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1.Orientamenti giurisprudenziali

La libertà delle amministrazioni di auto organizzarsi costituisce principio riconosciuto dalla Corte di giustizia, ed è ribadito dall’art. 2 della direttiva 10 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, dal titolo “Principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche”. L’art. 106, comma 2, primo periodo, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), afferma: “Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata.

L’azienda speciale costituisce una forma giuridica di diritto privato finalizzata alla gestione di servizi di rilevanza imprenditoriale. Essa rappresenta l’evoluzione delle aziende municipalizzate, previste nei primi del Novecento e disciplinate dalla legge Giolitti del 1903. L’azienda speciale si caratterizza per essere “ente strumentale dell’ente locale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto” (art. 114. comma 1, d.lg. 267/2000 – T.U.E.L); è un soggetto giuridico autonomo rispetto all’ente, inquadrandosi tra gli enti pubblici economici. La gestione di servizi pubblici di rilevanza economica ed imprenditoriale può essere, quindi, effettuata attraverso aziende speciali. L’azienda speciale è un soggetto di diritto a sé stante, indipendente e diverso dall’ente, uno strumento per la gestione di un servizio pubblico. Essa opera come qualsiasi impresa commerciale.

Le Aziende speciali hanno trovato una disposizione sistematica nella riforma delle autonomie locali, approvata con la nota l. n. 142/1990, il cui l’articolo 22, comma 3, disponeva che i Comuni e le Province possono gestire i servizi pubblici nelle seguenti forme:

“a) in economia, quando per le modeste dimensioni e per le caratteristiche del servizio non sia opportuno costituire un’istituzione o un’azienda;

b) in concessione a terzi, quando sussistano ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale;

c) a mezzo di azienda speciale, anche per la gestione di più servizi di rilevanza economica ed imprenditoriale;

d) a mezzo di istituzione, per l’esercizio di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale;

e) a mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico locale, qualora si renda opportuna, in relazione al servizio da erogare, la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati”.

Il Consorzio tra enti locali è definibile come un’azienda speciale di ognuno degli associati. Così come l’azienda speciale è ente strumentale dell’ente locale, ossia ente istituzionalmente dipendente dall’ente locale ed elemento del sistema amministrativo facente capo a questo, allo stesso modo il consorzio, in quanto azienda speciale degli enti che l’hanno istituito, è un ente strumentale per l’esercizio in forma associata di servizi pubblici o funzioni e fa parte del sistema amministrativo di ognuno degli enti associati” (Cons. di Stato, n. 2605/2001 e v. anche Cassaz., ordinanza n. 33691/2002)

Il Testo unico degli Enti locali – DLgs. 267/2000 – afferma che “Gli enti locali, nell’ambito delle rispettive  competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”.

La normativa adottata negli anni Novanta ha valorizzato la conversione delle aziende speciali in S.p.A, il Comune, ad esempio, ha abbandonato il ruolo di gestore diretto dei servizi per assumere la funzione di regolatore dei servizi tramite le S.p.A.. La trasformazione, in via legislativa, di enti pubblici in società per azioni è stata operata agli inizi degli Anni Novanta al fine di adattare il tessuto economico produttivo nazionale, alle regole della concorrenza realizzando, altresì, gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica. Sempre nel corso degli anni Novanta, alcune disposizioni legislative hanno previsto l’istituzione di società, per lo svolgimento di specifiche attività, riservate allo Stato. A tal fine è stata costituita, ad esempio, la Concessionaria servizi informatici pubblici – CONSIP S.p.A., istituita in base a quanto previsto dall’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 414 del 1997.

La trasformazione, in via legislativa, di enti pubblici in società per azioni è stata operata agli inizi degli Anni Novanta, al fine di adattare il tessuto economico produttivo nazionale, alle regole della concorrenza realizzando, altresì, gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica. Sempre nel corso degli anni Novanta, alcune disposizioni legislative hanno previsto l’istituzione di società, per lo svolgimento di specifiche attività, riservate allo Stato. A tal fine è stata costituita, ad esempio, la Concessionaria servizi informatici pubblici – CONSIP S.p.A., istituita in base a quanto previsto dall’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 414 del 1997.

