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( votes)Premessa – L’in house tra diritto interno e diritto comunitario – Il soccorso istruttorio – Il Durc.
1. Premessa
Il presente contributo si propone di illustrare le problematiche che derivano dai molteplici interventi normativi relativi ad istituti di particolare interesse nel mondo degli appalti pubblici quali l’in house providing, il soccorso istruttorio e il Durc. Le novità legislative intervenute nell’ambito dell’ordinamento interno e comunitario determinano la necessità di individuare quale sia la normativa applicabile e, conseguentemente, quale sia il corretto comportamento che l’operatore deve tenere quando si rapporta alle predette fattispecie.
2. L’in house tra diritto interno e diritto comunitario
L’in house providing, inteso quale modulo organizzativo di cui si avvale la pubblica amministrazione per l’esercizio delle proprie funzioni istituzionali, è stato oggetto di un’importante evoluzione che sembra oggi trovare il proprio coronamento nell’art. 12 della Direttiva CE 2014/14[1].
A differenza dell’organismo di diritto pubblico, istituto anch’esso di matrice comunitaria sorto al fine di individuare quei soggetti che, a prescindere dalla struttura formale, sono tenuti all’applicazione della normativa in materia di appalti pubblici, l’in house si caratterizza per la mancata applicazione della stessa.
Si tratta di un ufficio interno che si trova in un rapporto sostanzialmente interorganico, quale longa manus dell’amministrazione, e non di un’entità distinta dalla stessa. Solo in caso di rapporto intersoggettivo, tra soggetti distinti, vi sarebbero i presupposti per l’applicazione della disciplina in materia di contratti pubblici. Nella diversa ipotesi di rapporto interorganico, invece, trova giustificazione la ratio sottesa all’istituto che funge da discrimine in merito all’applicazione del d.lgs. 163/06.
Dapprima visto come un’eccezione alla regola della gara pubblica, tenuto conto che la stessa giurisprudenza comunitaria arrivava ad escludere l’in house qualora lo statuto prevedesse la possibilità di ingresso nella società da parte di un socio privato[2], successivamente l’in house si è caratterizzato per una progressiva apertura. Il giudice comunitario ha infatti ammesso, superando l’orientamento previgente sia l’in house con socio privato che l’in house frazionato caratterizzato dalla partecipazione di più amministrazioni.
L’apertura della giurisprudenza ha trovato un riscontro nella direttiva richiamata. L’art. 12 della Direttiva CE 2014/14 ha, infatti, previsto espressamente la possibile partecipazione di soggetti privati alla compagine sociale purché la stessa non comporti controllo o potere di veto.
Il problema affrontato con divergenti posizioni da parte dello stesso Consiglio di Stato, attiene all’operatività della disposizione contenuta nell’art. 12[3] della Direttiva CE 2014/14, non essendo ancora scaduto il termine per il recepimento.
Considerata la novità contenuta nella disciplina comunitaria, che prevede la possibile partecipazione di un socio privato, si è acceso il dibattito in merito[4] all’ammissibilità dell’in house providing così configurato, nelle more della trasposizione della stessa direttiva.
Secondo giurisprudenza unanime l’ammissibilità della fattispecie in esame è subordinata al ricorrere di due elementi:
a)il controllo analogo;
b)lo svolgimento prevalente dell’attività a favore dell’amministrazione.
In merito al primo requisito l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la pronunzia n. 1 2008, ha chiarito che solo la partecipazione totalitaria pubblica consente di ravvisare il controllo analogo.
Si tratta ora di stabilire se nella controversia oggetto della pronunzia del Consiglio di Stato, sez V 11 settembre 2015 n. 4253, debbano trovare applicazione principi consolidati che richiedono la partecipazione totalitaria pubblica o invece possa trovare applicazione la recente disposizione contenuta nella direttiva che ammette una partecipazione privatistica minoritaria.
