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Premesse

Il decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (di seguito per brevità, il “Codice Appalti”), rubricato “Motivi di esclusione”, nell’elencare all’articolo 80 i requisiti la cui carenza costituisce “motivo di esclusione”, annovera anche l’ipotesi della risoluzione di un precedente rapporto contrattuale rispetto a una procedura di gara in corso di esperimento, con riferimento alla quale gravano taluni obblighi dichiarativi sull’operatore economico concorrente.

Come si dirà nel prosieguo del presente contributo, la formulazione originaria dell’articolo 80 del Codice Appalti con riferimento a tale ipotesi di esclusione è stata nel tempo modificata per effetto sia del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 convertito dalla L. 11 febbraio 2019, n. 12 (di seguito per brevità, il “Decreto Semplificazioni”) sia del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 convertito in legge 14 giugno 2019, n. 55 (di seguito per brevità, il “Decreto Sblocca Cantieri”), in forza dei quali risultano modificati i limiti di operatività di detta fattispecie di esclusione.

Si ritiene, dunque, utile operare delle brevi riflessioni in ordine alla corretta delimitazione dell’ampiezza degli obblighi dichiarativi gravanti sui partecipanti alle procedure d’appalto, comparando l’originaria disciplina dell’articolo 80 con quella risultante in forza delle intervenute novelle legislative, come interpretata dal Giudice Amministrativo.

La formulazione originaria dell’art. 80 del Codice Appalti è stata modificata per effetto sia Decreto Semplificazioni sia del Decreto Sblocca Cantieri

L’originaria versione dell’articolo 80

La prima versione dell’articolo 80, comma 5 del Codice Appalti, alla lettera c) prevedeva un’unica macro-fattispecie in forza della quale la stazione appaltante poteva escludere un operatore economico nel caso in cui «la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. Tra questi rientrano: le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la  risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni; il tentativo di influenzare  indebitamente  il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio  vantaggio; il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione».

Il legislatore aveva dunque fornito nell’originaria formulazione dell’articolo 80 un elenco, esemplificativo e non tassativo, di vicende riconducibili al grave illecito professionale: tra queste figurava la risoluzione anticipata del contratto d’appalto o della concessione, non contestata ovvero confermata in giudizio.

Con riferimento a detta formulazione, il Giudice Amministrativo non aveva mancato di rilevare come nell’originaria versione della lettera c) del comma 5 dell’articolo 80 risultava meramente esemplificativa l’elencazione dei gravi illeciti professionali rilevanti contenuta (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 2 marzo 2018, n. 1299).

In applicazione del comma 13[1] dell’articolo 80 del Codice Appalti, l’ANAC ha poi pubblicato le Linee Guida n. 6 (recanti “Indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice”) approvate con delibera n. 1293 del 16 novembre 2016 e successivamente aggiornate al D.Lgs. 56 del 19 aprile 2017 con deliberazione n. 1008 dell’11 ottobre 2017.

Ad avviso dell’ANAC, «la stazione appaltante deve valutare, ai fini dell’eventuale esclusione del concorrente, i comportamenti gravi e significativi riscontrati nell’esecuzione di precedenti contratti, anche stipulati con altre amministrazioni, che abbiano comportato, alternativamente o cumulativamente:

a) la risoluzione anticipata non contestata in giudizio, ovvero confermata con provvedimento esecutivo all’esito di un giudizio;

b) la condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni quali l’applicazione di penali o l’escussione delle garanzie ai sensi degli artt. 103 e 104 del Codice o della previgente disciplina».

Anche in ragione di detta impostazione avanzata in ambito di prassi, le stazioni appaltanti potevano quindi escludere un concorrente in presenza di una risoluzione non contestata in giudizio ovvero confermata con un provvedimento: pertanto in caso di risoluzione in danno attuata da un committente, l’operatore economico poteva proteggersi dall’effetto immediato e diretto sulla propria capacità di partecipare alle gare formulando opposizione alla stessa in giudizio.

