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( votes)Il D.Lgs. n. 50/2016 si è occupato anche della disciplina di una peculiare tipologia di lavori pubblici: le opere di urbanizzazione.
Prima di esso, anche il “vecchio” codice dei contratti pubblici (il D.lgs. n. 163/2006) aveva normato la materia, con un alternarsi di previsioni che si erano snodate nel tempo, seguendo le indicazioni della giurisprudenza comunitaria.
Il motivo di tale interesse del legislatore sta, probabilmente, nel fatto che le opere di urbanizzazione sono l’indicatore e lo strumento del contestuale sviluppo dell’edilizia.
Per altro verso, esse sono la cartina di tornasole delle semplificazioni in materia amministrativa e contrattuale – pubblica che dovrebbero sciogliere quei nodi burocratici che impedirebbero lo sviluppo dell’intero settore edilizio nel nostro Paese, sia con riferimento ai lavori pubblici, sia con riguardo all’edilizia privata.
Non a caso, infatti, l’ultimo rilevante intervento sulla materia è stato effettuato dal legislatore con il c.d. “Decreto Salva Italia” (poi convertito con la L. n. 214/2011), di chiaro stampo evolutivo a favore del settore edilizio; più in generale, comunque, la disciplina della materia si è stratificata nel tempo con interventi che hanno coinciso con le fasi storico-economiche di maggior evoluzione del settore edilizio ed infrastrutturale.
Tutto ciò, però, non aiuta ancora a spiegare perché una materia così strettamente connessa con il settore edilizio e urbanistico sia disciplinata alla stregua di un appalto di lavori pubblici (sebbene con alcune peculiarità). Per converso, non spiega nemmeno come mai nel “corpus” del DPR n. 380/2001 vi sia una norma come l’art. 16, comma 2 (e anche il comma 2 bis) che sono disarmoniche in un contesto “urbanistico” e, invece, sarebbero forse più a loro agio nel Codice dei contratti pubblici.
Una spiegazione di tale “intreccio” di competenze, si può rinvenire ripercorrendo la “storia” della disciplina giuridica di tali opere, ove sono riconoscibili taluni elementi che possono essere utili a comprendere l’attuale quadro giuridico di riferimento e, forse, ad affrontare i problemi lasciati insoluti dal legislatore.
La spiegazione va rintracciata in due nodali concetti che caratterizzano la natura di queste opere.
Il primo è che si tratta di “opere pubbliche”, il secondo è che si tratta di “opere a scomputo” di oneri dovuti all’Amministrazione a fronte del consenso all’edificazione.
Quest’ultima caratteristica è stata valorizzata dall’art. 20 d.lgs. n. 50/2016, ove è stato previsto che le opere pubbliche realizzate “interamente a spese e a cura del privato, con proprie risorse”, non sono assoggettabili alla disciplina dei contratti pubblici.
1. Le opere di urbanizzazione come “opere pubbliche a scomputo degli oneri di urbanizzazione”
La natura pubblicistica delle opere di urbanizzazione è innata nella loro funzione di “collegare” il manufatto edilizio cui accedono, con il tessuto urbanistico che le circonda.
Tale è lo spirito con cui, nella Legge Fondamentale Urbanistica (L. n. 1150/1942), l’art. 28, comma 5 prescriveva che “l’autorizzazione comunale è subordinata alla stipula di una convenzione, da trascriversi a cura del proprietario, che preveda: … l’assunzione, a carico del proprietario, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria relative alla lottizzazione o di quelle opere che siano necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi; …”.
Successivamente, con l’art. 4 L. n. 847/1964, sono state suddivise nelle categorie “primarie” e “secondarie”, dove l’aggettivo indica la maggiore o minore “prossimità” dell’opera al manufatto cui accede e la correlazione più o meno stretta con la funzionalità del manufatto stesso.
Tale suddivisione è rimasta nel tempo, sino alla definitiva positivizzazione ad opera dell’art. 16 DPR n. 380/2001, che tutt’oggi identifica il numero e la tipologia delle opere di urbanizzazione, il cui elenco tassativo si arricchisce nel tempo, soprattutto con riferimento alle nuove tecnologie a rete, per effetto di micro-interventi del legislatore.
Ma è con l’avvento della c.d. “Legge Bucalossi” che le opere di urbanizzazione diventano “scomputabili” e, quindi, a tutti gli effetti una “controprestazione di natura economica” da parte dell’Amministrazione nei confronti del costruttore.
L’art. 11 della L. n. 10/1977, infatti, consentiva al costruttore di realizzare le opere di urbanizzazione “scomputandone” l’importo da quanto dovuto all’Amministrazione a titolo – appunto – di “oneri di urbanizzazione” (introdotti con la stessa legge).
“scomputare” gli oneri, non significa automaticamente “eseguire le opere a scomputo”, ma – complice forse la circostanza che tali opere sono sempre state ritenute “accessori” del manufatto edilizio (soprattutto le opere di urbanizzazione “primarie”) – esse venivano realizzate unitamente al manufatto, in esecuzione di convenzioni urbanistiche e garantite da apposita fidejussione.
Successivamente al loro completamento, le opere venivano collaudate dal Comune di riferimento e prese in carico dallo stesso, oppure affidate alla gestione di un consorzio di proprietari delle aree servite da tali opere.
Nella prassi, quindi, si è assistito a realizzazioni “virtuose” di interi piani di zona e nuovi quartieri; parallelamente, si sono anche verificati casi di zone mancanti di opere di urbanizzazione (soprattutto secondaria), oppure munite di opere incomplete o fatiscenti.
