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Breve commento alla Delibera ANAC n. 625 del 7 giugno 2017: il contratto di sponsorizzazione deve costituire un’opportunità sia per lo sponsor, che per la PA e quest’ultima deve stimare anche il ritorno d’immagine che lo sponsor ottiene dal suo gesto di mecenatismo.Breve commento alla Delibera ANAC n. 625 del 7 giugno 2017: il contratto di sponsorizzazione deve costituire un’opportunità sia per lo sponsor, che per la PA e quest’ultima deve stimare anche il ritorno d’immagine che lo sponsor ottiene dal suo gesto di mecenatismo.Breve commento alla Delibera ANAC n. 625 del 7 giugno 2017: il contratto di sponsorizzazione deve costituire un’opportunità sia per lo sponsor, che per la PA e quest’ultima deve stimare anche il ritorno d’immagine che lo sponsor ottiene dal suo gesto di mecenatismo.


1. La vicenda contrattuale e la sua disamina, alla luce del quadro normativo di riferimento

Con la Delibera n. 625 del 7 giugno 2017, l’ANAC ha affrontato il tema del contratto di sponsorizzazione, cogliendo l’occasione per puntualizzarne la natura ed i confini, in particolare distinguendolo dal contratto di locazione di spazi pubblicitari, con il quale la sponsorizzazione condivide parte della causa tipica.

La Delibera dell’Autorità prende le mosse da un contratto di sponsorizzazione stipulato dal Comune di Napoli, avente ad oggetto la ristrutturazione (inclusa i relativi progettazione e collaudo) di 27 immobili a carattere storico – artistico, a fronte della fruizione degli spazi pubblicitari – per tutta la durata dei lavori – sugli immobili ristrutturati. Il Comune, inoltre, per favorire la fruizione dello strumento della sponsorizzazione, autorizzava la neutralità della Cosap, nelle aree impegnate dai lavori, per tutta la durata contrattuale degli interventi.

Nel complesso, quindi, il Comune aveva così inteso compensare i costi della ristrutturazione sostenuti dagli sponsor, per l’ammontare previsto di oltre tre milioni e mezzo di euro.

Tuttavia, anche a causa di ritardi nella predisposizione degli atti autorizzatori di concerto con la Soprintendenza, i lavori – in alcuni casi, consegnati in ritardo – si sono protratti ben oltre i tempi contrattualmente previsti, e così di pari passo anche l’utilizzo degli spazi pubblicitari, con la conseguenza che un’associazione territoriale si è rivolta all’Autorità, appellandosi alla sua funzione di vigilanza sui contratti pubblici e sollevando il problema della legittimità di tale sponsorizzazione.

L’ANAC, da parte sua, si è espressa con la Deliberazione in esame, con la quale – innanzitutto – fa’ solo un lieve accenno alla propria competenza in materia di vigilanza: in verità, si sarebbe potuto esaminare più a fondo il tema dell’intervento dell’Autorità nell’ambito di un contratto che è ex lege sottratto all’osservanza del codice dei contratti pubblici. Inoltre, l’ANAC si è premurata di evidenziare che la vicenda esaminata – pur riferendosi al quadro normativo del previgente codice dei contratti pubblici – era tuttavia da considerarsi valida anche nell’ottica di fornire indicazioni utili per l’impostazione di procedure simili in futuro (dunque, anche alla luce della disciplina recata dal d.lgs. n. 50/2016).

L’attuale Codice, infatti, condivide con il precedente, sia la scelta di distaccare la disciplina della sponsorizzazione dall’osservanza delle norme sui contratti pubblici, sia quella di delineare in modo sommario i tratti rilevanti di tale istituto. L’intervento chiarificatore dell’Autorità, quindi, si può leggere quale opportuna integrazione o chiarimento delle norme codicistiche (sia previgenti, che attuali), tale da consentire – come nel caso di specie – di distinguere forme “genuine” di contratto di sponsorizzazione, da altre tipologie contrattuali – assimilabili ad esso solo per alcuni aspetti ed effetti -.

L’opera di ricostruzione effettuata dall’Autorità inizia dalla ricerca della causa tipica del contratto di sponsorizzazione, che il legislatore non enuncia con chiarezza, né nell’art. 26 d.lgs. n. 163/2006, né nell’art. 29 d.lgs. n. 50/2016: l’ANAC, dunque, si trova ad operare su un tessuto normativo cedevole, nel tentativo di consolidare i capisaldi dell’istituto.

