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1. Premesse

Il primo gennaio 2013 sono entrate in vigore le disposizioni di cui al Decreto Legislativo 9 novembre 2012, n. 192 (di seguito per brevità “D. Lgs. n. 192/2012”) il quale recepisce la direttiva 2011/7/UE del 16 febbraio 2011 del Parlamento Europeo e del Consiglio sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali tra imprese, e tra Pubbliche Amministrazioni e imprese, attuando così la delega conferita al Governo con l’art. 10 della L. n. 180/2011 (cd. Statuto delle Imprese).

Nonostante l’art. 12 della predetta direttiva 2011/7/UE abbia fissato il termine per il recepimento della direttiva al 16 marzo 2013, l’Italia – considerata l’importanza della normativa nonché l’opportunità peculiare di garantire, in un momento di crisi economica, le imprese e più specificatamente le piccole e medie imprese – ha anticipato al primo gennaio 2013 l’attuazione della relativa disciplina.

Particolare rilievo riveste il D. Lgs. n. 192/2012 in quanto riscrive il Decreto Legislativo 9 ottobre 2002 n. 231 (di seguito per brevità “D. Lgs. n. 231/2002”), creando un “doppio binario”: da un lato le transazioni tra imprese e dall’altro quelle in cui il debitore è un ente pubblico o equiparato.

L’importanza del suddetto intervento legislativo deriva anche dalla circostanza che lo stesso D. Lgs. n. 192/2012 viene a sommarsi ad altre recenti misure adottate dal Governo – quali, ad esempio, la certificazione dei crediti della Pubblica Amministrazione (di cui si dirà nel prosieguo) – che rispondono al chiaro intento di cercare di aumentare la liquidità del sistema produttivo, agevolando i creditori della Pubblica Amministrazione nell’attuale congiuntura economica.

Nell’attuale congiuntura economica l’intento del legislatore è quello di cercare di aumentare la liquidità del sistema produttivo, agevolando i creditori della Pubblica Amministrazione

2. Le novità introdotte dal D. Lgs. n. 192/2012

Passando ad una analisi degli aspetti più significativi della normativa in oggetto, si rileva come la disciplina del D. Lgs. n. 192/2012, che si applicherà ai contratti conclusi a partire dal 1 gennaio 2013, abbia significativamente modificato la portata della precedente normativa (D. Lgs. n. 231/2002) in relazione ai rapporti commerciali tra imprese e Pubbliche Amministrazioni.

Con riferimento al campo di applicazione della disciplina sulla lotta contro il ritardo dei pagamenti, il novellato art. 1, comma 1 del D. Lgs. n. 231/2002 (rubricato “Ambito di applicazione”), prevede che le disposizioni contenute nel decreto stesso si applicano ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale[1].

A tale riguardo, l’art. 2 del D. Lgs. n. 231/2002 (rubricato “Definizioni”) specifica che, ai fini dello stesso decreto, per “transazioni commerciali”, si intendono “i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo”.

Con riferimento a ciò, occorre segnalare la circolare inviata in data 23 gennaio 2013 dal Capo di Gabinetto del Ministero dello Sviluppo Economico, la quale chiarisce che la nuova disciplina relativa ai ritardi dei pagamenti, introdotta dal D. Lgs. n. 192/2012, si applica ai contratti pubblici relativi a tutti i settori produttivi, inclusi i lavori stipulati a decorrere dal primo gennaio 2013.

L’art. 2 del D. Lgs. n. 231/2002 precisa inoltre che per “pubblica amministrazione”, si intendono “le amministrazioni di cui all’articolo 3, comma 25, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e ogni altro soggetto, allorquando svolga attività per la quale e’ tenuto al rispetto della disciplina di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163”, mentre per “imprenditore”, si intende “ogni soggetto esercente un’attività economica organizzata o una libera professione”.

In primo luogo occorre segnalare che ai sensi dell’art. 3 del D. Lgs. n. 231/2002 (rubricato “Responsabilità del debitore”) “Il creditore ha diritto alla corresponsione degli interessi moratori[2] sull’importo dovuto ai sensi degli articoli 4 e 5, salvo che il debitore dimostri che il ritardo nel pagamento del prezzo è stato determinato dall’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.