Tali esempi hanno suscitato numerosi dibattiti che si sono svolti per lo più su tematiche di natura urbanistica, sulla quantificazione delle opere e sulla loro necessaria funzione di collegamento con la città.
In questo lungo periodo, caratterizzato da uno sviluppo urbanistico intensivo, rimanevano in sottofondo le questioni inerenti gli aspetti più strettamente attinenti le tematiche di natura contrattuale pubblica, tanto che in giurisprudenza si è autorevolmente dibattuto se le questioni inerenti l’adempimento di convenzioni urbanistiche fosse oggetto di disamina da parte del Giudice ordinario (come per i contratti), oppure del Giudice Amministrativo (valorizzando la natura della convenzione come “atto” amministrativo).
In questo periodo, inoltre, sulla scia di molteplici convenzioni inadempiute, si sviluppano temi che torneranno amplificati in auge, allorquando le opere di urbanizzazione saranno a tutti gli effetti regolamentate sulla base di disposizioni dedicate alla contrattualistica pubblica (e non più soltanto di natura urbanistica), cioè quando esse saranno viste effettivamente come un “corrispettivo”.
Innanzitutto il tema principale è quello della corretta valorizzazione delle opere; soprattutto per quelle “a rete” e per le opere di urbanizzazione di interi piani di zona, infatti, la realizzazione diretta da parte del costruttore del manufatto edilizio imponeva anche procedure e “costi extra opere” (ovvero, ancillari ad esse), quali i costi delle procedure espropriative e quelli della manutenzione sino al collaudo.
L’altro tema è inerente alla natura dell’obbligazione assunta in proprio dal costruttore del manufatto edilizio, qualora esso assumeva anche l’onere di realizzare le opere di urbanizzazione di pertinenza del manufatto stesso; in merito, trattandosi di accordo volto a realizzare un’opera – indispensabile alla agibilità e fruibilità del complesso edilizio – in luogo del pagamento di una somma, la giurisprudenza ha riconosciuto la configurazione di una “obbligazione ambulatoria di natura reale” (cioè, l’obbligo di realizzare le opere in luogo del pagamento degli oneri di urbanizzazione, gravava su tutti coloro che divenivano, nel tempo, proprietari dell’immobile), ma con il grave limite di essere una obbligazione “di valuta” e non “di valore”, quindi garantita da una fidejussione che il più delle volte si rivelava, nel tempo, inadeguata a sostenere i costi di esecuzione di tutte le opere programmate.
E così, prima in vigenza della c.d. “Legge Ponte” (L. n. 765/1967) e poi in vigenza della “legge Merloni” (L. n.109/1994) le opere di urbanizzazione vengono eseguite direttamente dai costruttori a scomputo degli oneri di urbanizzazione, quasi “dimenticando” che tali opere sono a tutti gli effetti “opere pubbliche” e che tali opere sostituivano “per equivalente” le somme dovute all’Amministrazione per effetto della Legge Bucalossi.
Questo ritmo tranquillo è stato bruscamente interrotto dalla sentenza della Corte di Giustizia UE 21/7/2001 nella causa C-399/98, caso “Bicocca” che, per prima, ha sottolineato (o ricordato) che le opere di urbanizzazione erano ad ogni effetto pubbliche e, pertanto, andavano trattate alla stregua di ogni altro “appalto di lavori pubblici” (e ciò, indipendentemente che esse fossero primarie, secondarie o extra standard”, cioè in misura eccedente quella prevista dalle norme urbanistiche vigenti in ciascun Comune), applicando le norme origine comunitaria in materia.
Perciò “a questo proposito, come rilevato dal giudice di rinvio, le opere di urbanizzazione menzionate all’art. 4 della legge n. 847/1964 possono ben costituire opere pubbliche in senso stretto, da un lato, a motivo della loro idoneità funzionale a soddisfare le esigenze di urbanizzazione non limitate al semplice insediamento individuale e, dall’altro, a motivo del fatto che l’Amministrazione competente ha il pieno controllo di tali opere, in forza di un titolo giuridico che ne assicura alla stessa la disponibilità al fine di garantirne la fruizione collettiva da parte di tutti gli utenti della zona. 68. Tali elementi sono importanti in quanto confermano la destinazione pubblica impressa, sin dall’origine, alle opere da realizzare. … D’altro canto, il principio di primazia del diritto comunitario comporta l’immediata operatività della prescrizione comunitaria e la conseguente disapplicazione delle disposizioni interne eventualmente contrastanti, a prescindere dalle modifiche de iure condendo della legislazione nazionale”.
2. La sentenza “Bicocca” ed il panorama normativo nazionale
L’effetto della sentenza fu dirompente, vieppiù perché essa sopraggiungeva in un contesto economico caratterizzato dai primi segnali di ridimensionamento del settore edilizio e si inseriva in un ambito giuridico contrassegnato dal passaggio tra la legislazione nazionale, che si andava affacciando lentamente verso il panorama comunitario e esigenze di sistematizzazione delle norme sui lavori pubblici, che avrebbero trovato la massima espressione nell’emanazione del Codice De Lise (il D.Lgs. n. 163/2006).
E così, il legislatore nazionale pensa di adeguarsi alle esigenze comunitarie, modificando l’art. 2 L. n. 109/1994 ricomprendendo fra lavori pubblici anche le opere di urbanizzazione a scomputo (primarie e secondarie, indifferentemente), ma solo se l’importo di tali opere eccede la soglia comunitaria (5 milioni di ECU).
