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( votes)Partiamo da un assunto ineludibile. A valle dell’indagine sulla bontà dell’offerta presentata dal concorrente primo graduato, vi è necessariamente da parte della stazione appaltante, l’analisi di congruità complessiva della proposta presentata, sia in termini di puro costo, sia (talvolta) in termini di bilanciamento e rapporto tra qualità e prezzo. Questa diligente attività di analisi, prodromica all’aggiudicazione, ricade sotto l’ombra dell’art. 97 d.lgs. 50/2016, sia essa collegata a “puro calcolo matematico” (offerte matematicamente anomale in ambito di selezione con criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ovvero di aggiudicazione al minor prezzo)[1], sia essa collegata a valutazione autonoma, stante l’esistenza del c.d. fumus di anomalia[2].
Se tutto ciò rappresenta la considerazione di partenza, non ci resta che iniziare ad allargare lo sguardo all’analisi specifica delle offerte e alle caratteristiche delle stesse, salvo poi accorgerci che l’indagine dell’anomalia dell’offerta declina in diverse fattispecie e molteplici aspetti, ed esige tante considerazioni.
- Le caratteristiche dell’offerta e i risvolti in termini di anomalia
Dato per assunto che l’offerta nel suo complesso non possa derogare alle caratteristiche essenziali e indefettibili (ossia i requisiti minimi) delle prestazioni o del bene previste dalla lex specialis della gara e che ciò costituisca una condizione di partecipazione alla procedura selettiva, perché non è ammissibile che il contratto venga aggiudicato a un concorrente che non garantisca il minimo prestabilito che vale a individuare l’essenza stessa della res richiesta. Non costituisce eccezione all’assunto, la circostanza che la lex specialis non disponga espressamente la sanzione espulsiva per l’offerta che presenti caratteristiche difformi da quelle pretese, risolvendosi una simile difformità, in un aliud pro alio che comporta, di per sé, l’esclusione dalla gara, anche in mancanza di un’apposita comminatoria in tal senso[3].
Interessante pronuncia quella del Consiglio di Stato, sez. V, 20.06.2022 n. 5027, il quale rammenta che: per consolidato orientamento giurisprudenziale, il principio di equivalenza di cui all’art. 68 del Codice dei contratti pubblici – che attua l’art. 42 della direttiva 2014/24/UE e permea l’intera disciplina dell’evidenza pubblica, rispondendo, da un lato, ai principi costituzionali di imparzialità, buon andamento e libertà d’iniziativa economica privata e, dall’altro, al principio di libera concorrenza, che vedono quale corollario il favor partecipationis alle pubbliche gare (Cons. Stato, V, 17 febbraio 2022, n.1186; III, 10 febbraio 2022, n. 1006) – è finalizzato a evitare che un’irragionevole limitazione del confronto competitivo fra gli operatori economici precluda l’ammissibilità di offerte aventi oggetto sostanzialmente corrispondente a quello richiesto e tuttavia formalmente privo della specifica prescritta (Cons. Stato, III, 7 gennaio 2022, n. 65; IV, 7 giugno 2021, n. 4353).
In altri termini, il principio di equivalenza presuppone la corrispondenza delle prestazioni del prodotto offerto, ancorché difforme dalle specifiche tecniche indicate dalla stazione appaltante (Cons. Stato, III, 7 luglio 2021, n. 5169; 22 novembre 2017, n. 5426), quale “conformità sostanziale” con le specifiche tecniche, nella misura in cui queste vengano nella sostanza soddisfatte (Cons. Stato, V, 25 marzo 2020, n. 2093): quindi, nell’ambito di una procedura a evidenza pubblica, le caratteristiche minime stabilite nella documentazione di gara non devono intendersi come vincolanti nel quomodo, ma soltanto quoad effectum, nel senso che le offerte sono ritenute rispettose della lex specialis laddove siano, comunque, capaci di conseguire il fine ultimo dell’affidamento (Cons. Stato, IV, n. 4353 del 2021, cit.).