In ambito applicativo la portata della norma aveva tuttavia generato fra gli operatori del diritto il dubbio interpretativo se una risoluzione contrattuale contestata in un giudizio non ancora definito alla data di presentazione dell’offerta fosse suscettibile o meno di valutazione da parte della stazione appaltante, tale che l’operatore economico fosse tenuto a dichiararla o meno.

Sul punto un orientamento del Giudice Amministrativo aveva affermato che qualora la risoluzione contrattuale fosse stata ancora sub iudice, alla stazione appaltante non fosse attribuito il potere di escludere il concorrente in quanto «la pendenza del giudizio, avente ad oggetto la contestazione di una risoluzione contrattuale pronunciata nei confronti di un’impresa, non giustifica l’esclusione dalla gara della medesima impresa, stante l’assenza di una pronuncia definitiva in merito» (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 29 agosto 2018, n. 5094).

Contestualmente, si registrava un altro orientamento – che ha condotto alla modifica della norma da parte del legislatore – secondo cui «Anche in presenza di una risoluzione per inadempimento che si trovi sub iudice, infatti, alla stazione appaltante non è precluso applicare ugualmente la causa di esclusione in discussione, valorizzando la clausola normativa di chiusura sulla possibilità di dimostrare comunque «con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità» (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 24 settembre 2018, n. 5500).

La questione può ormai considerarsi definitivamente risolta in forza della normativa susseguitasi, come suffragata dell’evoluzione giurisprudenziale medio tempore registratasi, fra cui si segnala la sentenza della Corte di Giustizia del 19.6.2019 resa nella causa C-41/2018 (a seguito dell’ordinanza di rimessione del TAR Campania – Napoli, Sez. IV, 13 dicembre 2017, n. 5893) ad avviso della quale la pendenza del giudizio non costituisce una preclusione alla valutazione dell’evento risolutivo ai fini dell’eventuale (e discrezionale) esclusione dalla gara. In particolare, la Corte di Giustizia europea ha chiarito che «l’articolo 57, paragrafo 4, lettere c) e g), della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale in forza della quale la contestazione in giudizio della decisione di risolvere un contratto di appalto pubblico, assunta da un’amministrazione aggiudicatrice per via di significative carenze verificatesi nella sua esecuzione, impedisce all’amministrazione aggiudicatrice che indice una nuova gara d’appalto di effettuare una qualsiasi valutazione, nella fase della selezione degli offerenti, sull’affidabilità dell’operatore cui la suddetta risoluzione si riferisce».

Come detto, contestualmente si è registrato l’intervento del nostro legislatore nell’ambito del Decreto Semplificazioni con cui è stata interamente riscritta la lett. c) dell’articolo 80 del Codice Appalti, nel solco delle valutazioni compiute dal Giudice Amministrativo.

È stata così operata la suddivisione delle fattispecie ivi disciplinate in tre ipotesi distinte (lettere c), c-bis) e c-ter), l’ultima delle quali concernente l’ipotesi in cui l’operatore economico abbia dimostrato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili; su tali circostanze la stazione appaltante motiva anche con riferimento al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa».

La prima versione dell’art. 80, comma 5 lett. c) del Codice Appalti prevedeva un’unica macro-fattispecie in cui, in via esemplificativa e non tassativa, erano elencate talune vicende riconducibili al grave illecito professionale, tra cui la pregressa risoluzione anticipata, non contestata ovvero confermata in giudizio

La nuova formulazione dell’articolo 80

Come anticipato, il nuovo testo dell’art. 80, comma 5 lett. c) del Codice Appalti, nella sostituzione operata con il Decreto Semplificazioni, non contempla più quale specifica ipotesi di grave illecito professionale (tale da rendere dubbia l’integrità o l’affidabilità dei concorrenti alle gare d’appalto) la pregressa risoluzione anticipata di un precedente contratto determinata da significative carenze nell’esecuzione che abbiano potuto determinare, in alternativa, anche una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni.

In particolare, nella nuova formulazione dell’articolo 80 è stato rimosso dalla lettera c) il capoverso che elencava a titolo esemplificativo e non tassativo i casi nei quali, ad avviso del legislatore, si configurava un grave illecito professionale.

