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( votes)Premessa
Il self cleaning è un istituto di matrice europea che trova il proprio fondamento all’art. 57 della direttiva 2014/24/UE e consente all’operatore economico di dimostrare la propria affidabilità malgrado l’obiettiva esistenza di un motivo di esclusione.
L’obiettivo del legislatore è quello di permettere la partecipazione alle procedure di gara anche a quegli operatori economici che si sono “riabilitati” attraverso l’implementazione di misure atte ad evitare che l’illecito commesso in passato possa ripetersi in futuro.
Il self cleaning nel diritto eurounitario
La disciplina nazionale in materia di requisiti di partecipazione alle procedura di gara preordinate all’affidamento di commesse pubbliche, come noto, discende dall’art. 57 della direttiva 2014/24/UE. Tale disposizione ha sostanzialmente e complessivamente ridefinito ed ampliato – rispetto alla precedente direttiva 2004/18/CE – i motivi d’esclusione degli operatori economici dalle procedure di gara.
Volendo sintetizzare la ratio tracciata dalla direttiva 2014/24/UE si può affermare che la logica che permea il regime della valutazione di affidabilità degli operatori economici ai fini dell’ammissione alle gare pubbliche mira, da un lato, a dissuadere gli operatori economici dal porre in essere comportamenti scorretti, idonei ad incidere sull’affidabilità dell’impresa nel conseguimento e nella esecuzione delle commesse pubbliche e, d’altro lato ed al contempo, a legittimare meccanismi di “recupero” degli operatori economici che abbiamo concretamente manifestato un ravvedimento, mediante l’effettiva adozione di misure riparatorie c.d. di self cleaning. Tale meccanismo consente all’impresa concorrente di dimostrare, ricorrendone le condizioni, la sua affidabilità malgrado l’esistenza di un motivo di esclusione.
Che cos’è il self cleaning? È un ravvedimento operoso che consente all’operatore economico di dimostrare la sua persistente e concreta affidabilità nonostante l’esistenza di un motivo di esclusione – superando l’attitudine preclusiva dell’accertata sussistenza di una o più cause di esclusione -, la cui matrice eurounitaria oggi sta nell’art. 57 della direttiva 2014/24/UE.
Tale meccanismo – che si applica agli operatori economici non esclusi da una sentenza definitiva – tende a incoraggiare un operatore economico che si trovi in una delle situazioni di cui all’articolo 57, paragrafo 4, della medesima direttiva a fornire prove del fatto che le misure da esso adottate sono sufficienti a dimostrare la sua affidabilità nonostante l’esistenza di un pertinente motivo facoltativo di esclusione. Se tali prove sono ritenute sufficienti, l’operatore economico in questione non deve essere escluso dalla procedura d’appalto.
Il meccanismo è finalizzato, dunque, a stimolare ravvedimenti virtuosi e condotte orientate alla prevenzione, al fine di consentire all’impresa concorrente di dimostrare, ove ne ricorrano le condizioni, la sua affidabilità a dispetto della sussistenza di un motivo di esclusione.
Nella specie, l’art. 57 della direttiva 2014/24 citata individua alcune situazioni concrete per effetto delle quali l’operatore economico potrà dimostrare il permanere della propria affidabilità, prevedendo delle specifiche fattispecie: i) avere risarcito o essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito; ii) avere chiarito i fatti e le circostanze in modo globale, collaborando attivamente con le Autorità investigative; iii) avere adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori illeciti.
Orbene, nell’individuazione di alcune situazioni concrete attraverso le quali il concorrente può dimostrare il permanere della propria affidabilità, l’art. 57 precisa che compete, in ogni caso, all’amministrazione aggiudicatrice il compito di valutare se le misure adottate dal concorrente siano state realmente sufficienti, tenuto conto della gravità e delle particolari circostanze del reato o dell’illecito commesso. Nel caso in cui le misure siano ritenute insufficienti, infine, è previsto l’obbligo per di motivare esplicitamente la decisione di esclusione che verrà assunta.
Il c.d. ravvedimento operoso si riconnette, dunque, alla condotta dell’operatore economico che, in presenza di un fatto di reato o di una condotta di illecito, dimostri di essersi, per un verso, adoperato per la eliminazione, retrospettiva, del danno cagionato e, per altro verso, di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico ed organizzativo idonei a prevenire, pro futuro, la commissione di ulteriori reati o illeciti.
