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Introduzione

L’Autorità Nazionale Anticorruzione (di seguito, “ANAC”), con atto di segnalazione del 27 luglio 2022 n. 3, ha formulato al Governo e al Parlamento, ai sensi dell’articolo 213, comma 3, lettere c) e d), del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (nel seguito “codice”), osservazioni in merito alle criticità relative all’applicazione dell’articolo 80, comma 5, lettere c), c-bis), c-ter) e c-quater) del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.

1. Il quadro normativo e l’intervento dell’Autorità

Come noto, l’articolo 80, comma 13, del Codice prevede che l’ANAC, con proprie linee guida, possa precisare i mezzi di prova adeguati a comprovare «le circostanze di esclusione di cui al comma 5, lettera c), ovvero quali carenze nell’esecuzione di un procedente contratto di appalto siano significative ai fini del medesimo comma 5, lettera c)».

In tal quadro, sono state adottate dall’Autorità le Linee guida n. 6, approvate con delibera del 16 novembre 2016, n. 1293.

Quanto alla disciplina relativa ai gravi illeciti professionali in origine contemplata dall’articolo 80, comma 5, lettera c), del Codice, la stessa è stata sostanzialmente modificata dai decreti Semplificazioni e Sblocca cantieri. In specie, l’articolo 5 del decreto-legge n. 135/2018, convertito nella legge n. 12/2019, ha modificato la lettera c) del comma 5 dell’articolo 80, spacchettando l’originaria lettera c) in tre distinte ipotesi:

  • «la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità», introducendo due ulteriori previsioni di cui alle lettere»;
  • c-bis) «l’operatore economico abbia tentato di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate a fini di proprio vantaggio oppure abbia fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione, ovvero abbia omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione»;
  • c-ter) «l’operatore economico abbia dimostrato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili; su tali circostanze la stazione appaltante motiva anche con riferimento al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa».

I commi c-bis e c-ter) citati rappresentano, peraltro, delle esemplificazioni tipizzate del grave illecito commesso nell’esercizio dell’attività professionale di cui al comma c).

Con il comma 10-bis dell’articolo 80, è stato inoltre previsto che, per la parte riferita alle cause di esclusione di cui al comma 5, la durata dell’esclusione è pari a tre anni, decorrenti dalla data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione, ovvero in caso di contestazione in giudizio, dalla data del passaggio in giudicato della sentenza.

La disposizione prevede, tuttavia, che nel tempo occorrente alla definizione del giudizio, la stazione appaltante debba tener conto di tale fatto ai fini della propria valutazione circa la sussistenza del presupposto per escludere dalla partecipazione alla procedura l’operatore economico che l’abbia commesso.

A fronte di tali modifiche, ANAC ha elaborato e posto in consultazione pubblica uno schema di Linee guida accompagnato da una Relazione AIR al fine di aggiornare le Linee guida n. 6.

In data 14 giugno 2022, nelle more dell’adozione dell’aggiornamento delle Linee guida, è stata approvata la legge delega per la riforma del codice dei contratti pubblici che individua, all’articolo 1, comma 2, lettera l), il seguente criterio direttivo cui devono ispirarsi i decreti legislativi recanti la disciplina dei contratti pubblici che il Governo è delegato ad adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge delega:

«razionalizzazione e semplificazione delle cause di esclusione, al fine di rendere le regole di partecipazione chiare e certe, individuando le fattispecie che configurano l’illecito professionale di cui all’articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014».

Sulla considerazione che il legislatore ha così inteso rivedere la scelta dell’indicazione esemplificativa delle fattispecie ascrivibili ai gravi illeciti professionali, effettuata con il decreto legislativo n. 50/2016, per orientarsi verso l’indicazione tassativa delle fattispecie ostative, rimessa ai decreti delegati, ANAC ha ritenuto opportuno un ripensamento del proprio intervento per tener conto del quadro normativo in fieri. È stata così accantonata l’opzione dell’aggiornamento delle Linee guida, ritenendo più utile rappresentare al Governo e al Parlamento, mediante un atto di segnalazione, le numerose criticità della normativa vigente emerse dagli approfondimenti svolti e segnalate dagli Stakeholder intervenuti alla consultazione sullo schema di Linee guida.