Ne deriva, sul piano applicativo, che la stazione appaltante opera il giudizio di equivalenza sulle specifiche tecniche dei prodotti offerti in gara non attenendosi a riscontri formalistici, bensì sulla base di criteri di conformità sostanziale delle soluzioni tecniche offerte; deve all’uopo registrarsi una conformità di tipo funzionale rispetto alle specifiche tecniche indicate dal bando: specifiche che, in questo modo, “vengono in pratica comunque soddisfatte” (Cons. Stato, III, 2 settembre 2013, n. 4364; 29 marzo 2018, n. 2013).
I limiti dell’applicazione del principio di equivalenza individuati dalla giurisprudenza sono strettamente connessi alla sua ratio. Se, infatti, il principio è diretto ad evitare che le norme obbligatorie, le omologazioni nazionali e le specifiche tecniche possano essere artatamente utilizzate per operare indebite esclusioni dalla gare pubbliche, fondate sul pretesto di una non perfetta corrispondenza delle soluzioni tecniche offerte con quelle richieste, ne viene come diretta conseguenza che esso, quale misura diretta ad assicurare che la valutazione della congruità tecnica dell’offerta non si risolva in una verifica formalistica ma consista nell’apprezzamento della sua conformità sostanziale alle specifiche tecniche inserite nella lex specialis, non possa essere invocato per ammettere offerte tecnicamente inappropriate (Cons. Stato, III, 2 marzo 2018 n. 1316) o che comprendano soluzioni che, sul piano oggettivo funzionale e strutturale, non rispettino le caratteristiche tecniche obbligatorie, configurandosi come un aliud pro alio (Cons. Stato, III, 9 febbraio 2021, n. 1225/2021; V 25 luglio 2019, n. 5258; III, 28 settembre 2018, n. 5568).
La tematica in realtà porta poi con se un altro elemento non trascurabile, occorre misura, oculatezza, attenzione, nel predisporre dunque l’offerta. Occorre evitare di commettere errori pratici e tecnici di commistione degli elementi dell’offerta qualitativa e quantitativa, scongiurando rischi anticipatori.
Lo ricorda un recente Tar Toscana – Firenze, Sez. I, 5 maggio 2022, n. 612, il quale anzitutto ribadisce proprio il divieto di commistione tra le componenti dell’offerta, ribadendo che esso non va inteso in senso assoluto, bensì relativo, con indagine da condurre in concreto; né può essere interpretato in maniera indiscriminata, al punto da eliminare ogni possibilità di obiettiva interferenza tra l’aspetto tecnico e quello economico dell’appalto posto a gara, attesa l’assenza di una precisa norma di legge che impedisca l’inserimento di elementi economici nell’offerta tecnica, a meno che uno specifico divieto non sia in via espressa ed inequivocabile contenuto nella disciplina di gara (TAR Bari, sez. III, 17 marzo 2020, n. 388; T.A.R. Roma, sez. I, 7 gennaio 2020, n. 58; Cons. Stato, sez. V, 12 novembre 2015 n. 5181; id., 21 novembre 2017 n. 5392; id., sez. III, 3 aprile 2017 n. 1530).
Inoltre, in ossequio ai più recenti orientamenti giurisprudenziali e nell’ambito della propria discrezionalità, la Stazione appaltante ha valutato la congruità dell’offerta in modo globale e sintetico, senza concentrarsi esclusivamente in modo parcellizzato sulle singole voci, dal momento che l’obiettivo dell’indagine è l’accertamento dell’affidabilità dell’offerta nel suo complesso e non già delle singole voci che la compongono (Cons. Stato Sez. V, 12/03/2020, n. 1772).
Ed allora comprendiamo come lo spettro di indagine si faccia sempre più ampio, al punto che il comma 6 dell’art. 97 del Codice, stimola la stazione appaltante ad una riflessione e ad un approfondimento necessario, specie quando l’offerta proposta annulla i limiti posti dalla stessa amministrazione in sede di redazione della documentazione di gara.