Vengono, così, lasciate fuori dall’applicazione delle procedure di evidenza pubblica la maggior parte delle opere di urbanizzazione dedicate ad interventi di minore entità. Ciò anche con la complicità dell’interpretazione contenuta nella circolare del Ministero delle Infrastrutture n. 462/2001, con la quale si sottolinea che la base di calcolo per la valutazione dell’importo delle opere di urbanizzazione rilevante ai fini dell’assoggettamento alle norme sull’evidenza pubblica è dato da ciascuna opera, computata singolarmente.
In altre parole, la normativa sui contratti pubblici veniva applicata soltanto nei casi – certo, infrequenti – in cui l’importo di ciascuna singola opera superava la soglia comunitaria.
Successivamente, questo atteggiamento del legislatore si è formalmente “ammorbidito” con l’emanazione della circolare del Ministero delle Infrastrutture n. 8756/2002, con la quale – pur confermando l’interpretazione precedente – affermava che anche per gli affidamenti “sotto soglia” occorreva rispettare (ma non dicendo in che modo) i principi comunitari di non discriminazione e di apertura alla concorrenza.
La ragione di tale ritrosia del legislatore ad applicare i principi dell’evidenza pubblica può essere ricondotta a diverse motivazioni.
Innanzitutto, l’”impopolarità” dell’obbligo di assoggettamento alle gare pubbliche delle opere di urbanizzazione va’ ricercata nella difficoltà delle Amministrazioni di organizzarsi per bandire le gare.
Con ciò, non si intende soltanto riferirsi alla strutturazione delle singole gare, ma anche all’espletamento delle procedure – come quelle espropriative – preordinate a consentire a soggetti terzi (quali gli appaltatori delle opere di urbanizzazione, estranei alle esigenze del costruttore dei manufatti edilizi cui le opere accedevano) di realizzare tempestivamente le opere pubbliche.
Sull’altro fronte va considerata la duplice esigenza dei costruttori dei manufatti edilizi cui le opere di urbanizzazione accedono: da un lato essi vedono dilatarsi i tempi di vendita, in conseguenza della necessità di aspettare che l’appaltatore – terzo finisca di realizzare le opere di urbanizzazione – almeno quelle più strettamente funzionali – ; dall’altra parte, l’erosione dei loro profitti, che – in una economia di scala – venivano incrementati attraverso la realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione.
La risposta più immediata a tale contrapposizione di interessi fu trovata nell’emanazione del DPR n. 380/2001 (c.d. “Testo Unico per l’Edilizia”) dove, all’art. 16, comma 2, si disponeva che le opere di urbanizzazione primaria c.d.”funzionali”, di importo inferire alla soglia comunitaria potevano essere realizzate direttamente dal costruttore.
In tale contesto, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 129/2006 precede di circa un mese l’emanazione del Codice De Lise, aprendo definitivamente ad una interpretazione “pro-Europa”, in pratica censurando la chiusura dimostrata sino ad allora dal legislatore nazionale rispetto alle esigenze di armonizzazione normativa in chiave comunitaria.
L’intervento della Consulta, rivela il lento emergere di una corrente interpretativa che si era formata nel corso degli anni e che si era confrontata con la linea interpretativa maggioritaria a livello nazionale, consapevole delle azioni intraprese dalla Commissione UE nei confronti della chiusura dell’Italia ai principi del Trattato.
La commissione UE, infatti, aveva avviato una procedura di infrazione che era culminata nella causa C-412/04 (“Commissione contro Stato italiano”), censurando in particolare la prassi (e l’art. 2, comma 5 L. n. 109/1994) che consentiva di “sottrarre” all’applicazione dei principi comunitari la maggior parte delle opere di urbanizzazione, ricorrendo al semplice “frazionamento” delle stesse, onde mantenere il valore “sotto soglia”. Tale procedura si concluderà con la sentenza della Corte di Giustizia UE 21/2/2008, che, però, giunge in un momento storico in cui il vecchio Codice (il D.Lgs. n. 163/2006) aveva già disciplinato la materia.
Al contempo, si delinea una interpretazione giurisprudenziale anche in relazione alla “onerosità” delle opere di urbanizzazione: ciò per distinguere – nella prassi – cosa si intendesse per “opere realizzate a scomputo di determinate utilità”.
La Corte costituzionale, con le sentenze 28 marzo 2006, n. 129 e 13 luglio 2007, n. 269, ha puntualizzato il requisito dell’ “onerosità”, che segna il confine fra “opere pubbliche”, soggette all’applicazione del Codice appalti ed “opere private di interesse pubblico”, che possono essere affidate senza le formalità del Codice appalti.
Le pronunce della Consulta rimarcano che solo l’esecuzione delle opere di urbanizzazione “a scomputo” è soggetta all’obbligo della gara pubblica; in questo caso, infatti, lo “scomputo” degli oneri di urbanizzazione costituisce il “corrispettivo” per la realizzazione delle opere (mentre nel caso in cui non si faccia ricorso allo “scomputo” non sussiste alcun obbligo di affidamento secondo le procedure pubblicistiche). Ma quid juris, nel caso in cui il “corrispettivo” sia costituito, ad esempio, da premi di cubatura (comunque valorizzabili), o opere soggette a sfruttamento economico in concessione?
In tali casi, la Corte Costituzionale, afferma che ricade nella disciplina comunitaria in materia di procedure ad evidenza pubblica anche l’ipotesi in cui la pubblica Amministrazione riconosca al privato, in cambio della realizzazione delle opere, il diritto di gestirle. … In sostanza, il criterio discriminante per applicare la procedura ad evidenza pubblica va ricercato nel requisito di onerosità (vds. Cons. St., Sez. V, 14 gennaio 2003, n. 86). Pertanto, l’obbligo assunto dal lottizzante di eseguire l’opera in cambio del corrispondente diritto a scomputarne il costo fa sì che l’accordo sostanzi un contratto a titolo oneroso, con obbligazioni a carico di entrambi i contraenti. Al privato viene, quindi, riconosciuto un giusto ristoro, volto a compensare i costi sopportati per l’esecuzione delle opere. Tale “premio” si identifica nell’affidamento diretto della gestione del pubblico servizio che, altrimenti, sarebbe subordinata all’espletamento di una procedura di gara.