La Direttiva richiamata, come ricordato, pur essendo astrattamente self executing in quanto contiene disposizioni di dettaglio immediatamente applicabili, pone un termine non ancora scaduto per il recepimento.
Il Consiglio di Stato, sez II, nel parere 298/2015, favorevole all’immediata applicazione della direttiva, afferma che, se non ricorre addirittura un’applicazione self executing, non può non tenersi conto di quanto disposto dal legislatore europeo che ha dettagliatamente disciplinato l’istituto.
Per contro, secondo il Consiglio di Stato, sez V, sentenza 11 settembre 2015 n. 4253, la previsione di un termine di recepimento della direttiva in esame, diverso per i singoli Stati membri, sta a significare che resta in capo al singolo Stato una sfera di discrezionalità in merito ai tempi per la trasposizione dei nuovi principi e per il coordinamento con la normativa interna vigente.
L’articolo 12 della Direttiva 14/2014 prevede, infatti, che le forme di partecipazione dei privati siano disciplinate dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità ai trattati.
La giurisprudenza comunitaria riconosce, peraltro, una certa rilevanza giuridica alla direttiva, anche prima della scadenza del termine, minore rispetto all’effetto diretto. In pendenza del termine, infatti, il legislatore nazionale, in attuazione del principio di leale collaborazione, deve astenersi dall’adottare provvedimenti che possano compromettere il risultato prescritto.
Solo dopo la scadenza del termine scatterebbe l’immediata applicazione o l’obbligo di interpretazione conforme. Antecedentemente alla scadenza, invece, sarebbe ravvisabile un obbligo negativo di astenersi da un’interpretazione difforme potenzialmente pregiudizievole per i risultati che si vogliono raggiungere.
Il contrasto tra le due sezioni del Consiglio di Stato sembra in realtà sottintendere il dibattito in merito ai rapporti tra ordinamento interno e ordinamento comunitario. La teoria monista volta a garantire la primazia del diritto comunitario, che fa capo alla Corte di Giustizia, afferma la sussistenza di un unico ordinamento; la teoria dualista affermata dalla Corte Costituzionale, pur con notevoli recenti temperamenti, afferma la distinzione tra ordinamento interno e comunitario regolati dal principio della competenza sulla base delle disposizioni del Trattato.
Per l’interessante motivazione merita, infine, di essere menzionata la sentenza n. 2660/2015 della sez VI del Consiglio di Stato che ha escluso l’in house in ipotesi d Consorzio Interuniversitario partecipato da Università private (CINECA). La sentenza esclude che, in ipotesi di partecipazione privatistica, possa ricorrere la figura dell’in house providing.
Il dispositivo è di particolare interesse per la ricostruzione della nozione di soggetto pubblico. Se è vero che la giurisprudenza ha pacificamente affermato l’equiparazione delle università private ai soggetti pubblici, questo non significa che le stesse siano da considerarsi tali ai fini della problematica in esame. La nozione di ente pubblico è oggi una nozione a geometria variabile a seconda delle finalità. Uno stesso soggetto, come nel caso del CINECA, è pubblico a certi fini, quali la sussistenza della giurisdizione della Corte dei Conti per le controversie aventi ad oggetto la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti, privato rispetto all’applicabilità della normativa in materia di in house.
Il perimetro del concetto di ente pubblico muta, quindi, a seconda dell’istituto e della ratio ad essa sottesa.
I profili evolutivi richiamati meritano una breve riflessione. L’inversione di tendenza e le aperture in merito alla configurazione dell’in house sembra che possano trovare spiegazione, da un lato, in un’ottica di maggiore sinergia tra pubblico e privato; dall’altro con riferimento alla necessità di riduzione della spesa pubblica e conseguente accorpamento di funzioni comuni a più enti. La maggiore efficienza, economicità ed efficacia dell’azione amministrativa è stata, infatti, accompagnata dall’introduzione nell’ambito del diritto amministrativo di istituti privatistici; basti richiamare l’art. 1 comma 1bis della L. 241/90[5] ovvero gli accordi tra amministrazioni di cui all’art. 11[6] della stessa legge.