Si configura pertanto una ipotesi di ravvedimento operoso preordinato alla dimostrazione, da parte dell’impresa, della propria concreta affidabilità, così da superare l’attitudine preclusiva della accertata sussistenza di una o più cause di esclusione dalla procedura. Ciò attribuisce rilievo alla condotta dell’operatore economico che dimostri, retrospettivamente, di essersi adoperato per la eliminazione del danno cagionato e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico ed organizzativo idonei a prevenire la commissione di ulteriori reati o illeciti.
Il regime normativo domestico del self cleaning
L’art 80 del d.lgs. n. 50/2016 (d’ora in poi solo “Codice”) traduce e declina tale disciplina, consentendo al concorrente, salvo che le violazioni commesse dai suoi rappresentanti integrino le ipotesi di particolare gravità ivi specificate, di provare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito ovvero di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti.
Come noto, infatti, la disposizione di cui all’art. 80 comma 6 del Codice statuisce che le stazioni appaltanti escludono un operatore economico in qualunque momento della procedura, qualora risulti che esso si trovi – a causa di atti compiuti o omessi prima oppure nel corso della procedura – in una delle situazioni di cui ai commi 1, 2, 4 e 5 del medesimo articolo. Secondo la disposizione di cui al settimo comma dell’articolo 80, tuttavia, un operatore economico che si trovi in una delle situazioni di cui al comma 1 (ovvero di condanna con sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile o sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei reati ivi contemplati), limitatamente alle ipotesi in cui la sentenza definitiva abbia imposto una pena detentiva non superiore a 18 mesi ovvero abbia riconosciuto l’attenuante della collaborazione come definita per le singole fattispecie di reato ovvero nei casi di cui al comma 5 (tra cui pacificamente vi rientrano l’errore professionale ed l’eventuale illecito antitrust), è ammesso a provare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti.
La norma consente all’operatore economico, dunque, di dimostrare due distinte e concomitanti circostanze di fatto:
– di aver risarcito, o di essersi impegnato a risarcire, “qualunque danno causato dal reato”;
– di aver adottato “provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti”.
Con riguardo alla adozione dei “provvedimenti idonei a prevenire ulteriori reati”, la previsione normativa rimane invero piuttosto vaga, non risultando indicato alcun elemento che possa ritenersi necessario ad integrare il presupposto.
Nel silenzio della legge, appaiono utili i suggerimenti contenuti nel Considerando 102 della direttiva 24/2014/UE, secondo cui tali strumenti possono consistere, in particolare, in misure riguardanti il personale e l’organizzazione quali la rottura di tutti i rapporti con le persone o con le organizzazioni coinvolte nel comportamento scorretto, in misure adeguate per la riorganizzazione del personale, nell’attuazione di sistemi di rendicontazione e controllo, nella creazione di una struttura di audit interno per verificare la conformità e nell’adozione di norme interne di responsabilità e di risarcimento. Di talché solo qualora tali misure offrano garanzie sufficienti, l’operatore economico interessato non dovrebbe più essere escluso solo sulla base di tali motivi.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza 19 giugno 2019, nella causa C41/18, ha affermato che il considerando 101 della direttiva 2014/24, «implica in particolare che, prima di decidere di escludere un operatore economico, una simile amministrazione aggiudicatrice prenda in considerazione il carattere lieve delle irregolarità commesse o la ripetizione di lievi irregolarità; e, invero, se anche nell’esercizio di tale discrezionale potestà «un’amministrazione aggiudicatrice dovesse essere automaticamente vincolata da una valutazione effettuata da un terzo, le sarebbe probabilmente difficile accordare un’attenzione particolare al principio di proporzionalità al momento dell’applicazione dei motivi facoltativi di esclusione».
Il predetto regime sembra rappresentare diretta esternazione del principio di proporzionalità, di cui l’Amministrazione non può non tener conto nell’applicare i motivi di esclusione facoltativi. Al tempo stesso, non si potrebbero imporre obblighi e restrizioni alle libertà del cittadino in misura superiore (e quindi sproporzionata) a quella strettamente necessaria al raggiungimento degli obiettivi di pubblico interesse, in modo che il provvedimento sia idoneo (id est adeguato all’obiettivo da perseguire) e necessario (nel senso che nessun altro strumento ugualmente efficace, ma meno incidente in senso negativo per il destinatario, sia disponibile).