Il principio enunciato dalla Consulta è stato rafforzato dalla Determinazione dell’AVCP n. 4/2008 con la quale l’Autorità ha esaminato il tema dell’affidamento di lavori pubblici previsti nell’ambito di convenzioni urbanistiche.
Secondo l’Autorità, la realizzazione delle opere pubbliche nell’ambito di accordi convenzionali stipulati per la disciplina dei piani di riqualificazione urbana (Legge 4 dicembre 1993 n. 493) e dei piani integrati di intervento (Legge 17 febbraio 1992 n. 179) è soggetta alla disciplina del Codice dei Contratti pubblici. Infatti, tali accordi vengono fatti rientrare nella più ampia categoria dei c.d. programmi complessi, i quali si caratterizzano per uno “scambio di prestazioni” .. che trovano forma nelle convenzioni urbanistiche ed, in particolare, nelle convenzioni di lottizzazione ex art. 28 L. n. 1150/1942, un tipico esempio di “Amministrazione negoziata”. … Anche in tali convenzioni sussistono tutti gli elementi, individuati dalla Corte di Giustizia, per far ricadere nella nozione di appalto pubblico di lavori la realizzazione delle opere di urbanizzazione a scomputo. Tale disciplina viene, così, estesa a quelle forme di “urbanistica negoziata” che non contemplano il diritto del privato allo scomputo.
Anche in questo caso, quindi, il criterio discriminante per applicare la procedura ad evidenza pubblica è quello della “onerosità” della prestazione, che sussiste, non solo quando venga richiesta una corresponsione in denaro, ma anche quando vi sia uno “scambio di prestazioni” nel quale, da una parte, il privato realizza opere di adeguamento infrastrutturale e di trasformazione del territorio e, dall’altra, la pubblica Amministrazione riconosce, ad esempio, maggiori volumetrie rispetto a quelle garantite dallo strumento urbanistico generale o operativo. Poiché si tratta di prestazioni suscettibili di valutazione economica, il sinallagma determina l’esigenza di sottoporre al mercato la realizzazione dell’opera urbanistica che, poi, andrà trasferita alla p.a. ..
Questo insegnamento torna di attualità con l’emanazione del vigente Codice dei contratti pubblici (il D.Lgs.n. 50/2016), laddove, all’art. 20, il legislatore non offre criteri interpretativi inequivoci che consentano di definire cosa si intenda con l’espressione “opere private di interesse pubblico e – da parte sua – l’ANAC con la Delibera n. 763/2016 sembra restringere ulteriormente lo spazio interpretativo (che si esaminerà in chiusura della presente relazione).
3. Il Codice De Lise
Nel maggio 2006, con l’emanazione del vecchio Codice, la materia veniva regolamentata dall’art. 32, comma 1, lett. g) che, nella versione originaria, prevedeva che le opere di urbanizzazione venissero realizzate mediante procedura ad evidenza pubblica (senza distinguere fra opere di urbanizzazione primaria e secondaria), ivi incluse quelle extra standard comunque previste dalla convenzione di lottizzazione di cui alla L. n. 1150/1942.
Il titolare dell’intervento edificatorio, su delega del Comune aveva il compito di indire le gare, ma il Comune stesso – nel rilasciare il titolo edificatorio – poteva anche consentire che il titolare dell’intervento edilizio realizzasse direttamente tali opere, in qualità di promotore.
In altri termini, per l’affidamento delle opere di urbanizzazione di importo superire a 5 milioni di ECU, si applicava la procedura della finanza di progetto, con diritto di prelazione per il proponente stesso dell’intervento edilizio. In tal modo, si rispettavano le esigenze dettate dai principi comunitari.
Per le opere di urbanizzazione primaria importo inferiore alla soglia comunitaria, invece, continuava ad applicarsi la disciplina dettata dall’art. 16, comma 2 del Testo Unico per l’Edilizia; tale norma, infatti, “uscendo” dal contesto meramente edilizio del Testo Unico, si spingeva a regolamentare la disciplina dell’affidamento di tali opere, con il lodevole obiettivo di salvaguardare tempi e costi certi della realizzazione delle stesse, almeno limitatamente alle opere di urbanizzazione primaria.
Con il c.d. “secondo correttivo” (il D.Lgs. n. 113/2007) del vecchio Codice dei contratti pubblici, tal assetto viene nuovamente modificato, essendosi venute a creare anche molte “zone d’ombra”, in vigenza della precedente disciplina.
Oltre a quelle già sopra indicate, relative all’incremento dei costi per effetto delle espropriazioni e dell’incremento dell’inflazione, nel corso del tempo necessario al completamento delle opere stesse, si aggiungono problematiche di natura operativa quali, tra le più frequenti, quale disciplina applicare alla figura del RUP e del Direttore dei Lavori e quale disciplina applicare al collaudo (ondeggiando, ovviamente, fra le norme sull’esecuzione degli appalti pubblici e quelle inerenti gli appalti privati).