Nella propria segnalazione ANAC ha segnalato una serie di criticità emerse che di seguito si passano ad esporre.

2.2 Criticità della normativa vigente

2.2.1 Le fattispecie rilevanti

Nell’ambito della consultazione pubblica è stata rappresentata, in maniera pressoché unanime dai soggetti intervenuti, l’esigenza dell’individuazione tassativa delle fattispecie ostative rientranti nella categoria dei gravi illeciti professionali. Del resto, l’indeterminatezza della formulazione normativa dà adito a profonde incertezze e attribuisce alle stazioni appaltanti un potere discrezionale troppo ampio, che si traduce in un elevato rischio di disparità di trattamento tra gli operatori economici. Va da sé che tale incertezza espone le imprese al rischio di presentare dichiarazioni erronee, fuorviante se non false, rendendo poco agevole l’individuazione delle circostanze che devono essere oggetto di dichiarazione.

Sul punto, si evidenzia che nonostante la direttiva preveda una formulazione aperta della norma, la legge delega, alla lettera l) prevede la «razionalizzazione e semplificazione delle cause di esclusione, al fine di renderle regole di partecipazione chiare e certe, individuando le fattispecie che configurano l’illecito professionale di cui all’articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014».

I decreti attuativi dovranno – o almeno questo è l’augurio – realizzare tale obiettivo, tramite una indicazione chiara ed esaustiva delle fattispecie idonee a configurare i gravi illeciti professionali, circoscrivendo adeguatamente l’ambito di applicazione della norma.

Un’altra criticità riguarda la rilevanza ostativa delle condotte non definitivamente accertate.

Tenuto conto, tuttavia, che la direttiva comunitaria è chiara nel definire l’obbligo, per le stazioni appaltanti, di tener conto della violazione nelle more dell’accertamento definitivo, la possibile rilevanza ostativa di tali condotte non può essere messa in dubbio.

Il che deve però in qualche modo essere coordinato con il fatto che tali circostanze sono meno gravi e rilevanti rispetto alle condotte definitivamente accertate e, quindi, per ragioni di equità, dovrebbero dar luogo a conseguenze diverse.

Di conseguenza, ANAC ritiene auspicabile:

  • in primo luogo, che la norma chiarisca la rilevanza delle violazioni non definitivamente accertate e, in secondo luogo, che introduca la possibilità di graduare in misura proporzionale sia le conseguenze di tali condotte che l’obbligo di motivazione posto a carico della stazione appaltante in relazione alle scelte adottate.

Un’altra questione attiene alla differenza tra la fattispecie di cui all’articolo 80, comma 5, lettera f-bis) e quella di cui alla lettera c-bis).

La giurisprudenza (Cons. Stato, Ad. Plen., 28 agosto 2020, n. 16), nell’approfondire il rapporto tra la lettera c (ora c-bis) e la lettera f-bis del comma 5 del più volte citato art. 80, ha statuito che: “La presentazione di dichiarazioni false o fuorvianti da parte degli operatori che partecipano a gare d’appalto non ne comporta automaticamente l’esclusione, ma solo laddove la stazione appaltante ritenga motivatamente che esse ne compromettano l’integrità e l’affidabilità. Analogamente, le informazioni dovute dai concorrenti in sede di gara a pena di esclusione, ulteriori rispetto a quelle espressamente previste dalla legge o dalla normativa di gara, sono solo quelle incidenti sulla relativa integrità e affidabilità”.

L’Adunanza Plenaria ha dunque affermato il seguente principio di diritto: “La falsità di informazioni rese dall’operatore economico partecipante a procedure di affidamento di contratti pubblici e finalizzata all’adozione dei provvedimenti di competenza della stazione appaltante concernenti l’ammissione alla gara, la selezione delle offerte e l’aggiudicazione, è riconducibile all’ipotesi prevista dalla lettera c) [ora c-bis)] dell’art. 80, comma 5, del codice dei contratti di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50; in conseguenza di ciò la stazione appaltante è tenuta a svolgere la valutazione di integrità e affidabilità del concorrente, ai sensi della medesima disposizione, senza alcun automatismo espulsivo; alle conseguenze ora esposte conduce anche l’omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, nell’ambito della quale rilevano, oltre ai casi oggetto di obblighi dichiarativi predeterminati dalla legge o dalla normativa di gara, solo quelle evidentemente incidenti sull’integrità ed affidabilità dell’operatore economico; la lettera f-bis) dell’art. 80, comma 5, del codice dei contratti pubblici ha carattere residuale e si applica in tutte le ipotesi di falso non rientranti in quelle previste dalla lettera c) [ora c-bis)] della medesima disposizione.”.

