, ad esempio tra Amministrazione centrale e locale o, ancora, tra una Amministrazione ed una società interamente controllata”. Con tale concetto è stata identificata la modalità di autoproduzione di beni, servizi o lavori da parte della Pubblica Amministrazione ovvero la facoltà dell’Amministrazione, senza ricorrere a terzi tramite una gara ad evidenza pubblica, di acquisire un bene o un servizio o far svolgere un lavoro attingendoli all’interno della propria organizzazione.
Secondo quanto detto, dunque, l’in house providing costituisce un’eccezione al principio generale dei principi di evidenza pubblica alle procedure di affidamento di appalti di lavori, servizi e forniture o di concessioni di lavori e servizi: per tali affidamenti, non dovendosi tutelare la concorrenza nel mercato, viene, infatti, meno la necessità di avviare procedure ad evidenza pubblica.
Più in particolare, l’origine del concetto dell’in house providing si ha ad opera della Corte di Giustizia: è nella ormai nota sentenza Teckal (causa C-107/1998, sentenza 18 novembre 1999) che è avvenuta per la prima volta la definizione in ambito comunitario dei tratti distintivi della citata modalità di affidamento, come indicati qui di seguito.
Come evidenziato dalla Corte di Giustizia, perché si possa avere un affidamento in house occorre in primo luogo che il soggetto affidatario diretto sia a capitale interamente pubblico.
Individuato tale carattere, si ha un legittimo affidamento diretto, senza previa gara, qualora l’ente pubblico (a capitale interamente pubblico) affidi lavori, servizi o forniture a una persona giuridicamente distinta
- che realizza la parte più importante della propria attività con l’ente che la controlla, e
- sulla quale l’ente affidante esercita un controllo analogo a quello esercitato dallo stesso sui propri servizi.
L’affidamento diretto si consente tutte le volte in cui un ente pubblico decida di affidare la gestione del servizio, al di fuori del sistema della gara, avvalendosi di una società esterna (ossia, soggettivamente separata) che presenti caratteristiche tali da poterla qualificare come una “derivazione”, o una longa manus, dell’ente stesso: l’in house rappresenta, infatti, una gestione riconducibile allo stesso ente affidante o a sue articolazioni. Si tratta di un modello di organizzazione meramente interno, qualificabile in termini di delegazione interorganica: la disciplina comunitaria degli appalti pubblici deve invece essere applicata se l’ente affidatario sia distinto dall’amministrazione aggiudicatrice sul piano formale e sia autonomo sul piano sostanziale.
In ragione del “controllo analogo” e della “destinazione prevalente dell’attività”, l’ente in house non può ritenersi terzo rispetto all’amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell’amministrazione stessa: non è, pertanto, necessario che l’amministrazione ponga in essere procedure di evidenza pubblica per l’affidamento di appalti.
La sentenza Teckal ha tuttavia aperto una serie di interrogativi a cui nel corso degli anni la stessa Corte di Giustizia ha cercato di trovare risposte. Con successive pronunce (sentenze Parken Brixen; Carbotermo e Consorzio Alisei; Coditel Brabant; Stadt Halle) infatti, la giurisprudenza comunitaria ha di volta in volta affinato i richiamati principi arrivando a delineare una compiuta disciplina dell’in house providing che oggi, come detto, è stata recepita anche a livello normativo.
Il concetto dell’in house providing risale alla cd. sentenza Teckal della Corte di Giustizia (causa C-107/1998, sentenza 18 novembre 1999), che ne ha definito in ambito comunitario i tratti distintivi
3. L’articolo 12 della Direttiva 2014/24/UE
Come detto, i princìpi sanciti dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di in house providing sono stati finalmente tradotti in un atto normativo con la recente approvazione da parte del Parlamento Europeo della nuova Direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici.
Passando ad analizzare la disciplina dell’in house providing di cui all’art. 12 rubricato “Appalti pubblici tra enti nell’ambito del settore pubblico” – compreso nel Titolo I (Ambito di applicazione, definizione e principi generali), Capo I, Sezione 3 della nuova Direttiva 2014/24/UE -, si segnalano i seguenti aspetti.
Stante il regime derogatorio dell’istituto in parola, il paragrafo 1 dell’art. 12 va ad identificare e chiarire i requisiti che devono sussistere perché si possa parlare di in house providing e in costanza dei quali, dunque, non si applicano le disposizioni di cui alla stessa direttiva appalti.
