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( votes)Premessa
La verifica dell’anomalia è quella delicata procedura attraverso la quale la stazione appaltante valuta la sostenibilità e la serietà dell’offerta economica formulata dai concorrenti. Negli appalti “a consumo”, soprattutto se aggiudicati mediante il criterio dell’Offerta Economicamente più Vantaggiosa, che tipo di verifica si può svolgere sulla sostenibilità di prestazioni sostanzialmente “forfettizzate”?
1. La problematica della “forfettizzazione” delle “prestazioni a consumo” e la sostenibilità dell’Offerta Economica
Sovente accade nella pratica professionale di imbattersi nel quesito posto da alcune stazioni appaltanti, che si trovano ad aggiudicare gare in cui le prestazioni sono quantificabili à forfait: quale “peso” dare a prestazioni che potrebbero anche essere erogate in quantitativi minori e, di conseguenza, come valutare la sostenibilità di offerte economiche che mostrano sensibili ribassi?
Il tema è assai diffuso e variamente disciplinato a seconda dei casi e della tipologia di appalti: si pensi, ad esempio, alle gare per il facility management di immobili, ovvero agli accordi quadro per le manutenzioni di impianti, o ancora agli affidamenti di servizi di ristorazione ospedaliera, oppure ai servizi di pulizia comprensivi di “interventi straordinari”, e così via.
Tutte queste tipologie di gare hanno in comune almeno un dato: la fluttuabilità del quantitativo delle prestazioni.
A ben vedere, però, condividono anche il criterio di aggiudicazione che, in linea con quanto previsto dall’art. 95, comma 3 d.lgs. n. 50/2016, devono essere aggiudicate mediante il criterio dell’Offerta Economicamente più Vantaggiosa.
Il concorso di queste due circostanze porta l’effetto – senz’altro auspicabile – di veder concorrere offerte tutte assai competitive sul lato tecnico e, pertanto, l’alea della gara, in molti casi, si sposta sul confronto economico – che sovente si sostanzia in notevoli ribassi -.
Tali ribassi, però, se rapportati ai costi di impresa per l’esecuzione delle prestazioni nel loro ammontare massimo (intendendo con ciò, quello stimato dalle stazioni appaltanti, a base di gara), potrebbero ripercuotersi negativamente sulla sostenibilità dell’offerta.
Una spiegazione di questo accadimento si può rinvenire nella struttura delle “gare a consumo”, in cui la stazione appaltante – non potendo prevedere ex ante con esattezza i quantitativi necessari -, li forfettizza in un importo massimo, magari basandosi sul “consumo storico”. Sovente, nelle gare di che trattasi, si prevede un’attività minima continuativa compensata con un canone periodico e predeterminata a priori, così cercando di limitare l’alea sui “quantitativi a consumo” e prevedendo per gli stessi un “importo massimo non superabile” che corrisponde ad un certo numero di prestazioni, calcolato dalla stazione appaltante con criterio probabilistico.
2. La struttura delle “gare a consumo”
Dal lato degli imprenditori–offerenti il ribasso dell’offerta economica si potrebbe spiegare con diverse motivazioni: economie di scala per i servizi-attrezzature centralizzati (si pensi, ad esempio, alla disponibilità di scorte di magazzino e macchinari, nel caso di appalto per la manutenzione di impianti, oppure ai servizi amministrativi e quelli di formazione per la sicurezza), oppure la conoscenza specifica-storica delle attività da eseguirsi, che consente una verosimile quantificazione delle stesse, tale da poter dare concretezza e razionalità all’offerta economica.
In tale contesto, soprattutto in presenza di un affidamento compensato in parte con un canone periodico, l’impresa concorrente riesce a massimizzare le risorse a disposizione, contenendo i costi e “diluendoli” nell’arco dell’intera durata dell’appalto.
Ma, tra la “spiegazione” e la vera e propria “giustificazione” dell’anomalia, spesso si pone alle stazioni appaltanti il concreto problema su quali criteri di verifica adottare nel caso sin cui le prestazioni da affidarsi siano indefinibili quantitativamente: in questi casi, dunque, è possibile utilizzare i criteri usuali, in particolare per la “voce di spesa” solitamente più cospicua verifica, cioè i costi del personale?
In altri termini, ci si chiede se sia possibile e razionale “ricostruire” i costi e margini imprenditoriali di un’offerta economica, laddove tale offerta si riferisce a prestazioni che implicano un impegno non quantificabile ex ante, proprio in quanto – per loro stessa natura – sono “a chiamata”, o comunque non quantificabili a priori.