Contestualmente sono state inserite due cause di esclusione ciascuna con carattere autonomo che riproducono quanto contenuto nell’elenco in precedenza riportato alla lett. c), con delle eccezioni e novità rispetto alla precedente formulazione.

Soffermandoci sulla fattispecie di cui alla nuova lett. c-ter) dell’art. 80 comma 5, la norma appare strutturata secondo un nesso eziologico tra le carenze nell’esecuzione del precedente contratto «che hanno causato» specifici effetti ovvero «la risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili».

Rileva ancora come detta norma – rispetto alla precedente formulazione – dia oggi rilievo non soltanto alle carenze “significative”, ma anche a quelle “persistenti”.

È stato inoltre introdotto l’obbligo a carico della stazione appaltante di motivazione dell’eventuale provvedimento di esclusione, tenendo in specifica considerazione il tempo trascorso dalla violazione. Detta motivazione dovrebbe infatti riguardare la gravità della fattispecie, la connessione tra la condotta valutata e l’oggetto del contratto da affidare nonché il tempo trascorso dalla precedente violazione ai fini della rilevanza.

Nella nuova formulazione dell’art. 80 del Codice Appalti l’originaria macro-fattispecie è stata suddivisa in tre ipotesi distinte (lettere c), c-bis) e c-ter), l’ultima delle quali concernente l’ipotesi della pregressa risoluzione anticipata

Il legislatore del Decreto Semplificazioni ha poi eliminato l’inciso «non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio»riferito alla risoluzione anticipata di un precedente contratto: ai fini della partecipazione alla gara rileverebbe, infatti, la mera risoluzione per inadempimento del contratto la quale deve essere dichiarata anche se pende un giudizio di primo grado per accertarne il fondamento.

A riguardo, non essendo più prevista la possibile contestazione in giudizio da parte dell’operatore quale esimente, sembrerebbe che, ai fini dell’esclusione, rilevi la sola risoluzione per inadempimento del precedente appalto: sembrerebbe sufficiente il mero fatto storico di una precedente risoluzione per inadempimento per comminare l’esclusione, a prescindere dal fatto che l’operatore l’abbia sottoposta al vaglio del giudice per accertarne l’illegittimità.

È stato infatti osservato che «a seguito dell’introduzione della lett. c-ter) nel corpo dell’art. 80, comma 5, cit., sono previste, quale distinta fattispecie di esclusione, le gravi carenze esecutive che abbiano causato la risoluzione per inadempimento di un precedente contratto di appalto, senza richiedere la definitività della stessa, cioè la non contestazione della risoluzione da parte dell’appaltatore, ovvero la sua conferma giudiziale, com’era nel testo originario dell’art. 80, comma 5, lett. c), del Codice: il che, tuttavia, non significa che la stazione appaltante sia esonerata dal dover manifestare con un atto formale la propria determinazione di risoluzione del contratto nei confronti dell’appaltatore, al fine di dare conto in via definitiva delle carenze esecutive riscontrate» (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 21 luglio 2020, n. 4668).

Come ancora evidenziato anche dal Giudice Amministrativo, «l’espunzione dal testo dall’art. 80, co. 5, lett. c) d.lgs. n. 50/2016 di pregressa risoluzione contrattuale o di condanna al risarcimento o ad altre sanzioni, determinate da “significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione”, contemplata dall’originaria versione del codice, fa tabula rasa di ogni questione, che è stata oggetto anche di elegante disputa tra le opposte difese, concernente la pregressa risoluzione, togliendo così rilievo alla necessità che essa, per non poter essere addotta dall’amministrazione debba essere stata impugnata dal concorrente» (cfr. TAR Lazio, Sez. III, 12 giugno 2020, n. 6498).

Appare, quindi, chiara la volontà del legislatore di superare il dubbio interpretativo circa la rilevanza o meno, quale “esimente”, della pendenza di un contenzioso circa la risoluzione contrattuale.