Se la prassi ANAC, nel tempo, aveva chiarito tali interrogativi, per lo più spingendosi a favore dell’applicazione delle norme pubblicistiche, adeguandosi al concetto che – in fondo – si trattava pur sempre di “opere pubbliche”, sempre nuovi quesiti si affacciavano al panorama degli operatori, tutti riconducibili alla peculiare natura “spuria” delle opere di urbanizzazione da realizzarsi, sempre in difficile equilibrio fra “opera pubblica, tout court” e “opera pubblica realizzata da un privato ed a servizio di una edificazione privata”.
Le nuove problematiche assumevano l’aspetto di altrettanti ostacoli che, nella prassi, si opponevano alla compiuta applicazione della disciplina dell’evidenza pubblica: una per tutte, la vexata quaestio dell’obbligo di qualificazione SOA dei soggetti che realizzano le opere di urbanizzazione.
Il secondo correttivo al vecchio Codice, così, ritiene di semplificare la disciplina di riferimento, addossando all’Amministrazione l’obbligo di effettuare le gare per l’affidamento delle opere di urbanizzazione, con l’effetto – almeno nell’immediato – di bloccare l’attività del settore.
Il legislatore, però, “dimentica” di correggere la norma sulla finanza di progetto per la realizzazione delle opere di urbanizzazione: così, mentre per tutte le altre opere pubbliche “spariva” la previsione del diritto di prelazione per il proponente, questo diritto restava inalterato nel caso di finanza di progetto per le sole opere di urbanizzazione … che evidentemente erano considerate “opere pubbliche sui generis”.
Il terzo correttivo (il D.Lgs n. 152/2008) al vecchio Codice, quindi, interviene a porre rimedio alla situazione e, nell’intento di riordinare la disciplina nazionale in materia di appalti pubblici, armonizzandola con quella comunitaria, comincia proprio dalle opere di urbanizzazione e di nuovo modifica la disciplina di riferimento.
Innanzitutto, cancella dall’art. 32, comma 1, lett. g) del Codice De Lise il riferimento alla finanza di progetto. Inoltre, dispone che la realizzazione delle opere avvenga mediante gara pubblica europea – indetta dall’Amministrazione – solo con riguardo alle opere di importo superiore alla soglia comunitaria.
Quanto alle opere di importo inferiore alla soglia di cui all’art. 28 del Codice, si prevede, invece, all’art. 122, comma 8 D.Lgs. n. 163/2006 che esse siano affidate a seguito di una procedura negoziata, ex art. 57, comma 6 del vecchio Codice, con invito rivolto ad almeno 5 imprese.
In sintesi, quindi, il c.d. “Terzo correttivo” recepisce l’orientamento esplicitato dalla sentenza della Corte di Giustizia U.E. del 21/02/2008 nella causa C-412/04, modificando ancora sia l’art. 32, comma 1, lett. g), sia l’art. 122 D.Lgs. n. 163/2006, disponendo che tutte le opere di urbanizzazione a scomputo (sia primarie che secondarie) dovessero essere assoggettate alla disciplina del Codice dei contratti pubblici e, quindi, anche quelle di valore inferiore alla soglia comunitaria dovessero essere affidate con procedura negoziata, ex art. 57 comma 6° D.Lgs. n. 163/2006 e facendo scomparire anche il diritto di prelazione a favore del privato costruttore.
Ma anche tale versione della norma era destinata ad essere travolta dagli eventi.
Nel frattempo, però, la prassi e la giurisprudenza si erano profuse nel cercare una soluzione ai problemi sorti durante l’attuazione pratica delle norme in esame.
Ad esempio, è d’uopo segnalare che la Corte dei conti del Veneto, con i pareri n. 148/2009 e n. 94/2010 ha affrontato il tema della spettanza dei ribassi d’asta nelle gare per l’esecuzione delle opere pubbliche. Argomentando anche sullo storico dell’istituto, la Corte ha inaugurato l’indirizzo secondo il quale tali ribassi sarebbero spettati all’Amministrazione, ma solo se riferiti alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria: ciò, in quanto le somme poste a base d’asta erano comunque dovute per gli oneri di urbanizzazione e tali restavano anche se le opere fossero costate di meno, per effetto dei ribassi d’asta. Da tale teoria discendeva che la convenzione che regolava la realizzazione delle opere non aveva un contenuto “novativo” (cioè non prevedeva la realizzazione delle opere di urbanizzazione “al posto” del pagamento degli oneri), ma piuttosto conteneva una “delega” dell’Amministrazione al soggetto obbligato, a realizzare un’opera “a scomputo” degli oneri dovuti all’Amministrazione e fermo restando l’obbligazione principale di versare gli oneri stessi.
Da tale interpretazione discendevano due importanti conseguenze: innanzitutto, il debito dell’obbligato verso l’Amministrazione si confermava come debito “di valuta” (non “di valore” corrispondente al valore delle opere); inoltre, che – nel caso, ben più frequente in cui le opere di urbanizzazione fossero costate, a consuntivo, più di quanto dovuto a titolo di oneri di urbanizzazione – le somme da pagare in più restavano a carico dell’Amministrazione.
Altro esempio di interpretazione evolutiva è quello contenuto nella Delibera AVCP n. 7/2009, nella quale, innanzitutto, si affermava che le norme in materia di collaudo e di gestione del RUP e del Direttore dei Lavori riferibili alle opere non realizzate con gara pubblica venivano disciplinate dalle disposizioni in materia di appalti privati (salvo l’approvazione del collaudo, che era comunque riservata all’Amministrazione). Inoltre, l’Autorità confermava che i ribassi d’asta riferiti alle gare non soggette alla disciplina del Codice erano di esclusiva spettanza dei privati: in ciò, infatti, si doveva leggere la “sottrazione” di intere opere alla disciplina dell’evidenza pubblica e l’assoggettamento delle stesse alle usuali regole del mercato privato. Infine, l’A.V.C.P. seguiva una interpretazione in senso ampio della locuzione “opere di urbanizzazione primaria sotto soglia e funzionali al manufatto edilizio”, intendendo come “manufatto” anche reti e infrastrutture comuni ad una intera zona urbanistica, purché necessarie al “funzionamento” dei manufatti cui accedevano: tali opere, quindi, potevano essere realizzate direttamente dal costruttore secondo quanto disposto dall’art. 16, comma 2 DPR n. 380/2001.