Inoltre, la consolidata giurisprudenza, anche precedente alla citata decisione dell’Adunanza Plenaria, ha ritenuto che “la dichiarazione resa dall’operatore economico nella domanda di partecipazione circa le pregresse vicende professionali suscettibili di integrare “gravi illeciti professionali” può essere omessa, reticente o completamente falsa; è configurabile omessa dichiarazione quando l’operatore economico non riferisce di alcuna pregressa condotta professionale qualificabile come “grave illecito professionale”; è configurabile dichiarazione reticente quando le pregresse vicende sono solo accennate senza la dettagliata descrizione necessaria alla stazione appaltante per poter compiutamente apprezzarne il disvalore nell’ottica dell’affidabilità del concorrente; è, infine, configurabile la falsa dichiarazione se l’operatore rappresenta una circostanza di fatto diversa dal vero; la distinzione tra le tre fattispecie non risiede, dunque, nell’oggetto della dichiarazione che è sempre lo stesso (la pregresse vicende professionali dell’operatore economico), quanto, piuttosto, nella condotta di quest’ultimo; e ciò vale a meglio spiegare anche il regime giuridico: solo alla condotta che integra una falsa dichiarazione consegue l’automatica esclusione dalla procedura di gara poiché depone in maniera inequivocabile nel senso dell’inaffidabilità e della non integrità dell’operatore economico, mentre, ogni altra condotta, omissiva o reticente che sia, comporta l’esclusione dalla procedura solo per via di un apprezzamento da parte della stazione appaltante che sia prognosi sfavorevole sull’affidabilità dello stesso” (Cons. Stato, Sez. V, 12 aprile 2019, n. 2407).

Di conseguenza, la fattispecie di cui alla lettera f-bis) ha carattere residuale e si applica a tutte le ipotesi di falso non rientranti in quelle previste dalla lettera c-bis) della medesima disposizione. Rientrerebbe in detta fattispecie la presentazione di documenti o dichiarazioni non veritieri, laddove la falsità materiale o ideologica è accertabile sulla base di elementi oggettivi, in assenza di valutazioni discrezionali e non sia finalizzata all’adozione dei provvedimenti di competenza dell’amministrazione relativi all’ammissione, alla valutazione delle offerte o all’aggiudicazione della gara o comunque relativi al corretto svolgimento della procedura di gara.

A tal proposito, l’Autorità ha invece ritenuto che la differenza tra le due fattispecie dovrebbe essere individuata sulla base dei principi contenuti nella sentenza del Consiglio di Stato n. 6490 del 27 settembre 2019, secondo cui l’articolo 80, comma 5, lettera c-bis) si riferisce alle informazioni false o fuorvianti ovvero all’omissione di informazioni dovute nei confronti della stazione appaltante nella procedura di gara in corso, mentre la causa di esclusione di cui all’articolo 80, comma 5, lettera f-ter) si riferisce alla presentazione di false dichiarazioni o falsa documentazione in precedenti gare ed esplica effetto ostativo con riferimento a gare successive soltanto se risultante dal casellario informatico, fintanto che perduri tale iscrizione. Sarebbe quindi auspicabile che la norma chiarisse tale distinzione.

In tale ottica, secondo l’Autorità, sarebbe, altresì, utile che venisse chiarito che i provvedimenti rilevanti ai fini dell’applicazione della normativa sui gravi illeciti sono quelli esecutivi e quindi l’adozione di misure di sospensione cautelare del provvedimento impedisce la rilevanza della causa ostativa.

2.2.2. L’ambito soggettivo

L’ambito soggettivo di applicazione delle fattispecie di cui all’articolo 80, comma 5, lettere da c) a c-quarter) meriterebbe di essere maggiormente definito con un esplicito riferimento ai soggetti indicati al comma 3 del medesimo articolo. Se da un lato gli operatori economici auspicano una interpretazione restrittiva del comma 3, la giurisprudenza tende ad una applicazione estensiva attraverso l’elaborazione del principio del «contagio» e della figura del «socio sovrano».