Pertanto, ai fini dichiarativi nell’ambito di una procedura di gara, deve ritenersi che la mancata dichiarazione di una pregressa risoluzione, anche se impugnata dal concorrente, giustificherebbe l’esclusione di un concorrente.

Fermo restando quanto sopra, con riferimento agli effetti derivanti da una risoluzione per carenze nell’esecuzione del precedente contratto e come tali oggetto di obblighi dichiarativi nell’ambito di una procedura di gara, la giurisprudenza si è interrogata sulla necessità di portare a conoscenza della stazione appaltante una transazione stipulata a seguito della risoluzione contrattuale disposta dalla stazione appaltante per grave inadempimento dell’appaltatore. Ciò in quanto, la transazione impedisce l’accertamento giudiziale circa la legittimità o meno della risoluzione stessa, ma determina definitivamente il consolidamento del fatto storico costituito dalla risoluzione per inadempimento disposta dalla stazione appaltante, che richiede, ai sensi dell’art. 1455 c.c., l’importanza e quindi la gravità dell’inadempimento. Ad avviso della giurisprudenza, tale circostanza «integra comunque il presupposto di cui all’art. 80, comma 5 lett. C ter, del d.lgs. n. 50/2016. Pertanto doveva essere dichiarata compiutamente in sede di partecipazione e valutata dalla commissione di gara la duplice risoluzione del contratto per reiterate inadempienze ascritte alla controinteressata, non potendo il concorrente dichiarante omettere di rendere in modo esauriente la dichiarazione facendo riferimento ad una propria valutazione di non gravità della vicenda (Cons. Stato, III, 13 giugno 2018, n. 3628; idem, V, 5.3.2020, n. 1605; TAR Campania, Napoli, IV, 17.6.2019, n. 3342)» (cfr. Tar Toscana, Sez. III, 29 giugno 2020, n. 819).

Nella nuova formulazione dell’art. 80, comma 5 lett. c-ter) del Codice Appalti appare chiara la volontà del legislatore di superare il dubbio interpretativo circa la rilevanza o meno, quale “esimente”, della pendenza di un contenzioso circa la risoluzione contrattuale

La rilevanza temporale ai fini dichiarativi

Ai fini applicativi della norma di cui all’articolo 80, comma 5 lett. c-ter) del Codice Appalti, la stessa deve essere interpretata in connessione con il successivo comma 10-bis del medesimo articolo 80, introdotto dal Decreto Sblocca Cantieri.

Ai sensi del richiamato comma 10-bis testualmente «… Nei casi di cui al comma 5, la durata della esclusione è pari a tre anni, decorrenti dalla data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione ovvero, in caso di contestazione in giudizio, dalla data di passaggio in giudicato della sentenza. Nel tempo occorrente alla definizione del giudizio, la stazione appaltante deve tenere conto di tale fatto ai fini della propria valutazione circa la sussistenza del presupposto per escludere dalla partecipazione alla procedura l’operatore economico che l’abbia commesso.»

È dunque indicato in tre anni il periodo entro cui una pregressa vicenda professionale negativa può comportare l’esclusione di un operatore economico dalle procedure di gara.

Ne deriva che la risoluzione per inadempimento di un precedente contratto d’appalto può fondare una valutazione di inaffidabilità e non integrità dell’operatore per un periodo che non superi il triennio, assumendo rilevanza, ai fini della decorrenza di detto periodo, la data di adozione della determinazione amministrativa di risoluzione unilaterale (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 29 ottobre 2020 n. 6635; Consiglio di Stato, Sez. V, 5 marzo 2020, n. 1605).

In ambito giurisprudenziale è stato anche rilevato come la risoluzione contrattuale anteriore al triennio, benchè non possa assumere rilievo a fini escludenti, non possa neanche formare oggetto di obbligo dichiarativo assistito da sanzione (potenzialmente) espulsiva. In caso contrario si giungerebbe altrimenti al paradosso di poter escludere il concorrente che non abbia comunicato una circostanza di per sè inidonea a determinarne l’esclusione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 7 dicembre 2020 n. 7730).