In tale ottica sempre secondo il considerando 101 citato, gli operatori economici dovrebbero avere la possibilità di chiedere che vengano esaminate le misure adottate per garantire l’osservanza degli obblighi ai fini di una possibile ammissione alla procedura di aggiudicazione. Il tutto ferma restando la facoltà in capo agli Stati membri di determinare le esatte condizioni sostanziali e procedurali applicabili in tali casi. Essi dovrebbero essere liberi, in particolare, di decidere se consentire alle singole amministrazioni aggiudicatrici di effettuare le pertinenti valutazioni o affidare tale compito ad altre autorità a livello centrale o decentrato.
Da tale previsione si ricava che per l’ordinamento comunitario sono rilevanti i due seguenti aspetti:
a) la interruzione dei rapporti con i soggetti le cui condotte comporterebbero una riprovazione anche a carico dell’operatore economico;
b) la riorganizzazione del personale e la previsione di sistemi di controllo che possano impedire il verificarsi di nuovi fatti penalmente rilevanti.
Rispetto al regime previgente dell’art. 38, co. 1, lett. “c” del d.lgs. n. 163/06, in cui una previsione esattamente identica a quella esaminata non era contemplata, ma in cui era prevista la possibilità per l’operatore economico di dissociarsi dalla condotta penalmente sanzionata dei cessati dalla carica, la norma comunitaria, recepita dall’art 80, comma 7, si contraddistingue per un approccio volto a valorizzare maggiormente la fase di approntamento dei rimedi contro possibili future reiterazioni del reato, piuttosto che quella di perseguire i responsabili attraverso l’avvio di azioni meramente risarcitorie.
In tal modo si consente all’impresa concorrente di dimostrare, ricorrendone le condizioni, la sua affidabilità a dispetto dell’esistenza di un comprovato motivo di esclusione.
Se la stazione appaltante ritiene che le misure di self cleaning sono sufficienti, l’impresa non può, quindi, essere esclusa dalla gara, mentre in caso contrario, assume motivatamente il relativo provvedimento di esclusione.
A tal proposito di recente il TAR Lazio, Roma, sez. III quater, con sentenza 10 Luglio 2020, n. 7936 ha avuto modo di chiarire che, tuttavia, l’adozione di per sé di misure di self cleaning non consente automaticamente di eliminare la rilevanza escludente degli illeciti professionali commessi dal concorrente, poiché l’idoneità sanante delle misure di tali misure deve essere a sua volta oggetto di valutazione da parte della stazione appaltante, mediante un giudizio espresso (in tal senso si veda, ad esempio, anche TAR Lazio, Roma n. 8288/2018). Sicché resta pur sempre in capo all’Amministrazione la valutazione discrezionale dell’idoneità delle misure di self cleaning rispetto allo scopo a cui sono preordinate ovvero ad evitare che l’illecito commesso in passato possa in futuro ripetersi.
Con riferimento all’ipotesi della sussistenza di condanne penali a carico del concorrente, tuttavia, la norma pone alcune eccezioni. Il procedimento in contraddittorio può essere attivato soltanto se la sentenza definitiva abbia imposto una pena detentiva non superiore a diciotto mesi o abbia riconosciuto l’attenuante della collaborazione, come definita per le singole fattispecie di reato.
La valutazione della stazione appaltante circa la congruità di tali misure deve essere effettuata in contraddittorio con l’operatore economico. Ebbene, come precisato nella pronuncia del Consiglio di Stato n. 4192 del 2017, detto contraddittorio si rende opportuno se l’operatore economico si è dimostrato leale e trasparente, rendendo dichiarazioni veritiere e non omissive circa la presenza di “situazioni ed eventi potenzialmente rilevanti ai fini del possesso dei requisiti di ordine generale di partecipazione alle procedure concorsuali”, con inclusione, quindi, anche degli eventi negativi per la propria realtà operativa.
Il comma 9 stabilisce che l’impresa non può beneficiare del trattamento previsto dai commi 7 e 8 durante il periodo di esclusione dalle gare, determinato dalla sentenza definitiva tramite la pena accessoria dell’incapacità di contrattare con la pubblica.
