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Il codice dei contratti chiarisce il nuovo regime giuridico di aggiudicazione dei servizi legali ponendo fine alle varie teorie e, soprattutto, alla “domestica” distinzione tra incarico di rappresentanza singolo e pluralità di incarichi. Com’è noto, solo i secondi – secondo la giurisprudenza amministrativa e la Corte dei Conti – venivano ricondotti nella nozione di appalti pur esclusi dall’applicazione integrale del codice. Le nuove disposizioni in realtà – come anche già confermato dalla giurisprudenza e dalla stessa prassi della Corte dei Conti – consentono di distinguere tra gli incarichi legali di cui all’articolo 17, comma 1, lett. d) – riconducibili tra gli appalti esclusi che debbono essere aggiudicati secondo procedimenti trasparenti con applicazione dei classici principi di cui all’articolo 4 del codice – e i servizi legali indicati nell’allegato IX a cui si applicano procedure ad evidenza pubblica “alleggerite” stabilite dal codice dei contratti (art. 140 e segg.). Pertanto, gli incarichi legali rientrano a pieno titolo – sia che si tratti della classica rappresentanza in giudizio, sia che si tratti di incarichi legali di consulenza stragiudiziale – nella nozione di appalto di servizi, soggetti pertanto alla richiesta di CIG ed a tutte le implicazioni. Tra le vari implicazioni, particolare rilievo presenta la questione del criterio di aggiudicazione alla luce, soprattutto, delle rilevanti modifiche apportate all’articolo 95 dal decreto legislativo correttivo n. 56/2017. L’analisi che segue, verrà condotta anche alla luce delle importanti considerazioni dell’ANAC espresse nel documento – nello schema di linee guida – relativo agli affidamenti dei servizi legali, preludio ad un atto di regolazione di particolare importanza per le stazioni appaltanti che necessitano di più chiare indicazioni guida sui procedimenti di affidamento che possono essere utilizzati.
1. La qualificazione giuridica in termini di appalto dell’incarico legale
Le disposizioni normative del codice che rilevano ai fini della presente analisi (art. 17 e allegato IX, e quindi artt. 140 e segg.), distinguono i servizi legali in due categorie – una ricompresa entro l’ambito di applicazione del nuovo codice (allegato IX sebbene con uno speciale regime “alleggerito”) e l’altra esclusa (art. 17). Tale distinzione ha ingenerato dei dubbi interpretativi ai RUP circa i confini di tali categorie. Incertezze, ovviamente, che si riflettono con delicate implicazioni sulla procedura da scegliere. In tempi recenti, e si dirà anche più avanti, nel caso di commistione tra tipologie di servizi legali, il RUP è tenuto ad applicare le norme del codice sia pure nel regime alleggerito di cui all’articolo 140 e segg.. In questo senso il Tar Puglia, Lecce, sez. II, sentenza n. 875/2017. Nella sentenza del giudice pugliese si mette chiaramente in evidenza che in tema di servizi legali, il codice distingue tra appalti esclusi (riconducibili all’articolo 17) il cui affidamento può avvenire con un procedimento amministrativo “libero” purché con l’applicazione dei principi classici dell’evidenza pubblica ai sensi dell’articolo 4 del codice e servizi legali ricompresi tra gli appalti dell’allegato IX, a cui si applicano comunque le norme codicistiche con un procedimento contrattuale “semplificato” ex artt. 140 e ss. In relazione al caso trattato, la stazione appaltante richiedeva prestazioni legali riconducibili tanto alla prima quanto alla seconda categoria. Non essendo possibile una chiara distinzione tra le prestazioni richieste, necessariamente il RUP non poteva che applicare le norme del codice che assicurassero al contempo oggettività e trasparenza. A tal riguardo, in sentenza si legge che la scelta della stazione appaltante “non poteva che comportare la necessità della procedura ad evidenza pubblica, quale che fosse l’estensione e il “peso” delle attività stragiudiziali, pena, altrimenti, la violazione delle norme che ne regolano l’affidamento”; ed in ogni caso la “sottrazione dell’affidamento del contenzioso alle procedure del codice dei contratti non” precludeva comunque “all’amministrazione di far ricorso ad esse per propria scelta, non risultando rinvenibile un divieto in tal senso”.