La disciplina di riferimento dispone che le partecipazioni devono essere strettamente necessarie per il perseguimento delle finalità istituzionali dell’amministrazione pubblica ed avere come fine esclusivo il perseguimento di un utile di tipo privatistico, come prevede l’ art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001.

“E’ stato osservato che sotto il profilo sostanziale (…) le aziende speciali, così come le società in house, come affermato dalle stesse Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Sentenza 25 novembre 2013, n 26283, ribadito con Ordinanza 2 dicembre 2013, n. 26936), possono essere considerate come enti che rappresentano delle vere e proprie articolazioni della Pubblica Amministrazione, atteso che gli organi di queste sono assoggettate a vincoli gerarchici facenti capo alla Pubblica Amministrazione, i cui dirigenti sono dunque legati alla Pubblica amministrazione da un rapporto di servizio come avviene per i dirigenti preposti ai servizi direttamente erogati dall’ente pubblico (…) le aziende speciali sono enti che conservano natura pubblica, non possedendo nemmeno uno statuto privatistico di tipo societario e non relazionandosi con l’ente istitutivo secondo schemi e modelli privatistici (…)” (Cons. Stato 20 febbraio 2014 n. 820).

L’appartenenza dell’azienda speciale alla categoria degli enti pubblici economici (Cass. Sez. un. 15 dicembre 1997, n. 12654) comporta, in quanto svolge attività commerciali, oltre all’iscrizione nel registro delle imprese, l’assoggettabilità alla disciplina di diritto privato per quanto attiene al profilo dell’impresa e per i rapporti di lavoro dei dipendenti (T.A.R. Liguria, II, 24 maggio 1995, n. 272). Ne deriva che i contratti collettivi di lavoro non sono necessariamente quelli del settore pubblico, ma quelli stabiliti dalle parti in riferimento al settore merceologico di appartenenza (elemento questo da approfondire).

In tema di personale e di acquisizione di beni, significativo è il richiamo ai principi di cui alle l. 241/90. La riforma della legge n. 241 del 1990 ha introdotto nell’art. 1), il comma 1-ter (“I soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei principi di cui al comma 1”), e “se è vero che tale disposizione – secondo la tesi prevalente – non costituisce un fondamento all’imputazione di tutte le regole della funzione amministrativa ai soggetti che svolgono attività oggettivamente volte al perseguimento dell’interesse generale, tuttavia riconosce che, anche ove svolta dai privati, l’attività amministrativa – definibile come tale in base al settore normativo di riferimento – sia assoggettata ai principi generali della materia.

Nella logica dell’amministrazione «di risultato», che non distingue più tra erogazioni di atti e di servizi, in quanto agisce sempre e comunque al servizio del cittadino e, con accenti tipici della società moderna, per la soddisfazione dell’utente, le società controllate dall’ente pubblico che erogano servizi pubblici devono impiegare selezioni imparziali, trasparenti, pubbliche, ancorate a sistemi oggettivi e predeterminati, a garanzia non solo di chi vi partecipa, ma anche dei terzi, destinatari dell’attività societaria. In sostanza anche per le società a partecipazione pubblica che erogano servizi di interesse generale si pone l’esigenza di adottare procedure di assunzione idonee a selezionare secondo criteri di merito e di trasparenza i soggetti chiamati allo svolgimento dei compiti loro affidati” (cfr. Consiglio di Stato adunanza 24 maggio 2010).

2. La soggettività passiva ai fini dell’I.V.A.. Le attività soggette all’imposta

L’azienda speciale, operando come una qualsiasi impresa commerciale soggiace al regime fiscale proprio delle società di diritto privato e, quindi, è soggetto passivo di imposta distinto dall’ente locale, ai fini del pagamento di Iva (Cass., sez V, 15 aprile 2005, n. 7906), qualora, ai sensi del d.p.r 633/1972, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte, abbiano per oggetto attività commerciali, in via esclusiva o principale. La normativa comunitaria (in particolare, gli articoli 2 e 73 della Direttiva CE 28 novembre 2006, n. 112) ha definito in modo ampio l’ambito oggettivo di rilevanza di un’operazione agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto. In particolare, si configura un’operazione imponibile in presenza di un rapporto giuridico nell’ambito del quale il compenso ricevuto dal prestatore costituisce il controvalore effettivo del servizio prestato all’utente (cfr. Corte di Giustizia CE, sentenza 23 marzo 2006, Causa C-210/04 e sentenza 3 marzo 1994, Causa C-16/93).