Più propriamente, quindi, in questi casi l’appaltatore fornisce la sua “diponibilità” ad eseguire un “quantitativo massimo”, fermo restando che tale quantitativo potrà non essere mai raggiunto.
Se si assume a paradigma un servizio di manutenzione e riparazione, quindi un servizio che per sua natura è “a chiamata”, si può ben immaginare che esso sia caratterizzato da una componente di alta specializzazione (con correlati costi per l’adeguata formazione nell’ambito della sicurezza), da un plafond di scorte di magazzino e mezzi d’opera abbastanza nutrito da risultare efficiente e, non ultimo, dalla reperibilità “h24”.
Su tali variabili, di norma, viene strutturata l’offerta tecnica: quest’ultima, quindi, implica l’attribuzione di maggiori premialità ai candidati che offrono servizi, complessivamente più efficienti e – siccome le componenti minime sono uguali per tutti – alla fine la competizione per il punteggio tecnico finisce per concentrarsi più sugli aspetti dell’organizzazione del personale, cioè su squadre o servizi aggiuntivi (per esempio, la riparazione-pronto intervento in tempi ristrettissimi) che implicano la disponibilità di un numero più elevato di lavoratori.
Se a tale struttura della gara – e dell’offerta tecnica – si aggiunge la competizione sull’offerta economica, praticando ribassi sensibili, allora si rischia di non poter giustificare i costi – in special modo, quello del personale – ed i margini imprenditoriali di guadagno, rapportati all’ammontare massimo delle prestazioni richieste.
La verifica dell’anomalia, soprattutto in questi casi, deve tenere conto di tutte le variabili dell’offerta tecnica: i costi per le attrezzature e macchinari, i costi per la maggiore organizzazione, i costi del personale – tenuto conto del livello di specializzazione -, i costi imprenditoriali fissi (amministrativi, assicurativi, ecc.) e la procedura di valutazione dell’offerta anomala deve darne puntuale contezza, rapportandoli all’offerta economica, per poter verificare la sostenibilità e l’attendibilità di quest’ultima.
In pratica, però, si potrebbe verificare il caso in cui, “a conti fatti”, l’offerta risulti insostenibile e, come tale, deve essere esclusa dal confronto concorrenziale.
Ciò, nella maggior parte dei casi è dovuto all’effetto dell’eccessivo ribasso, che erode i costi del personale, sino ad annullare ogni margine di guadagno – in mancanza del quale l’offerta non è sostenibile -.
Nodale, ai fini della verifica, è la stima – seppur “precognitiva” – che la stazione appaltante fà dei costi del personale e, più in generale, delle attività “a consumo”: in mancanza di tale parametro, infatti, il procedimento di verifica rischia di risolversi in una sorta di monologo, in cui l’aggiudicatario-imprenditore offre giustificazioni e cifre che il committente non può concretamente rielaborare, né valutare.
Il TAR, Toscana, Sez. II, con la recente sentenza 1° febbraio 2019, n. 165 ha ricordato, infatti, il principio generale: “da un lato, la stazione appaltante sia obbligata a scrutinare la correttezza delle offerte dei concorrenti sotto il profilo della congruità del costo della manodopera e, dall’altro, che tale fase procedimentale prescinde tanto dall’anomalia dell’offerta quanto dalla necessità di attivare un contraddittorio con l’impresa.”
La principale preoccupazione della stazione appaltante, quindi, in questi casi, è quella di rendere trasparente il criterio di misurazione delle attività a consumo – ovvero l’ammontare massimo delle stesse –, affinché anche il contratto di appalto che verrà stipulato a valle della gara possa avere un oggetto che – mutuando la dizione dell’art. 1346 cod. civ. – “determinato o determinabile” sotto il profilo quantitativo.
In tal senso, ben riassume il principio il TAR Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, con la sentenza 14 marzo 2018, n. 241, ove si afferma: “anche in vigenza del d.lgs. n. 50/2016, come richiesto dal suo art. 30, co. 1, le stazioni appaltanti devono garantire la qualità delle prestazioni, non soltanto nella fase di scelta del contraente, ma anche in quella di predisposizione dei parametri della gara, attraverso un’attività istruttoria approfondita ed adeguata, sin dalla fase di determinazione del prezzo a base d’asta.”.
3. I costi del personale: la teoria dei “costi medi”
A questo punto, si impone una breve digressione in ordine alla modalità di calcolo dei costi del personale, non potendosi risolvere tale operazione in una piana moltiplicazione costo orario/ore lavorate.
Il personale, infatti, nei contratti “a consumo” e “a chiamata” è praticamente “a disposizione” delle esigenze della stazione appaltante per eseguire tutte le attività necessarie nell’arco della durata del contratto e nei limiti del plafond massimo. Tuttavia, sarebbe erroneo considerare che tale “messa in disponibilità” occupi l’intero periodo lavorativo annuale, giacché un simile “monte orario” sarebbe irrealistico in quanto non tiene conto di periodi di “sospensione legale” dell’attività lavorativa (ad esempio, ferie, corsi di aggiornamento per la sicurezza, ecc.).
La giurisprudenza, così, ha elaborato un concetto più pragmatico: quello delle ”ore mediamente lavorate”.
A tale concetto è tenuta a rapportarsi la verifica dell’anomalia per quanto riguarda la valutazione dei costi del personale. Precisamente, il Consiglio di Stato, Sez. V, con la decisione 12 giugno 2017, n. 2815 afferma: “Per il costo orario del personale da dimostrare in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta non va assunto a criterio di calcolo il “monte-ore teorico”, comprensivo cioè anche delle ore medie annue non lavorate (per ferie, festività, assemblee, studio, malattia, formazione, etc.) di un lavoratore che presti servizio per tutte l’anno, ma va considerato il “costo reale” (o costo ore lavorate effettive, comprensive dei costi delle sostituzioni). Il costo tabellare medio, infatti, è indicativo di quello “effettivo”, che include i costi delle sostituzioni cui il datore di lavoro deve provvedere per ferie, malattie e tutte le altre cause di legittima assenza dal servizio (vds.: Consiglio di Stato, Sez. III, 02.03.2017 n. 974, 02.03.2015 n. 1020, 13.12.2013 n. 5984).
Anche nell’esaminare il dato relativo alle “ore mediamente lavorate”, tuttavia, non si può attuare un mero calcolo matematico ore mediamente lavorate/costo orario, ma occorre valutare in concreto se le ore mediamente lavorate siano sufficienti a garantire il servizio oggetto di appalto, con le caratteristiche indicate nell’offerta tecnica. Può accadere, infatti, che i “costi medi” indicati dall’appaltatore siano coerenti con l’offerta economica da esso predisposta e che tale offerta non risulti anomala: tuttavia, questo effetto compliant potrebbe celare una sottostima del personale necessario ad eseguire le prestazioni appaltate.
In tal senso, il TAR Campania, Napoli, Sez. V, 11 luglio 2018, n. 4600, ha osservato: “come noto le tabelle ministeriali prevedono: un monte ore teorico; un monte ore mediamente lavorato. Detto monte ore rappresenta un “divisore” sulla retribuzione media annua, sicché maggiore è il numero di ore, minore sarà il quoziente, ovvero il costo medio orario derivante, e conseguentemente sarà più agevole giustificare una offerta sospetta di anomalia. Aumentando le ore, tuttavia, non si garantisce la copertura economica per evenienze imprevedibili quali malattie, congedi ed ulteriori fattispecie da retribuirsi, evenienze che non rientrano nella disponibilità dell’impresa e non sono da essa governabili/prevedibili.”.
Da ultimo, la verifica del costo del personale, in sede di valutazione dell’anomalia, non può prescindere dall’analisi del Contratto Collettivo applicabile.
Sul punto, è d’uopo segnalare la decisione del Consiglio di Stato, Sez. V, 1° marzo 2017, n. 932 che – in ordine alla possibilità o meno per l’appaltatore di scegliere il CCNL da applicare al personale dipendente e, in particolare, sulla verifica del CCNL applicato, qualora sia indicato un costo del personale legato ad un CCNL diverso da quello impiegato da altre imprese concorrenti – afferma: “nel settore degli appalti pubblici, è demandato all’imprenditore e, di conseguenza, alla libertà contrattuale delle parti, la scelta del contratto collettivo da applicare, a condizione che risulti coerente con l’oggetto dell’appalto stesso. … Non è da considerarsi anomala l’offerta, quando la stessa è riconducibile al minor costo del lavoro per il contratto da essa applicato al proprio personale rispetto a quello applicato da altra impresa se, nella lex specialis di gara, si richiede l’indicazione non di un contratto specifico ma – come, nel caso di specie, per i lavoratori diversi da quelli riassorbiti – semplicemente di quale sia il contratto applicato e, peraltro, le mansioni richieste per l’esecuzione del servizio sono riconducibili a più figure professionali, inquadrabili anche nelle previsioni di diverse tipologie contrattuali vds. Cons. Stato, sez. VI, 26 marzo 2010, n. 1754)”.
Partendo da queste basi ed ampliandone la portata, il parere del 18 maggio 2018, n. 9356, emesso dal Servizio consulenza Regione Friuli Venezia Giulia, con riferimento alle specifiche tematiche del costo del lavoro e della congruità dell’offerta economica, recita: “secondo la giurisprudenza prevalente, poiché le tabelle ministeriali riportano un costo del lavoro medio, ricostruito su basi statistiche, i valori ivi contenuti (eccezion fatta per i “minimi salariali retributivi” o “trattamenti salariali minimi”, inderogabili ex lege ai sensi dell’art. 97, commi 5 e 6, del d.lgs. 50/2016) rappresentano solo un parametro di congruità dell’offerta e non un limite inderogabile, e come tali sono suscettibili di scostamento, in relazione a valutazioni statistiche ed analisi aziendali evidenzianti una particolare organizzazione in grado di giustificare la sostenibilità di costi inferiori”.
Tale parere, così come l’evoluzione giurisprudenziale che è seguita sull’argomento, portano, quindi, sempre alla necessaria conclusione che la verifica dell’anomalia – per quanto concerne l’aspetto dei costi del personale -, deve essere svolta “in concreto” ed alla luce dei parametri qualitativi ed organizzativi delle prestazioni, indicati nell’offerta tecnica, che – a loro volta – devono conciliarsi con i costi del lavoro indicati nelle tabelle ministeriali e con l’inquadramento corretto dei lavoratori impegnati nella commessa, nel CCNL di categoria.
4. Due esempi recenti nella prassi ANAC: la Delibera n. 78 del 29 gennaio2020 e la Delibera n. 40 del 15 gennaio 2020
Con la Delibera n. 78 del 29 gennaio 2020 l’ANAC si è pronunciata sul caso di una gara per l’affidamento e la manutenzione centralizzata “a consumo” delle postazioni di lavoro e dei server, di un’Azienda ospedaliera romana. Nell’ambito di tale procedura, la concorrente seconda graduata aveva contestato l’esito positivo del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta presentata dall’aggiudicataria.
In particolare, “i quesiti sollevati dall’istante, sono afferenti, i primi due, alla possibilità di ritenere congrua un’offerta che preveda un servizio aggiuntivo (cd. Supporto di III livello), espressamente valorizzato dalla commissione di gara in sede di attribuzione del punteggio tecnico, i cui costi, compresi quelli del personale, non siano stati neppure in parte giustificati nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia; l’istante contesta, poi, l’errato inquadramento professionale del personale indicato per l’espletamento del servizio ed in particolare del Service Desk Agent: invero, detta figura, prevista nel precedente contratto collettivo e non riprodotta in quello attualmente vigente, troverebbe un omologo nello User Support che, tuttavia, ha diritto ad una retribuzione annua lorda più elevata di quella prevista in precedenza per il Service Desk Agent, con conseguente sottostima dei costi della manodopera da parte dell’aggiudicatario;”.
A fronte di tali puntuali contestazioni, l’Autorità preliminarmente ricorda: “le valutazioni dell’Amministrazione in ordine agli elementi e alla congruità della offerta sono espressione di un apprezzamento di natura tecnico-discrezionale e possono essere sindacate solo in caso di macroscopica irragionevolezza o di decisivo errore di fatto (Consiglio di Stato, sez. V, 30 marzo 2017, n.1465; in tal senso, anche ANAC parere n. 84 del 10 aprile 2014, delibera n. 438 del 27 aprile 2017, n. 488 del 3 maggio 2017 e n. 672 del 14 giugno 2017); … la Stazione appaltante, con nota … ha rappresentato che “il costo relativo al servizio qualificato Supporto di III livello è stato valorizzato all’interno dei costi indiretti, come specificato nei giustificativi prodotti (par.2.3). All’interno di questo importo sono stati valorizzati trasversalmente i servizi accessori, proposti in gara, che l’operatore economico, come esplicitato nella relazione di giustificazione, offre a tutti i suoi clienti in modalità standard e non esclusivamente a favore dell’Azienda Ospedaliera …”.
Nel caso in esame, però, la stazione appaltante – pur in presenza di un appalto di servizi di manutenzione “a consumo” – ha comunque parametrato le proprie esigenze rispetto ai “costi storici” del servizio e, inoltre, ha anche indicato e stimato correttamente le professionalità coinvolte: di conseguenza, il giudizio sulla possibile anomalia si è svolto secondo le indicazioni sin qui commentate, tenendo conto puntualmente dei parametri contrattuali e delle peculiarità del servizio così come indicate nell’offerta tecnica – e con motivazione immune da vizi di illogicità -. Pertanto, l’Autorità rileva che: “sulla base della documentazione versata in atti, la questione relativa alla sottostima dei costi della manodopera – per aver l’aggiudicatario indicato una figura professionale non prevista nel vigente contratto collettivo ed equiparabile, per competenze e mansioni, ad altra figura avente diritto, tuttavia, ad una retribuzione annua lorda più alta – appare destituita di fondamento atteso che l’aggiudicataria ha chiaramente mostrato di sostenere costi annui legati alle retribuzioni dei propri dipendenti superiori a quelli minimi derivanti dal contratto collettivo utilizzato per i livelli di inquadramento e, con particolare riferimento alla figura del Service Desk Agent, la retribuzione annua indicata dalla HD Solution S.r.l. risulta superiore a quella indicata dall’istante per l’analoga figura dello User Support.”. Inoltre, “sulla scorta dei chiarimenti forniti dall’Amministrazione e di quanto evidenziato in merito alla lamentata sottostima dei costi della manodopera, si ritiene che il giudizio di verifica dell’anomalia dell’offerta presentata dall’aggiudicataria non appare affetto da alcun macroscopico errore di fatto né da manifesta irragionevolezza, avendo l’operatore economico fornito giustificazioni economiche di tutti i costi connessi ai servizi offerti.”.
In conclusione, l’ANAC ha ritenuto “che la valutazione di congruità dell’offerta tecnica presentata dall’aggiudicataria non sia viziata da illogicità, irrazionalità e irragionevolezza.”.
Simmetrico nella puntualità dell’analisi – ma con esito opposto al precedente, e per certi versi paradigmatico – è il caso esaminato dall’ANAC con la Delibera n. 40/2020, con il quale è stato nuovamente affrontato il tema, della valutazione dell’anomalia che si concentra sui costi del personale.
Nel caso esaminato dall’Autorità, in questo caso entra in gioco il “fattore tempo”: infatti, l’offerta dell’aggiudicatario era risultata particolarmente competitiva in quanto l’imprenditore aveva dichiarato di poter eseguire i lavori di manutenzione oggetto della gara in tempi assai ristretti e, di conseguenza, abbattendo i costi del personale proprio in funzione del minor tempo impegnato nella commessa.
La Delibera esordisce con una premessa che suona come un monito e riassume il ragionamento dell’Autorità: “la verifica della congruità del costo della manodopera è estesa a tutti i fattori che concorrono al calcolo del costo complessivo offerto, che devono risultare giustificati e sostenibili, e può limitarsi alla verifica del rispetto delle tabelle ministeriali solo se le altre variabili risultano immutate rispetto alle stime effettuate in sede di predisposizione della documentazione a base di gara. Nel caso in cui il monte ore di alcune lavorazioni risulti ridotto in modo significativo rispetto alle stime dell’amministrazione, l’aggiudicatario ha l’onere di indicare alla stazione appaltante gli strumenti concreti (particolari metodologie di esecuzione o altri accorgimenti) di cui intende avvalersi e che possono giustificare una simile contrazione dei tempi di lavorazione.”
Quanto al caso in esame, l’ANAC ricorda che un operatore economico aveva contestato l’esito della verifica del costo della manodopera (e la conseguente aggiudicazione), effettuata dalla stazione appaltante nei confronti del concorrente primo classificato in una gara per la manutenzione di beni immobili cimiteriali: “in particolare, l’istante ha evidenziato come la stazione appaltante si sia limitata a prendere atto della dichiarazione dell’operatore economico del rispetto dei livelli retributivi previsti dalle tabelle ministeriali senza approfondire la sostenibilità dell’offerta a fronte della significativa riduzione dei tempi di esecuzione di alcune lavorazioni rispetto a quelli stimati nella documentazione a base di gara.”. Invece – come sembra sostenere anche l’Autorità – “ad avviso dell’istante, la verifica del costo della manodopera dovrebbe essere condotta valutando i due fattori che concorrono alla determinazione del costo complessivo della manodopera (i livelli salariali applicati e i tempi di esecuzione delle singole lavorazioni) in concreto, ovvero, in caso di riduzione dei tempi, attraverso l’analisi degli strumenti (attrezzature, tecniche peculiari o altri specifici accorgimenti) di cui l’operatore economico intende avvalersi, e che ha l’onere di indicare, per abbreviare i tempi di realizzazione.”.