La Delibera in esame conclude censurando il contratto di sponsorizzazione stipulato dal Comune di Napoli, in quanto esso ha sottovalutato la controprestazione offerta dal Comune stesso in termini di sfruttamento degli spazi pubblicitari, consentendo allo sponsor un indebito arricchimento, non adeguatamente controllato da clausole contrattuali che disciplinassero le criticità insorte nella fase esecutiva del contratto.

2. Breve raffronto fra l’art. 26 d.lgs. n. 163/2006 e l’art. 29 d.lgs. n. 50/2016

A questo punto – tenuto presente che in nessuna versione del codice appalti è mai stato definito il contratto di sponsorizzazione – per meglio apprezzare le conclusioni raggiunte nella Delibera dell’Autorità, occorre brevemente premettere un raffronto fra la previgente disciplina codicistica e quella recata dall’attuale codice appalti, onde sintetizzare i tratti salienti della fattispecie contrattuale.

L’art. 26 d.lgs. n. 163/2006 si preoccupa di definire quali sono le parti del contratto, affermando che “i contratti di sponsorizzazione … di cui siano parte un’amministrazione aggiudicatrice o altro ente aggiudicatore e uno sponsor che non sia un’amministrazione aggiudicatrice o altro ente aggiudicatore, aventi ad oggetto i lavori di cui all’allegato I, nonché gli interventi di restauro e manutenzione di beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici sottoposti a tutela …” ed aggiunge che “l’amministrazione aggiudicatrice o altro ente aggiudicatore beneficiario delle opere, dei lavori, dei servizi, delle forniture, impartisce le prescrizioni opportune in ordine alla progettazione, nonché alla direzione ed esecuzione del contratto”. Ma soprattutto, afferma che “si applicano i principi del Trattato per la scelta dello sponsor nonché le disposizioni in materia di requisiti di qualificazione dei progettisti e degli esecutori del contratto. … Ai contratti di sponsorizzazione di lavori, servizi e forniture aventi ad oggetto beni culturali si applicano altresì le disposizioni dell’articolo 199 bis del presente codice.”.

L’art. 29 d.lgs. n. 50/2016, invece, da per scontata la definizione delle parti e si concentra sull’oggetto del contratto; afferma, infatti, che “L’affidamento di contratti di sponsorizzazione di lavori, servizi o forniture per importi superiori a quarantamila euro, mediante dazione di danaro o accollo del debito, o altre modalità di assunzione del pagamento dei corrispettivi dovuti, è soggetto esclusivamente alla previa pubblicazione sul sito internet della stazione appaltante, per almeno trenta giorni, di apposito avviso, con il quale si rende nota la ricerca di sponsor per specifici interventi, ovvero si comunica l’avvenuto ricevimento di una proposta di sponsorizzazione, indicando sinteticamente il contenuto del contratto proposto. Trascorso il periodo di pubblicazione dell’avviso, il contratto può essere liberamente negoziato, purché nel rispetto dei principi di imparzialità e di parità di trattamento fra gli operatori che abbiano manifestato interesse, fermo restando il rispetto dell’articolo 80. Nel caso in cui lo sponsor intenda realizzare i lavori, prestare i servizi o le forniture direttamente a sua cura e spese, resta ferma la necessità di verificare il possesso dei requisiti degli esecutori, nel rispetto dei principi e dei limiti europei in materia e non trovano applicazione le disposizioni nazionali e regionali in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, ad eccezione di quelle sulla qualificazione dei progettisti e degli esecutori. La stazione appaltante impartisce opportune prescrizioni in ordine alla progettazione, all’esecuzione delle opere o forniture e alla direzione dei lavori e collaudo degli stessi.”

Il vigente codice, quindi, amplia la portata dell’oggetto, sino a ricomprendere anche la sponsorizzazione finanziaria (effettuata tramite dazione di denaro o accollo dei costi sostenuti per la ristrutturazione), che si distingue dalla precedente, denominata “tecnica” (che si “fermava” all’esecuzione dei lavori).