Ciò posto, si possono distinguere due tipologie di condotte c.d. di self-cleaning. La giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. V, 09 gennaio 2020, n.158) non ha mancato di evidenziare infatti che:
(i) un primo caso di self-cleaning è rappresentato dal comportamento dell’operatore economico che, in presenza di un fatto di reato o di una condotta di illecito, dimostri di essersi, per un verso, adoperato per la eliminazione, retrospettiva, del danno cagionato e, per altro verso, di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico ed organizzativo idonei a prevenire, pro futuro, la commissione di ulteriori reati o illeciti. In coerenza, il momento ne ultra quem per l’adozione delle misure di self cleaning e per la loro allegazione alla stazione appaltante è ancorato al termine di presentazione delle offerte, posto che una facoltà di tardiva implementazione o allegazione si paleserebbe, a tacer d’altro, alterativa della par condicio dei concorrenti (Cons. Stato, Sez. V, 24 gennaio 2019, n. 598);
(ii) un altro caso è quello delle “misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese” nell’ambito della prevenzione della corruzione che, per l’art. 32 d. l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito dalla l. 11 agosto 2014, n. 114, il prefetto, su segnalazione dell’ANAC, può, nel caso di “esecuzione di opere pubbliche, servizi e forniture”, disporre nei confronti dell’impresa a carico della quale l’autorità giudiziaria proceda per l’accertamento di uno o più dei reati nominati al comma 1 dello stesso articolo. In questo secondo caso, il self cleaning prefigura, alternativamente:
a) la rinnovazione degli organi sociali mediante la sostituzione del soggetto coinvolto: sostituzione che, ricorrendone le condizioni, è idonea ad impedire l’automatismo solutorio, ad opera delle misure interdittive, sui contratti in essere; o, quanto meno, a legittimare al commissariamento dell’impresa, con prosecuzione “controllata” dell’esecuzione dei contratti in essere ed accantonamento cautelativo degli utili in attesa delle determinazioni in ordine alla prospettica confisca (cfr. parere Cons. Stato, comm. spec., 18 giugno 2018, n. 1567);
b) il «sostegno e monitoraggio dell’impresa» (art. 32, comma 8).
In questa seconda fattispecie, con evidenza, il self-cleaning può agire solo nella duplice e concorrente direzione: i) della prospettica sterilizzazione delle misure interdittive penali, a prevenire ed evitare l’estromissione dell’impresa dal mercato; ii) dell’impedimento del commissariamento, relativamente ai contratti la cui esecuzione sia stata già iniziata.
Nel primo caso, è chiara l’operatività solo pro futuro delle misure organizzative virtuose. Nel secondo caso, si tratta di una misura specifica, orientata a salvaguardare l’utile esecuzione dei contratti in essere. Del resto, risponde a logica, prima che a norme, che le misure di self-cleaning (rinnovo degli organi di vertice, in una con la revisione delle prassi aziendali fino a quel momento praticate) abbiano effetto pro futuro, ovvero per la partecipazione a gare successive alla adozione delle misure stesse. È infatti inimmaginabile un loro effetto retroattivo. Solo dopo l’adozione delle misure di self -cleaning la stazione appaltante può dunque essere stimata al riparo dalla ripetizione di pratiche scorrette ad opera degli stessi organi sociali, posto anche che l’atto sanzionatorio solo remunera una condotta ormai perfezionata in ogni elemento. (Consiglio di Stato, Sez. V, 06 aprile 2020, n. 2260).
La complessiva finalità delle cd. misure di self cleaning è di legittimare le imprese alla dimostrazione della propria concreta affidabilità, superando l’attitudine preclusiva della accertata sussistenza di una o più cause di esclusione dalla procedura”. Esse si sostanziano nel “comportamento dell’operatore economico che, in presenza di un fatto di reato o di una condotta di illecito dimostri di essersi, per un verso, adoperato per la eliminazione, retrospettiva, del danno cagionato e, per altro verso, di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico ed organizzativo idonei a prevenire, pro futuro, la commissione di ulteriori reati o illeciti.” (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 17/09/2018 n. 5424).
Per quanto riguarda l’individuazione delle misure riparatorie idonee ad evitare l’esclusione, le Linee Guida ANAC n. 6, aggiornate al d. lgs. 19 aprile 2017 n. 56, con deliberazione n. 1008 dell’11 ottobre 2017 e recanti “Indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nella esecuzione di un precedente contratto d’appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c, del Codice”, stabiliscono al § 7.3 che possono essere considerati idonei a evitare l’esclusione, oltre alla dimostrazione di aver risarcito o essersi impegnato formalmente e concretamente a risarcire il danno causato dall’illecito:
1. l’adozione di provvedimenti volti a garantire adeguata capacità professionale dei dipendenti, anche attraverso la previsione di specifiche attività formative;
2. l’adozione di misure finalizzate a migliorare la qualità delle prestazioni attraverso interventi di carattere organizzativo, strutturale e/o strumentale;
3. la rinnovazione degli organi societari;
4. l’adozione e l’efficace attuazione di modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi e l’affidamento a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, del compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento;
5. la dimostrazione che il fatto è stato commesso nell’esclusivo interesse dell’agente oppure eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione o che non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di controllo.