Al contempo, però, l’Autorità confermava alcuni orientamenti invisi al mondo dell’edilizia, quali l’abrogazione del diritto di prelazione a favore del proponente e – per quanto concerne i costi delle opere di urbanizzazione realizzate direttamente dal costruttore – la spettanza a quest’ultimo di ogni maggiore importo che si rendesse necessario per l’esecuzione (e manutenzione) dell’opera “a norma”. A quest’ultima interpretazione sono probabilmente da ricollegarsi numerose opere di urbanizzazione realizzate e mai consegnate ai Comuni di riferimento i quali – non ritenendole a norma – non avevano mai approvato il collaudo.
4. Il Decreto Salva Italia (il D.Lgs. n. 201/2011, convertito con L. n. 214/2011)
E nuovamente, in un contesto economico emergenziale in cui occorreva dare impulso alla ripresa del settore edilizio viene emanato il c.d. “Decreto salva Italia”.
Detta norma, innanzitutto, ritorna “alle origini” della materia ed interviene sul Testo Unico per l’Edilizia, aggiungendo il comma 2 bis all’art. 16 e, con ciò, l’esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria, di importo inferiore alla soglia comunitaria, da parte del titolare del permesso di costruire (in attuazione di strumenti attuativi o equivalenti o in diretta attuazione del piano regolatore); ma solo se tali opere sono funzionali all’intervento di trasformazione urbanistica del territorio: In tali casi non si applica più il Codice dei Contratti pubblici.
La norma, dunque, introduce il concetto di “funzionalità” dell’opera di urbanizzazione, con riguardo all’immobile cui essa accede, ma non lo definisce.
Se ci si limitasse a ricomprendere tale nozione sovrapponendola al concetto di “opere di urbanizzazione primaria”, ne verrebbe svilita la portata normativa ed, inoltre, ne verrebbero escluse le opere di urbanizzazione primaria c.d. “complesse” (quali le reti tecnologiche), che non sono funzionalmente dedicate al singolo intervento edilizio (vds. Deliberazione AVCP n. 46/2012); il concetto di “funzionalità”, perciò, in un’ottica propositiva (e propulsiva) va valutato con riferimento all’”intervento di trasformazione urbanistica del territorio” (ibidem), non più solo “dell’edificio”, come, ad esempio, era previsto dalla precedente versione dell’art. 122, comma 8 D.Lgs. n. 163/2006.
Certo, quindi, è che diviene davvero difficile qualificare di volta in volta le opere di urbanizzazione come “funzionali” o meno all’intervento edilizio, residuando all’interprete una discrezionalità piuttosto ampia e – sinora – non colmata da una giurisprudenza che definisca univocamente il punto.
In conseguenza di quanto disposto dal Decreto Salva Italia, l’AVCP, con la Deliberazione n. 46 del 3 maggio 2012 ha ri-disciplinato il caso di esecuzione diretta delle opere da parte del privato L’Autorità, infatti, a seguito delle modifiche, introdotte dall’art. 45, comma 1, del d.l. n. 201 del 6 dicembre 2011, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, alla disciplina della realizzazione delle opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione, ha stabilito che qualora l’importo dei lavori afferenti le opere di urbanizzazione primaria sia inferiore alla soglia comunitaria, i lavori stessi possono essere eseguiti direttamente dai soggetti attuatori di piani urbanistici e dai titolari di un permesso di costruire, essendo esclusa, dalla norma in questione l’applicazione, del Codice dei contratti. Ai fini del calcolo per la determinazione della predetta soglia di riferimento occorre, quindi, valutare separatamente l’importo complessivo delle opere di urbanizzazione primaria da quello relativo alle opere di urbanizzazione secondaria. Ove invece l’importo delle opere di urbanizzazione primaria sia superiore alla soglia comunitaria, rimane fermo, ai fini del calcolo dell’importo dell’affidamento, il criterio indicato nella determinazione AVCP n. 7 del 2009, vale a dire la valutazione cumulativa di tutti i lavori di urbanizzazione primaria e secondaria che sono da affidare nel rispetto delle procedure di evidenza pubblica di cui all’art. 55 del Codice.
In conclusione, dunque, per effetto del c.d. Decreto Salva Italia è stata prevista l’esecuzione diretta, da parte del privato titolare dell’intervento edilizio, delle sole opere di urbanizzazione primaria “a scomputo”, di importo inferiore alla soglia comunitaria, purché funzionali all’intervento di trasformazione urbanistica del territorio e conformi agli strumenti attuativi o in diretta attuazione del piano regolatore. In tali casi, quindi, non si applicava l’art. 32, comma 1, lett. g) D.Lgs. n. 163/2006; tale norma, invece, veniva applicata per la realizzazione di tutte le altre opere di urbanizzazione “a scomputo”, con la precisazione che le opere di importo “sotto soglia” potevano essere realizzate con procedura negoziata alla quale invitare almeno 5 concorrenti.
5. Il nuovo Codice dei contratti pubblici (il D.Lgs. n. 50/2016) – in particolare l’art. 20 e le relative difficoltà interpretative in chiave evolutiva
In questo panorama normativo si inserisce il nuovo Codice dei Contratti pubblici che, fondamentalmente, disciplina l’istituto riportandosi al “decreto salva Italia”, con alcune lievi modifiche.