Gli incarichi legali rientrano a pieno titolo – sia che si tratti della classica rappresentanza in giudizio, sia che si tratti di incarichi legali di consulenza stragiudiziale – nella nozione di appalto di servizi, soggetti pertanto alla richiesta di CIG ed a tutte le implicazioni
2. Lo schema di linee guida
Con il documento non ancora formalizzato, circa l’affidamento dei servizi legali, l’ANAC, come anticipato, ritiene necessario elaborare un atto di regolazione ai sensi dell’art. 213, comma 2, del codice, “finalizzato a fornire indicazioni alle stazioni appaltanti per l’esatta individuazione delle tipologie di servizi legali rientranti nell’elenco di cui all’art. 17 e di quelle rientranti nella categoria di cui all’Allegato IX, e per le modalità di affidamento di tali servizi”. È utile precisare che l’operatività dell’esclusione è subordinata unicamente alla sussistenza del requisito oggettivo della riconducibilità del servizio a una delle tipologie di servizi legali elencate all’art. 17, comma 1, lett. d), mentre prescinde dall’eventuale superamento della soglia di rilevanza comunitaria. Non si pone più, pertanto, la questione della distinzione – come avveniva ante nuovo codice dei contratti – tra il conferimento del singolo incarico di patrocinio legale e l’attività di assistenza e consulenza giuridica. Il primo caso (conferimento del singolo incarico), rammenta l’ANAC, era sottratto alla disciplina del d.lgs. n. 163/2006 in quanto qualificato come “contratto d’opera intellettuale” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 11 maggio 2012 n. 2730), in quanto “il prestatore d’opera, pur avendo l’obbligo di compiere, dietro corrispettivo, un servizio a favore del committente, senza vincolo di subordinazione e con assunzione del relativo rischio, esegue detto servizio con lavoro prevalentemente proprio, senza una necessaria organizzazione”. La seconda ipotesi (attività di assistenza giuridica), invece, era qualificato – in particolare dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato – come appalto di servizi, “in quanto l’attività di assistenza e consulenza giuridica, caratterizzata dalla complessità dell’oggetto e dalla predeterminazione della durata, pur presentando elementi di affinità con il contratto d’opera (autonomia rispetto al committente), si differenzia(va) da quest’ultimo poiché la prestazione” risultava “eseguita con organizzazione di mezzi e personale che fanno ritenere sussistente, assieme al requisito della gestione a proprio rischio, la qualità di imprenditore commerciale caratterizzata da una specifica organizzazione. Conseguentemente, si riteneva che la scelta fiduciaria del patrocinatore legale fosse esclusivamente soggetta ai principi generali dell’azione amministrativa in materia di imparzialità, trasparenza e adeguata motivazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 11 maggio 2012, n. 2730), mentre l’attività di assistenza e consulenza giuridica dovesse essere affidata nel rispetto degli artt. 20 e 27 del d.lgs. n. 163/2006”. La stessa ANAC – allora AVCP -, nella determinazione n. 4/2011 (recante «Linee guida sulla tracciabilità dei flussi finanziari ai sensi dell’articolo 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136»), aveva ritenuto che “il patrocinio legale, cioè il contratto volto a soddisfare il solo e circoscritto bisogno di difesa giudiziale del cliente, fosse inquadrabile nell’ambito della prestazione d’opera intellettuale, in base alla considerazione per cui il servizio legale, per essere oggetto di appalto, richiede qualcosa in più, ‹‹un quid pluris per prestazione o modalità organizzativa›› (cfr. anche Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Basilicata, deliberazione n. 19/2009/PAR)”. Questa distinzione, con il nuovo codice dei contratti, non ha più fondamento e sul punto, proprio l’ANAC, rammenta che “sia l’art. 17 che l’allegato IX del Codice costituiscono pedissequo recepimento dell’art. 10 e dell’allegato XIV della direttiva 2014/24/UE, dell’art. 10 e dell’Allegato IV della direttiva 2014/23/UE, dell’art. 21 e dell’allegato XVII della direttiva 2014/25/UE (di analogo tenore). In considerazione del recepimento fedele nell’ordinamento interno delle disposizioni contenute nelle direttive, si ritiene che l’analisi ermeneutica delle disposizioni in esame debba muovere dall’analisi della fonte europea recepita”.