Secondo la direttiva comunitaria si considera soggetto passivo la persona che esercita in “modo indipendente e i qualsiasi luogo, a prescindere dallo scopo o dai risultati, attività di produttore, di commerciante o di prestatore di servizi”. Gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri organismi di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, tranne quando il loro non assoggettamento provocherebbe distorsioni di concorrenza di una certa importanza.

Il quadro generale dal quale è possibile cogliere le situazioni di soggettività passiva di un ente è costituito dall’art. 4 par. 5 della VI Direttiva CEE e dall’art. 4 del D.P.R. 633/1972. Gli enti locali e territoriali non sono soggetti d’imposta per definizione, essi rivestono lo status di soggetto passivo Iva solo nel momento in cui realizzano attività commerciali con il requisito dell’abitualità. Il concetto di abitualità si concretizza con lo svolgimento sistematico e ripetitivo di una molteplicità di atti economici.

Il non assoggettamento degli enti di diritto pubblico presuppone che le attività siano svolte nell’ambito dei compiti attribuiti di pubblica autorità, escludendo quelle attività svolte in forza dello stesso regime a cui sono sottoposti gli operatori economici privati. Il non assoggettamento, come ha disposto il legislatore comunitario, deve non avere come conseguenza “distorsioni di concorrenza di una certa importanza”. Secondo le direttive europee gli Stati membri sono tenuti a garantire l’assoggettamento degli enti di diritto pubblico per le attività che esercitano in quanto pubbliche autorità allorché tali attività possono essere del pari esercitate dai privati in concorrenza con essi e qualora il loro non assoggettamento sia atto a provocare distorsioni di concorrenza di una certa importanza.

Il non assoggettamento degli enti di diritto pubblico presuppone che le attività siano svolte nell’ambito dei compiti attribuiti di pubblica autorità, escludendo quelle attività svolte in forza dello stesso regime a cui sono sottoposti gli operatori economici privati. Il non assoggettamento, come ha disposto il legislatore comunitario, deve non avere come conseguenza “distorsioni di concorrenza di una certa importanza”. Secondo le direttive europee gli Stati membri sono tenuti a garantire l’assoggettamento degli enti di diritto pubblico per le attività che esercitano in quanto pubbliche autorità allorché tali attività possono essere del pari esercitate dai privati in concorrenza con essi e qualora il loro non assoggettamento sia atto a provocare distorsioni di concorrenza di una certa importanza.

Il presupposto oggettivo di applicazione dell’IVA può essere escluso, ai sensi della normativa comunitaria, solo qualora non si ravvisi alcuna correlazione tra l’attività finanziata e le elargizioni di denaro. Il contributo assume natura onerosa e configura un’operazione rilevante agli effetti dell’iva quando tra le parti intercorre un rapporto giuridico sinallagmatico, nel quale il contributo ricevuto dal beneficiario costituisce il compenso per il servizio effettuato o per il bene ceduto (risoluzione Agenzia delle entrate 16 febbraio 2005, n. 21/E; 27 gennaio 2006, n. 16/E). L’esclusione dal campo dell’applicazione dell’IVA è stata ravvisata ogni qualvolta il soggetto che riceve il denaro non diventa obbligato a dare, fare, non fare o permettere qualcosa come controprestazione (circolare n. 34/e Agenzia delle entrate, Anno 2013).

L’appartenenza dell’azienda speciale alla categoria degli enti pubblici economici (Cass. Sez. un., 15 dicembre 1997, n. 12654) comporta, oltre all’iscrizione nel registro delle imprese, l’assoggettabilità alla disciplina di diritto privato per quanto attiene al profilo dell’impresa e per i rapporti di lavoro dei dipendenti (T.A.R. Liguria, II, 24 maggio 1995, n. 272). Ne deriva che i contratti collettivi di lavoro non sono necessariamente quelli del settore pubblico, ma quelli stabiliti dalle parti in riferimento al settore merceologico di appartenenza. L’azienda speciale, operando come una qualsiasi impresa commerciale soggiace al regime fiscale proprio delle società di diritto privato e, quindi, è soggetto passivo di imposta distinto dall’ente locale, ai fini del pagamento di Iva, (Cass., sez V, 15 aprile 2005, n. 7906).