L’art. 1, comma 2 D.Lgs. n. 50/2016 prevede che le disposizioni del Nuovo Codice dei contratti pubblici debbano applicarsi alle procedure di affidamento di lavori pubblici per la realizzazione di opere di urbanizzazione, sia primaria che secondaria.
Il successivo art. 36, comma 3 prevede, poi, che la realizzazione di opere di urbanizzazione (sia primaria che secondaria) di importo inferiore alla soglia comunitaria sia soggetta a procedura ordinaria di evidenza pubblica (aperta o ristretta); fanno eccezione le c.d. “opere di urbanizzazione primaria funzionali”, di importo inferiore alla soglia comunitaria, che possono essere realizzate direttamente dal titolare del permesso a costruire (come previsto dall’art. 16, comma 2 D.P.R. n. 380/2001), senza le procedure previste dal medesimo Codice dei Contratti pubblici.
Sin qui, dunque, nessuna significativa novità, se non per la disciplina delle opere di valore inferiore alla soglia comunitaria (oggi, 5.225.000 Euro), che non sono più assoggettabili a procedura negoziata.
Ma la vera novità del nuovo Codice sta nell’aver introdotto nel corpus normativo l’art. 20, che sottrae all’applicazione del Codice stesso le opere di urbanizzazione (sia primaria che secondaria) realizzate da un privato a sua propria cura e spese, che siano previste nell’ambio di strumenti o programmi urbanistici ed indicate in una convenzione urbanistica.
Tale disposizione che – come si preannunciava, è di difficile attuazione -, nella prassi è da intendersi come residuale e riferita, in particolare, alle opere di urbanizzazione “extra oneri” (cioè, “in aggiunta” a quelle necessarie ex art. 16 D.P.R. n. 380/2001).
Nella pratica, si tratta di opere, spesso previste dalle convenzioni urbanistiche, realizzate in misura eccedente le esigenze tabellari di cui ai Regolamenti comunali, ma richieste proprio dai Comuni per “migliorare” (a volte, semplicemente “svecchiare”, trattandosi di manutenzioni) le dotazioni urbanistiche della zona di riferimento.
Per comprendere cosa intenda il legislatore del nuovo Codice con tale norma, ancora una volta dobbiamo ricorrere alla rilettura dell’istituto nel passato.
In proposito, si ricorderà che nell’interpretazione della Consulta e dell’AVCP, il discrimine per applicare le procedure a evidenza pubblica viene riconosciuto nel requisito dell’”onerosità” della prestazione; tanto che nella giurisprudenza previgente (in mancanza di una disposizione normativa) le norme sull’’evidenza pubblica non si applicavano alle opere di urbanizzazione “non a scomputo” (cioè, interamente a carico del privato costruttore).
Ma tale prassi era spesso foriera di una applicazione “elusiva”, allorché (come ricordato e censurato dall’AVCP con determinazione n. 4/2008) la realizzazione delle opere “extra standard” veniva comunque “compensata” dall’Amministrazione con cubature premiali (“… non essendo quindi opere realizzate dal costruttore in spirito di liberalità, avrebbero dovuto seguire le procedure di evidenza pubblica per la selezione dei soggetti chiamate a realizzarle. …”). La difesa del privato costruttore, in tali casi, sosteneva che il “peso” di tali opere doveva comunque essere compensato da una controprestazione da parte del Comune che le richiedeva.
L’art. 20 del D.Lgs. n. 50/2016, proprio al fine di porre termine all’incertezza normativa – ed alla nutrita querelle giudiziaria, che spesso si concludeva con opere extra standard lasciate incompiute – disciplina il tema delle opere di urbanizzazione “extra oneri”, ricollegando l’applicabilità delle norme sull’evidenza pubblica solo ai casi in cui il requisito dell’”onerosità” si evidenzi in via diretta e immediata.
Il nuovo Codice, dunque, non si applica quando un’amministrazione stipula una convenzione con cui un soggetto, previo ottenimento di tutte le necessarie autorizzazioni, si impegna a realizzare a sua totale cura e spese (quindi, non “a scomputo”) un’opera pubblica (o un suo lotto funzionale, o di una sua parte) prevista nell’ambito di strumenti o programmi urbanistici.
In questi casi, l’Amministrazione prima della stipula della convenzione, valuta che il progetto di fattibilità delle opere da eseguire con l’indicazione del tempo massimo in cui devono essere completate e lo schema dei relativi contratti di appalto presentati dalla controparte, siano rispondenti alla realizzazione delle opere pubbliche previste dalla convenzione urbanistica.
L’Amministrazione, inoltre, avrà cura di determinare, attraverso la medesima convenzione urbanistica, anche le conseguenze in caso di inadempimento comprese anche eventuali penali e poteri sostitutivi.
Insomma, l’art. 20 D.Lgs. n. 50/2016 torna a configurare la realizzazione delle opere extra standard come una vera “liberalità” da parte del privato costruttore, nei confronti dell’Amministrazione che gli rilascia il titolo edilizio, facendo quasi intuire che la realizzazione di tali opere si ponga quasi come una “prescrizione”, condizionante la validità del titolo stesso.
Inoltre, la norma sembra “delegare” alla convenzione urbanistica il compito di individuare l’opera in concreto e disciplinarne l’esecuzione: con ciò, sembra che il testo normativo abdichi alla sua funzione regolatrice, lasciando un vuoto incomprensibile e pericoloso, foriero di dispute sulla discrezionalità affidata all’Amministrazione.