Pensiamo in tal senso alla pronuncia del Consiglio di Stato, sez. III, 26 maggio 2022 n. 4225 e Consiglio di Stato, Sez. III, 26 maggio 2022, n. 4236 (che per quanto non direttamente connessa stretto senso all’anomalia, è significativa in senso ampio), avente ad oggetto l’offerta tempo, la sua estrema riduzione in seno alla proposta del concorrente, fino al completo azzeramento. L’estremizzazione che diviene inattendibilità complessiva dell’offerta tutta, poiché non conforme sul piano effettuale alle esigenze della stazione appaltante. Una proposta che apparentemente migliorativa, punta a favorire tempi così contenuti da rendere del tutto irrealistico il loro rispetto, allora l’offerta non è più migliorativa ma diventa tecnicamente impossibile, e pertanto va sanzionata anziché premiata[4].
- Limiti al sindacato dell’offerta tecnico-economica
Tutto questo stimola una domanda fondamentate, esiste un limite tra il potere della stazione appaltante di sindacare l’offerta tecnica ed economica del concorrente e dall’altro lato, la libertà di auto-organizzazione imprenditoriale dell’impresa in gara?
La risposta è certamente, si.
Interessante in tal senso la recente pronuncia del TAR Lazio-Roma, Sez. II, Sentenza 24 maggio 2022, n. 6688, la quale sostiene che è necessario individuare i confini generali fino ai quali può spingersi il potere della stazione appaltante di sindacare l’offerta del concorrente ogniqualvolta venga in rilievo un profilo attinente all’organizzazione del fattore produttivo “lavoro”. Il che sottintende un’operazione di complesso bilanciamento tra due polarità costituzionali potenzialmente contrapposte, da un lato i principi di buon andamento della pubblica amministrazione e tutela del lavoro[5] (artt. 97, 4, 35 e 36 Cost.) e dall’altro lato la libertà di iniziativa economica dell’imprenditore (art. 41 Cost.). In virtù di ciò vi sono elementi di indagine che il Giudice tende a verificare in sede valutativa, essi sono:
(a) l’applicazione della clausola sociale inserita nel bando di gara (cfr. ex multis Consiglio di Stato 10 giugno 2019 n. 3885);
(b) la scelta imprenditoriale di adottare uno specifico contratto collettivo piuttosto che un altro (cfr. ex multis Consiglio di Stato 13 ottobre 2015 n. 4699);
(c) la scelta imprenditoriale di adottare contratti di lavoro a causa mista lavoro/formazione (cfr. ex multis Consiglio di Stato 18 gennaio 2016 n. 143);
(d) la correttezza dell’inquadramento professionale della forza lavoro assunta con contratti di lavoro dipendente (cfr. ex multis Consiglio di Stato 15 novembre 2021 n. 7596);
(e) gli scostamenti del costo del lavoro rispetto ai parametri medi delle tabelle ministeriali; (f) la correttezza della qualificazione autonoma o libero-professionale dei rapporti di lavoro dichiarati dal singolo concorrente (cfr. Consiglio di Stato 25 marzo 2019 n. 1979, TAR Puglia-Lecce 2 novembre 2021 n. 1584, TAR Sardegna 5 febbraio 2019 n. 94, TAR Lazio, Sezione Terza, 25 febbraio 2015 n. 3294).
Ciò che unisce questi orientamenti può essere sinteticamente compendiato nell’assoluta centralità della libertà di iniziativa economica dell’imprenditore (intesa soprattutto nella sua accezione euro-unitaria di libertà di concorrenza), nel senso cioè che la stazione appaltante non può mai imporre al concorrente un particolare modello di organizzazione del lavoro, quale che sia il modo con cui tale imposizione viene esercitata (ad esempio attraverso la prescrizione di un particolare tipo di contratto di lavoro o di CCNL o del livello di inquadramento).