3. Il soccorso istruttorio
Il soccorso istruttorio continua ad essere oggetto di interessanti pronunzie della giurisprudenza amministrativa che costituiscono la riprova che, nonostante la nuova formulazione dell’art. 38, comma 2 bis e dell’art. 46, comma 1 ter del d.lgs. 163/06, la deflazione del contenzioso in materia di appalti rappresenta una mera chimera.
Il Consiglio di Stato si è recentemente pronunziato con riferimento a due differenti fattispecie.
Le vicende da cui traggono origine le pronunzie attengono:
- alla mancata dichiarazione circa il possesso dei requisiti soggettivi da parte degli amministratori di società incorporata; (C.d.S. sez IV 5131/2015);
- alla mancata dichiarazione di una condanna riportata 41 anni prima e, sulla base della normativa allora vigente, da ritenersi automaticamente estinta (C.d.S sez V 5192/2015).
Le sentenze in parola assumono rilevo per il differente approccio in merito alla portata del soccorso istruttorio, con riferimento a controversie soggette all’applicazione della disciplina previgente alla L. 114/2014, che, attraverso l’introduzione del comma 2 bis all’art. 38 del d.lgs. 163/06, consente, attraverso il pagamento di una sanzione pecuniaria, la sanabilità di erroneità od omissioni attestanti i principi generali.
La Sezione IV de C.d.S arriva ad affermare, (riformando la sentenza del Tar Lombardia sez Milano sentenza n. 725/2015) la legittimità dell’esclusione per omissione delle dichiarazioni ex art. 38 del d.lgs. 163/06, in caso di fusione per incorporazione, da parte dei soggetti delle società acquisiste per incorporazione richiamando i principi espressi dall’Adunanza Plenaria del C.d.S. 21/2012. In sintesi il soccorso istruttorio sarebbe stato possibile solo prima dell’Adunanza Plenaria, mentre successivamente lo stesso non sarebbe possibile anche in mancanza di un’espressa indicazione sul punto da parte della Stazione Appaltante. L’obbligo delle dichiarazioni in merito al possesso dei requisiti soggettivi discenderebbe, infatti, dal tenore letterale dello stesso art. 38 del d.lgs. 163/06, in considerazione della non altruità della società interessata all’incorporazione.
Di diverso tenore è, invece, la pronunzia della sez V del C.d.S, 13 novembre n. 5192/2015, che, pur con riferimento ad una fattispecie antecedente alla novella di cui sopra, richiama la stessa al fine di chiarire la portata del principio del favor partecipationis.
La vicenda atteneva all’omessa dichiarazione di una condanna non incidente sulla moralità professionale per il tempo trascorso, per la normativa applicabile e per la tipologia di reato. La falsità delle dichiarazioni di cui all’art. 75 del D.P.R. 445/2000 comporterebbe la decadenza dai benefici solo qualora vi sia un nesso di strumentalità tra la falsità ed i benefici conseguiti e non allorquando la falsità di una dichiarazione sia del tutto irrilevante rispetto al conseguimento di quel beneficio.
Come nel caso dell’in house la novella costituisce una linea guida anche per la risoluzione delle controversie antecedenti alla stessa. In più occasioni la giurisprudenza amministrativa ha, infatti, affermato che più recenti interventi legislativi offrono, quale indice ermeneutico, l’argomento della chiara volontà del legislatore di evitare (nella fase del controllo delle dichiarazioni e, quindi, dell’ammissione alla gara delle offerte presentate) esclusioni dalla procedura per mere carenze documentali (ivi compresa la mancanza assoluta delle dichiarazioni), di imporre un’istruttoria veloce, ma preordinata ad acquisire la completezza delle dichiarazioni (prima della valutazione di ammissibilità della domanda) e di integrazione documentale (entro il termine perentorio accordato, a tal fine, dalla stazione appaltante), delineando così la volontà univoca del legislatore di valorizzare il potere di soccorso istruttorio al duplice fine di evitare esclusioni formalistiche e di consentire le più complete ed esaustive acquisizioni istruttorie.