Il Consiglio di Stato, sez. V, 3 dicembre 2018, n. 6866 ha aderito all’impostazione secondo cui se la persona fisica che nella compagine sociale riveste un ruolo influente per le scelte della società, anche al di là di un’investitura formale e, dunque, anche se in via di fatto, è giudicata inaffidabile per aver commesso un illecito nella pregressa attività professionale, inaffidabile può essere considerata – in virtù appunto del suo potere necessariamente condizionante le decisioni di gestione – anche la società che dirige o è in grado di orientare con le sue indicazioni (tale impostazione è stata confermata in numerose sentenze successive, come Consiglio di Stato, sex. V, 22 aprile 2022, n. 3107).

Il T.A.R. Puglia, Sez. III, del 24 marzo 2021, n. 495 ha, poi, affermato il principio di diritto secondo il quale, ai fini degli obblighi dichiarativi del concorrente ad una gara pubblica in caso di grave illecito professionale, considerata la centralità dell’assemblea e delle sue decisioni rispetto alle vicissitudini societarie, la titolarità della quota «sovrana» del capitale sociale risulta essere influente, specie nel caso in cui la quota di partecipazione sia di oltre 2/3 del capitale sociale. È facoltà della Stazione Appaltante, pertanto, desumere il compimento di gravi illeciti da ogni vicenda pregressa dell’attività professionale dell’operatore economico, anche in conseguenza degli illeciti del socio sovrano, di cui sia accertata la contrarietà ad un dovere posto in una norma civile, penale o amministrativa. Tale orientamento consente quindi di valutare la condotta del socio che possegga una quota rilevante del capitale sociale anche con riferimento alle società di capitali, travalicando le previsioni dell’articolo 80, comma 3, che prevede la verifica dei requisiti in capo al socio soltanto se questi rivesta la qualifica di socio accomandatario oppure di socio unico persona fisica, o di socio di maggioranza in caso di società con un numero di soci pari o inferiore a quattro.

A tal proposito, va evidenziato che secondo l’orientamento di una parte di giurisprudenza, non è dovuta, ai sensi dell’art. 80, comma 3, d. lgs. n. 50 del 2016, la dichiarazione sulla mancanza di cause d’esclusione da parte del socio unico persona giuridica, prevedendo la disposizione che siffatta dichiarazione sia resa dal solo socio unico persona fisica (Cons. Stato, V, 8 gennaio 2021, n. 306, nonché, tra le altre, Cons. Stato, 26 ottobre 2020, n. 6530; 2 ottobre 2020, n. 5782; 7 settembre 2020, n. 5370; 20 novembre 2019, n. 7922; TAR Palermo, 17 luglio 2021, n. 612; T.A.R. Firenze, sez. III, 05/03/2020, n. 279; T.A.R. Roma, sez. I, 16/01/2020, n. 509; TAR Roma, sez. II-ter, 17 giugno 2019, n. 7836).

Mentre, a favore dell’orientamento “estensivo”, depongono ordini di ragioni volte ad assicurare una parità di trattamento a situazioni ritenute uguali in funzione della garanzia di tutela della S.A. (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 23 giugno 2016, n. 2813 e Cons. Stato, sez. V, 30 giugno 2017, n.3178, richiamate da Banca d’Italia; cfr. anche T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 05/ dicembre 2019, n. 2598).

Si tratta di un obbligo dichiarativo non esattamente delineato nella sua portata. Sicché appare coerente una lettura restrittiva della norma dalla quale l’obbligo dichiarativo è fatto derivare (Cons. Stato, Sez. V, 8 aprile 2022, n. 2629).

Tale situazione crea incertezze interpretative che espongono le imprese a involontarie omissioni o incompletezze dichiarative, con il rischio di esclusione per false dichiarazioni.

2.2.3. La rilevanza delle condotte nell’ambito di gare successive

Con riferimento alle fattispecie di cui alla lettera c-bis), altro tema dibattuto e se le stesse rilevino soltanto nell’ambito della gara in cui sono poste in essere oppure anche nelle procedure future.