La nozione dei servizi legali comunitaria – come si legge nel parere n. 855/2016 del Consiglio di Stato (reso sullo schema di codice dei contratti) è più ampia di quella nazionale
3. La nozione europea
La nozione dei servizi legali comunitaria – come si legge nel parere n. 855/2016 del Consiglio di Stato (reso sullo schema di codice dei contratti) – è più ampia di quella domestica. Infatti, il legislatore europeo ha ricondotto ogni attività professionale legale in favore delle pubbliche amministrazioni nel concetto generale di appalto di servizio legale, non operando alcuna distinzione tra incarico singolo e occasionale, eseguito dal professionista con lavoro prevalentemente proprio (senza una necessaria organizzazione) e incarico di assistenza e consulenza giuridica eseguita con organizzazione di mezzi e personale. Il legislatore europeo si è semplicemente limitato a distinguere all’interno del concetto generale di “appalto di servizio legale” le attività da escludere dall’ambito oggettivo di applicazione delle direttive, prevedendo, per tutte le altre, l’applicazione del regime giuridico “alleggerito” prescritto per i servizi di cui ai sopra citati Allegati XIV, IV e XVII. Peraltro, giova rilevare che gli appalti “esclusi” dall’ambito oggettivo di applicazione delle direttive comunitarie sono stati comunque oggetto di attenzione da parte della Commissione Europea, che con la Comunicazione interpretativa 2006/C 179/02 ha fornito indicazioni relativamente al diritto comunitario applicabile alle aggiudicazioni di appalti non o solo parzialmente disciplinate dalle direttive «appalti pubblici». Ciò conferma l’importanza di attribuire alla nozione di “appalto pubblico” una sua autonomia rispetto alla corrispondente nozione civilistica interna, proprio al fine di definire l’ambito di applicazione degli atti, anche solo interpretativi, emanati a livello comunitario. Ulteriori precisazioni – sulla non necessità di una distinzione tra incarichi “specifici” e pluralità di incarichi legali – provengono dalla Corte dei Conti, Sezione Regionale di controllo per la Lombardia, nel parere 162/2016/PAR, del 30 maggio 2016. In questa si è chiarito che alcuni rapporti negoziali, qualificabili, per il diritto civile, come contratti d’opera o di opera intellettuale, sono stati attratti, in punto di procedure per l’affidamento, alla disciplina dettata dal codice D.lgs. 50/2016, che, in esecuzione a specifiche direttive comunitarie, nel delineare l’ambito oggettivo di applicazione, contiene una definizione di “contratto di appalto di servizi” molto più ampia di quella del codice civile, attraendo anche negozi qualificabili come contratti d’opera o di opera intellettuale. Pertanto, “indipendentemente dalla qualificazione civilistica del contratto di affidamento dell’incarico per la prestazione di servizi legali (attribuibile in base alle categorie giuridiche interne: prestazione d’opera intellettuale o appalto di servizi), è possibile ritenere che, ai fini della disciplina dettata dal Codice, l’affidamento di tale incarico deve essere ricondotto alla categoria degli appalti di servizi e, a seconda della tipologia di incarico, lo stesso dovrà essere inquadrato nell’elenco di cui all’art. 17 oppure nella categoria residuale di cui all’Allegato IX. La distinzione è, quindi, basata sulla tipologia di attività svolta”.
E’ chiara la scelta del legislatore di indicare come riconducibili alla nozione di appalto il servizio/i servizi legali ma chiarendo che l’ambito normativo applicabile non è costituito dall’intero corpus normativo del codice.