3. In particolare le società in house. Caratteristiche e natura

E’ sempre ammessa la costituzione di società che producono, servizi di interesse generale, nell’ambito delle competenze attribuite all’ente. Sono ammesse le partecipazioni in società organizzate secondo il modello dell’in house providing, come delineato dalla giurisprudenza interna e dell’Unione Europea. Il modello dell’in house providing impone “una minuziosa forma di controllo da parte del socio pubblico così da implicare una subordinazione dei suoi organi amministrativi alla volontà di quello al punto da renderle assimilabili ad una sua articolazione interna” (Sez. un. n. 26283 del 2013).

Nel tempo il fenomeno delle società partecipate ha portato alla nozione allargata di pubblica amministrazione, comprendente non solo soggetti pubblici, ma anche soggetti privati che si trovano in un particolare rapporto con le amministrazioni, o alle quali, eccezionalmente, è consentito lo svolgimento di pubbliche funzioni o di attività amministrativa. Ciò in forza di provvedimenti amministrativi (di concessione, di affidamento, di aggiudicazione) o della circostanza per cui nel soggetto privato c’è una partecipazione della pubblica amministrazione. In tal modo le società pubbliche rimangono soggetti privati ma ad alcuni fini sono equiparati alla pubblica amministrazione.

Nel tempo il fenomeno delle società partecipate ha portato alla nozione allargata di pubblica amministrazione, comprendente non solo soggetti pubblici, ma anche soggetti privati che si trovano in un particolare rapporto con le amministrazioni, o alle quali, eccezionalmente, è consentito lo svolgimento di pubbliche funzioni o di attività amministrativa.

Nel giugno 2010, la Sezione autonomie della Corte ha pubblicato evidenziando alcuni risultati in una relazione trasmessa al Parlamento, come segue:

5.860 organismi partecipati da 5.928 enti (comuni e province). Di cui n 3.787 organismi con forma giuridica societaria (società per azioni, società a responsabilità limitata, società consortili e società cooperative) e 2.073 organismi con forma giuridica diversa (consorzi, fondazioni, istituzioni, azienda speciali). Dal punto di vista dell’attività svolta il 34,67% degli organismi partecipati si occupa di servizi pubblici locali; il 65,33% degli organismi partecipati svolge attività riconducibili ad altro, ad esempio, di  attività culturali sportive e di sviluppo turistico, supporto alle imprese, scientifiche e tecniche, agricoltura silvicoltura e pesca, sanità e assistenza sociale, farmacie. 

La Corte dei conti, Sez. riun., nell’Audizione dinanzi alla I Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sul disegno di legge in materia di “Riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche” (AC 3098), il 3 giugno 2015, ha rappresentato l’esigenza di un intervento organico nella materia, richiamando gli obiettivi della chiarezza della disciplina e della semplificazione normativa. Il piano di razionalizzazione, prevede che siano individuate specifiche misure per la liquidazione o trasformazione per fusione o incorporazione degli organismi, in funzione delle dimensioni e degli ambiti ottimali per lo svolgimento delle rispettive attività anche al fine dell’efficientamento della gestione, attraverso l’adozione di misure per ridurre i costi di amministrazione (limiti, ad esempio, al trattamento economico dei dirigenti apicali). 

Le società in house, come in qualche modo già la stessa denominazione esprime, non sono da collocarsi come un’entità posta al di fuori dell’ente pubblico, costituendo infatti un prolungamento del medesimo, non sono altro che una longa manus della pubblica amministrazione: “l’ente in house non può ritenersi terzo rispetto all’amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell’amministrazione stessa” (così Cons. Stato, Ad. plen., n. 1/08, cit.). Numerosa giurisprudenza ha evidenziato, in ogni caso, il carattere eccezionale del modello “in house”: “da utilizzare motivatamente e con cautela, laddove si tratti di un servizio di rilevanza economica e cioè di servizio che possa essere ordinariamente soddisfatto mediante ricorso al mercato, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria (Tar Toscana, sez. I, n.174/09). Esso costituisce un’eccezione alle regole generali del diritto comunitario e va interpretato restrittivamente (C. giust. CE, 6 aprile 2006, C-410/041 e Cons. Stato, sez. II, 18 aprile 2007, n. 4561).