Secondo un orientamento del Consiglio di Stato – che propende per la prima ipotesi – «il partecipante ad una gara di appalto non è tenuto a dichiarare le esclusioni comminate nei suoi confronti in precedenti gare per aver dichiarato circostanze non veritiere, poiché, al di là dei provvedimenti sanzionatori spettanti all’ANAC in caso di dolo o colpa grave nel mendacio, la causa di esclusione dell’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione si riferisce – e si conclude– all’interno della procedura di gara in cui è maturata» (Cons. Stato, n. 1000/2021). In sostanza, si afferma che l’articolo 80, comma 5, lett. c) del Codice non è riferito alle false dichiarazioni rese in procedure concorsuali non in corso e, quindi, già svoltesi, ma al contrario, anche se non detto espressamente, si riferisce alle “informazioni false o fuorvianti” ovvero all’omissione di “informazioni dovute” nei confronti della stazione appaltante nella procedura di gara in corso: ne consegue che il rilievo ostativo alla partecipazione non è certo l’aver reso “false dichiarazioni in precedenti gare” […], ma il rendere, nella gara in corso, dichiarazioni false o fuorvianti, ovvero l’omettere dichiarazioni dovute» (Cons. di Stato, n. 6490/2019; n. 6576/2018).

Tali considerazioni fanno sorgere, tuttavia, alcuni dubbi. In primo luogo, riguardo al parallelismo tra la causa ostativa di cui al comma 5, lettera c-bis) e quella di cui alla lettera f-ter) del medesimo comma. L’ANAC ritiene, infatti, che un parallelismo possa esistere e si giustifichi tra la richiamata lettera c-bis) e la lettera f-bis) dell’articolo 80, comma 5.

Le due fattispecie prevedono infatti un ambito oggettivo parzialmente coincidente: entrambe disciplinano le false dichiarazioni, ma la lettera c-bis), ha un ambito più ampio, ricomprendendo anche le omesse dichiarazioni e i tentativi di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate a fini di proprio vantaggio. Inoltre, soltanto nella lettera c- bis) è individuato lo scopo che anima i comportamenti descritti. La lettera f-ter) disciplina invece la rilevanza delle false dichiarazioni e della falsa documentazione presentate in precedenti procedure di gara, subordinandola all’accertamento, da parte dell’Autorità, dell’imputabilità soggettiva del comportamento all’operatore economico. Quindi la presentazione di false dichiarazioni o falsa documentazione resa nell’ambito di precedenti procedure di affidamento rileva quale causa di esclusione automatica fino a due anni, soltanto se l’Autorità accerta che sia avvenuta con dolo o colpa grave.

Tale meccanismo è espressamente previsto soltanto per le «false dichiarazioni o falsa documentazione nelle procedure di gara e negli affidamenti di subappalti», utilizzando un’espressione che sembra indubbiamente riferita alla fattispecie di cui alla lettera f-bis). Analogamente, il comma 12 fa riferimento alla «presentazione di falsa dichiarazione o falsa documentazione, nelle procedure di gara e negli affidamenti di subappalto».

Il dato testuale sembrerebbe quindi escludere la possibilità di ritenere applicabile tali disposizioni alle false dichiarazioni di cui alla lettera c-bis).

Sarebbe, quindi, auspicabile che il legislatore chiarisse che le fattispecie di cui alla lettera c-bis) rilevano anche se verificatesi in precedenti procedure di gara e che in tali casi non si applicano l’articolo 80, comma 5, lettera f-ter) e l’articolo 80, comma 12, del codice dei contratti pubblici.

Diversamente, sarebbero pregiudicate esigenze di sistematicità e proporzionalità. Alcuni gravi illeciti, quali le risoluzioni contrattuali e le penali, rileverebbero anche se posti in essere nei confronti di altre stazioni appaltanti, mentre altri, quali l’omissione di informazioni rilevanti o i tentativi di influenzare le decisioni della stazione appaltante, avrebbero rilevanza limitata alla procedura in corso di svolgimento, pur essendo evidentemente connotati da un maggior disvalore sociale e da una maggiore gravità. Anche in questo caso, l’incertezza interpretativa è stata segnalata dagli operatori economici come difficoltà nell’individuare le dichiarazioni da rendere ai fini della partecipazione alle gare, con conseguente rischio di involontarie omissioni.