Una delle novità più rilevanti introdotte dal recente D. Lgs. n. 192/2012 nel D. Lgs. n. 231/2002 è costituito dal termine massimo di trenta giorni entro il quale le Pubbliche Amministrazioni dovranno pagare i loro fornitori e prestatori di servizi, con possibili proroghe a sessanta giorni per casi particolari.

Il nuovo art. 4 del D. Lgs. n. 231/2002 (rubricato “Decorrenza degli interessi moratori”) prevede, infatti, che:

1. Gli interessi moratori decorrono, senza che sia necessaria la costituzione in mora, dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento.

2. Salvo quanto previsto dai commi 3, 4 e 5, ai fini della decorrenza degli interessi moratori si applicano i seguenti termini:

a) trenta giorni dalla data di ricevimento da parte del debitore della fattura o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente. Non hanno effetto sulla decorrenza del termine le richieste di integrazione o modifica formali della fattura o di altra richiesta equivalente di pagamento;

b) trenta giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla data di prestazione dei servizi, quando non e’ certa la data di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento;

c) trenta giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla prestazione dei servizi, quando la data in cui il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento e’ anteriore a quella del ricevimento delle merci o della prestazione dei servizi;

d) trenta giorni dalla data dell’accettazione o della verifica eventualmente previste dalla legge o dal contratto ai fini dell’accertamento della conformità della merce o dei servizi alle previsioni contrattuali, qualora il debitore riceva la fattura o la richiesta equivalente di pagamento in epoca non successiva a tale data”.

Lo stesso art. 4 del D. Lgs. n. 231/2002 (rubricato “Decorrenza degli interessi moratori”), al comma 4, prevede che nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una Pubblica Amministrazione, è possibile pattuire un termine per il pagamento anche superiore ai trenta giorni, ma soltanto ove risulti giustificato dalla natura o dall’oggetto del contratto o dalle circostanze esistenti al momento della sua conclusione. Il termine di pagamento, in ogni caso, non potrà eccedere i sessanta giorni[3].

Invece, con riferimento alle transazioni commerciali tra imprese, il comma 3 dell’art. 4 del D. Lgs. n. 231/2002 dispone che “le parti possono pattuire un termine per il pagamento superiore rispetto a quello previsto dal comma 2. Termini superiori a sessanta giorni, purché non siano gravemente iniqui per il creditore ai sensi dell’articolo 7, devono essere pattuiti espressamente. La clausola relativa al termine deve essere provata per iscritto”.

Il comma 7 del citato art. 4 prevede, inoltre, che “Resta ferma la facoltà delle parti di concordare termini di pagamento a rate. In tali casi, qualora una delle rate non sia pagata alla data concordata, gli interessi e il risarcimento previsti dal presente decreto sono calcolati esclusivamente sulla base degli importi scaduti”.

All’art. 6 (rubricato “Risarcimento delle spese di recupero”) il D. Lgs. n. 231/2002 oggi dispone inoltre che:

“1. Nei casi previsti dall’articolo 3, il creditore ha diritto anche al rimborso dei costi sostenuti per il recupero delle somme non tempestivamente corrisposte.

2. Al creditore spetta, senza che sia necessaria la costituzione in mora, un importo forfettario di 40 euro a titolo di risarcimento del danno. E’ fatta salva la prova del maggior danno, che può comprendere i costi di assistenza per il recupero del credito”.

Occorre ancora porre in evidenza che il D. Lgs. n. 231/2002, all’art. 7 (rubricato “Nullità”), oggi prevede che:

1. Le clausole relative al termine di pagamento, al saggio degli interessi moratori o al risarcimento per i costi di recupero, a qualunque titolo previste o introdotte nel contratto, sono nulle quando risultano gravemente inique in danno del creditore. Si applicano gli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile.

