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1. La “Manovra-bis”

La Legge n. 148 del 14.09.2011 (“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13  agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria  e  per  lo  sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari”), all’esito del consueto, e quanto mai discusso iter parlamentare, è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale (GU n. 216 del 16.09.2011): ai sensi dell’articolo 1, comma 6 la legge è entrata in vigore il 17.09.2011.

La manovra economica di cui al D.L. n. 138/2011, apportando una serie di novità in diversi ambiti, persegue il fine ultimo di risparmiare €45,5 miliardi per il biennio 2012-2013, in ossequio all’esplicita richiesta dell’UE per quanto concerne il pareggio di bilancio, ovvero l’abbattimento del deficit pubblico previsto per il 2013, presentandosi al contempo come una valida sede legislativa in cui poter ridefinire gli ambiti di quei settori che necessitavano di un intervento regolatore.

È questo il caso della materia dei servizi pubblici, che, a seguito dell’intervenuto referendum abrogativo dell’articolo 23-bis L. 133/2008 s.m.i.[1], era caratterizzata da un parziale vuoto legislativo.

Come risulta dal testo del D.L. n. 138/2011, più volte emendato e infine convertito in legge, molteplici sono, infatti, le norme indirizzate al comparto degli Enti locali, fra le quali di particolare interesse risultano quelle riguardanti le società partecipate, con cui il Legislatore ha inteso adeguare la disciplina dei servizi pubblici locali a rilevanza economica alle indicazioni del recente referendum abrogativo dell’articolo 23-bis citato e, in generale, alla normativa di derivazione europea.

Di seguito verranno passate in rassegna le norme del Titolo II, rubricato “Liberalizzazioni, privatizzazioni ed altre misure per favorire lo sviluppo” e del Titolo IV, rubricato “Riduzione dei costi degli apparati istituzionali”, soffermandosi sulle disposizioni che si impatteranno sulla disciplina delle società partecipate.

2. Modalità di affidamento dei servizi pubblici locali

L’articolo 4 (Adeguamento  della  disciplina  dei  servizi   pubblici   locali  al referendum popolare e alla normativa dall’Unione europea) della L. n. 148/2011 detta nuove regole in materia di liberalizzazione dei servizi pubblici locali riproponendo, tuttavia, come impianto di base, il principio generale – previsto nell’abrogato articolo 23-bis – dell’affidamento con gara.

Al fine di delineare il campo di azione della normativa riformatrice appena entrata in vigore, occorre tuttavia soffermarsi in primo luogo su quanto dispone il comma 34 dell’articolo 4, secondo cui sono esclusi dall’applicazione della nuova disciplina il servizio idrico integrato (salvo le disposizioni contenute nei commi da 19 a 27[2]), il servizio di distribuzione del gas naturale, il servizio di distribuzione dell’energia elettrica, il servizio di trasporto ferroviario regionale e la gestione delle farmacie comunali. Inoltre, come specifica il successivo comma 35, restano salve le procedure di affidamento già avviate alla data di entrata in vigore del decreto in esame.

L’affidamento con gara costituisce la regola, mentre l’attribuzione di diritti di esclusiva (società “in house”) è ammessa solo per servizi di importo annuo inferiore ad € 900.000.

Secondo quanto dispone il comma 1 dell’articolo 4, l’affidamento tramite gara (a terzi o società mista) costituisce la modalità ordinaria di attribuzione dei servizi pubblici locali, mentre viene chiesto agli enti locali di limitare l’attribuzione di diritti di esclusiva alle «ipotesi in cui, in base a una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità». In particolare, il comma 1 dell’articolo 4 prescrive che gli enti locali affidanti debbano procedere «nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi» a una verifica circa la possibilità di realizzare una «gestione concorrenziale» dei servizi pubblici locali a rilevanza economica «liberalizzando tutte le attività economiche compatibilmente con le caratteristiche di universalità e accessibilità del servizio» e limitando l’attribuzione dei diritti di esclusiva soltanto nei casi in cui, attraverso un’analisi di mercato, si riscontri l’effettiva inidoneità della libera iniziativa economica a garantire un servizio che risponda ai bisogni della collettività.