In entrambe le versioni, dunque – oltre alla mancata definizione degli elementi strutturali del contratto, per favorirne l’elasticità sino a ricomprendere ogni apprezzabile forma di mecenatismo –, è decisione del legislatore sottrarre la fattispecie contrattuale all’applicazione del codice dei contratti pubblici, salvo che per la qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori e per la verifica dei requisiti morali.

Proprio tale previsione, evidentemente tesa a favorire l’espansione di tale tipologia contrattuale (anche oltre i limiti geopolitici segnati dall’art. 49 d.lgs. n. 50/2016), è stata incisa dalla Delibera ANAC in esame, che ne ha ridimensionato la portata sostituendo il “mecenatismo” con il “pragmatismo”.

3. L’interpretazione dell’ANAC sulla struttura del contratto di sponsorizzazione e le censure all’operato del Comune

Alla luce delle considerazioni che precedono, ci si chiede come sia possibile che uno strumento contrattuale tanto ampio – cioè, strutturato in modo così versatile dallo stesso legislatore – possa risultare, all’esame dell’Autorità, “non correttamente applicato”.

La criticità si spiega perché il Comune di Napoli non avrebbe correttamente identificato la causa giuridica del contratto, spostando l’attenzione sull’aspetto della messa a disposizione degli spazi pubblicitari, come controprestazione dei lavori di ristrutturazione eseguiti dagli sponsor: a riprova di ciò, infatti, aveva computato la base d’asta con lo stesso valore dei lavori da eseguirsi.

Questo, però, secondo l’ANAC corrisponde alla causa giuridica di un contratto di locazione di spazi pubblicitari, che è ben diverso dalla sponsorizzazione; quest’ultima, infatti, pone al centro la rilevanza intrinseca dei beni per la cui conservazione si attiva lo sponsor, che prescinde dall’ammontare dei lavori da eseguirsi.

Secondo l’esegesi dell’Autorità, infatti, la struttura del contratto di sponsorizzazione è molto più rigida e definita di quanto emerga dalla piana lettura del codice dei contratti pubblici: “l’istituto è altresì disciplinato dall’art. 120 del d.lgs. 42/2004, recante il Codice dei Beni culturali e del Paesaggio, e dal Decreto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali del 19.12.2012 («Approvazione delle norme tecniche e linee guida in materia di sponsorizzazioni di beni culturali e di fattispecie analoghe o collegate») pubblicato in G.U.R.I. n. 60 del 12.03.2013 – che, al di fuori degli ambiti attinenti alla tutela del patrimonio culturale, ha valenza di atto di contenuto orientativo per le Stazioni appaltanti estranee al Ministero. Come è stato ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza amministrativa e dalla soppressa AVCP, il contratto di sponsorizzazione è un contratto atipico a prestazioni corrispettive mediante il quale lo sponsor offre le proprie prestazioni nei confronti della Pubblica amministrazione (sponsee), la quale si obbliga verso il primo a pubblicizzare in appositi spazi nome, logo, marchio o prodotti durante lo svolgimento di determinate attività (cfr. Delibera Avcp n. 48/2008). In altri termini, la controprestazione a favore dello sponsor consiste nel beneficio derivante dall’associazione del prodotto, del marchio o della ditta ad un bene o ad un evento (nel caso più ricorrente, il restauro di beni monumentali) cui si attribuisce una speciale rilevanza.  … si tratta di sponsorizzazione quando l’iniziativa ha «lo scopo di promuovere il nome, il marchio, l’immagine, l’attività o il prodotto dell’attività del soggetto erogante».”.

A giudizio dell’Autorità, il Comune ha deviato dallo schema contrattuale della sponsorizzazione nel momento in cui ha legato i costi della ristrutturazione alla concessione degli spazi pubblicitari sui monumenti ristrutturati: in tal modo, infatti, aumentando i tempi di esecuzione dei lavori – anche per ragioni indipendenti dalla volontà dello sponsor e/o del Comune – aumentava di conseguenza anche la durata del tempo in cui lo sponsor fruiva della “vetrina privilegiata” costituita dagli immobili monumentali.

In altri termini, ogni problematica insorta in sede di esecuzione, aumentava la durata della fruizione degli spazi pubblicitari … così mutuando – per giunta senza il necessario corredo di penali contrattuali, clausole risolutive e matrici di rischio – la disciplina delle concessioni.