2. Il giudice dichiara, anche d’ufficio, la nullità della clausola avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, tra cui il grave scostamento dalla prassi commerciale in contrasto con il principio di buona fede e correttezza, la natura della merce o del servizio oggetto del contratto, l’esistenza di motivi oggettivi per derogare al saggio degli interessi legali di mora, ai termini di pagamento o all’importo forfettario dovuto a titolo di risarcimento per i costi di recupero”.

In particolare lo stesso art. 7, ai commi 3 e 4, con riferimento all’iniquità delle clausoleprecisa che:

“3. Si considera gravemente iniqua la clausola che esclude l’applicazione di interessi di mora. Non e’ ammessa prova contraria.

4. Si presume che sia gravemente iniqua la clausola che esclude il risarcimento per i costi di recupero di cui all’articolo 6”.

E ancora, con particolare riferimento alle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione, il comma 5 del citato art. 7 oggi prevede che “è nulla la clausola avente ad oggetto la predeterminazione o la modifica della data di ricevimento della fattura. La nullità è dichiarata d’ufficio dal giudice”.

Occorre, inoltre, evidenziare che ai sensi dell’art. 10 del D. Lgs. n. 231/2002[4], con cui il D. Lgs. n. 292/2012 ha introdotto una modifica al comma 3 dell’art. 3 della Legge 18 giugno 1998 n. 192, qualora i termini per il pagamento vengano superati ovvero non si provveda al pagamento dovuto, è prevista una significativa maggiorazione del tasso degli interessi legali moratori: dal 7% all’8% in più rispetto al tasso fissato dalla Banca Centrale Europea per le operazioni di rifinanziamento. La norma prevede, inoltre, che tali interessi maturano automaticamente (“senza bisogno di costituzione in mora”).

Alla luce di quanto sin qui esposto, appare, quindi, evidente come la normativa nazionale sulla lotta contro i ritardi di pagamento di cui al D. Lgs. n. 231/2002 – a seguito delle modifiche ed integrazioni apportate dal D. Lgs. n. 192/2012 – sia maggiormente incisiva in ordine alla sua applicabilità alle transazioni commerciali tra imprese e Pubbliche Amministrazioni.

BOX: Una delle novità più rilevanti introdotte dal recente D. Lgs. n. 192/2012 nel D. Lgs. n. 231/2002 è costituito dal termine massimo di trenta giorni entro il quale le Pubbliche Amministrazioni dovranno pagare i loro fornitori e prestatori di servizi, con possibili proroghe a sessanta giorni per casi particolari.

3. Le nuove misure relative ai rapporti di credito e debito tra PA e imprese fornitrici

Connessa alla disciplina esaminata nel paragrafo che precede sulla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali con le Pubbliche Amministrazioni, è la disciplina, anch’essa di recente introduzione, sulla certificazione dei crediti vantati nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni. Con un pacchetto di provvedimenti, composto da quattro decreti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Governo Italiano ha disposto le nuove misure volte a disciplinare i rapporti di credito e debito tra la Pubblica Amministrazione e le imprese fornitrici con l’intento di fornire liquidità alle imprese mediante il supporto del sistema bancario o attraverso compensazioni fra crediti e debiti nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni stesse.

In particolare, rientrano fra tali misure:

  • due “decreti certificazione”, il D.M. 22 maggio 2012 avente ad oggetto la certificazione dei crediti scaduti nei confronti delle amministrazioni centrali (inclusi gli enti pubblici nazionali) e il D.M. 25 giugno 2012 avente ad oggetto la certificazione dei crediti scaduti nei confronti delle regioni ed enti locali (inclusi gli enti del Servizio Sanitario Nazionale);
  • il “decreto compensazione”, D.M. 25 giugno 2012 avente ad oggetto la compensazione di crediti maturati nei confronti di regioni, enti locali ed enti del Servizio Sanitario Nazionale con le somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo, emanato in attuazione del decreto legge 31 marzo 2010 n. 78, convertito con modificazioni nella legge 30 luglio 2010 n. 122;
  • il “decreto sul Fondo Centrale di Garanzia”, D.M. 26 giugno 2012 avente ad oggetto le modifiche ed integrazioni ai criteri e alle modalità per la concessione della garanzia del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, emanato in attuazione dell’art. 39 della legge 22 dicembre 2011 n. 214 (c.d. “salva Italia”).