Come è già stato rilevato in giurisprudenza (cfr. TAR Toscana, II, Sent., 18/03/2015, n. 429; v. inoltre T.A.R. Valle d’Aosta Aosta Sez. Unica, Sent., 27/08/2015, n. 69), le disposizioni sopra richiamate sono finalizzate a superare le incertezze interpretative ed applicative del combinato disposto degli artt. 38 e 46 del D.Lgs. n. 163 del 2006 attraverso la procedimentalizzazione del soccorso istruttorio, che diviene ora doveroso per la stazione appaltante in ogni ipotesi di omissione o irregolarità degli elementi e delle dichiarazioni rese in gara, per cui l’esclusione dalla gara costituisce una sanzione non più irrogabile direttamente, ma solo in esito all’omessa produzione, integrazione o regolarizzazione degli elementi e delle dichiarazioni carenti, entro il termine assegnato dalla stazione appaltante.
In tema di soccorso istruttorio merita infine di essere segnalato il recente intervento dell’Adunanza Plenaria che, con la sentenza n. 9 del 2015, ribadisce da un lato l’impossibilità di introdurre clausole espulsive atipiche, dall’altro l’obbligatorietà dell’indicazione degli oneri di sicurezza aziendali anche per le gare nelle quali la fase di presentazione delle offerte si è conclusa prima della Pronunzia dell’Adunanza Plenaria n. 3/2015 con la quale si è chiarito che l’obbligo di indicazione degli oneri di sicurezza si applica anche agli appalti di lavori.
4. Il DURC
Problematiche analoghe a quelle finora esaminate pone anche il Documento Unico di Regolarità Contributiva. Con l’ordinanza 4542 del 29.09.2015, la sezione IV del Consiglio di Stato ha rimesso all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato la questione relativa all’obbligo di attivare la procedura di regolarizzazione del DURC, prima di procedere all’esclusione dalla gara, per i documenti di regolarità contributiva rilasciati antecedentemente al 1 luglio 2015.
Al fine di comprendere la portata dell’ordinanza appare opportuno ricostruire brevemente la disciplina relativa alla verifica della regolarità in merito al pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali. L’art. 38 del d.lgs. 163/06 prevede l’esclusione dalle gare d’appalto per gli operatori economici che abbiano commesso violazioni gravi e definitivamente accertate in materia di contributi previdenziali e assistenziali.
In merito alla gravità della violazione, la stessa è stata definita con Decreto del Ministero del Lavoro del 24 ottobre 2007 che ha considerato non grave uno scostamento tra somme dovute e pagate inferiore al 5% e comunque inferiore ad € 100,00.
Più problematico appare l’accertamento del requisito relativo alla definitività dell’accertamento.
In merito al contraddittorio, lo stesso DM stabilisce che gli Enti previdenziali interessati, prima del rilascio del DURC negativo, invitano l’interessato a regolarizzare entro un termine non superiore a 15 gg. Tale procedura, che sembra ricordare sotto alcuni profili l’istituto del preavviso di rigetto di cui all’art. 10bis della L. 241/90, trova, successivamente, conferma nell’art 31, comma 8 del D.L. 69/2013.
Le amministrazioni si sono trovate spesso di fronte ad un contrasto tra la dichiarazione di regolarità contributiva resa dall’impresa, in fase di partecipazione alla gara, e le risultanze del DURC acquisito d’ufficio, nel sub-procedimento di verifica in merito al possesso dei requisiti di carattere generale.