Come disposto dai successivi commi 2, 3 e 4, i motivi che inducono gli enti a decidere di sottrarre un servizio alla liberalizzazione dovranno essere chiaramente esplicitati in una delibera quadro: questa, infatti, «illustra l’istruttoria compiuta ed evidenzia, per i settori sottratti alla liberalizzazione, le ragioni della decisione e i benefici per la comunità locale derivanti dal mantenimento di un regime di esclusiva del servizio». Come prescritto, l’ente, oltre a dare adeguata pubblicità di tale delibera, deve curarne la trasmissione all’Autorità garante della concorrenza e del mercato entro 12 mesi dall’entrata in vigore del decreto in esame e, comunque, al momento del conferimento o del rinnovo della gestione del servizio.

Gli enti locali devono adottare una “delibera quadro” entro un anno dall’entrata in vigore della legge e comunque prima di ogni nuovo conferimento, nella quale danno atto dell’istruttoria compiuta.

L’articolo 4 al comma 8, nel caso in cui l’ente locale a seguito della verifica di cui al comma 1 intenda procedere all’attribuzione di diritti di esclusiva, sancisce il principio generale dell’affidamento con gara disponendo che il conferimento della gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica «avviene in favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive a evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità».

Nel prosieguo dell’articolo 4 viene riproposto per le modalità di affidamento del servizio anche il modello di gestione delle società a capitale misto pubblico–privato, contemplando al comma 12 l’ipotesi della selezione con gara del socio privato a cui viene riconosciuta una partecipazione al capitale non inferiore al 40% e l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio.

Il comma 13, infine, in deroga alla modalità ordinaria di affidamento con gara, e quindi in via residuale,  prevede la possibilità per gli enti locali di procedere ad affidamenti diretti: in particolare, la manovra stabilisce un limite di valore al di sotto del quale possono essere disposti affidamenti a favore di società a capitale interamente pubblico. Si prescrive, infatti, che qualora il valore economico del servizio oggetto dell’affidamento sia pari o inferiore alla somma complessiva di €900.000 annui, gli enti locali possono affidare direttamente il servizio a società a totale partecipazione pubblica che si trovino in possesso dei requisiti individuati dalla normativa e dalla giurisprudenza di matrice europea, e ormai recepiti a livello nazionale, per la qualificazione delle cosiddette gestioni «in house» (oltre al capitale detenuto dagli enti affidanti, il controllo da parte degli enti titolari analogo a quello esercitato sui propri servizi e l’esercizio della parte più importante dell’attività per conto degli enti titolari).

Tutti gli affidamenti di servizi pubblici locali soggetti all’art. 4 e non conferiti in conformità alle procedure ivi indicate, cessano improrogabilmente entro il 31 marzo 2012.

Fra le novità di cui alla L. n. 148/2011, occorre inoltre soffermarsi sulle indicazioni contenute nel comma 32 dell’art. 4 relativamente al regime transitorio, per gli affidamenti in essere non conformi alla nuova disciplina. Viene, a riguardo, sancito che gli affidamenti diretti relativi a servizi di valore superiore alla predetta soglia di €900.000 annui cessano improrogabilmente alla data del 31.3.2012; analoga scadenza è prevista per tutti gli altri affidamenti diretti non rientranti nei casi successivamente contemplati:

  • è previsto, infatti, il maggior termine del 30.6.2012 per la cessazione degli affidamenti a favore delle società miste pubblico–privato in cui il privato sia stato selezionato con procedure ad evidenza pubblica espletate nel rispetto dei principi generali della gara di cui al comma 8 ma che non abbiano avuto ad oggetto anche la qualità di socio e l’attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio; diversamente per i casi in cui la selezione del socio privato risulti conforme ai principi generali di cui al comma 8 e questa abbia avuto ad oggetto sia la qualità del socio che l’attribuzione dei compiti operativi è previsto il mantenimento della scadenza originaria dell’affidamento;
  • per gli affidamenti diretti assentiti alla data dell’1.10.2003 a società a partecipazione pubblica già quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate ai sensi dell’art. 2359 del codice civile, è prevista la possibilità di mantenimento della scadenza del contratto di servizio a condizione che la partecipazione pubblica si riduca anche progressivamente, attraverso procedure ad evidenza pubblica ovvero forme di collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali, al fine di ottenere una quota non superiore al 40% entro il 30.6.2013 e non superiore al 30% entro il 31.12.2015.

Al fine di fornire un quadro completo delle novità introdotte dall’intervento legislativo riformatore alla disciplina delle modalità di affidamento nella materia dei servizi pubblici, occorre richiamare anche brevemente le altre disposizioni contenute nell’articolo 4, fra le quali:

  • commi 14 e 15, dove viene specificato, rispettivamente, che le società cosiddette “in house” affidatarie dirette della gestione di servizi pubblici locali«sono assoggettate al patto di stabilità interno», e che, unitamente alle società miste, «applicano, per l’acquisto di beni e servizi, le disposizioni di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni»;
  • commi 17 e 18, in cui si legge, rispettivamente, che le società a partecipazione pubblica che gestiscono servizi pubblici locali «adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell’articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165», e che la verifica del rispetto del contratto di servizio nonché ogni eventuale aggiornamento e modifica dello stesso, sono sottoposti alla vigilanza dell’organo di revisione di cui agli articoli 234 ss. del D.Lgs. n. 267/2000;
  • commi da 19 a 27, con cui la manovra introduce delle disposizioni in tema di incompatibilità e divieti per quanto concerne nomine e incarichi di soggetti che operano nella società partecipate che gestiscono servizi pubblici, specificandone (al comma 27) l’applicabilità delle stesse ai rapporti che si instaureranno «successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto»;
  • comma da 28 a 31, in cui oltre a ribadire la proprietà pubblica delle reti, viene posta la disciplina dei beni strumentali in caso di subentro di un nuovo gestore, riproponendo le disposizioni dell’abrogato D.P.R. n. 168/2010 (Regolamento attuativo dell’articolo 23-bis): il precedente gestore, alla scadenza della gestione o in caso di cessazione anticipata, ha l’obbligo di cedere al gestore subentrante «i beni strumentali e le loro pertinenze necessari», salvo eventuale indennizzo nel caso in cui predetti beni non sono stati interamente ammortizzati e tenuto conto delle disposizioni vigenti nonché degli eventuali diversi accordi tra le parti stipulati prima dell’entrata in vigore del decreto;
  • comma 33, che ripropone i divieti posti per lo svolgimento dell’attività extra moenia agli affidatari diretti (fra i quali anche le società affidatarie con gara cd. “a doppio oggetto”), negli stessi termini previsti dal comma 9 dell’abrogato articolo 23-bis, ma escludendo le società quotate e le relative controllate nonché il socio privato selezionato con la predetta gara “a doppio oggetto”. Tuttavia, è ancora consentito derogare ai predetti divieti in quanto agli stessi soggetti è consentita la partecipazione alla “prima gara” successiva alla cessazione del servizio.