A seguito delle modifiche introdotte alla normativa primaria tramite la Legge 6 luglio 2012 n. 94 di conversione del DL. 7 maggio 2012 n. 52 (cd. Decreto “Spending review”), al fine di adeguare i precedenti decreti ministeriali, sono stati emanati tre nuovi decreti ministeriali di recepimento di tali modifiche:

  • il D.M. 24 settembre 2012 di modifica del decreto 22 maggio 2012 (pubblicato nella G.U. 2 novembre 2012, n. 256);
  • il D.M. 19 ottobre 2012 di modifica del decreto 25 giugno 2012 (pubblicato nella G.U. 6 novembre 2012, n. 259);
  • il D.M. 19 ottobre 2012 avente ad oggetto le modalità con le quali i crediti non prescritti certi liquidi ed esigibili maturati nei confronti dello Stato e degli enti pubblici nazionali per somministrazioni, forniture e appalti, possono essere compensati con le somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo ai sensi dell’articolo 28-quater del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (pubblicato nella G.U. 6 novembre 2012, n. 259).

Oltre ai predetti decreti ministeriali si deve tenere conto:

  • degli accordi tra l’ABI e le Associazioni imprenditoriali sottoscritti il 22 maggio 2012, aventi ad oggetto l’istituzione di un plafond dedicato allo smobilizzo dei crediti delle imprese verso la Pubblica Amministrazione;
  • della convenzione sottoscritta tra la Cassa Depositi e Prestiti e l’ABI in data 6 marzo 2012, che prevede la messa a disposizione di risorse dedicate.

Con un pacchetto di provvedimenti, composto da quattro decreti del MEF, il Governo Italiano ha disposto le nuove misure volte a disciplinare i rapporti di credito e debito tra la Pubblica Amministrazione e le imprese fornitrici con l’intento di fornire liquidità alle imprese mediante il supporto del sistema bancario o attraverso compensazioni fra crediti e debiti nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni stesse.

4. La certificazione dei crediti della PA

Al fine di favorire lo smobilizzo dei crediti vantati dalle imprese nei confronti della Pubblica Amministrazione, i “decreti certificazione” attuano l’obbligo per lo Stato, gli enti pubblici nazionali, le regioni, gli enti locali e gli enti del Servizio Sanitario Nazionale di certificare, su istanza del creditore, gli eventuali crediti relativi a somme relative ad un contratto avente ad oggetto somministrazioni, forniture e appalti ai sensi del D. Lgs. n. 163/2006 (di seguito per brevità anche “Codice dei Contratti Pubblici”).

In particolare, il D.M. 24 settembre 2012 del Ministero dell’Economia e delle Finanze, intervenendo sul precedente D.M. 22 maggio 2012, dispone che l’amministrazione o l’ente debitore deve certificare che il credito di somme dovute per somministrazione, forniture e appalti da parte delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici nazionali è ”certo, liquido ed esigibile, ovvero ne deve rilevare l’insussistenza o l’inesigibilità, anche parziale, entro 30 giorni dalla ricezione dell’istanza e non più, come nella versione originaria, entro 60 giorni.

L’istanza di certificazione può essere presentata da chiunque, società, impresa individuale o persona fisica, vanti un credito non prescritto, certo, liquido ed esigibile, scaturente da un contratto avente ad oggetto somministrazioni, forniture ed appalti nei confronti di una Pubblica Amministrazione.