2.2.4. La risoluzione contrattuale per inadempimento e le sanzioni comparabili alla condanna al risarcimento del danno

Fra le disposizioni maggiormente discusse vi è quella che stabilisce la possibile rilevanza ostativa della risoluzione contrattuale per inadempimento e delle sanzioni comparabili al risarcimento del danno.

Il legislatore europeo ha previsto che non è rilevante qualunque risoluzione contrattuale, ma solo quella che abbia inficiato nella sostanza l’opera, compromettendone aspetti essenziali o non rendendola fruibile per l’amministrazione.

La direttiva 2014724/UE, al considerando 101, stabilisce che le stazioni appaltanti «dovrebbero poter escludere candidati o offerenti che in occasione dell’esecuzione di precedenti appalti pubblici hanno messo in evidenza notevoli mancanze per quanto riguarda obblighi sostanziali», mentre «lievi irregolarità dovrebbero comportare l’esclusione di un operatore economico solo in circostanze eccezionali». La norma richiede che l’inadempimento sia significativo o persistente e prevede la rilevanza della condanna al risarcimento dei danni o l’applicazione di altre sanzioni equiparabili. Tra le sanzioni equiparabili possono rientrare l’applicazione di penali e l’escussione della garanzia definitiva.

Su tale aspetto gli operatori economici che hanno partecipato alla consultazione ANAC hanno affermato che l’inadempimento cui non consegua una condanna al risarcimento del danno non può considerarsi significativo e che l’applicazione di penali inferiori al dieci per cento del valore del contratto non possono considerarsi rilevanti.

Da ciò la necessità di:

  • una esemplificazione dettagliata delle ipotesi astrattamente rilevanti,
  • una limitazione dell’ambito di applicazione della normativa alle carenze significative correlate ad adempimenti sostanziali,
  • escludere dall’ambito di rilevanza le penali riferite ad episodi isolati e di modesta entità che hanno natura fisiologica nella complessiva economia ed esecuzione dell’appalto.

2.2.5. La durata del periodo di rilevanza della causa ostativa

L’articolo 57, paragrafo 7, della direttiva 24/2014 stabilisce che «in forza di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative e nel rispetto del diritto dell’Unione, gli Stati membri specificano le condizioni di applicazione del presente articolo. In specie, essi determinano il periodo massimo di esclusione nel caso in cui l’operatore economico non adotti nessuna misura di cui al paragrafo 6 per dimostrare la sua affidabilità. Se il periodo di esclusione non è stato fissato con sentenza definitiva, tale periodo non supera i cinque anni dalla data della condanna con sentenza definitiva nei casi di cui al paragrafo 1 e i tre anni dalla data del fatto in questione nei casi di cui al paragrafo 4».

La direttiva lascia agli Stati membri la possibilità di determinare il periodo massimo di esclusione stabilendo che lo stesso, se non è fissato con sentenza definitiva, non possa superare i tre anni dalla data del fatto in questione nei casi ivi indicati. Il legislatore nazionale ha scelto di determinare il periodo di esclusione nella massima quantificazione possibile. Il comma 10-bis dell’articolo 80 prevede, infatti, che, nei casi di cui al comma 5, la durata della esclusione è pari a tre anni, decorrenti dalla data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione ovvero, in caso di contestazione in giudizio, dalla data di passaggio in giudicato della sentenza.

L’ANAC, a tale riguardo, ha ritenuto opportuno sollecitare il legislatore a valutare la possibilità di ridurre tale periodo o, quanto meno, di graduarlo in ragione della gravità delle condotte ostative, anche nell’ottica di ricondurre la previsione a proporzionalità rispetto ad altre cause di esclusione connotate da maggiore gravità o disvalore sociale.

Si consideri, infatti, che la presentazione di false dichiarazioni in sede di gara o di attestazione comporta l’interdizione automatica dalla partecipazione alle gare fino a due anni, mentre la condanna al risarcimento del danno comporta la possibile esclusione per tre anni.

La formulazione del citato comma 10 bis comporta, inoltre, dubbi interpretativi.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza del 20 gennaio 2021, n. 632, ha interpretato il comma in esame, nella parte in cui richiama «i casi di cui al comma 5» come riferito alle ipotesi di esclusione ivi contemplate e, pertanto, ai soli casi cui consegue l’esclusione del concorrente.