A riguardo, infatti, il Consiglio di Stato, considerata la portata dell’art. 80, comma 5, lettera c-bis) del Codice Appalti[2], ha rilevato che «le informazioni omesse devono essere quelle «dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione» (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 6 luglio 2020, n. 4314). A riguardo, rileva anche la pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 28 agosto 2020, n. 16 la quale ha posto in rilievo che l’elemento caratterizzante le dichiarazioni false o fuorvianti di cui all’art. 80, comma 5 lett. c-bis) del Codice Appalti è costituito dalla idoneità a «influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione» della stazione appaltante. Ai fini dell’esclusione non è dunque sufficiente che l’informazione sia falsa ma anche che la stessa sia diretta ed in grado di sviare l’amministrazione nell’adozione dei provvedimenti concernenti la procedura di gara.

Convenendo con la giurisprudenza che ha posto in risalto la insussistenza dell’omissione dichiarativa relativa a vicende anteriori al triennio, con conseguente impossibilità di rilevare l’inadempimento a un obbligo che, altrimenti, sarebbe eccessivamente oneroso per l’operatore economico e non apporterebbe significativi elementi di conoscenza alla stazione appaltante, trattandosi di vicende professionali datate o, comunque, ormai insignificanti (Cons. Stato, V, 12 marzo 2020, n. 1774; nello stesso senso, Id., 5 marzo 2020, n. 1605; 24 giugno 2020, n. 4044; IV, n. 4937 del 2020), il Consiglio di Stato ha poi «escluso, in termini generali, che la mancata comunicazione di una risoluzione anteriore al triennio possa assumere rilievo di per sé a fini espulsivi: le omissioni comunicative rilevanti non possono infatti riguardare altro che «informazioni […] suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione, ovvero […] informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura» (art. 80, comma 5, lett. c-bis), d.lgs. n. 50 del 2016), e nella specie la risoluzione anteriore al triennio forma già oggetto di una valutazione legale tipica d’irrilevanza a fini escludenti. Di qui l’assenza di spazi per poter riconoscere un qualche apprezzabile valore, oltreché alla risoluzione anteriore al triennio in sé, anche alla sua mancata comunicazione in fase partecipativa» (cfr. cit. Consiglio di Stato, Sez. III, 7 dicembre 2020, n. 7730).

Pertanto, in conformità ai più recenti indirizzi giurisprudenziali deve ritenersi che la mancata dichiarazione di una risoluzione anteriore al triennio giammai possa giustificare l’esclusione di un concorrente.

La medesima giurisprudenza si è poi interrogata al fine di chiarire quali siano gli estremi temporali rilevanti ai fini della delimitazione del triennio: considerato che quest’ultimo ai sensi del comma 10-bis decorre dalla data di adozione del provvedimento amministrativo di risoluzione, occorre definire se il momento che assume valore ai fini della verifica dello spirarsi del periodo triennale coincida con la pubblicazione del bando di gara ovvero con il termine per la presentazione delle offerte (od eventualmente, ancora, con la data di effettiva presentazione dell’offerta del singolo concorrente).

Sul punto è stato osservato che «Il riferimento ai precedenti di giurisprudenza che richiamano all’uopo la data di pubblicazione del bando … non appare dirimente, atteso che l’affermazione si presenta in tali precedenti quale mero obiter dictum non specificamente rilevante ai fini della soluzione del caso.