In particolare, per quanto concerne i requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità del credito, si evidenzia che:

  • il credito è da considerarsi certo quando è determinato nel suo contenuto dal relativo atto negoziale, perfezionatosi, nel caso di specie, secondo le forme e le procedure prescritte dalle vigenti disposizioni contabili. Ai fini della certificazione, è da ritenersi sussistente il requisito della certezza solo qualora il credito sia afferente ad una obbligazione giuridicamente perfezionata per la quale sia stato assunto il relativo impegno di spesa, registrato sulle scritture contabili ovvero, per gli enti del Servizio Sanitario Nazionale, siano state effettuate le relative registrazioni contabili. Pertanto, in assenza di contratto perfezionato o di impegno di spesa, regolarmente registrato sulle scritture contabili ovvero, per gli enti del Servizio Sanitario Nazionale, delle necessarie registrazioni contabili, gli enti non potranno certificare il credito, riferibile esclusivamente alla sfera giuridica del soggetto che ha ordinato la somministrazione, la fornitura o l’appalto al di fuori delle prescritte procedure giuscontabili;
  • il requisito della liquidità, soddisfatto dalla quantificazione dell’esatto ammontare del credito, è da ricondursi agli elementi del titolo giuridico;
  • l’esigibilità, da valutarsi al momento del riscontro da parte delle amministrazioni, sta ad indicare l’assenza di fattori impeditivi del pagamento del credito, quali l’eccezione di inadempimento, l’esistenza di un termine o di una condizione sospensiva.

L’istanza di certificazione può essere presentata per i crediti vantati nei confronti di amministrazioni statali, centrali e periferiche; regioni e province autonome; enti locali; enti del Servizio Sanitario Nazionale.

La certificazione non può essere richiesta ai seguenti enti, espressamente esclusi dal testo normativo: enti locali commissariati; enti del Servizio Sanitario Nazionale delle regioni sottoposte a piano di rientro dai disavanzi sanitari, ovvero a programmi operativi di prosecuzione degli stessi, se nell’ambito di detti piani o di detti programmi sono previste operazioni relative al debito.

Non è possibile richiedere la certificazione per i crediti vantati nei confronti di: organi costituzionali e a rilevanza costituzionale; camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni; enti pubblici economici; enti ed organismi di diritto privato; società a partecipazione pubblica.

Fermo restando il requisito di non prescrizione del credito, le norme non indicano alcun termine entro il quale inoltrare le istanze di certificazione.

Non sono in ogni caso certificabili le somme relative a debiti fuori bilancio delle amministrazioni.

Gli attori principali coinvolti nella certificazione dei crediti sono il titolare del credito (che chiameremo nel seguito creditore) e l’amministrazione o ente debitore (che chiameremo nel seguito P.A.), i creditori subentranti (le banche e gli intermediari finanziari, l’agente della riscossione), altri soggetti.

Il creditore (o un suo delegato) dà inizio al processo di certificazione, presentando alla Pubblica Amministrazione, nei confronti della quale vanta un credito certificabile, un’istanza per la certificazione.

Rivisitando gli artt. 4 e 5 del D.M. 22 maggio 2012, il D.M. 24 settembre 2012 dispone che nel caso in cui il termine di 30 giorni sia decorso senza che sia stata rilasciata la certificazione, ovvero non sia pervenuta alcuna comunicazione in ordine all’insussistenza o all’inesigibilità del credito, “il creditore può presentare istanza di nomina di un commissario ad acta per le certificazioni di pertinenza delle amministrazioni statali centrali al competente Ufficio Centrale del Bilancio, per le certificazioni di pertinenza degli enti pubblici nazionali all’Ufficio Centrale del Bilancio presso il Ministero vigilante e per le certificazioni di pertinenza delle amministrazioni statali periferiche alla Ragioneria territoriale dello Stato competente per territorio”.

Il creditore, una volta conseguita la certificazione, potrà recarsi presso una banca o un intermediario finanziario abilitato al fine di effettuare una cessione del credito (sia pro-soluto sia pro-solvendo) ovvero per ottenere un’anticipazione bancaria a valere sullo stesso.