Su punto si sono registrati due opposti orientamenti:
Secondo una prima opinione rileva il DURC richiesto dalla Stazione Appaltante con riferimento alla data di partecipazione alla gara, non potendo essere preso in considerazione il DURC richiesto dagli offerenti anche se ancora in corso di validità (trimestrale). L’obbligo di invito alla regolarizzazione non potrebbe dunque trovare applicazione per le procedure ad evidenza pubblica, considerato che il possesso dei requisiti deve essere accertato al momento di scadenza del termine per la presentazione delle offerte.
Un secondo orientamento, minoritario, afferma la necessità di regolarizzazione anche per le procedure ad evidenza pubblica. Il possesso del requisito di regolarità contributiva andrebbe quindi verificato al momento della scadenza del termine di 15 gg per la regolarizzazione. Come affermato dal Consiglio di Stato, sez. V, con sentenza n. 78/2015 in mancanza di assegnazione del termine per sanare eventuali irregolarità il DURC deve ritenersi viziato e come tale inidoneo a comportare l’esclusione dalla gara.
La sezione IV del Consiglio di Stato solleva il dubbio della compatibilità della normativa richiamata con quanto previsto nella direttiva comunitaria 18/2004 che all’art 45 distingue tra cause obbligatorie e cause facoltative di esclusione. Per le prime è previsto l’accertamento d’ufficio da parte della Stazione appaltante, mentre per le seconde non sarebbe consentita la verifica d’ufficio essendo sufficiente la certificazione prodotta dai partecipanti.
Nell’ordinamento interno sarebbe proprio la previsione dell’accertamento d’ufficio che farebbe emergere un contrasto tra quanto dichiarato dall’operatore economico in sede di gara e quanto accertato in sede di verifica da parte dell’amministrazione con specifico riferimento alla data di partecipazione alla gara. L’impresa potrebbe aver dichiarato, in buona fede, di avere un DURC regolare perché effettivamente in possesso di un DURC regolare ancora in corso di validità. Di fatto, potrebbe però verificarsi che proprio alla data di presentazione dell’offerta, data alla quale si riferisce la richiesta di DURC della Stazione appaltante, risulti un’irregolarità non conosciuta e per questo non dichiarata dall’operatore.
Al fine di scongiurare tale eventualità il Decreto ministeriale 30 gennaio 2015 ed il successivo chiarimento ad opera della circolare del Ministero del Lavoro n. 19/2015 sanciscono che il concetto di definitivo accertamento deve riferirsi al periodo successivo all’invito alla regolarizzazione.
In conclusione, una violazione in materia di DURC a decorrere dal 1 luglio 2015 non è definitivamente accertata se non vi sia stato l’invito alla regolarizzazione e l’ulteriore decorso di 15 giorni. Le Stazioni appaltanti dalla medesima data non potranno più procedere a richieste di verifica del DURC con la specificazione della data nella quale la dichiarazione è stata resa considerato l’obbligo di invito alla regolarizzazione.
La questione resta aperta, e da qui l’ordinanza di rimessione per il periodo antecedente al 1 luglio 2015 in merito al quale l‘Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato è chiamata a risolvere il contrasto interpretativo richiamato.
In estrema sintesi:
a) dal 1 luglio 2015 la regolarità del DURC deve essere riferita al momento successivo alla partecipazione ovvero alla scadenza del termine di regolarizzazione considerato che la disciplina dello stesso è rimessa all’ordinamento previdenziale;
b) per il periodo temporale antecedente sussiste un contrasto giurisprudenziale rimesso all’Adunanza Plenaria che vede contrapposte posizioni più aderenti alla disciplina dell’evidenza pubblica con necessità di procedere ad esclusione senza l’invito alla regolarizzazione (non essendo ammesse regolarizzazioni postume), e un orientamento sostanzialista che tiene conto di quanto previsto dall’ordinamento previdenziale con conseguente impossibilità di escludere in mancanza del suddetto invito.