Per dare risposta al quesito occorre premettere che la dichiarazione circa l’assenza di atti di risoluzione rilevanti a fini escludenti afferisce al possesso di uno dei requisiti generali di gara… Trattandosi di un requisito, non può dunque che farsi riferimento al relativo regime, generale e speciale di gara. Al riguardo la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, ricordata l’opinione di chi distingue “tra requisiti (di partecipazione) oggettivi e requisiti (di partecipazione) soggettivi” ritenendo che “per i primi (come, ad es., il possesso del fatturato in servizi analoghi) è corretto ritenere che il periodo del possesso decorra a ritroso da una data fissa, valevole per tutti, così da garantire l’assoluta parità di trattamento, per i secondi (e in generale per tutti i requisiti il cui possesso non debba essere dimostrato con riferimento ad un determinato periodo continuativo, come, appunto, la mancanza di cause ostative alla partecipazione alla procedura) è possibile la verifica del loro possesso in momenti diversi per ciascun operatore coincidenti con la data di presentazione della domanda di partecipazione, poiché ciò non crea alcuna disparità di trattamento tra i diversi operatori”, ha posto in risalto che in ogni caso, “a prescindere dalla distinzione tra requisiti di carattere oggettivo e soggettivo” […] ogni […] requisito di partecipazione alla procedura, deve essere posseduto al momento di presentazione della domanda di partecipazione alla procedura e, quindi, in ultimo, al momento di scadenza del termine per la presentazione delle domande” (Cons. Stato, V, 3 settembre 2018, n. 5142). … Alla luce di ciò, deve concludersi che ai fini del possesso del requisito relativo all’assenza di precedenti risoluzioni per inadempimento occorre guardare al momento di scadenza del termine per la presentazione delle offerte, essendo necessario che a quel tempo non risultino a carico del concorrente atti di risoluzione ricadenti nel precedente arco triennale».

Ai sensi del nuovo comma 10-bis dell’art. 80 del Codice Appalti deve ritenersi che la mancata dichiarazione di una risoluzione anteriore al triennio non può giustificare l’esclusione di un concorrente

Conclusioni

Alla luce delle argomentazioni sin qui rassegnate, dopo l’entrata in vigore del Decreto Semplificazioni si registra un incremento dei confini della discrezionalità dell’Amministrazione con titolarità a disporre l’esclusione del concorrente in presenza di significative carenze nell’esecuzione di un precedente appalto come individuate in un provvedimento di risoluzione, a prescindere dalla circostanza che la legittimità di detto provvedimento sia sub judice.

Detta circostanza determina l’inevitabile effetto di un potenziale danno a carico dei concorrenti in attesa della definizione dei giudizi pendenti circa l’illegittimità di provvedimenti di risoluzione di precedenti appalti. A riguardo, benchè sia stato posto un bilanciamento prevedendo l’onere motivazionale a carico della stazione appaltante, è opportuno evidenziare come l’istruttoria (non sempre agevole) volta all’accertamento della fondatezza dell’esclusione da disporre, viene eseguita sul provvedimento di risoluzione del contratto con riferimento al quale potrebbe essere pendente il relativo giudizio all’esito del quale il giudice potrebbe successivamente dichiararne l’illegittimità. A ciò si aggiunga che, considerato che detta motivazione dovrebbe riguardare la gravità della fattispecie, la connessione tra la condotta valutata e l’oggetto del contratto da affidare nonché il tempo trascorso dalla precedente violazione ai fini della rilevanza, l’accertamento di detti elementi non risulta compito facile per l’Amministrazione, che non potrebbe limitarsi a riferire circa l’esistenza di un mero fatto storico (segnalazione di inadempimento).

In sede di dichiarazione della risoluzione intervenuta nel triennio di riferimento, si ritiene comunque opportuno valorizzare la pendenza del giudizio civile con il quale si contesta la risoluzione contrattuale, così da fornire un quadro quanto più dettagliato ai fini del giudizio di affidabilità da parte della stazione appaltante.


[1] Il comma 13 dell’articolo 80 – ancora oggi – prevede che «13. Con linee guida l’ANAC, da adottarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente codice, può precisare, al fine di garantire omogeneità di prassi da parte delle stazioni appaltanti, quali mezzi di prova considerare adeguati per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui al comma 5, lettera c), ovvero quali carenze nell’esecuzione di un procedente contratto di appalto siano significative ai fini del medesimo comma 5, lettera c)».

[2] Ai sensi della quale la stazione appaltante può disporre l’esclusione nel caso in cui «c-bis) l’operatore economico abbia tentato di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate a fini di proprio vantaggio oppure abbia fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione, ovvero abbia omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione».

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Avv. Paola Cartolano
Esperta in materia di appalti pubblici
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