Come ogni diritto di rango costituzionale, tuttavia, anche quello sin qui tratteggiato incontra un limite estremo ed invalicabile, e cioè l’esigenza di evitare che esso sconfini abusivamente nella lesione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e nel pregiudizio dei diritti sociali costituzionalmente tutelati (artt. 4, 35 e 36 Cost.).
Tali opposti principi costituzionali prevalgono infatti sulla libertà di auto-organizzazione imprenditoriale (legittimando quindi un sindacato della stazione appaltante sull’organizzazione del lavoro del concorrente) ogniqualvolta le concrete modalità di svolgimento del servizio oggetto di affidamento pubblico, così come analiticamente declinate nella lex specialis di gara, appaiono evidentemente inconciliabili con la specifica matrice organizzativa impressa dal singolo concorrente alla propria forza lavoro.
Ciò senza dimenticare che la scelta imprenditoriale di adottare un particolare tipo di contratto di lavoro (oggettivamente inconciliabile con la lex specialis) può talvolta consentire al singolo concorrente di eludere i maggiori costi retributivi, contributivi e fiscali che sono invece sottesi al diverso modello contrattuale reso necessario dalle specifiche tecniche di gara, così realizzando non soltanto un pregiudizio all’interesse pubblico della stazione appaltante, ma anche una forma di “dumping” ad un tempo lesiva del leale gioco concorrenziale e dei diritti sociali.
Con riferimento al caso di specie, la giurisprudenza amministrativa ritiene che il costo del lavoro autonomo non è sottratto al controllo di anomalia e che, soltanto laddove manchi un parametro normativo di congruità direttamente applicabile al rapporto di lavoro autonomo oggetto di verifica, la stazione appaltante può prendere a riferimento (sempre in chiave orientativa e non rigidamente vincolante) la contrattazione collettiva applicabile ai rapporti di lavoro subordinato aventi ad oggetto mansioni analoghe. Ciò ovviamente previa sterilizzazione degli effetti del diverso regime contributivo e retributivo applicabile a questi ultimi rapporti (sterilizzazione resa necessaria non soltanto da evidenti ragioni logiche, ma anche, come detto, dal carattere non vincolante del parametro collettivo in esame applicato ai rapporti di lavoro autonomo)[6].
Insomma, l’istituto della valutazione complessiva dell’offerta anomala non è affare di poco conto, esige una valutazione strutturata e articolata che non po’ e non deve essere derubricata a mera analisi dei costi proposti dal concorrente. Essa rimanda ad un sindacato più approfondito e contestualizzato, tanto da poter consentire legislativamente un supporto pratico e professionale al responsabile del procedimento in sede di sub procedimento valutativo, utile ad integrare e potenziare le necessarie competenze di quest’ultimo nel tratto finale dell’iter valutativo.
[1] Si ricorda a tal proposito che sul punto, si apre una parentesi Giurisprudenziale non di secondaria importanza, attinente le previsioni del comma 15 dell’art. 97 d.lgs. 50/2016, si richiama sul punto la recentissima sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 23.05.2022 n. 4056 in tema di cristallizzazione della soglia. Al riguardo, va confermato il principio – dal quale non v’è evidente ragione di discostarsi, nel caso di specie – secondo cui “la c.d. cristallizzazione della soglia d’anomalia, che trasposta sul piano pratico si traduce nell’impossibilità ex post d’individuare – per effetto di sopravvenienze maturate successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte – una nuova soglia di anomalia mediante il ricalcolo delle offerte, non è ex se preclusiva della possibilità di rimettere in discussione gli esiti della procedura di gara”.
Diversamente argomentando, il “fatto compiuto” derivante dalla determinazione delle medie, laddove a monte di questa si sia consumata un’illegittimità che abbia avuto rilievo decisivo in tale operazione aritmetica, assumerebbe un ruolo dirimente in grado di frustrare i principi che conformano l’azione amministrativa e, prima ancora, di sovvertite la gerarchia assiologica dei valori ad essi sottesi (in termini, Cons. Stato, V, 13 febbraio 2017, n. 590; V, 16 marzo 2016, n. 1052).