3. Razionalizzazione e dismissione delle società partecipate

Nell’ambito del Titolo IV (Riduzione dei costi degli apparati istituzionali) della L. n. 148/2011, di particolare interesse risulta l’articolo 16, il quale, ai commi 27 e 28, modifica il comma 32 dell’articolo 14[3] del D.L. n. 78/2010 (convertito in legge, con modificazioni, dalla L. n. 122/2010) che contempla il divieto per i Comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti di costituire società. La norma contenuta nel testo della manovra ha anticipato di un anno, al 31.12.2012, il termine entro il quale i predetti Comuni devono mettere in liquidazione le società da essi partecipate già costituite alla data del 31.5.2010 ovvero cederne le partecipazioni. Contestualmente, viene anticipato al 31.12.2012 il termine entro il quale i Comuni interessati devono compiere la verifica relativa alla situazione di bilancio delle suddette società, al fine di escluderle dalla liquidazione.

La manovra anticipa al 31.12.2012 l’obbligo, per i comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti, di  dismettere le società partecipate ovvero compiere le prescritte verifiche, ai sensi dell’art. 14 L. 122/2010.

Rimane, invece, invariata la disposizione relativa ai comuni con popolazione compresa fra i 30.000 e i 50.000 abitanti, i quali possono detenere la partecipazione in una sola società e provvedere all’eventuale liquidazione delle partecipazioni eccedenti entro il 31.12.2011.

I comuni di piccole dimensioni, stante quanto disposto al comma 32 dell’articolo 14 citato, devono porre in liquidazione le loro società partecipate oppure possono, in alternativa, definire scelte strategiche che consentano di mantenerle in essere. In particolare, gli enti possono godere di due eccezioni alla regola generale appena indicata.

La prima eccezione è determinata dalla sussistenza di condizioni di efficienza economico-finanziaria nelle società partecipate. Infatti, le disposizioni relative alla liquidazione non si applicano nel caso in cui le società già costituite:

  • al 31.12.2012 abbiano il bilancio in utile negli ultimi tre esercizi;
  • non abbiano subito nei precedenti esercizi riduzioni di capitale conseguenti a perdite di bilancio;
  • non abbiano subito nei precedenti esercizi perdite di bilancio in conseguenza delle quali l’ente sia stato gravato dell’obbligo di procedere al ripiano delle perdite stesse.

La seconda eccezione è legata a un parametro dimensionale: la prescrizione relativa alla liquidazione non si applica alle società costituite da più comuni la cui popolazione complessiva sia superiore ai 30.000 abitanti e con una partecipazione paritaria ovvero proporzionale al numero degli abitanti.

Tuttavia, pur potendo godere di tali chances, i comuni devono compiere sulle società partecipate, quali affidatari diretti, la verifica di cui all’articolo 4, comma 33 della L. 148/2011 per il mantenimento della gestione in essere.

È bene sottolineare come la manovra abbia voluto rendere particolarmente incisivo il processo di razionalizzazione e dismissione delle partecipazioni prevedendo all’uopo il comma 28 dello stesso articolo 16, secondo cui il prefetto ha il compito di accertare che gli enti locali interessati abbiano attuato entro i termini indicati le operazioni previste. È inoltre previsto che, nel caso in cui le scadenze non siano rispettate, il prefetto potrà assegnare agli enti interessati un termine perentorio entro il quale provvedere, allo spirare del quale, in caso di ulteriore inadempienza, potrà essere nominato un commissario ad acta.

4. Incentivi alle liberalizzazioni

Fra le misure introdotte dalla L. n. 148/2011 nell’ambito dei servizi pubblici locali, occorre porre in rilievo le disposizioni volte a promuovere incentivi alle privatizzazioni delle società controllate dagli enti pubblici.

In primo luogo, ci si riferisce all’articolo 3 (Abrogazione delle indebite restrizioni  all’accesso  e  all’esercizio delle professioni e delle attività economiche), che ai commi 1[4] e 4[5] precisa che l’adeguamento degli enti territoriali al principio secondo cui l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere, imposto al comma 1 dello stesso articolo, costituisce elemento di valutazione della “virtuosità” dei predetti enti ai sensi dell’articolo 20, comma 3 del D.L. n. 98/2011, convertito in legge dalla L. n. 111/2011.