Una volta che la società in house costituisce una longa manus dei soggetti pubblici controllanti il legislatore, sul presupposto di una parziale assimilazione delle società in house alle amministrazioni pubbliche, prevede la loro sottoposizione alla disciplina posta dal codice appalti per l’acquisto di beni e servizi, l’applicazione delle politiche di contenimento della spesa pubblica e della disciplina in tema di assunzione di personale (art. 3-bis, comma 6, del d.l. n. 138/2011, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 148/2011). Nel concetto di stazione appaltante così nel tempo è stata ricompresa anche l’eventuale società in house poiché non si configura quale soggetto esterno all’amministrazione medesima “ma, analogamente ai suoi uffici interni, ne rappresenta una parte sostanzialmente integrante, se pure giuridicamente separata. La forma societaria è uno strumento che l’Amministrazione …ha scelto per lo svolgimento delle proprie attività in materia di realizzazione delle opere pubbliche, ritenendo che possano più agevolmente essere portate a compimento mediante strumenti civilistici” (TAR Toscana, Sezione I – Sentenza 13/06/2011 n. 1041).

Il concetto di stazione appaltante che comprende anche le società in house, comporta che “la difesa comunale, non si configura quale soggetto esterno all’amministrazione medesima ma, analogamente ai suoi uffici interni, ne rappresenta una parte sostanzialmente integrante, se pure giuridicamente separata” (TAR Toscana, Sezione I – Sentenza 13/06/2011 n. 1041).  

La Direttiva comunitaria, all’art. 12, par. 1 lett. c) In tema di responsabilità significativa è la sentenza della Corte dei conti, – sentenza 20 febbraio 2015, che afferma: “La società in house si presenta come un modello organizzatorio della stessa P.A., sia pure per certi versi atipico, con la conseguenza che il danno prodotto dagli amministratori al patrimonio di quella società non potrà non qualificarsi come erariale e la giurisdizione appartenere a questo Giudice contabile”.Non risulta quindi possibile configurare un rapporto di terziarietà tra ente e società, conseguentemente, si può concludere che la distinzione tra il patrimonio dell’ente e quello società non conduce ad una distinta titolarietà.

La Corte di giustizia europea (C. Giust. UE, 29 novembre 2012, in cause riunite C-182/11 e C-183/11, Econord) ha avuto modo di dichiarare che quando più autorità pubbliche, nella loro veste di amministrazioni aggiudicatrici, istituiscono in comune un’entità incaricata di adempiere compiti di servizio pubblico ad esse spettanti, oppure quando un’autorità pubblica aderisce ad un’entità siffatta, le medesime per essere dispensate dal loro obbligo di avviare una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico, in conformità alle norme del diritto dell’Unione, debbono esercitare congiuntamente sull’entità in questione un controllo analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi.

Il controllo deve essere effettivo, strutturale e funzionale [da ultimo, Corte di giustizia, sez. V, 8 maggio 2014 (causa C-15/13)], ed esula da quelli che sono gli ordinari poteri attribuiti ai soci pubblici dagli ordinamenti degli Stati membri (si veda, ad esempio, l’art. 2449 c.c.; in tal senso, espressamente, Cons. Stato, sez. V, 13 marzo 2014, n. 1181).

L’esistenza di una nuova disciplina normativa a livello comunitario contenuta nell’art. 12 della direttiva 24/2014/UE, da recepire entro il 18 aprile 2016, anche se la medesima ha “contenuto incondizionato e preciso”, – cfr. Cons. Stato, II, n. 298/2015; Cass. civ. SS.UU., n. 13676/2014, consente la forma dell’ affidamento diritto mediante la società in house. Secondo il Consiglio di Stato – parere del gennaio 2015 n. 298 – la possibilità del Consorzio, data la nuova direttiva 24 del 2014 in tema di “prevalenza” dell’attività, di svolgere talune attività anche con carattere di impresa non è affatto ostativa all’affidamento “in house” anche alla stregua di quanto recentissimamente affermato, inoltre, dalla Corte di giustizia U.E. (Quinta Sezione) con la sentenza del 18 dicembre 2014, causa C-568/13 (l’articolo 1, lettera c), della direttiva 92/50  che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi.