Va ricordato, in proposito (ex multis, Cons. Stato, V, 2 settembre 2019, n. 6013), che il principio di invarianza su cui si verte è stato introdotto con l’art. 38, comma 2-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006 e quindi riprodotto nel vigente Codice dei contratti pubblici, all’art. 95, comma 15, per evitare che le variazioni sulle ammissioni/esclusioni dalle gare, ancorché accertate giurisdizionalmente, sortissero effetti in punto di determinazione delle medie e delle soglie di anomalia, da ritenersi ormai cristallizzate – alla luce di un consolidato orientamento giurisprudenziale – al momento dell’aggiudicazione.
Tale regola risponde all’esigenza di sterilizzare (ex multis, Cons. Stato, III, 22 febbraio 2017, n. 841) l’alterazione della trasparenza e della correttezza del confronto concorrenziale, potenzialmente correlata alla partecipazione di fatto di un concorrente solo successivamente estromesso della gara, rendendo irrilevante “la promozione di controversie meramente speculative e strumentali da parte di concorrenti non utilmente collocatisi in graduatoria mossi dall’unica finalità, una volta noti i ribassi offerti e quindi gli effetti delle rispettive partecipazioni in gara sulla soglia di anomalia, di incidere direttamente su quest’ultima traendone vantaggio” (Cons. Stato, V, 30 luglio 2018, n. 4664).
Il criterio di cui trattasi – espressione, tra l’altro, del principio di conservazione degli atti giuridici – nel corso del tempo è stato via via precisato, quanto a presupposti ed ambito applicativo, nella sua reale portata, tanto più in seguito all’entrata in vigore dell’art. 120, commi 2-bis e 6-bis Cod. proc. amm., comportanti l’onere di immediata impugnazione delle ammissioni o delle esclusioni dalla gara.
Muovendo da un tal ordine di cose, la giurisprudenza ha quindi potuto precisare l’autonomia e la specificità della fase di ammissione ed esclusione, le quali – tanto più in aggiunta alla previsione di un apposito rito accelerato – ostavano alla configurazione, già in tale contesto, di una qualsiasi “cristallizzazione delle medie”, dal momento che l’eventuale accoglimento delle impugnazioni, “in una fase della gara nella quale l’ammissione non si è ancora stabilizzata per essere ancora sub iudice, non può non retroagire, una volta accolta, al momento della illegittima ammissione, tempestivamente impugnata, in quanto, diversamente ritenendo, la stabilizzazione della soglia sarebbe “sterilizzata” da ogni eventuale illegittimità di una ammissione o esclusione tempestivamente contestata” (Cons. Stato, III, 27 aprile 2018, n. 2579).
Invero, una volta preso atto che l’art. 95, comma 15 cit. individua, quale momento idoneo a “cristallizzare” le offerte, la definizione in sede amministrativa della “fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte”, deve logicamente riconoscersi che la fase in questione non può ritenersi conclusa “almeno finché non sia spirato il termine per impugnare le ammissioni e le esclusioni” e, comunque, “finché la stessa stazione appaltante non possa esercitare il proprio potere di intervento di autotutela ed escludere ‘un operatore economico in qualunque momento della procedura’ (art. 80, comma 6, del d. lgs. n. 50 del 2016) e, quindi, sino all’aggiudicazione (esclusa, quindi, l’ipotesi di risoluzione “pubblicistica” di cui all’art. 108, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016, successiva alla stipula del contratto)” (così Cons. Stato, III, 27 aprile 2018, n. 2579).
Ne consegue, altrettanto logicamente, che le variazioni intervenute nella platea dei concorrenti per effetto della riammissione in gara di soggetti in precedenza illegittimamente esclusi, attengono ancora alla fase di ammissione e/o esclusione delle offerte (contestualmente alla proposta di aggiudicazione) – in quello stadio non ancora conclusa – ossia ad una fase che l’art. 95 comma 15 ancora non sottopone all’applicazione del principio di invarianza (in termini, Cons. Stato, V, 2 settembre 2019, n. 6013; da ultimo, Cons. Stato, V, 10 marzo 2021, n. 2047).