“Un appalto pubblico aggiudicato da un’amministrazione aggiudicatrice a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientra nell’ambito di applicazione della presente direttiva quando siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
- l’amministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi;
- oltre l’80% delle attività della persona giuridica controllata sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice di cui trattasi; e
- nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata”.
Lo stesso paragrafo 1 con riferimento al requisito del controllo analogo all’ultimo capoverso precisa che “Si ritiene che un’amministrazione aggiudicatrice eserciti su una persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi ai sensi della lettera a) qualora essa eserciti un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata. Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione aggiudicatrice”.
Con riferimento ai suindicati requisiti, si osserva che:
- sul concetto del “controllo analogo”, la Direttiva 2014/24/UE precisa che tale condizione risulta soddisfatta qualora l’amministrazione aggiudicatrice eserciti un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative dell’affidatario in house. L’attività di controllo deve quindi essere finalizzata a definire preventivamente gli obiettivi a cui l’organismo partecipato deve tendere ed a prevenire problematiche di ordine economico e finanziario, piuttosto che sulla semplice approvazione o presa d’atto dei risultati economico-finanziari della gestione;
- al secondo periodo dell’ultimo capoverso del paragrafo 1 dell’art. 12 si pone fine alla querelle sul “controllo analogo indiretto”, in quanto si prevede che il controllo possa essere esercitato anche da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata nello stesso modo dall’amministrazione aggiudicatrice (ad esempio le holding di partecipazioni o alcuni modelli organizzativi di tipo consortile, dove gli enti pubblici esercitano il controllo della società consortile non direttamente, ma attraverso le società consorziate, che a loro volta sono controllate da tali enti);
- sul concetto della “prevalenza” dell’attività svolta dal soggetto affidatario in house nello svolgimento dei compiti ad esso affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice, la nuova Direttiva 2014/24/UE precisa che tale condizione è soddisfatta qualora le attività del primo superino l’80% delle attività svolte;
- per quanto riguarda la natura pubblica del soggetto affidatario, la Direttiva 2014/24/UE introduce una novità stabilendo che la condizione è soddisfatta non solo quando non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ma anche, in via eccezionale, in presenza di forme di partecipazione di capitali privati, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali in conformità dei trattati, che non comportano controllo o potere di veto ovvero attraverso le quali non può essere esercitata influenza determinante sul soggetto affidatario in house.
Il paragrafo 2 dell’art. 12 prevede che “Il paragrafo 1 si applica anche quando una persona giuridica controllata che è un’amministrazione aggiudicatrice aggiudica un appalto alla propria amministrazione aggiudicatrice controllante o ad un altro soggetto giuridico controllato dalla stessa amministrazione aggiudicatrice, a condizione che nella persona giuridica alla quale viene aggiudicato l’appalto pubblico non vi sia alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata”.
La Direttiva 2014/24/UE, cioè, chiarisce che si ha un affidamento in house anche qualora una persona giuridica controllata affidi un appalto alla propria controllante o ad altro soggetto controllato dalla stessa a condizione che nel soggetto aggiudicatario non vi sia una partecipazione diretta a capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali in conformità dei trattati, che non comportano controllo o potere di veto ovvero attraverso le quali non può essere esercitata influenza determinante sul soggetto affidatario in house.
Il paragrafo 3 dell’art. 12 prevede che “Un’amministrazione aggiudicatrice che non eserciti su una persona giuridica di diritto privato o pubblico un controllo ai sensi del paragrafo 1 può nondimeno aggiudicare un appalto pubblico a tale persona giuridica senza applicare la presente direttiva quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
- l’amministrazione aggiudicatrice esercita congiuntamente con altre amministrazioni aggiudicatrici un controllo sulla persona giuridica di cui trattasi analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi;
- oltre l’80% delle attività di tale persona giuridica sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici controllanti o da altre persone giuridiche controllate dalle amministrazioni aggiudicatrici di cui trattasi; e
- nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
Ai fini del primo comma, lettera a), le amministrazioni aggiudicatrici esercitano su una persona giuridica un controllo congiunto quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
- gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti;
- tali amministrazioni aggiudicatrici sono in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica; e
- la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici controllanti”.