Un adeguato organigramma e l’adozione di Modelli organizzativi ex d.lgs. 231/2001 idonei, nonché la nomina di un Organismo di Vigilanza, come anche la dimostrazione che il fatto illecito è stato consumato nell’interesse esclusivo della persona fisica agente e non dell’ente, sono circostanze potenzialmente idonee alla riabilitazione dell’operatore economico.
Per quanto attiene alle indicazioni di cui al punto 2, il riferimento alla parola “organizzativo” riguarda quantomeno l’organigramma dell’operatore economico azienda, nel quale può essere stata posizionata e/o sostituita – successivamente alla commissione dell’illecito – una figura di internal audit, prima assente, e/o una figura deputata al risk management. Sicché in un organigramma ipotetico, le figure del risk manager e dell’internal audit dovrebbero essere inserite in posizione più indipendente possibile e l’internal audit non dovrebbe dipendere da una sola carica apicale.
Tali misure, oltre ad assumere una valenza esimente avanti l’Autorità Giudiziaria in caso di addebito ex d.lgs. 231/2001, hanno anche un ruolo significativo in materia di appalti pubblici essendo misure idonee a sviluppare valori di correttezza e di legalità al fine di una buona practice aziendale ed al contempo strumenti di presidio, di gestione e di controllo dell’azienda, fondamentali per garantire la continuità economica dell’impresa ed evitare esclusioni da gare di appalto.
Con riferimento, invece, alle misure di self cleaning da adottare al cospetto, invece, di illeciti antitrust (ormai pacificamente riconducibili anche per quanto concerne il previgente d.lgs. n. 163/2006) tra i gravi illeciti professionali, l’AGCM, nel Parere S3211/2018, ha evidenziato che tra gli elementi valutabili possono assumere rilievo la sostituzione del management responsabile dell’illecito (anche accompagnato dall’avvio di azioni di responsabilità nei confronti dello stesso), l’adozione di efficaci programmi di compliance antitrust (cfr. Linee Guida sulla compliance antitrust, adottate con provvedimento AGCM n. 27356 del 25 settembre 2018, in Bollettino n. 37/2), nonché l’adesione a programmi di clemenza (tramite l’assunzione del ruolo di leniency applicant), che abbiano consentito l’accertamento dell’illecito o che consentano l’accertamento di altri illeciti.
In quest’ottica, l’adozione o l’aggiornamento di un programma di compliance antitrust efficace ed adeguato non solo riduce e previene il rischio di commettere in futuro illeciti antitrust da parte dell’impresa ma mitiga anche il rischio sanzionatorio per le infrazioni già commesse. In termini di accountability, quindi, l’adozione di un programma di compliance antitrust dimostra l’impegno dell’impresa alla diffusione della cultura antitrust e il conseguente contributo a realizzare un mercato sano in cui le imprese possano competere secondo merito, a beneficio dei consumatori e del buon funzionamento dell’economia nel suo complesso.
Conclusioni
Dall’esame del meccanismo riabilitativo del self cleaning si evince che lo stesso è uno strumento che ha una funzione essenzialmente prospettica e che è dunque preordinato a legittimare, anche all’esito della commissione di illeciti, la conservazione dell’impresa all’interno del mercato (in tal senso si veda da ultimo TAR Friuli – Venezia Giulia, sentenza 11 gennaio 2020 n. 15).