Il creditore potrà, altresì, recarsi presso una sede dell’Agente della riscossione e chiedere la compensazione del credito certificato con le somme dovute a titolo di debito iscritto a ruolo per tributi erariali, tributi regionali e locali, contributi assistenziali e previdenziali, premi per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, entrate spettanti alla Pubblica Amministrazione che ha rilasciato la certificazione, notificati entro il 30 aprile 2012, nonché oneri accessori, aggi e spese e altre imposte la cui riscossione sia affidata all’Agente della riscossione. In tali casi la Pubblica Amministrazionericeve le istanze di certificazione e, dopo aver effettuato gli opportuni riscontri, certifica il credito ovvero ne rileva l’inesigibilità o l’insussistenza, anche parziale.

Prima del rilascio della certificazione ai fini della compensazione, per i crediti di importo superiore ai diecimila euro, la Pubblica Amministrazione dovrà verificare presso l’Agente della riscossione l’eventuale presenza di accertate inadempienze all’obbligo di versamentoderivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento. In caso si esito positivo di tale accertamento, la certificazione verrà resa per l’intero credito ma l’eventuale cessione del credito avverrà limitatamene alle somme eccedenti a quelle dovute e non versate (compensazione parziale): l’importo delle somme dovute all’Agente della riscossione verrà annotato nella certificazione e sarà vincolato al solo utilizzo ai fini della compensazione.

Nel caso in cui la Pubblica Amministrazione vanti dei crediti nei confronti del richiedente, la certificazione sarà resa al netto di tali somme.

La nuova disciplina prevede inoltre che, qualora l’importo certificato sia parzialmente utilizzato dal creditore in compensazione con le somme dovute per cartelle di pagamento e atti di cui agli articoli 29 e 30 del D.L. n. 78/2010, l’importo del credito da utilizzare dovrà essere annotato sulla copia della certificazione rilasciata dall’agente della riscossione. Il credito residuo potrà essere utilizzato esclusivamente accompagnando alla copia della certificazione l’attestazione di avvenuta compensazione.

A seguito dell’utilizzo della certificazione del credito ad opera del creditore originario, i seguenti soggetti possono, dunque, diventare controparte della Pubblica Amministrazione (creditori subentranti):

  • le banche e gli intermediari finanziari abilitati ai sensi della legislazione vigente (nel seguito denominati istituti di credito) possono concedere anticipazioni o subentrare nel credito, in caso di cessione pro solvendo o pro soluto;
  • l’Agente della riscossione interviene in caso di compensazione del credito certificato con somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo.

Infine, l’art. 2 del D.M. 24 settembre 2012 prevede la facoltà, per l’impresa creditrice, di delegare una banca o un intermediario finanziario a gestire per proprio conto le attività connesse alla procedura di certificazione del credito, ivi compresa la presentazione dell’istanza di nomina del commissario ad acta. A tal fine dovrà essere conferito un apposito mandato attraverso l’utilizzo di un modello pubblicato in allegato al decreto.

Attraverso l’introduzione, all’art. 2 del D.M. 22 maggio 2012, del nuovo comma 8, viene inoltre previsto che nel caso in cui il creditore intenda cedere il credito certificato ad una banca o ad un intermediario finanziario, quest’ultimo trattiene l’originale della ricevuta, rilasciando una copia timbrata per ricevuta al titolare del credito e procedendo, entro tre giorni lavorativi successivi, mediante richiesta trasmessa all’amministrazione o ente debitore a mezzo PEC, alla verifica dell’esistenza e della validità di tale certificazione.

Il D.M. 24 settembre 2012 del MEF, intervenendo sul precedente D.M. 22 maggio 2012, dispone che l’amministrazione o l’ente debitore deve certificare che il credito di somme dovute per somministrazione, forniture e appalti da parte delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici nazionali è ”certo, liquido ed esigibile”, ne deve rilevare l’insussistenza o l’inesigibilità, anche parziale, entro 30 giorni dalla ricezione dell’istanza e non più, come nella versione originaria, entro 60 giorni.

5. Conclusioni

Alla luce di quanto sin qui esposto appare chiara la particolare importanza delle nuove regole che, adeguando la normativa italiana  agli standards europei, dovrebbero consentire pagamenti più celeri per i creditori delle Pubbliche Amministrazioni, pena l’automatica applicazione di onerosi interessi di mora.