Viene, dunque, chiarito che un’Amministrazione Pubblica in possesso di partecipazioni di minoranza (ovvero un soggetto pubblico che non esercita su una persona giuridica di diritto privato o pubblico una forma di controllo ai sensi del paragrafo 1) può affidare un appalto all’ente partecipato, costituendo un affidamento in house sottratto dall’applicazione della direttiva stessa, qualora vengano rispettate le prescritte condizioni ovvero:
- che l’amministrazione aggiudicatrice
eserciti congiuntamente con altre amministrazioni aggiudicatrici un controllo
sulla persona giuridica analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi;
- che oltre l’80% delle attività di tale persona giuridica siano effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici controllanti o da altre persone giuridiche controllate dalle stesse amministrazioni aggiudicatrici; e
- che nella persona giuridica controllata non vi sia alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
Con riferimento alle modalità attraverso le quali le Pubbliche Amministrazioni in possesso di partecipazioni di minoranza possono esercitare il controllo analogo, la Direttiva 2014/24/UE chiarisce che, tali amministrazioni potranno esercitare il controllo in modo “congiunto” con le altre a condizione che:
- gli organi decisionali dell’organismo
controllato siano composti da rappresentanti di tutti i soci pubblici
affidanti, ovvero, da soggetti che possano rappresentare più o tutti i soci
pubblici affidanti,
- i soci pubblici siano in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative dell’organismo controllato,
- l’organismo controllato non persegua interessi contrari a quelli dei soci pubblici affidanti.
Ed ancora ai sensi del paragrafo 4 dell’art. 12 “Un contratto concluso esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici non rientra nell’ambito di applicazione della presente direttiva, quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
- il contratto stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che esse sono tenute a svolgere siano prestati nell’ottica di conseguire gli obiettivi che esse hanno in comune;
- l’attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni inerenti all’interesse pubblico; e
- le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20% delle attività interessate dalla cooperazione”.
Con esplicito riferimento ai contratti conclusi fra amministrazioni aggiudicatrici, la Direttiva 24/2014/UE specifica che non trovano applicazione le norme di cui alla stessa direttiva qualora sussistano le suindicate condizioni.
Con riferimento, infine, alla determinazione della quota dell’80% dell’ “attività prevalente” che l’ente controllato effettua nello svolgimento dei compiti ad esso affidate dall’amministrazione aggiudicatrice controllante, il paragrafo 5 dell’art. 12 prevede, infine, che “Per determinare la percentuale delle attività di cui al paragrafo 1, primo comma, lettera b), al paragrafo 3, primo comma, lettera b), e al paragrafo 4, lettera c), si prende in considerazione il fatturato totale medio, o una idonea misura alternativa basata sull’attività, quali i costi sostenuti dalla persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione nei campi dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti l’aggiudicazione dell’appalto.
Se, a causa della data di costituzione o di inizio dell’attività della persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione, ovvero a causa della riorganizzazione delle sue attività, il fatturato, o la misura alternativa basata sull’attività, quali i costi, non è disponibile per i tre anni precedenti o non è più pertinente, è sufficiente dimostrare, segnatamente in base a proiezioni dell’attività, che la misura dell’attività è credibile”.
Rispetto all’elaborazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia, sono introdotte novità e specificazioni con riferimento, soprattutto, ai requisiti del controllo analogo e dell’attività prevalente a favore dell’ente affidante
4. Conclusioni
Come indicato in premessa, il legislatore italiano (al pari di tutti gli altri Stati membri) avrà tempo fino a 24 mesi dopo l’entrata in vigore della Direttiva 24/2014/UE) per recepire le nuove norme ivi contenute e conformarsi alle norme dettate dal legislatore europeo al fine di armonizzare il nostro diritto interno a quello degli altri Stati membri destinatari delle stesse direttive.
Con esplicito riferimento all’in house providing il legislatore italiano in sede di recepimento potrà, scegliendo la forma e il mezzo più adeguato, prevedere una disciplina che renderà, rispetto al passato, più “allettante” per le Pubbliche Amministrazioni il ricorso a questo modello di delegazione interorganica.
Alla luce della descritta disciplina, chiaro è il carattere derogatorio dell’in house providing rispetto alla modalità ordinaria di affidamento tramite procedure ad evidenza pubblica fermo restando il principio generale espresso nel Considerando n. 5 della Direttiva 24/2014/UE secondo cui “È opportuno rammentare che nessuna disposizione della presente direttiva obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o a esternalizzare la prestazione di servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare con strumenti diversi dagli appalti pubblici ai sensi della presente direttiva”.