Per l’effetto, è stato affermato che dal comma 5 non deriva un limite temporale di rilevanza del grave illecito.

Tale limite generale dovrebbe quindi essere fatto derivare direttamente dall’articolo 57, paragrafo 7, della direttiva 2014/24/UE, il quale ha previsto, appunto in termini generali, che il periodo di esclusione per i motivi di cui al paragrafo 4 (all’interno del quale rientra la causa di esclusione dei gravi illeciti professionali [lettera c) non può essere superiore a «tre anni dalla data del fatto in questione»).

In senso diverso, lo stesso Consiglio di Stato, Sez. III, 01 giugno 2021, n. 4201, il quale, diversamente da quanto statuito con la sentenza n. 632/2021, ha chiarito che «laddove il legislatore utilizza l’espressione “durata dell’esclusione” e fa riferimento ai “casi di cui al comma 5”, è come se dicesse “la durata del periodo in cui è possibile disporre l’esclusione in base al medesimo fatto rilevante ai sensi del comma 5”, corrisponde al triennio».

Si tratta, dunque, di disposizione che dà adito a possibili dubbi interpretativi, pertanto, in ogni caso, sarebbe auspicabile l’adozione di una formulazione più chiara che individui esattamente la durata della rilevanza ostativa.

2.2.6. La decorrenza del periodo di rilevanza

Quanto al dies a quo, il comma 10-bis dell’articolo 80 del Codice stabilisce che «la durata della esclusione è pari a tre anni, decorrenti dalla data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione ovvero, in caso di contestazione in giudizio, dalla data di passaggio in giudicato della sentenza».

Tale previsione appare, però, in contrasto con l’ultimo periodo del comma in esame, secondo cui «Nel tempo occorrente alla definizione del giudizio, la stazione appaltante deve tenere conto di tale fatto ai fini della propria valutazione circa la sussistenza del presupposto per escludere dalla partecipazione alla procedura l’operatore economico che l’abbia commesso». Ai sensi di detta norma, infatti, una violazione può rilevare quale causa ostativa anche se impugnata e se il giudizio è in corso di definizione, quindi ben prima del passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio.

Pertanto, soltanto nel caso di sospensione cautelare del provvedimento impugnato, potrebbe esserne esclusa la rilevanza. Da ciò, la necessità di riformulare il secondo periodo del comma 10-bis e di individuare chiaramente il dies a quo per ciascuna ipotesi di provvedimento rilevante.

Secondo l’ANAC, sarebbe utile precisare che il triennio decorre, a seconda dei casi, dalla data di adozione del provvedimento di:

  • esclusione da una procedura di affidamento;
  • risoluzione contrattuale per inadempimento;
  • applicazione delle penali; escussione della garanzia;
  • accertamento del grave inadempimento nei confronti del subappaltatore;
  • condanna per illeciti antitrust gravi aventi effetti sulla contrattualistica pubblica e posti in essere nel medesimo mercato oggetto del contratto da affidare adottato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;
  • applicazione della sanzione comminata dall’ANAC ai sensi dell’articolo 213, comma 13, del Codice e iscritti nel Casellario dell’Autorità.

Altro aspetto che bisognerebbe chiarire è se:

  • nel caso delle sentenze di condanna non definitive per reati incidenti sull’integrità o sulla moralità del concorrente, il periodo di esclusione decorra dalla data della sentenza di condanna;
  • nel caso di rinvio a giudizio o di adozione di provvedimenti cautelari per reati di cui al periodo precedente, il periodo di esclusione decorra dal provvedimento che dispone il rinvio a giudizio o la misura cautelare;
  • nonché se nel caso in cui il provvedimento di cui sopra sia impugnato in giudizio, nelle more della definizione dello stesso, la stazione appaltante debba tenere conto della violazione commessa ai fini delle proprie valutazioni, fatti salvi gli effetti sospensivi di eventuali provvedimenti di natura cautelare.

2.2.7. La doppia valutazione della medesima violazione

Il comma 10 – bis dell’articolo 80, del Codice, come noto, prevede che, nel tempo occorrente alla definizione del giudizio, la stazione appaltante debba tenere conto di tale fatto ai fini della valutazione circa la sussistenza del presupposto per escludere dalla partecipazione alla procedura.