4. Gli appalti esclusi
L’art. 17, comma 1, lett. d), del Codice dei contratti individua una serie di appalti “esclusi” dall’applicazione integrale del codice e tra questi elenca, alcune tipologie di servizi legali. Pertanto, come si legge nel documento ANAC, è chiara la scelta del legislatore di indicare come riconducibili alla nozione di appalto il servizio/i servizi legali ma chiarendo che l’ambito normativo applicabile non è costituito dall’intero corpus normativo del codice. Da notare che il decreto legislativo correttivo n. 56/2017, con l’articolo 9, comma 1, amplia la categoria degli appalti esclusi introducendo l’articolo 17-bis (Altri appalti esclusi) con cui si puntualizza che “le disposizioni del presente codice non si applicano agli appalti aventi ad oggetto l’acquisto di prodotti agricoli e alimentari per un valore non superiore a 10.000 euro annui per ciascuna impresa, da imprese agricole singole o associate situati in comuni classificati totalmente montani di cui all’elenco dei comuni italiani predisposto dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ovvero ricompresi nella circolare del Ministero delle finanze n. 9 del 14 giugno 1993, pubblicata nel supplemento ordinario n. 53 alla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 141 del 18 giugno 1993, nonché nei comuni delle isole minori di cui all’allegato A annesso alla legge 28 dicembre 2001, n. 448”. Gli appalti e le concessioni escluse dall’applicazione integrale del codice di cui all’articolo 17, sono quelli sotto indicati ed in particolare gli appalti:
a) aventi ad oggetto l’acquisto o la locazione, quali che siano le relative modalità finanziarie, di terreni, fabbricati esistenti o altri beni immobili o riguardanti diritti su tali beni;
b) aventi ad oggetto l’acquisto, lo sviluppo, la produzione o coproduzione di programmi destinati ai servizi di media audiovisivi o radiofonici che sono aggiudicati da fornitori di servizi di media audiovisivi o radiofonici, ovvero gli appalti, anche nei settori speciali, e le concessioni concernenti il tempo di trasmissione o la fornitura di programmi aggiudicati ai fornitori di servizi di media audiovisivi o radiofonici. Ai fini della presente disposizione il termine «materiale associato ai programmi» ha lo stesso significato di «programma»;
c) concernenti i servizi d’arbitrato e di conciliazione;
d) concernenti uno qualsiasi dei seguenti servizi legali:
1) rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato ai sensi dell’articolo 1 della legge 9 febbraio 1982, n. 31, e successive modificazioni:
1.1) in un arbitrato o in una conciliazione tenuti in uno Stato membro dell’Unione europea, un paese terzo o dinanzi a un’istanza arbitrale o conciliativa internazionale;
1.2) in procedimenti giudiziari dinanzi a organi giurisdizionali o autorità pubbliche di uno Stato membro dell’Unione europea o un Paese terzo o dinanzi a organi giurisdizionali o istituzioni internazionali;
2) consulenza legale fornita in preparazione di uno dei procedimenti di cui al punto 1) (secondo un inciso inserito dal correttivo), o qualora vi sia un indizio concreto e una probabilità elevata che la questione su cui verte la consulenza divenga oggetto del procedimento, sempre che la consulenza sia fornita da un avvocato ai sensi dell’articolo 1 della legge 9 febbraio 1982, n. 31, e successive modificazioni;
3) servizi di certificazione e autenticazione di documenti che devono essere prestati da notai;
4) servizi legali prestati da fiduciari o tutori designati o altri servizi legali i cui fornitori sono designati da un organo giurisdizionale dello Stato o sono designati per legge per svolgere specifici compiti sotto la vigilanza di detti organi giurisdizionali;
5) altri servizi legali che sono connessi, anche occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri;
e) concernenti servizi finanziari relativi all’emissione, all’acquisto, alla vendita e al trasferimento di titoli o di altri strumenti finanziari ai sensi del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, servizi forniti da banche centrali e operazioni concluse con il Fondo europeo di stabilità finanziaria e il meccanismo europeo di stabilità;
f) concernenti i prestiti, a prescindere dal fatto che siano correlati all’emissione, alla vendita, all’acquisto o al trasferimento di titoli o di altri strumenti finanziari;
g) concernenti i contratti di lavoro;
h) concernenti servizi di difesa civile, di protezione civile e di prevenzione contro i pericoli forniti da organizzazioni e associazioni senza scopo di lucro identificati con i codici CPV 75250000-3, 75251000-0, 75251100-1, 75251110- 4, 75251120-7, 75252000-7, 75222000-8; 98113100-9 e 85143000-3 ad eccezione dei servizi di trasporto dei pazienti in ambulanza;
i) concernenti i servizi di trasporto pubblico di passeggeri per ferrovia o metropolitana;
l) concernenti servizi connessi a campagne politiche, identificati con i codici CPV 79341400-0, 92111230-3 e 92111240-6, se aggiudicati da un partito politico nel contesto di una campagna elettorale per gli appalti relativi ai settori ordinari e alle concessioni.
5. La rappresentanza legale
Nella fattispecie dei servizi legali contemplate dall’art. 17, comma. 1, lett. d), ai numeri 1 e 2 è richiamata la rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato in un arbitrato, in una conciliazione o in procedimenti giudiziari dinanzi a organi giurisdizionali e la consulenza legale fornita in preparazione di uno di tali procedimenti. Mentre la fattispecie di cui al n. 1 riguarda gli incarichi di patrocinio legale che possono essere svolti solo dai soggetti abilitati all’esercizio della professione di avvocato nello Stato membro di provenienza. Al riguardo, l’autorità anticorruzione puntualizza che ai sensi dell’art. 2, comma 3, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, recante «Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense», “l’iscrizione ad un albo circondariale è “condizione” per l’esercizio della professione di avvocato e che possono essere iscritti solo coloro che hanno superato l’esame di Stato disciplinato dall’art. 46 della predetta legge o l’esame di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato prima della data di entrata in vigore della medesima legge, oltre a specifiche categorie professionali individuate al richiamato art. 2. Pertanto, per quanto riguarda i soggetti abilitati all’esercizio della professione di avvocato in Italia è necessaria altresì l’iscrizione ad un albo circondariale”.
