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( votes)con la collaborazione di Avv. Irene Bonifaccio e Luigi Vacilotto
1. La ratio sottesa ad una specifica disciplina dell’accesso agli atti in materia di appalti pubblici.
La materia dell’accesso agli atti è, fin dalla sua originaria codificazione nel contesto della legge n. 241 del 1990, una delle più spinose e complesse nell’ambito del panorama del diritto amministrativo; ciò, a maggior ragione, quando si tratta di accesso ai documenti che afferiscono alle procedure di gara per l’affidamento di contratti pubblici. In tale contesto, infatti, risulta particolarmente complessa l’attività applicativa delle disposizioni esistenti da parte delle Stazioni appaltanti, alle quali è rimesso il difficile compito di bilanciare i confliggenti interessi di cui si dirà in seguito.
Utile alla comprensione – e di conseguenza, alla corretta applicazione pratica – delle disposizioni contenute nel Codice dei Contratti Pubblici è pertanto una preliminare digressione sulle rationes che informano la disciplina speciale in materia di accesso agli atti nei procedimenti ad evidenza pubblica.
Se infatti dal lato dell’accesso agli atti “generale” si è assistito nel tempo ad un progressivo allargamento delle maglie rispetto all’ostensibilità dei documenti amministrativi, prima con il D.Lgs. n. 33 del 2013 (in materia di accesso civico) e successivamente grazie al D.Lgs. n. 97 del 2016 (sul c.d. “accesso civico generalizzato”), nello specifico ambito delle procedure di affidamento dei contratti pubblici, tale ampliamento è stato estremamente più complesso. Ciò, sulla base degli interessi sottostanti alla disciplina della particolare materia dei contratti pubblici.
Da un lato, infatti, è innegabile che la ratio sottesa alla normativa del settore di cui si tratta sia quella di garantire il corretto e oculato utilizzo delle risorse pubbliche, e quindi quella di prevenire i fenomeni corruttivi, data la particolare sensibilità ad eventi di tal fatta di un settore tanto cruciale (si stima che le commesse pubbliche rappresentino un valore pari al 16% del PIL dell’intera Unione Europea.)[1]. È inoltre parimenti evidente come la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi relativi a procedure di gara si basi precipuamente sul vaglio giudiziale eseguito sulla valutazione comparativa effettuata dal soggetto aggiudicatore: da ciò deriva che, per garantire il pieno e concreto dispiegarsi del diritto di difesa, debba necessariamente essere reso conoscibile il contenuto delle offerte e delle dichiarazioni rese dagli operatori economici concorrenti. In altri termini, solo attraverso la conoscibilità delle stesse si può dire garantito sia l’interesse pubblico alla corretta gestione delle finanze collettive, sia quello privato al regolare svolgimento delle operazioni di gara ed alla legittima aggiudicazione dei contratti pubblici.
Tuttavia, la partecipazione alle procedure di gara espone sensibilmente gli operatori al mercato, proprio attraverso le suddette offerte e dichiarazioni: è pertanto fondamentale che il legislatore ed i soggetti pubblici coinvolti nella procedura di affidamento garantiscano la riservatezza delle informazioni oggetto di disclosure nelle varie fasi in cui si articolano tali procedimenti. Ciò, anche in considerazione del fatto che, come sottolineato dalla giurisprudenza[2], la partecipazione ad una procedura ad evidenza pubblica non implica una impropria accettazione del rischio di divulgazione di segreti industriali o commerciali. Principio, questo, enunciato alla luce della sempre maggior attenzione riservata alla tutela della concorrenza, la quale riveste un’importanza primaria a livello eurounitario e che potrebbe essere messa in pericolo qualora fossero resi pubblici i segreti industriali e commerciali di volta in volta comunicati da parte degli operatori economici per i fini della procedura concorrenziale a cui prendono parte.
Le suddette, contrapposte necessità hanno reso doveroso un adattamento alla materia dei contratti pubblici della disciplina in materia di accesso agli atti “generale”.
Si esporranno di seguito, partendo da un breve focus della disciplina previgente, le modifiche apportate sul punto dal D.Lgs. n. 36 del 2023.
2. La disciplina in materia di accesso agli atti nella previgente formulazione del Codice dei Contratti pubblici.
Una speciale disciplina dell’accesso agli atti era quella recata dal Codice dei Contratti Pubblici del 2016. In quel contesto, l’articolo 53 disponeva innanzitutto un rinvio al capo V della Legge 241/90, che regola l’accesso c.d. documentale. Nessun riferimento si faceva, invece, alle norme in materia di accesso agli atti generalizzato, anche se è stata poi la giurisprudenza a chiarire l’applicabilità della norma di cui all’articolo 5, c. 2, D.Lgs. n. 33 del 2013 anche alla materia dei contratti pubblici[3]. Come si vedrà in seguito, questo orientamento è stato recepito nella redazione del nuovo Codice.
Alcuni dei tratti maggiormente salienti della previgente disciplina, oltre che quelli attorno ai quali si annidano le maggiori insidie interpretative ed applicative, sono quelli relativi al differimento dell’accesso e, soprattutto, alle esclusioni dal diritto di conoscere i contenuti delle offerte.
Relativamente al primo dei suddetti temi, la disciplina previgente prevedeva il differimento della comunicazione delle informazioni riguardanti i soggetti che avevano presentato offerte (nelle procedure di gara c.d. aperte) ed i soggetti che avevano manifestato interesse o richiesto l’invito (nelle procedure ristrette e negoziate), oltre che dei contenuti delle offerte e degli eventuali procedimenti di verifica dell’anomalia.
Sul fronte delle esclusioni dal citato diritto all’accesso, l’elencazione offerta dall’allora vigente articolo 53 indicava da un lato varie tipologie di documenti riguardanti la Stazione Appaltante ed i soggetti che per essa operano (come i pareri legali acquisiti dalle medesime); dall’altro lato, “le informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima”. Quest’ultima causa di esclusione, come statuito dalla giurisprudenza, si riteneva (e si ritiene tuttora) superabile solo qualora l’istante avesse proposto ricorso avverso gli atti della procedura di gara o per conseguire il risarcimento dei danni, anche in via autonoma[4].
È questo un primo, rilevante carattere di marcata differenza rispetto alla disciplina generale: nell’accesso agli atti disciplinato dalla l. 241/1990, infatti, ai fini della titolarità dell’interesse di tipo “defensionale”, non si richiede la pendenza di un giudizio di impugnazione, bensì la sola prospettazione dell’interesse a tutelare gli interessi giuridici dell’istante, a prescindere financo dalla concreta proponibilità di un rimedio giurisdizionale. Sul punto, occorre tuttavia evidenziare che l’esclusione dell’accesso agli atti di gara non opera sulla base della semplice asserzione della attinenza delle informazioni al proprio “know how”, bensì è necessario che il concorrente che pretenda l’oscuramento lo faccia con riferimento ad una informazione “precisamente individuata, che sia suscettibile di sfruttamento economico”[5] da parte dei soggetti che richiedono l’accesso.
3. Le novità normative introdotte dal D. Lgs. n. 36 del 2023.
Come anticipato, la disciplina del nuovo Codice ha profondamente innovato la materia dell’accesso agli atti di gara. Benché gli articoli di riferimento, oggi costituiti dal 35 e dal 36 del D. Lgs. n. 36/2023, ricalchino in buona parte l’art. 53 del Codice previgente, le innovazioni apportate hanno un impatto tutt’altro che trascurabile sull’attività degli operatori economici e dei soggetti committenti.
In diretto collegamento con la precisazione emersa dalla giurisprudenza amministrativa di cui si è poc’anzi dato conto[6], si può innanzitutto evidenziare come il comma dedicato all’accesso “difensivo”[7] abbia dato dignità normativa al principio secondo il quale gli atti sono accessibili solo se legati a finalità di tutela in giudizio degli interessi giuridici, definendoli ostensibili solo ad esito del superamento del vaglio di vera e propria indispensabilità “per la predisposizione di determinate difese nell’ambito di uno specifico giudizio”; indispensabilità, questa, la cui dimostrazione è comunque a carico del soggetto istante. Secondo la giurisprudenza[8], inoltre, l’onere di analitica motivazione della “stretta necessità per i fini della tutela degli interessi” aumenta di intensità all’aumentare delle motivazioni prodotte in senso opposto, ossia al ribadire, da parte del concorrente controinteressato alla cui offerta l’istante vuole accedere, la contrarietà all’ostensione. In altri termini, la decisione sull’ostensione potrà avere carattere positivo solo nel caso in cui, all’esito del bilanciamento tra interessi contrapposti, essa risulta indispensabile ai fini della difesa in giudizio degli interessi giuridici rappresentati del richiedente in relazione alla procedura di gara[9].
Le novità maggiori, tuttavia, sono rinvenibili all’articolo 36, il cui comma 1 stabilisce che “l’offerta dell’operatore economico risultato aggiudicatario, i verbali di gara e gli atti, i dati e le informazioni presupposti all’aggiudicazione sono resi disponibili, attraverso la piattaforma di approvvigionamento digitale di cui all’articolo 25 utilizzata dalla stazione appaltante o dall’ente concedente, a tutti i candidati e offerenti non definitivamente esclusi contestualmente alla comunicazione digitale dell’aggiudicazione”.
L’offerta risultata vincitrice diventa, quindi, immediatamente conoscibile agli altri concorrenti, naturalmente con il limite delle informazioni che la concorrente aveva chiesto, in fase di offerta, venissero oscurate, come si evince dalla lettura combinata dell’art. 35, comma 4, lett. a) e dell’art. 36, comma 3.
Inoltre, ai sensi del comma 2, “agli operatori economici collocatisi nei primi cinque posti in graduatoria sono resi reciprocamente disponibili, attraverso la stessa piattaforma, gli atti di cui al comma 1, nonché le offerte dagli stessi presentate”.
In queste ipotesi di ostensione immediata e “senza istanza” si può riconoscere il carattere fortemente innovativo della disciplina in analisi. I contenuti delle offerte diventano infatti – grazie anche alla digitalizzazione del ciclo di vita del contratto introdotto dal nuovo Codice – immediatamente noti agli operatori economici, ponendo soprattutto i primi cinque classificati nella posizione di conoscere rapidamente le informazioni ivi contenute.
Molteplici sono le finalità di una regolamentazione di tal fatta: si accavallano, infatti, l’interesse pubblico alla massima trasparenza delle operazioni di gara, che conferisce credibilità all’azione della Stazione appaltante, anche e soprattutto nell’ottica della prevenzione della corruzione, e l’interesse privato a poter rapidamente valutare la legittimità della scelta operata dall’ente appaltante, anche ai fini dell’eventuale scelta di impugnare gli atti di gara.
Se da un lato emerge, per le ragioni appena esposte, la coerenza delle scelte legislative, dall’altro lato è parimenti lampante come sia rimesso all’Ente appaltante il gravoso compito di valutare quali siano le informazioni da oscurare per le ragioni sopra esposte. Si tratta senz’altro di un’attività nuova – perlomeno a livello di modalità esplicative – che può vedere contrapposti gli interessi dei concorrenti con le scelte delle Stazioni appaltanti. Risulta pertanto essenziale una definizione sufficientemente chiara di cosa sia l’informazione costituente segreto tecnico o commerciale, a maggior ragione data l’ampiezza di una tale dicitura legislativa. Copiosa è stata la giurisprudenza, anche europea, che sul punto si è espressa, anche nella vigenza del vecchio Codice.
4. La giurisprudenza nazionale ed europea.
Come si è poc’anzi detto, il ruolo delle pronunce giudiziarie gioca, in questo campo, un ruolo essenziale. Solo la concreta precisazione dei limiti e dei contorni del concetto di “segreto tecnico o industriale” può essere utile alle Stazioni appaltanti in fase di decisione sulle istanze di oscuramento, come di accesso.
Sul punto, il Consiglio di Stato ha affermato che “il segreto tecnico o commerciale deve identificarsi in quegli elementi di elevato contenuto tecnico e/o specialistico che identificano il cuore del know how della società e che consentono a quest’ultima di distinguersi dagli altri operatori del settore, la cui divulgazione arrecherebbe un irrimediabile pregiudizio alla società stessa”[10]. Si tratta, mutuando le espressioni di altra, precedente giurisprudenza, dell’insieme “del “saper fare” e delle competenze ed esperienze, originali e tendenzialmente riservate, maturate ed acquisite nell’esercizio professionale dell’attività industriale e commerciale e che concorre a definire e qualificare la specifica competitività dell’impresa nel mercato aperto alla concorrenza”[11].
Ulteriormente chiarificatrice appare essere la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che, all’esito di un rinvio pregiudiziale operato da una corte polacca, nel definire i contorni del novero delle informazioni riservate, e pertanto non divulgabili nemmeno di fronte alle esigenze difensive (se non legate a queste da un vincolo di assoluta indispensabilità), ha ritenuto di ricomprendere tutte quelle la cui “pubblicazione può (…) essere idonea a falsare la concorrenza, in particolare riducendo la capacità dell’operatore economico interessato di distinguersi attraverso la medesima concezione e la medesima descrizione in occasione di future procedure di aggiudicazione di appalti pubblici”[12].
5. Conclusioni. La decisione di oscuramento da parte della Stazione Appaltante.
In conclusione, sulla base di quanto sopra, emerge come il quadro normativo attualmente vigente ponga in carico agli operatori delle Stazioni appaltanti un onere dal peso maggiore rispetto a quello, già gravoso, che competeva loro alla luce della disciplina del Codice previgente.
Se, difatti, prima dell’entrata in vigore del nuovo Codice degli appalti, la funzione della stazione appaltante risultava solo “reattiva” rispetto all’eventuale richiesta di accesso agli atti (come successive a tale richiesta si appalesavano anche le valutazioni in merito all’oscuramento delle offerte prodotte dai partecipanti), con l’avvento del D. Lgs. n. 36 del 2023 tale funzione dell’Amministrazione ha assunto una connotazione “preventiva”. La P.A., infatti, è ora sempre tenuta a valutare le dichiarazioni motivate dei concorrenti in merito alla necessità di oscurare parti delle proprie offerte, richieste che, ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. a), perverranno unitamente alle offerte stesse. Data l’immediata ostensibilità delle offerte, sarà dunque necessaria una ponderata azione dei Responsabili del Progetto, volta a garantire quel bilanciamento tra tutela, da un lato, del segreto industriale e commerciale, e dall’altro dell’interesse pubblico alla trasparenza degli appalti pubblici, nonché dell’interesse privato alla tutela giurisdizionale vantabile astrattamente da tutti i concorrenti, atteso peraltro che “in mancanza di informazioni sufficienti che gli consentano di verificare se la decisione dell’amministrazione aggiudicatrice relativa all’aggiudicazione dell’appalto sia viziata da eventuali errori o illegittimità, un offerente (…) non avrà la possibilità, in pratica, di avvalersi del suo diritto a un ricorso efficace”[13].
Non è da escludere, infatti, un utilizzo strumentale della dichiarazione di inostensibilità da parte dei concorrenti, che potrebbero provare a giovarsi della disciplina di cui all’art. 36, comma 5, a norma del quale “nel caso in cui la stazione appaltante o l’ente concedente ritenga insussistenti le ragioni di segretezza indicate dall’offerente ai sensi dell’articolo 35, comma 4, lettera a), l’ostensione delle parti dell’offerta di cui è stato richiesto l’oscuramento non è consentita prima del decorso del termine di impugnazione delle decisioni di cui al comma 4”. Motivo in più per auspicare l’effettuazione, da parte dei funzionari della P.A. interessata, di un’approfondita valutazione delle richieste di oscuramento avanzate dai concorrenti, che tenga conto dei principi e della ratio generale di questa materia.
[1] Fonte: Note tematiche sull’Unione Europea, voce “Contratti di Pubblico appalto”, ove si sottolinea che “i contratti di appalto pubblico svolgono un ruolo fondamentale nelle economie degli Stati membri e contribuiscono per più del 16 % al PIL dell’UE”.
[2] Così Cons. Stato, sez. V, 07/01/2020, n. 64.
[3] In questo senso si vedano TAR Lazio, Roma, sez. I, 26/02/2024, n. 3811; Cons. Stato, sez. V, 11/04/2022, n. 2670; sez. V, 03/08/2021, n. 5714.
[4] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28/07/2016, n. 3431; TAR Lazio, Roma, sez. II-bis, 22/11/2018, n. 11335.
[5] Cfr. ex multis Cons. Stato, sez. V, 15/10/2024, n. 8258.
[6] ibid 5
[7] Si tratta dell’art. 35, comma 5, del D. Lgs. n. 36 del 2023.
[8] Cfr. TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 07/10/2024, n. 1436, citando la relazione del Consiglio di Stato relativa ai commi 4 e 5 dell’art. 35, D. Lgs. n. 36 del 2023.
[9] In questo senso, ex multis, TAR Campania, Napoli, sez. I, 04/10/2024, n. 5215
[10] Così Cons. Stato, sez. V, 22/07/2022, n. 6448.
[11] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 07/01/2020, n. 64; Cons. Stato, sez. V, 01/07/2020, n. 4220.
[12] CGUE, 17 novembre 2022, causa C-54/21, Antea Polska e a.
[13] Ibid., 12.