La decorrenza dell’interdizione, quindi, non è più collegata al momento del compimento del fatto o del suo accertamento, anche non definitivo, ma al momento dell’esclusione dalla gara che consegue all’accertamento del fatto da parte della stazione appaltante.

La previsione in esame è stata inserita per superare le contestazioni operate sul punto dalla Corte di Giustizia europea nella causa C-41/18, secondo cui «l’articolo 57, paragrafo 4, lettere c) e g), della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale in forza della quale la contestazione in giudizio della decisione di risolvere un contratto di appalto pubblico, assunta da un’amministrazione aggiudicatrice per via di significative carenze verificatesi nella sua esecuzione, impedisce all’amministrazione aggiudicatrice che indice una nuova gara d’appalto di effettuare una qualsiasi valutazione, nella fase della selezione degli offerenti, sull’affidabilità dell’operatore cui la suddetta risoluzione si riferisce». La Corte ha chiarito che, ai sensi dell’articolo 57, paragrafo 5, della direttiva 2014/24, «le amministrazioni aggiudicatrici devono poter escludere un operatore economico in qualunque momento della procedura e non solo dopo che un organo giurisdizionale ha pronunciato la sua sentenza» e che ciò costituisce un indizio ulteriore della «volontà del legislatore dell’Unione di consentire all’amministrazione aggiudicatrice di effettuare la propria valutazione sugli atti che un operatore economico ha commesso o omesso di compiere prima o durante la procedura di aggiudicazione di appalto».

Sta di fatto che la previsione della rilevanza delle fattispecie ostative anche nelle more dell’accertamento definitivo del fatto potrebbe comportare un prolungamento del periodo interdittivo, dal momento che il medesimo fatto può rilevare quale causa ostativa, dapprima, durante il tempo occorrente per la definizione del giudizio e, successivamente, al momento del passaggio in giudicato della sentenza.

Allo scopo di evitare che lo stesso comportamento sia valutato per un periodo eccedente i tre anni, occorrerebbe, quindi, prevedere che il periodo interdittivo si compia al raggiungimento del triennio dal provvedimento di esclusione, anche se ciò interviene prima del passaggio in giudicato della sentenza.

Di conseguenza, il legislatore dovrebbe chiarire che il successivo passaggio in giudicato della sentenza può rilevare come causa ostativa soltanto se il periodo di interdizione triennale non si è ancora compiuto e, in questo caso, rileverà soltanto per il periodo residuo.

Tale soluzione, prospettata nello schema di atto di regolazione, ha incontrato la resistenza di alcuni Stakeholder che vi ravvisano problemi applicativi. Ad esempio, taluni hanno ritenuto che la previsione che impone alle stazioni appaltanti di valutare la circostanza ostativa nelle more del relativo accertamento debba essere interpretata nel senso che se il giudizio dura oltre il triennio di rilevanza, la condotta deve essere valutata anche oltre tale periodo. Per tali motivi, è auspicabile che i necessari chiarimenti intervengano da fonte primaria e che sia inserito un meccanismo che consenta di escludere la rilevanza della medesima fattispecie per periodi eccedenti il triennio.

3. Conclusioni

ANAC, come si è riferito, ha individuato una serie di criticità con cui gli operatori economici e giuridici devono fare i conti pressocché quotidianamente.

La riscrittura del nuovo Codice degli appalti rappresenta l’occasione per revisionarne l’impianto e superare le incertezze interpretative e i dubbi applicativi emersi e mappati dall’Autorità che incidono negativamente, sia sull’attività delle stazioni appaltanti, esponendole al rischio di contenzioso, che sull’operato degli operatori economici, esponendoli al pericolo di dichiarazioni erronee o addirittura false sul possesso dei requisiti di partecipazione.

Del resto, nel vigore sia del precedente che dell’attuale Codice l’impianto normativo in questione ha generato un notevole contenzioso proprio a causa dell’indeterminatezza dei casi che portano all’esclusione e dell’elevata discrezionalità attribuita alle stazioni appaltanti nelle valutazioni di competenza.

La necessità di chiarire quanto sopra si rende tanto più evidente se si considera che le problematiche rappresentate non hanno trovato un’armonica soluzione nemmeno ad opera della giurisprudenza amministrativa.

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Avv. Adriana Presti
Avvocato amministrativista, esperto in contrattualistica pubblica
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