6. Le ragioni dell’esclusione
L’esclusione dall’ambito oggettivo di applicazione delle direttive europee risulta motivata dalla circostanza che i servizi legali (di cui all’articolo 17) “sono prestati da organismi o persone selezionate o designate secondo modalità che non possono essere disciplinate da norme di aggiudicazione degli appalti (v. Considerando 25 della direttiva 2014/24/UE)”. Questo aspetto deve essere collegato con la specificità della funzione difensiva e la primaria rilevanza giuridica dei diritti alla cui tutela essa è preposta. Tenuto conto della ratio della norma si è affermato che la disposizione fa “riferimento sia ai singoli incarichi di patrocinio legale, occasionali ed episodici, in quanto affidati in vista di un già individuato procedimento giurisdizionale, d’arbitrato o di conciliazione, sia alle fattispecie in cui l’affidamento dell’incarico di patrocinio legale richiede una specifica organizzazione, risultando continuativo, predeterminato nella durata e più complesso rispetto alla singola difesa giudiziale”. Sono riconducibili all’ambito in parola anche quelle specifiche consulenze legali “fornite in preparazione degli stessi o qualora vi sia un indizio concreto e una probabilità elevata che la questione su cui verte la consulenza divenga oggetto del procedimento, sempre che la consulenza sia fornita da un avvocato ai sensi dell’articolo 1 della legge 9 febbraio 1982, n. 31, e successive modificazioni”. Si tratterebbe, in definitiva, dei servizi di assistenza e consulenza legale propedeutici ad un’attività di difesa in un procedimento di arbitrato, di conciliazione o giurisdizionale, anche solo eventuale, prestati – come nella fattispecie di cui al n. 1 – da cittadini abilitati all’esercizio della professione di avvocato. La questione che si pone riguardo a queste consulenze è se debbano o meno essere ricomprese nel piano delle consulenze quale parte “sostanziale” del DUP (documento unico di programmazione che sintetizza – nella contabilità armonizzata – i vari allegati del bilancio) che gli enti locali devono adottare quale atto propedeutico all’approvazione del bilancio o se, invece, si trattandosi di appalti di servizi, pur esclusi, debbano rientrare – se di importo pari o superiore ai 40.000 euro – programma biennale degli acquisti di beni e servizi con appendice annuale, come imposto – dall’esercizio finanziario 2018 – dall’art. 21 del codice. Alla luce delle specifiche introdotte nel documento dell’ANAC e dello stesso codice, chiarito l’ambito di riferimento della consulenza da richiedersi come momento prodromico ad un contenzioso “quasi” sicuro, si ritiene che tale previsione sostanzi un appalto di servizio vero e proprio che non necessita di essere inserito nel piano delle consulenze ma nel programma degli acquisti (se raggiunge l’importo predetto). E’ altresì vero, come sottolinea l’autorità anticorruzione che la norma non chiarisce quando una consulenza legale debba considerarsi “in preparazione” di uno specifico procedimento, né in cosa debba consistere l’indizio concreto che lasci presagire che la questione in oggetto possa divenire oggetto del procedimento.
Sono riconducibili all’ambito degli appalti di servizi anche quelle specifiche consulenze legali “fornite in preparazione degli stessi o qualora vi sia un indizio concreto e una probabilità elevata che la questione su cui verte la consulenza divenga oggetto del procedimento, sempre che la consulenza sia fornita da un avvocato ai sensi dell’articolo 1 della legge 9 febbraio 1982, n. 31, e successive modificazioni”
7. La configurazione della “consulenza” legale
Si può ritenere che la consulenza legale ricorra, a titolo esemplificativo, quando “l’amministrazione abbia necessità di un parere legale preventivo volto ad acquisire gli elementi necessari per valutare la possibilità di tutela di una propria posizione giuridica soggettiva attraverso la promozione di uno dei procedimenti” di cui al punto 1 dell’articolo 17 “o per valutare l’eventuale fondatezza di una pretesa da altri vantata nei propri confronti e le possibili strategie difensive, ivi compresa l’opportunità di addivenire ad una conciliazione”. E si afferma, inoltre, che vi sia un “indizio concreto” e una “probabilità elevata che la questione su cui verte la consulenza divenga oggetto del procedimento”, ad esempio, nel caso in cui l’amministrazione abbia ricevuto un atto di diffida o messa in mora, o quando sia stata già convenuta in uno dei predetti procedimenti, o quando la medesima fattispecie e/o fattispecie analoghe siano state già oggetto di uno dei predetti procedimenti. Diverso, evidentemente, è il caso di acquisizione pareri in relazione a certe questioni pratiche (il caso del parere pro-veritate) svincolato o comunque non affatto prodromico rispetto ad un sicuro contenzioso. E’ chiaro che questo deve essere previsto nel piano delle consulenze. Anche in relazione alle consulenze giuridiche l’ANAC ritiene che, per quanto riguarda i soggetti abilitati all’esercizio della professione di avvocato in Italia, gli stessi devono essere iscritti ad un albo circondariale. Ciò è “in linea anche con la previsione contenuta nell’art. 2, comma 6, della citata L. n. 247/2012, laddove stabilisce che «l’attività professionale di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale, ove connessa all’attività giurisdizionale, se svolta in modo continuativo, sistematico e organizzato, è di competenza degli avvocati»”.
8. Il procedimento di affidamento
L’articolo 4 del codice dei contratti precisa – sulla falsariga di quanto disponeva il pregresso articolo 27 del decreto legislativo 163/2006, in realtà maggiormente articolato -, che l’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, dei contratti attivi – riferimento aggiunto con l’articolo 5 del decreto legislativo correttivo n. 56/2017 -, esclusi, in tutto o in parte, dall’ambito di applicazione oggettiva del presente codice, avviene nel rispetto dei principi:
a) di economicità,
b) di efficacia,
c) di imparzialità,
d) di parità di trattamento,
e) di trasparenza,
f) di proporzionalità, di pubblicità,
g) di tutela dell’ambiente ed efficienza energetica.
Rispetto all’articolo 27 del decreto legislativo 163/2006, l’articolo 4, pertanto, prevede il principio (per quanto concerne quelli applicabili alla fattispecie in esame) di pubblicità mentre non impone più la consultazione di almeno 5 operatori economici prima dell’affidamento. La modifica è tutt’altro che irrilevante e si inserisce nell’ambito del processo di semplificazione anche alla luce della nuova norma – art. 36, comma 2, lett. a) – che ammette effettivamente un procedimento, anche solo di negoziazione, direttamente espletato nei confronti di un unico soggetto. Non può sfuggire che nel caso dei servizi legali, l’affidamento diretto si tradurrebbe nientemeno che in un incarico fiduciario che la norma (e lo stesso atto di regolazione – non ancora ufficiale – dell’ANAC) non consente. I principi informatori del procedimento di affidamento dei contratti esclusi vengono chiaramente nel documento dell’ANAC. In questo senso si chiarisce che il principio di economicità, impone al dirigente responsabile del servizio ed al RUP, un uso ottimale delle risorse da impiegare nello svolgimento della selezione ovvero nell’esecuzione del contratto. In considerazione della natura dei servizi in questione e dell’importanza della qualità delle relative prestazioni, naturalmente il risparmio di spesa non dovrebbe essere il criterio di guida nella scelta che deve compiere l’amministrazione. E’ altresì evidente, però, il richiamo all’economicità implica la necessità di tener conto dell’entità della spesa. Secondo l’ANAC, a mero titolo esemplificativo nella motivazione sull’affidamento dell’incarico – e quindi nella determinazione con cui si assume l’impegno di spesa (e si aggiudica il servizio) -, è possibile giustificare il compenso pattuito sulla base di un confronto con la spesa per precedenti affidamenti, con riferimento agli oneri sostenuti da altre amministrazioni per incarichi analoghi ovvero con i parametri fissati nel decreto ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, che contiene il “Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247; oppure – ma questa è una riflessione espressa ante decreto correttivo e comunque rimane valida indicazione al RUP – si può avviare una valutazione comparativa di due o più preventivi. In quest’ultimo caso, sempre secondo l’autorità anticorruzione, trattandosi di servizi esclusi dall’ambito di applicazione del codice, è il RUP che potrà stabilire “discrezionalmente il numero di preventivi da confrontare, più confacente alle proprie esigenze, tenendo conto anche del valore economico dell’affidamento”.
Rispetto all’articolo 27 del decreto legislativo 163/2006, l’articolo 4 del nuovo codice, pertanto, prevede il principio (per quanto concerne quelli applicabili alla fattispecie in esame) di pubblicità mentre non impone più la consultazione di almeno 5 operatori economici prima dell’affidamento
9. Il principio di efficacia e di imparzialità
Il principio di efficacia richiede una coerenza, giuridica, degli atti posti in essere dalle stazioni appaltati rispetto “al conseguimento dello scopo e dell’interesse pubblico cui sono preordinati”.
In particolare, con riferimento all’affidamento di servizi legali, il principio in argomento deve essere concretamente considerato tenendo conto che alcune “prestazioni” del legale si risolvono secondo la distinzione civilistica “in obbligazioni di mezzi e non di risultato”. Semplificando, a differenza di un normale prestatore/fornitore, il legale (come il medico) non assicura la “vittoria” (o la guarigione) ma l’obbligo che assume è quello di utilizzare tutti gli strumenti necessari ed indispensabili per tendere a quel risultato. Per il principio di efficacia, nell’affidamento dell’incarico di rappresentanza legale, può assumere rilevanza, nelle valutazioni che il RUP è tenuto ad effettuare “la presenza di un pregresso contenzioso che si è concluso con esito positivo per l’amministrazione medesima”. L’ultima puntualizzazione dell’ANAC, a parere di chi scrive, non sembra cogliere nel segno perché se nell’affidamento dell’incarico il RUP si deve soffermare solo su precedenti “vittoriosi” la conseguenza del riaffido è ovvia. Dal punto di vista pratico, l’analisi dovrebbe in realtà essere condotta per competenza di materia e quindi il “grado” di successi – in giudizio – in relazione alle amministrazioni che hanno conferito incarichi e non solo alla stazione appaltante che sta procedendo. Non a caso altro principio di cui occorre tener conto è il principio di imparzialità ma è bene annotare che non viene richiamato il principio della rotazione. Il principio di imparzialità esige una valutazione equa ed imparziale dei concorrenti e, quindi, un divieto assoluto di favoritismi e di discriminazione. Sotto il profilo pratico, l’imparzialità impone che l’appalto sia aggiudicato conformemente alle regole procedurali fissate all’inizio e che “la stazione appaltante maturi la sua decisione finale da una posizione di terzietà rispetto a tutti i concorrenti, senza essere indebitamente influenzata nelle sue decisioni da interessi politici di parte o di singole imprese o di singoli individui. Tale principio è posto a garanzia della parità di trattamento degli operatori economici”.
Il principio della parità di trattamento richiede che gli operatori economici vengano considerati – dal punto di vista istruttorio/procedimentale – in una situazione di “eguaglianza formale”, ossia di reciproca parità rispetto all’opzione amministrativa suggerita dal RUP al proprio dirigente/responsabile del servizio
10. Gli altri principi informatori del procedimento di affidamento
Il principio della parità di trattamento richiede che gli operatori economici vengano considerati – dal punto di vista istruttorio/procedimentale – in una situazione di “eguaglianza formale”, ossia di reciproca parità rispetto all’opzione amministrativa suggerita dal RUP al proprio dirigente/responsabile del servizio. Per realizzare concretamente queste condizioni è necessario che tutti gli offerenti abbiano accesso allo stesso “volume di informazioni in modo da escludere vantaggi ingiustificati per uno specifico offerente, che siano adeguati i termini stabiliti per presentare una manifestazione d’interesse o un’offerta, in modo da consentire a tutti di procedere a una valutazione pertinente e di elaborare un’offerta in maniera consapevole; i criteri di selezione non devono essere discriminatori e devono essere eliminati gli ostacoli o le restrizioni nella predisposizione delle offerte e nella loro valutazione”. Il riferimento ai criteri allude – soprattutto in relazione ai servizi legali di cui all’allegato IX (come si dirà più avanti) soggetti in parte a regole codicistiche e non riconducibili alla nozione di appalti esclusi -, alla opzione indicata dall’ANAC che rammenta che il criterio di affidamento – in particolare nel sopra soglia comunitario ma deve ritenersi anche nel sotto soglia – non può più essere quello del minor prezzo. Altro principio di rilievo è quello della trasparenza che costituisce una sorta di corollario del precedente e consiste nel garantire, in favore di ogni potenziale offerente, non solo un adeguato