Tutt’altro che scontata però è l’individuazione sia delle idonee misure riparatorie sia del momento rilevante ai fini della loro adozione, essendo certo solo che le stesse valgono pro futuro – dovendosi necessariamente tenere conto che le stesse rispondono alla finalità di mantenere l’operatore economico sul mercato, e non già all’esigenza di sanare l’illiceità di condotte pregresse (cfr. T.a.r. Lazio, Roma, sez. II, n. 2394 del 2 marzo 2018) -, che spetta all’amministrazione aggiudicatrice valutarne discrezionalmente la idoneità e che debbono essere adottate entro il termine per la presentazione delle offerte della procedura di gara di volta in volta in considerazione. E ciò perché diversamente, si consentirebbe, di norma, alle imprese di perfezionare i requisiti di partecipazione durante lo svolgimento della procedura, introducendo, per il requisito in esame, una disciplina differenziata rispetto agli altri requisiti generali e speciali richiesti per la partecipazione alla gara. Tale sbarramento temporale, tuttavia, non sempre si raccorda con le fattispecie individuate discrezionalmente come escludenti. Si registrano nel panorama, ad esempio, casi in cui è stato considerato rilevante ai fini escludenti ai sensi del comma 5, lettera c) dell’articolo 80 – e, cioè, allorquando “la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità “ – finanche il decreto di rinvio a giudizio per fattispecie di reato automaticamente escludenti ai sensi del comma 1 dell’articolo 80 del Codice. Ed infatti la giurisprudenza ha in diverse occasioni statuito in tal senso che il decreto che dispone il giudizio, infatti, può legittimare l’esclusione dalla gara per grave illecito professionale non essendo, infatti, a tal fine necessario che il procedimento penale avviato a carico di un concorrente si sia concluso con una sentenza di condanna a suo carico (Cfr. ex multis Consiglio di Stato, V, 20 marzo 2019, n. 1846; Consiglio di Stato, V, 27 febbraio 2019, n. 1367; Consiglio di Stato, V, 3 settembre 2018 n. 5142; Consiglio di Stato, III, 23 novembre 2017, n. 5467). È stato in specie affermato che “anche il rinvio a giudizio per fatti di grave rilevanza penale, ancorché non espressamente contemplato quale causa di esclusione dalle norme che regolano l’aggiudicazione degli appalti pubblici, può astrattamente incidere sulla moralità professionale dell’impresa con conseguente legittimità di un provvedimento di esclusione che previa adeguata motivazione ne abbia vagliato l’incidenza negativa sulla moralità professionale”. (Cfr. T.A.R. Firenze, sez. I, del 09 gennaio 2019, n.53).
Ora se così è, le misure ri-organizzative e riabilitative di self cleaning dovrebbero essere dunque approntate in un momento addirittura preesistente alla condanna del soggetto nei cui confronti è in corso l’accertamento penale. Il che, in concreto – e salvi i casi per così dire limite delle società unipersonali e/o comunque riconducibili alla proprietà del soggetto imputato in relazione alle quali le misure di dissociazione/riparazione sono di difficile approntamento -, mal si concilia anche temporalmente parlando con la legittima praticabilità di misure di self cleaning quali il licenziamento, la obbligatoria dismissione dalle cariche ricoperte e la promozione di azioni di responsabilità in sede civile nei confronti dei soggetti coinvolti in tali vicende, tenuto altresì conto delle tempistiche non certo celeri dei procedimenti penali. A ciò aggiungasi che, in siffatti casi, il decreto che dispone il rinvio a giudizio è ontologicamente incompatibile con qualsivoglia tipologia di “accertamento” idoneo a giustificare l’adozione di misure di self cleaning nella presunzione di innocenza degli imputati. Del resto in tal senso, le Linee guida ANAC n. 6 prevedono che in caso di circostanze penalmente rilevanti, la prova adeguata dell’illecito professionale risulti circoscritta ai “provvedimenti di condanna non definitivi per i reati […] di cui agli artt. 353, 353-bis, 354, 355 e 356 c.p.”. Il tutto lascia poi totalmente in disparte l’operatività della presunzione di innocenza in favore degli imputati, che in assenza di provvedimenti cautelari e di condanna e/o interdittivi di sorta difficilmente legittima l’adozione di misure riparatorie estreme ed irreversibili.
Ne deriva uno scenario intricato che non tiene in alcun conto la percorribilità in concreto dei meccanismi riparatori approntabili.
Ebbene considerata l’interpretazione estensiva ed omnicomprensiva dell’articolo 80 comma 5 del Codice, non parrebbe tuttavia del tutto irragionevole immaginare, al ricorrere di siffatte precipue ed eccezionali circostanze, una sorta di temperamento del principio secondo cui il momento ne ultra quem per l’adozione delle misure di self cleaning e per la loro allegazione alla stazione appaltante è ancorato al termine di presentazione delle offerte, posto che l’adozione di dette misure anche in corso di gara dovrebbe essere valutata quantomeno in relazione alla concreta praticabilità delle stesse, non figurando un siffatto sbarramento temporale nella direttiva europeo ed essendo persino ipotizzabile che siffatte fattispecie astrattamente escludenti sopraggiungano in corso di partecipazione.