Del resto, la ratio perseguita dall’art. 95 comma 15 cit. riposa “nell’esigenza di impedire impugnazioni di carattere strumentale, in cui il conseguimento dell’aggiudicazione è ottenibile non già per la portata delle censure dedotte contro gli atti di gara e per la posizione in graduatoria della ricorrente, ma solo avvalendosi degli automatismi insiti nella determinazione automatica della soglia di anomalia” (Cons. Stato, V, 12 febbraio 2020, n. 1117; V, 23 novembre 2020, n. 7332); invero, proprio il riferimento testuale dell’art. 95 comma 15 cit. alla fase di regolarizzazione conferma la possibilità, per l’amministrazione, di eventualmente regolarizzare – prima di procedere all’aggiudicazione della gara – eventuali offerte affette da mere irregolarità non invalidanti (per tali suscettibili di essere sanate: ex multis, Cons. Stato, V, 22 gennaio 2021, n. 683).
[2] Concetto ormai datato in giurisprudenza, si veda in tal senso TAR Sardegna, sez. I, sentenza n. 691/14 “La verifica facoltativa di anomalia, prevista dall’art. 86, comma 3, Codice dei contratti pubblici (d.lgs n. 163/2006), deve fondarsi su di un fumus, un sospetto di anomalia, correlato ad elementi specifici. Quindi, la verifica facoltativa deve essere motivata, al fine di evitare arbitrii ed abusi da parte delle stazioni appaltanti, oltre che per ragioni di economia dei mezzi giuridici”.
[3] Tribunale Regionale Giustizia Amministrativa Trentino Alto Adige Bolzano 3 maggio 2022 n. 127 – il principio dell’esclusione dell’offerta per difformità dai requisiti minimi, anche in assenza di espressa comminatoria di estromissione della procedura selettiva, non può che valere nei casi in cui la disciplina di gara prevede qualità del prodotto che con assoluta certezza si qualifichino con caratteristiche minime, vuoi perché espressamente definite come tali nella disciplina stessa, vuoi perché la descrizione che se ne fa nella disciplina di gara è tale da farle emergere come qualità essenziali della prestazione richiesta.
[4] Sul punto anche Delibera n. 26 del 18 gennaio 2017 – ha affermato che un’offerta tecnica connotata da riduzione dei tempi contrattuali tale da rendere la prestazione tecnicamente impossibile sia da ritenere inammissibile.
[5] La tematica entra prepotentemente in ballo se consideriamo gli obblighi gravanti sui concorrenti in sede di gara, derivanti dall’art. 95 co. 10 del d.lgs. 50/2016 e le verifiche di congruità strettamente connesse al costo del lavoro e dei presidi di sicurezza, giusta previsione dell’art. 97 co. 5 lett. c) e d) del d.lgs. 50/20106.
[6] La tematica porta con se altri e ulteriori spunti dal tenore giuslavoristico circa l’imputabilità in termini di costo del personale di soggetti dipendenti più o meno stabilmente con l’operatore economico nell’ambito della commessa affidata. Risulta affermato costantemente in giurisprudenza che l’obbligatoria indicazione dei costi della manodopera in offerta si impone solo per i dipendenti impiegati stabilmente nella commessa, in quanto voce di costo che può essere variamente articolata nella formulazione dell’offerta per la specifica commessa; non è così, invece, per le figure professionali impiegate in via indiretta, che operano solo occasionalmente, ovvero lo fanno in maniera trasversale a vari contratti (ad es. il direttore del servizio), il cui costo non si presta ad essere rimodulato in relazione all’offerta da presentare per il singolo appalto (TAR Firenze, 19.04.2022 n. 525; TAR Roma, 12.07.2021 n.8261; Consiglio di Stato, sez. V, 03.11.2020 n. 6786 e sez. III, 26.10.2020 n. 6530).