Dunque – questo il nucleo della Deliberazione in esame -, senza tenere conto il valore aggiunto ed intrinseco dei monumenti sui quali lo sponsor operava, valore che rende la controprestazione della sponsorizzazione ben più elevata del semplice “rimborso dei costi” delle ristrutturazioni.

Lo sponsor stesso, infatti, beneficiava non solo della visibilità data dall’utilizzo degli spazi pubblicitari, ma – di fatto – anche di quella (ben più ampia!) di associare il proprio marchio all’immagine che gli stessi beni ristrutturati hanno a livello globale, per effetto degli eventi che i beni ospitano o in conseguenza della loro immagine riflessa nelle fotografie dei turisti che li visitano.

A questo punto, tenuto conto di tale valore “aggiuntivo”, la sponsorizzazione si distingue – proprio per la sua causa giuridica, che razionalizza il mecenatismo verso il recupero di uno o più monumenti – da altri contratti che hanno un effetto analogo, quale appunto la locazione di spazi pubblici.

E nel distinguersi, la sponsorizzazione deve fornirsi di un apparato di clausole – soprattutto in materia di penali – che le permettano di non “appiattire” la propria natura, sino a confondersi con altre fattispecie, svalutando il connotato del mecenatismo che è la sua connotazione principale.

Questa è la critica che l’Autorità muove nei confronti del caso sottoposto alla sua attenzione: l’amministrazione, infatti, avrebbe dovuto definire un valore più adeguato al contratto di sponsorizzazione, promuovendo anche controlli sin fase di esecuzione, per evitare che lo sponsor moltiplicasse le controprestazioni in termini pubblicitari in conseguenza delle variabili accadute in fase di esecuzione.

4. Conclusioni

Enunciato il principio per cui “la determinazione dell’importo contrattuale deve essere ancorata all’effettivo valore della controprestazione, resa dall’amministrazione pubblica” e “gli enti devono quindi chiarire sempre puntualmente nel bando e nel successivo contratto di sponsorizzazione quali siano le controprestazioni offerte allo sponsor. … inoltre … l’importo a base della procedura di selezione, non può essere automaticamente identificata nel valore dei lavori … da eseguire, ma deve tenere conto soprattutto del valore del ritorno pubblicitario e di immagine (in senso lato) ritraibile dall’abbinamento del nome o del marchio d’impresa agli interventi da realizzare, che è, in sintesi, il valore che l’impresa candidata intende acquistare con la sua offerta.”, l’ANAC, però, non offre alcun elemento per poter effettuare oggettivamente tale stima, lasciando così “in sospeso” la portata precettiva della propria Deliberazione.

Nei futuri casi di utilizzo del contratto di sponsorizzazione, perciò, sarà lasciata all’interprete la valutazione del “maggior valore” del ritorno pubblicitario ottenuto dallo sponsor; ciò potrebbe costituire un fattore di disincentivo all’utilizzo di tale strumento contrattuale, non essendovi criteri oggettivi che pongano l’Amministrazione al riparo da critiche analoghe a quelle contenute nella Deliberazione in commento.

Il che sarebbe in contrasto con lo spirito delle norme regolatrici della materia, ma sarebbe soprattutto un’occasione tristemente sprecata per i tanti monumenti presenti nel nostro Paese, endemicamente bisognosi di restauri.

Nell’incertezza, la strada indicata dall’Autorità consiste nel rafforzare la fase della progettazione e del collaudo, avocando in capo all’Amministrazione sia il compito di fornire indicazioni stringenti per la progettazione, sia di riservarsi la nomina del collaudatore.

Inoltre, il confronto concorrenziale per la selezione dello sponsor, dovrebbe premiare la migliore offerta – in termini di riduzione dei tempi di esecuzione dei lavori di ristrutturazione e, soprattutto, in ordine al corrispettivo in termini di spazi pubblicitari – per consentire di attribuire un valore anche al mecenatismo.

Come a dire che la figura del mecenate, ai sensi del d.lgs. n. 50/2016, non è più  quella di un soggetto che è ispirato solo da nobiltà d’animo, ma – più concretamente -, riceve il compenso di “abbinare” il proprio marchio a monumenti famosi a livello globale.

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Avv. Emanuela Pellicciotti
Esperta in infrastrutture e contratti pubblici
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