Si segnala, tuttavia, lo scetticismo che si registra, soprattutto tra i rappresentanti delle imprese che intrattengono transazioni commerciali con le Pubbliche Amministrazioni, con riferimento  alla possibilità per queste ultime di rispettare i nuovi termini alla luce dei tagli applicati alla finanza pubblica (in particolare ai  trasferimenti alle Regioni e ali altri enti), degli effetti prodotti dalle prescrizioni di cui al Decreto Spending review e dal Patto di Stabilità.

Occorre da ultimo evidenziare che, pur apparendo apprezzabili gli intendimenti della nuova normativa, la stessa potrebbe, nella prassi operativa, non risultare efficace nel raggiungimento del suo obiettivo in considerazione delle lunghe tempistiche processuali delle procedure esecutive nei confronti della Pubblica Amministrazione. Si consideri, a tale riguardo, il peculiare sistema di garanzie poste a tutela della Pubblica Amministrazione, come il decorso del termine dilatorio dei 120 giorni, previsto come condizione di efficacia del titolo esecutivo e di procedibilità dell’esecuzione. Durante tale termine, infatti, non può essere notificato l’atto di precetto, pena la sua nullità (ai sensi dell’art. 44, comma 3 del D.L. n. 269/2003, convertito in L. n. 326/2003): il termine dei 120 giorni, sommato a quello dei 10 giorni previsto dall’art. 480 c.p.c., fa sì che l’esecuzione non possa iniziare prima di 130 giorno dalla notifica del titolo esecutivo. A ciò si aggiunga, inoltre, il fatto che l’esecuzione per espropriazione è comunque limitata ai crediti ed alle somme di denaro non destinate a pubblici servizi.


[1] Il comma 2 dell’art. 1 del D. Lgs. n. 231/2002 prevede invece che “ Le disposizioni del presente decreto non trovano applicazione per:

a) debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore, comprese le procedure finalizzate alla ristrutturazione del debito;

b) richieste di interessi inferiori a 5 euro;

c) pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del danno, compresi i pagamenti effettuati a tale titolo da un assicuratore”.

[2] Ai sensi dell’art. 2 del D. Lgs. n. 231/2002 sono “interessi moratori” gli “interessi legali di mora ovvero interessi ad un tasso concordato tra imprese”.

[3] Art. 4, comma 4 del D. Lgs. n. 231/2002 4. “Nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione le parti possono pattuire, purché in modo espresso, un termine per il pagamento superiore a quello previsto dal comma 2, quando ciò sia giustificato dalla natura o dall’oggetto del contratto o dalle circostanze esistenti al momento della sua conclusione. In ogni caso i termini di cui al comma 2 non possono essere superiori a sessanta giorni. La clausola relativa al termine deve essere provata per iscritto”.

[4] Art. 10 del D. Lgs. n. 231/2002 “All’articolo 3, della legge 18 giugno 1998, n. 192, il comma 3 è così sostituito: “In caso di mancato rispetto del termine di pagamento il committente deve al subfornitore, senza bisogno di costituzione in mora, un interesse determinato in misura pari al saggio d’interesse del principale strumento di rifinanziamento della Banca centrale europea applicato alla sua più recente operazione di rifinanziamento principale effettuata il primo giorno di calendario del semestre in questione, maggiorato di otto punti percentuali, salva la pattuizione tra le parti di interessi moratori in misura superiore e salva la prova del danno ulteriore. Il saggio di riferimento in vigore il primo giorno lavorativo della Banca centrale europea del semestre in questione si applica per i successivi sei mesi. Ove il ritardo nel pagamento ecceda di trenta giorni il termine convenuto, il committente incorre, inoltre, in una penale pari al 5 per cento dell’importo in relazione al quale non ha rispettato i termini”.

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Paola Cartolano
Esperta in materia di appalti pubblici
mediagraphic assistenza tecnico legale e soluzioni per l'innovazione p.a.