La manovra incentiva la privatizzazione delle società partecipate dagli enti locali.

Un’altra misura incentivante la liberalizzazione nel settore dei servizi pubblici è contenuta nell’articolo 5 (Norme in materia di società municipalizzate), il quale destina una quota del Fondo infrastrutture, nel limite delle disponibilità di bilancio a legislazione vigente e fino a un massimo di €250.000.000 per l’anno 2013 e di €250.000.000 per l’anno 2014, a investimenti infrastrutturali effettuati dagli enti territoriali che procedono, rispettivamente, entro il 31.12.2012 ed entro il 31.12.2013, alla dismissione delle partecipazioni detenute in società che gestiscono servizi pubblici locali di rilevanza economica, diversi dal servizio idrico.

Ulteriori misure volte ad incentivare le privatizzazioni e liberalizzazioni nel comparto dei servizi pubblici locali, sono allo studio di Governo e Parlamento nell’ambito dei provvedimenti normativi a sostegno della crescita economica, di cui si prevede una prossima emanazione.


[1] La norma è stata abrogata dal D.P.R. 18.7.2011 n. 113 a seguito della consultazione referendaria del 12 e 13 giugno 2011.

[2] Si tratta di disposizioni in tema di incompatibilità e divieti per quanto concerne nomine e incarichi di soggetti che operano nella società partecipate che gestiscono servizi pubblici

[3] Art. 14, comma 32 D.L. n. 78/2010 “Fermo quanto previsto dall’art. 3, commi 27, 28 e 29, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, i comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti non possono costituire società. Entro il 31 dicembre 2012 i comuni mettono in liquidazione le società già costituite alla data di entrata in vigore del presente decreto, ovvero ne cedono le partecipazioni. Le disposizioni di cui al secondo periodo non si applicano ai comuni con popolazione fino a 30.000 abitanti nel caso in cui le società già costituite:

a)  abbiano, al 31 dicembre 2012, il bilancio in utile negli ultimi tre esercizi;

b)  non abbiano subìto, nei precedenti esercizi, riduzioni di capitale conseguenti a perdite di bilancio;

c) non abbiano subìto, nei precedenti esercizi, perdite di bilancio in conseguenza delle quali il comune sia stato gravato dell’obbligo di procedere al ripiano delle perdite medesime.

La disposizione di cui al presente comma non si applica alle società, con partecipazione paritaria ovvero con partecipazione proporzionale al numero degli abitanti, costituite da più comuni la cui popolazione complessiva superi i 30.000 abitanti; i comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti possono detenere la partecipazione di una sola società; entro il 31 dicembre 2011 i predetti comuni mettono in liquidazione le altre società già costituite”.

[4]1. Comuni, Province, Regioni e Stato, entro un anno dalla  data  di entrata in vigore della legge di conversione  del  presente  decreto, adeguano  i  rispettivi  ordinamenti   al   principio   secondo   cui l’iniziativa e  l’attività  economica  privata  sono  libere  ed  è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge  nei soli casi di:

a) vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli  obblighi internazionali;

b) contrasto con i principi fondamentali della Costituzione;

c) danno alla sicurezza,  alla  libertà,  alla  dignità  umana  e contrasto con l’utilità sociale;

d) disposizioni  indispensabili  per  la  protezione  della  salute umana,  la   conservazione   delle   specie   animali   e   vegetali, dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale;

e) disposizioni relative alle attività  di  raccolta  di  giochi pubblici  ovvero  che  comunque  comportano  effetti  sulla   finanza pubblica

[5]4. L’adeguamento di Comuni, Province e Regioni all’obbligo  di  cui al comma 1 costituisce elemento di valutazione della virtuosità  dei predetti enti ai sensi dell’articolo 20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111”.

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Questo articolo è stato scritto da...

Massimiliano Lombardo
Avv. Massimiliano Lombardo
Esperto e docente in materia di appalti pubblici
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