Tale configurazione porta ad immaginare che il legislatore abbia inteso così porre le basi per la realizzazione di piani di sviluppo urbano “virtuosi” dotati, nella quasi totalità dei casi, di extra standard, che saranno richiesti quale “condizione” per il rilascio del titolo edificatorio, non vedendo altra possibile “causa giuridica” per la quale l’Amministrazione possa “fare propria” un’opera pubblica (tale è definita dall’art. 20 in esame) senza offrire alcunché in cambio al privato (cioè, quasi prefigurando e legalizzando un arricchimento sine causa per l’Amministrazione stessa).
Ancora una volta, però, il legislatore ha avuto bisogno che l’ANAC definisse più in dettaglio il perimetro di applicazione della novella, definendo le opere pubbliche “extra standard”. L’Autorità, così, ha emesso la Delibera n. 763/2016 del 13 luglio 2016 extra standard”. L’Autorità, così, ha emesso la Delibera n. 763/2016 del 13 luglio 2016.
Con la Delibera n. 763/2016, in sintesi, l’ANAC ha affermato che se il privato costruttore propone e realizza un’opera pubblica a sua totale cura e spese, in attuazione di strumenti urbanistici o sulla base di apposita convenzione, può farlo anche senza ricorrere a procedure di evidenza pubblica.
Al contrario, egli dovrà applicare le disposizioni del Codice Appalti se, in cambio della realizzazione dell’opera pubblica, chiede un corrispettivo (sia esso in denaro, premi di cubatura o altro – ad esempio il diritto di sfruttare l’opera in concessione –).
L’Autorità, così, ha risposto ad un quesito proposto dalla Regione Lombardia, relativo ad un caso concreto ed Ancora una volta, però, il legislatore ha avuto bisogno che l’ANAC definisse più in dettaglio il perimetro di applicazione della novella, definendo le opere pubbliche “extra standard”. L’Autorità, in risposta, ha emesso la Delibera n. 763/2016 del 13 luglio 2016.
Nel caso esaminato, un imprenditore (la società Westfield Milan SpA), promotore per la realizzazione di un centro commerciale di circa 99mila mq., in cambio delle autorizzazioni edilizia e commerciale, aveva proposto di realizzare a sua cura e spese la viabilità speciale di Segrate. Detta opera è compresa nell’elenco delle infrastrutture strategiche di interesse nazionale ed è oggetto dell’Accordo di Programma approvato con Decreto del Presidente della Regione Lombardia del 22 maggio 2009, n. 5095, relativo alla realizzazione di un centro commerciale polifunzionale, sottoscritto da Regione Lombardia, Provincia di Milano, Comune Segrate e la società International Business Park Srl (poi Westfield Milan SpA).
L’ANAC, interpellata sul tema se una convenzione urbanistica di tale oggetto fosse o meno soggetta all’applicazione del Codice dei Contratti pubblici, per quanto concerne va l’affidamento dei lavori extra oneri, ha risposto che – siccome il proponente avrebbe realizzato le opere solo in cambio delle autorizzazioni edilizia e commerciale – tali autorizzazioni devono essere considerate una “utilità” (cioè un ”corrispettivo”).
Di conseguenza, i lavori devono essere affidati necessariamente con gara d’appalto, non essendoci gratuità nella realizzazione dell’opera pubblica.
La Deliberazione ANAC n. 763/2016, dunque, dà un’interpretazione assai restrittiva del concetto di “gratuità” di cui all’art. 20 D.Lgs. n. 50/2016, anche richiamando l’omologo commento contenuto nel parere del Consiglio di Stato sullo schema del nuovo Codice dei Contratti pubblici.
Già il Consiglio di Stato, infatti, aveva osservato che l’applicazione dell’art. 20 doveva necessariamente essere limitata ai casi in cui non si rilevava “alcun corrispettivo per il privato”, dalla realizzazione dell’opera extra standard che, pertanto, era da considerarsi realizzata per esclusiva “utilità pubblica” e come “atto di liberalità”.
Al contempo, il Consiglio di Stato aveva messo in luce il rischio concreto di non riuscire a definire – nella pratica – i “confini” di tale “gratuità”, costringendo, quindi, l’interprete a sminuire la portata espansiva ed innovativa della norma.
Nel caso esaminato dall’ANAC, viene considerata “onerosa”, anche la realizzazione dell’opera in cambio del vantaggio “non quantificabile” di ottenere il rilascio delle autorizzazioni edilizie e commerciali.
In altre parole, viene dato corpo al principio normativo in maniera restrittiva, disponendo che il “carattere oneroso“ della prestazione deve ritenersi sussistente in ogni caso in cui, a fronte della prestazione stessa, vi sia il riconoscimento di un “corrispettivo”, da parte dell’Amministrazione, che può essere di varia natura.
E proprio lo sforzo interpretativo sulla portata effettiva di questa orma, darà il segno all’operatore su quanto alta sia l’attenzione del legislatore sul problema.
Se si darà corpo all’art. 20 D.Lgs. n. 50/2016 in chiave espansiva, infatti, si avrà un altro elemento (oltre a quello, già esaminato delle di urbanizzazione primaria “funzionali”) per intensificare ed incentivare l’esecuzione delle opere di urbanizzazione e, quindi, incrementare le dotazioni urbanistiche delle nostre città, raggiungendo standard più elevati di qualità della vita.
Nell’effettuare tale operazione, occorrerà forse astrarsi dal contesto dei contratti pubblici e riflettere nuovamente sulle opere di urbanizzazione in chiave urbanistica, contestualizzandole nel corpus del Testo Unico per l’Edilizia e trovarne lì una migliore definizione.