[1] La presente trattazione è limitata all’analisi della problematica relativa all’individuazione della normativa applicabile nelle more del recepimento della direttiva. Per una trattazione organica dell’istituto si rinvia a n. 8 della rivista “le società partecipate. Il modello in house..” di Beatrice Corradi.
[2] La Corte di Giustizia aveva inoltre negato la configurabilità dell’istituto anche nell’ipotesi in cui, pur essendo la società a totale partecipazione pubblica, lo statuto contemplasse la possibilità di una partecipazione privatistica, anche se minoritaria.
[3] DIRCEE 26/02/2014, n. 2014/24/UE
Articolo 12 Appalti pubblici tra enti nell’ambito del settore pubblico
Un appalto pubblico aggiudicato da un’amministrazione aggiudicatrice a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientra nell’ambito di applicazione della presente direttiva quando siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi;
b) oltre l’80 % delle attività della persona giuridica controllata sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice di cui trattasi; e
c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
Si ritiene che un’amministrazione aggiudicatrice eserciti su una persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi ai sensi della lettera a) qualora essa eserciti un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata. Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione aggiudicatrice.
2. Il paragrafo 1 si applica anche quando una persona giuridica controllata che è un’amministrazione aggiudicatrice aggiudica un appalto alla propria amministrazione aggiudicatrice controllante o ad un altro soggetto giuridico controllato dalla stessa amministrazione aggiudicatrice, a condizione che nella persona giuridica alla quale viene aggiudicato l’appalto pubblico non vi sia alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
3. Un’amministrazione aggiudicatrice che non eserciti su una persona giuridica di diritto privato o pubblico un controllo ai sensi del paragrafo 1 può nondimeno aggiudicare un appalto pubblico a tale persona giuridica senza applicare la presente direttiva quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita congiuntamente con altre amministrazioni aggiudicatrici un controllo sulla persona giuridica di cui trattasi analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi;
b) oltre l’80 % delle attività di tale persona giuridica sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici controllanti o da altre persone giuridiche controllate dalle amministrazioni aggiudicatrici di cui trattasi; e
c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
Ai fini del primo comma, lettera a), le amministrazioni aggiudicatrici esercitano su una persona giuridica un controllo congiunto quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
i) gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti;
ii) tali amministrazioni aggiudicatrici sono in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica; e
iii) la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici controllanti.
4. Un contratto concluso esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici non rientra nell’ambito di applicazione della presente direttiva, quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
a) il contratto stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che esse sono tenute a svolgere siano prestati nell’ottica di conseguire gli obiettivi che esse hanno in comune;
b) l’attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni inerenti all’interesse pubblico; e
c) le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 % delle attività interessate dalla cooperazione.
5. Per determinare la percentuale delle attività di cui al
paragrafo 1, primo comma, lettera b), al paragrafo 3, primo comma, lettera b),
e al paragrafo 4, lettera c), si prende in considerazione il fatturato totale
medio, o una idonea misura alternativa basata sull’attività, quali i costi
sostenuti dalla persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione
nei campi dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti
l’aggiudicazione dell’appalto.
Se, a causa della data di costituzione o di inizio dell’attività della persona
giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione, ovvero a causa della
riorganizzazione delle sue attività, il fatturato, o la misura alternativa
basata sull’attività, quali i costi, non è disponibile per i tre anni
precedenti o non è più pertinente, è sufficiente dimostrare, segnatamente in
base a proiezioni dell’attività, che la misura dell’attività è credibile.
[4] Il Consiglio di Stato, sez V 11 settembre 2015 n. 4253 è stato chiamato a pronunziarsi in merito alla configurabilità dell’in house in un’ipotesi di partecipazione privata nella compagine sociale.
[5]. L 214/90 art 1 comma 1-bis. La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente.
[6]. L 241/90 Art. 11 Accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento
1. In accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell’articolo 10, l’amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo.