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( votes)CENNI INTRODUTTIVI
La disciplina dell’esclusione dei concorrenti costituisce un regime legale preordinato a comprimere posizioni di diritto soggettivo che trovano la loro tutela sia nei principi comunitari e nazionali della più ampia partecipazione alle procedure di affidamento degli appalti, sia nel principio costituzionale della libertà di iniziativa economica (artt. 3 e 41 Cost.).
Le stazioni appaltanti, allorquando intendano adottare la misura espulsiva dalle gare, devono quindi procedere con particolare rigore, evidenziando tutti i profili di specificità che, in coerenza alla normativa speciale di settore, consentano di giustificare un giudizio di inaffidabilità dell’impresa da escludere.
L’art. 38 comma 1 lett. f) del D.lgs. n. 163/2006 impedisce la partecipazione alle gare degli operatori economici che in passato abbiano dato prova di incapacità nell’esecuzione di altri appalti.
La norma si fonda sul concetto normativo di “violazione dei doveri professionali”, inteso – per l’appunto – come inadempimento alle obbligazioni che rinvengano la loro fonte in precedenti rapporti contrattuali pubblici, nonché sul presupposto che la relativa responsabilità sia accertata con “qualsiasi mezzo di prova”.
Il concetto di “violazione dei doveri professionali” ricomprende un’ampia serie di ipotesi, riconducibili alla negligenza, all’errore e alla mala fede, purché tutte qualificabili come gravi, nel senso della loro idoneità ad escludere l’affidabilità tecnica e morale del potenziale aggiudicatario e determinare il venire meno della fiducia dell’Amministrazione in ordine alla possibilità futura del corretto svolgimento della fornitura, del lavoro o del servizio.
Ciò premesso, la questione da affrontare è duplice e consiste nello stabilire: 1) se gli errori (o le violazione dei doveri) professionali cui fa riferimento l’art. 38 comma 1 lett. f, siano solo quelli commessi nei confronti della stazione appaltante che ha bandito la gara, oppure siano anche quelli riguardanti i rapporti con altre stazioni appaltanti; 2) se l’accertamento delle pregresse violazioni verificatesi in sede di esecuzione di precedenti contratti pubblici di appalto debba rivestire il carattere proprio della intangibilità e, quindi, debba essere contenuto in un atto amministrativo non contestato giudizialmente (cioè divenuto inoppugnabile per decorso dei termini), oppure in una sentenza divenuta definitiva (cioè passata in giudicato).
Accertamento della violazione dei doveri professionali: provenienza sia dalla stazione appaltante che ha bandito la gara, sia da altre amministrazioni aggiudicatrici.
La tesi della rilevanza della violazione dei doveri professionali commessa (anche) nei rapporti con stazioni appaltanti diverse da quella che ha indetto la gara è accolta dalla più recente giurisprudenza amministrativa,[1] oltre che dall’Autorità di Vigilanza.[2] I giudici, in particolare, vi aderiscono muovendo da un’interpretazione c.d. “comunitariamente orientata” della norma nazionale di riferimento, così articolata:
- poiché il vigente D.lgs. n. 163/2006 si presenta come fonte di recepimento della disciplina comunitaria, l’art. 38 comma 1 lett. f) deve essere interpretato in modo coerente con le indicazioni desumibili dall’art. 45 par. 2 lett. d) della Direttiva 31 marzo 2004, n. 2004/18/CE;
- la predetta norma comunitaria consente l’esclusione di ogni operatore economico che “nell’esercizio della propria attività professionale abbia commesso un errore grave, accertato con qualsiasi mezzo di prova dall’amministrazione aggiudicatrice“;
- tale formula corrisponde a quella della seconda parte dell’art. 38 comma 1 lett. f), D.lgs. n. 163/2006;
- dunque, in via generale, la normativa comunitaria consente di qualificare come ostativo qualsiasi episodio di errore che caratterizzi la storia professionale degli aspiranti concorrenti, purché sia abbastanza grave da metterne in dubbio l’affidabilità;
- la norma nazionale vigente riproduce quella comunitaria e di conseguenza rende rilevanti tutti gli errori professionali ovunque commessi.
In sintesi, la grave violazione dei doveri professionali è riferibile indistintamente ai contratti stipulati sia 1) dalla stazione appaltante che ha bandito la gara, sia 2) da altre stazioni appaltanti, con la particolarità che nella prima ipotesi la norma invocabile è quella che figura nella prima parte dell’art. 38 comma 1 lett. f), D.lgs. n. 163/2006 (che corrisponde all’abrogato art. 75 comma 1 lett. f, D.P.R. n. 554/1999), mentre nella seconda ipotesi acquista rilevanza applicativa la seconda parte del medesimo disposto.
Accertamento della violazione dei doveri professionali: carattere di non definitività, fonti probatorie.
La grave violazione dei doveri professionali, per giustificare l’esclusione, deve essere adeguatamente dimostrata.
Mezzo di prova per eccellenza è costituito dalla circostanza che la stessa stazione appaltante (che ha bandito la gara) abbia risolto per inadempienze gravi il precedente contratto stipulato con l’impresa interessata.[3]
Il problema si pone allorché la risoluzione contrattuale disposta dall’Amministrazione in danno dell’impresa inadempiente sia contestata giudizialmente e la relativa controversia – innanzi al giudice civile competente in via giurisdizionale – non sia stata ancora definita.
La questione, in altri termini, è se la pendenza della controversia giudiziaria osti all’applicazione dell’art. 38 comma 1 lett. f), nel senso che debba ritenersi illegittima l’esclusione dalla gara nel caso in cui l’atto relativo all’accertamento delle violazioni verificatesi nel corso dell’esecuzione di precedenti contratti sia sub iudice.
Il Consiglio di Stato[4] – superando il diverso orientamento espresso da taluni giudici di primo grado[5] – ha ritenuto ininfluente la contestazione in sede processuale della suddetta valutazione amministrativa da parte dell’impresa, in quanto:
- l’esigenza soddisfatta dalla previsione contenuta nell’art. 38 comma 1 lett. f) è di salvaguardare l’elemento fiduciario, senz’altro scalfito in presenza di un giudizio formulato dall’Amministrazione circa la grave negligenza dell’aspirante partecipante;[6]
- dal punto di vista letterale, poi, lo stesso art 38 comma 1 richiede espressamente il definitivo accertamento (lett. g) o il passaggio in giudicato della sentenza (lett. c) laddove individua altre cause di esclusione, mentre non lo prevede per le ipotesi di cui alla lett. f), sicché deve ribadirsi la sufficienza dell’accertamento in sede amministrativa dell’inaffidabilità dell’impresa.[7]
Dunque, le inadempienze rilevate dall’Amministrazione, per legittimare il provvedimento di esclusione, non devono essere verificate in via giurisdizionale, dovendosi riconoscere alla stazione appaltante un ampio e autonomo spazio discrezionale nella valutazione circa la sussistenza o meno del requisito di affidabilità; ciò anche sul rilievo – giova ribadire – che la definitività dell’accertamento non è richiesta dalla lettera f), a differenza di quanto previsto per altre ipotesi di esclusione pure contemplate dall’art. 38 comma 1, come quelle di cui alle lettere c), g), i).
Ulteriore dimostrazione della violazione dei doveri professionali nel pregresso espletamento di commesse pubbliche – questa volta rilevante nei rapporti intercorsi con altre stazioni appaltanti – è l’annotazione nel casellario informatico.
Infatti, benché solo alcune delle cause di esclusione dell’art. 38 del D.lgs. n. 163/2006 presuppongano espressamente l’annotazione nel casellario informatico (e tra queste, secondo il dato testuale dell’art. 38, non figura la violazione dei doveri professionali), appare condivisibile la posizione dell’A.V.C.P. (determinazione n. 1 del 10 gennaio 2008) che ha esteso a tutte le situazioni ostative il medesimo regime di pubblicità. La correttezza della soluzione risiede nell’esigenza di razionalizzare il sistema degli appalti pubblici e nella necessità che la verifica dei requisiti (cui è subordinata ex art. 11 comma 8 del D.lgs. n. 163/2006 l’aggiudicazione definitiva) sia effettuata da tutte le stazioni appaltanti sulla base delle medesime informazioni, a garanzia della par condicio tra gli operatori economici su scala nazionale. Le stazioni appaltanti sono, quindi, tenute a collaborare trasmettendo i dati in loro possesso all’A.V.C.P. e devono tenere conto delle risultanze del casellario informatico.[8] [9]
Incidenza della violazione dei doveri professionali sul piano dell’affidabilità del concorrente: motivazione
Il tenore dell’art. 38 comma 1 lett. f) del D.lgs. n. 163/2006 è chiaro nel prescrivere che l’esclusione debba essere il risultato di una “motivata valutazione”.
La profondità del discorso motivazionale atto a sorreggere la misura espulsiva, tuttavia, si atteggia diversamente a seconda che la valutazione circa il precedente professionale dell’impresa concorrente sia effettuata dalla stazione appaltante che bandisce la gara, oppure da una diversa.
Nel primo caso, infatti, è sufficiente il richiamo ob relationem all’atto con il quale, in altro rapporto contrattuale di appalto, la stessa Amministrazione abbia provveduto alla risoluzione per inadempimento contrattuale; in altre parole, la motivazione può essere costituita dal riferimento all’episodio già contestato.[10]
Nel secondo caso, invece, occorre un approfondito apprezzamento in ordine alla importanza e incidenza negativa sul rapporto fiduciario delle precedenti risoluzioni contrattuali comminate da Amministrazioni diverse da quella che indice la procedura.[11]
Esemplificando, si consideri una gara per l’affidamento del servizio pubblico di trasporto scolastico, alla quale concorra un’impresa nei cui confronti sia stata adottata, da un’Amministrazione diversa da quella che l’abbia bandita, una risoluzione amministrativa in danno per gravi inadempienze nel pregresso svolgimento di un servizio identico; episodio annotato nel casellario informatico e segnalato dalla stessa impresa nella domanda di partecipazione.
La pregressa vicenda contrattuale, alla stregua delle considerazioni di principio sopra esposte, non può essere automaticamente qualificata come negligenza in grado di giustificare, da sola, l’esclusione della concorrente ai sensi dell’art. 38 comma 1 lett. f) del D.lgs. n. 163/2006; essa, invece, configura un mero indizio di inaffidabilità tecnica e morale, valorizzabile unicamente all’esito di un’autonoma e motivata valutazione, ad opera della stazione appaltante che ha indetto la gara, in ordine alla rilevanza e gravità del puntuale addebito; un tanto, avuto riguardo alla duplice esigenza di garantire sia il carattere fiduciario del rapporto, sia l’idoneità dell’impresa selezionata a fornire prestazioni che soddisfino gli interessi di rilievo pubblico perseguiti dall’ente committente.
Si ipotizzi, dunque, che all’esito dell’istruttoria e della documentazione acquisita emerga a carico dell’operatore economico in questione una grave infrazione al codice stradale, rilevata dalla polizia locale con verbale richiamato nell’atto di risoluzione contrattuale come elemento fondante.
Detto verbale, assistito da pubblica fede ai sensi dell’art. 2700 c.c., qualora non abbia costituito oggetto di querela di falso volta a superarne l’efficacia probatoria privilegiata, può rivelarsi idoneo ad attestare che la condotta dell’aspirante concorrente abbia esposto a serio pericolo l’incolumità dell’utenza, qualificata dalla minore età; circostanza, questa, che imponeva un onere comportamentale improntato alla massima diligenza professionale, destinato a tradursi nella scrupolosa osservanza delle pertinenti disposizioni atte a prevenire situazioni di rischio altrimenti verificabili.
L’accertamento relativo allo specifico contegno contrattuale – compiutamente descritto – e la valutazione della sua negativa incidenza determinano, quindi, il ragionevole venire meno della fiducia della stazione appaltante circa la futura possibilità di un corretto svolgimento del servizio, integrando, in definitiva, la causa ostativa in esame.
[1] T.A.R. Lombardia, Brescia, 23 giugno 2011, n. 925; Cons. Stato, sez. V, 15 marzo 2010, n. 1500.
[2] Determinazione A.V.C.P. n. 1 del 12 gennaio 2010.
[3]Ulteriore elemento dimostrativo dell’inaffidabilità dell’impresa, ex se idoneo a precludere la partecipazione alla gara, è la contestazione degli addebiti relativi alla esecuzione di un precedente appalto, purché ad essa segua, in via autoritativa, la risoluzione contrattuale in danno della stessa impresa: in tal caso, infatti, la sequenza temporale delle determinazioni assunte dalla P.A. (contestazione addebiti quale comunicazione di avvio del procedimento, esclusione, successiva risoluzione amministrativa) si rivela perfettamente coerente e legittima, essendo agganciata a verifiche in ordine a gravi negligenze nello svolgimento di un pregresso rapporto negoziale: T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 25 novembre 2009, n. 11649: in senso analogo: T.A.R. Veneto, sez. I, 7 novembre 2011, n. 1648, che ha ritenuto fatti idonei ad escludere l’affidamento che un progettista di opere pubbliche, incaricato anche dei relativi lavori, dava in ordine alla corretta esecuzione dei contratti l’errore sul calcolo dell’i.v.a. e la produzione di un registro di contabilità senza iscrizione o annotazione riguardante gli interventi già realizzati.
[4] Cons. Stato, sez. V, 21 gennaio 2011, n. 409.
[5] T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, 21 febbraio 2009, n. 249; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 11 novembre 2009, n. 11089.
[6] Sul punto, cfr. anche: Cons. Stato, sez. V, 27 gennaio 2010, n. 296.
[7] Sul punto cfr. anche: Cons. Stato, sez. VI, 28 luglio 2010, n. 5029.
[8] Cfr. anche l’art. 8 comma 2 lett. p) del D.P.R. n. 207/2010.
[9] Si rammenta che l’operatore economico nei confronti del quale venga pronuncia in via amministrativa la risoluzione per grave inadempimento ha l’onere di dichiarare la vicenda cui l’annotazione si riferisce e, in caso di omissione, scatta l’esclusione.
[10] Ex multis: Cons. Stato, sez. V, n. 296/2010 cit.
[11] Tra le tante, cfr. T.A.R. Marche, Ancona, 21 aprile 2008, n. 244.