livello di conoscibilità delle procedure di gara, ma anche le ragioni che sono alla base delle scelte compiute dalla stazione appaltante. Aspetti, questi, che consentono il controllo sull’imparzialità della procedura di selezione. L’intensità della motivazione delle scelte compiute dall’amministrazione, il cui onere risponde innanzitutto ad un principio generale dell’azione amministrativa – in particolare l’articolo 3 della legge 241/90 e succ. modifiche – (oltre che ad istanze di trasparenza degli affidamenti contrattuali della pubblica amministrazione), è volta a garantire che non si effettuino scelte arbitrarie e deve essere proporzionata al valore e all’importanza del contratto. L’obbligo di trasparenza, secondo l’ANAC, “non impedisce inoltre all’amministrazione aggiudicatrice di adottare misure per limitare il numero di candidati invitati a presentare un’offerta a condizione di farlo in modo trasparente e non discriminatorio, fornendo informazioni adeguate sui meccanismi di selezione dei candidati che saranno inseriti nell’elenco ristretto”. Il principio di proporzionalità richiede una adeguatezza ed una idoneità dell’azione amministrativa rispetto alle finalità e all’importo dell’affidamento. Il principio impone, quindi, di formulare requisiti di partecipazione proporzionati all’oggetto e al valore dell’appalto, nonché di predisporre procedure la cui complessità sia proporzionata alla tipologia di contratto che si intende affidare. In quest’ultima annotazione si esprime il senso della semplificazione nelle procedure del sottosoglia oltre che per gli appalti esclusi (ed i regimi normativi “alleggeriti”). La semplificazione non può che passare attraverso la riduzione di strumenti che debbono essere utilizzati dal RUP per aggiudicare la competizione.
E’ chiaro che se insiste eccessiva liberta di azione su come strutturare la procedura il rischio è quello contrario ovvero di alimentare l’arbitrarietà o l’aspetto fiduciario di un affidamento. In questo caso però il compito di definire confini è del dirigente (responsabile del servizio) – attraverso indicazioni di tipo generale che non vincolino eccessivamente l’azione istruttoria del responsabile del procedimento – o direttamente della stessa stazione appaltante (magari attraverso il funzionario responsabile dell’anticorruzione). Il principio di pubblicità implica che i soggetti interessati abbiano un agevole accesso, in tempo utile, a tutte le informazioni necessarie relative all’appalto prima che esso sia aggiudicato, in modo da consentire l’eventuale manifestazione di interesse da parte dei professionisti interessati. Mancando specifiche indicazioni, il RUP è chiamato a suggerire/proporre la scelta degli strumenti/mezzi che ritiene adeguati ad assicurare e la pubblicità degli affidamenti ai sensi dell’art. 17 del Codice avuto riguardo, in particolare “all’importanza dell’appalto per il mercato, tenuto conto (…) del suo oggetto, del suo importo nonché delle pratiche abituali nel settore interessato”. La forma di pubblicità, per eccellenza, adeguata è quella dell’avviso pubblico sul sito istituzionale della stazione appaltante, che si caratterizza per l’ampia disponibilità e facilità di utilizzo e per la convenienza sotto il profilo dei costi. Le indicazioni sulla scelta dello strumento “pubblicitario” possono e devono essere integrate. La stessa circostanza della pubblicazione – per il tipo di appalto – può di per se non essere sufficiente se “anonima”, nel senso non direttamente focalizzata sul tipo di appalto. Nulla impedisce, a mero titolo esemplificativo, che oltre alle sezioni dell’albo pretorio, della trasparenza etc, il RUP possa ipotizzare anche la creazione di una peculiare sezione dedicata agli affidamenti in argomento in modo da rendere davvero evidenti gli intenti della stazione appaltante per i vari soggetti interessati. Il mancato utilizzo di adeguate forme di pubblicità può essere giustificato – a condizione che ricorrano le condizioni legittimanti di cui all’articolo 63 del codice – in particolari condizioni oggettive o di specifiche contingenze che impongano di procedere velocemente sacrificando la necessaria pubblicità. Il principio di pubblicità impone, comunque, anche la pubblicazione dell’avviso sui risultati della selezione.
Il mancato utilizzo di adeguate forme di pubblicità può essere giustificato – a condizione che ricorrano le condizioni legittimanti di cui all’articolo 63 del codice – in particolari condizioni oggettive o di specifiche contingenze che impongano di procedere velocemente sacrificando la necessaria pubblicità.