Secondo il Consiglio di Stato – parere del gennaio 2015 n. 298 – la possibilità del Consorzio, data la nuova direttiva 24 del 2014 in tema di “prevalenza” dell’attività, di svolgere talune attività anche con carattere di impresa non è affatto ostativa all’affidamento “in house” anche alla stregua di quanto recentissimamente affermato, inoltre, dalla Corte di giustizia U.E. (Quinta Sezione) con la sentenza del 18 dicembre 2014, causa C-568/13 (l’articolo 1, lettera c), della direttiva 92/50 che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi.

“La possibilità di partecipare a società di capitali o ad altri consorzi o di affidare a terzi l’esercizio di parte delle attività di competenza, è certamente ispirata dal lodevole intento di attuare sinergie quanto mai opportune nelle attività istituzionali del Consorzio, e non appare in alcun modo idonea ad alterare il carattere pubblicistico delle attività consortili, che oltretutto si realizzano dichiaratamente “senza fini di lucro” (art.1, comma 3° dello Statuto). Ed è appena il caso di ricordare che tutte le attività che il consorzio non intende svolgere direttamente con le proprie strutture, debbono essere affidate all’esterno attraverso procedimenti di evidenza pubblica.

Il modello accolto è, sostanzialmente, quello, oggi codificato, della cooperazione pubblico-pubblico istituzionalizzata di tipo verticale (“in house” secondo il par. 1 dell’art.12 cit.), creato nella giurisprudenza comunitaria, con taluni caratteri però di quello della cooperazione pubblico-pubblico non istituzionalizzata di tipo orizzontale di cui all’art. 12 cit., paragrafo 4”.

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) nell’ambito degli avvisi richiesti dal Consiglio di Stato, ha ribadito l’orientamento della giurisprudenza, secondo cui l’affidamento in house può essere ammesso al ricorrere dei due requisiti del controllo analogo e dell’attività prevalente.

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) nell’ambito del parere richiesto dal Consiglio di Stato,  ha ribadito l’orientamento della giurisprudenza, secondo cui l’affidamento in house può essere ammesso al ricorrere dei due requisiti del controllo analogo e dell’attività prevalente.

Per quanto riguarda il requisito dell’attività prevalente, ha evidenziato l’Autorità, è necessario che “la società aggiudicataria svolga la parte più importante della propria attività con gli enti pubblici che la controllano”. Ad avviso dell’Autorità, ad esempio, la fusione con alcuni istituti universitari aventi natura giuridica privata, risulta  ostativa alla sussistenza del requisito della partecipazione pubblica totalitaria e pertanto alla legittimità di un affidamento diretto da parte del modello dell’in house, nonostante il requisito dell’attività prevalente risulti rispettato. Similarmente, l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) ha ritenuto che non sia pienamente conforme ai requisiti caratteristici del modello in house, le previsioni statutarie secondo cui un Consorzio svolge le attività indicate anche con carattere di impresa e che lo stesso, per conseguire i fini istituzionali, può acquisire partecipazioni in società di capitali o altri consorzi ovvero demandare a soggetti terzi l’esercizio di parte delle attività affidategli pur mantenendone la titolarità nei confronti dei committenti.

Il Consiglio di Stato applica, con il parere del gennaio 2015, per la prima volta i principi stabiliti dalla direttiva europea sugli appalti 24/2014, con conseguenze sul modello fino ad ora esistente in tema. La “prevalenza” dell’attività trova come è affermato dal Consiglio di Stato medesimo “ormai… una compiuta e dettagliata quantificazione nell’art.12 della Direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 secondo cui “oltre l’80 % delle attività della persona giuridica controllata sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice”. Non può ammettersi, in ogni caso, che il Consorzio, ad esempio, possa mai risultare, per qualsiasi evenienza, controllato da capitale privato, in posizione di influenza dominante con potere di veto o di condizionamento

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Beatrice Corradi
Dott.ssa Beatrice Corradi
Dirigente del Servizio Provveditorato, Affari generali e Gruppi Consiliari del Consiglio regionale della Liguria
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