L’aggiudicatario ha replicato con una memoria “nella quale ha evidenziato come la verifica della congruità del costo della manodopera ai sensi del combinato disposto degli artt. 95, comma 10 e 97, comma 5, lett. d), d.lgs. n. 50/2016 si distingua ontologicamente dalla verifica di congruità dell’offerta, dovendo essere condotta comunque, prima dell’aggiudicazione, nei confronti di tutte le offerte prime graduate, con riferimento esclusivamente alla congruità del costo della manodopera (e non dell’offerta nel suo complesso). Inoltre, ad avviso dell’aggiudicatario, la circostanza che, nel caso in esame, il criterio di aggiudicazione sia quello del prezzo più basso, esclude che il tempo di esecuzione abbia formato oggetto di specifica offerta da parte dei concorrenti e che, dunque, possa essere oggetto di sindacato da parte della stazione appaltante, venendo in rilievo solo la componente economica del ribasso.”.
Nel merito, l’Autorità “rileva che l’operatore economico … ha formulato un’offerta di 441.615,21 euro, di cui 180.000,00 euro per la manodopera (rispetto alla base d’asta pari a 655.050,23 euro, di cui 255.980,59 euro per la manodopera), corrispondente a un ribasso percentuale del 32,583 % e si è classificato al primo posto della graduatoria al netto delle offerte anormalmente basse (soglia di anomalia pari a 38,3415% di ribasso). La stazione appaltante ha avviato la verifica di cui all’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50/2016. Ha inizialmente rappresentato all’impresa di avere proceduto alla verifica delle schede di analisi dei prezzi offerti limitatamente al costo della manodopera, nonostante la documentazione prodotta non recasse alcuna analisi in questo senso, «riscontrando che i tempi di esecuzione di varie lavorazioni risultano esigui per la tipologia delle stesse» e ha invitato l’operatore economico a trasmettere «puntuale giustificazione dei costi della manodopera dichiarati in sede di offerta» (nota del 10 settembre 2019). Nel successivo verbale di valutazione delle giustificazioni dell’offerta (del 18 settembre 2019), constatata l’applicazione delle tabelle ministeriali, la Commissione ha certificato l’ottemperanza a quanto richiesto ai sensi dell’art. 95, comma 10, «fermo restando la perplessità circa i tempi di esecuzione di alcune lavorazioni».”.
Apparentemente, dunque, la procedura di verifica si è svolta secondo le previsioni di cui all’art. 97 d.lgs. n. 50/2016: rispettando il contraddittorio, infatti, la stazione appaltante ha acquisito i giustificativi predisposti dall’aggiudicatario, dai quali si evinceva sia il rispetto delle modalità esecutive-organizzative indicate nell’offerta tecnica, sia la coerenza dell’offerta economica con i costi dell’appaltatore, in particolare i costi del personale come indicati nelle tabelle ministeriali; dal computo complessivo, risultava che l’offerta presentata era anche sostenibile, in quanto consentiva all’imprenditore di acquisire anche un margine di profitto.
Di fronte a questa triplice concordanza, le “perplessità” della stazione appaltante non sono state sufficienti a consentire alla stessa di formulare un giudizio negativo sull’offerta anomala e, quindi, la procedura si è risolta con una verifica positiva che ha consentito di aggiudicare la gara all’appaltatore.
Ma l’Autorità, muovendo proprio dai dubbi della stazione appaltante, approfondisce il ragionamento ed osserva: “la previsione dell’art. 95, comma 10, in combinato disposto con l’art. 97, comma 5, lett. d), è volta a garantire che negli appalti pubblici il lavoro sia adeguatamente remunerato. Al fine di consentire la verifica da parte dell’amministrazione, l’operatore economico è tenuto ad indicare il costo complessivo della manodopera (cfr. Relazione illustrativa Bando-tipo n. 1), calcolato tenendo conto delle tariffe professionali (avuto come parametro di riferimento le tabelle ministeriali) e del monte ore stimato per l’esecuzione dell’appalto, a sua volta dipendente dalla quantità di risorse, dal livello di inquadramento e dal tempo di utilizzo delle stesse. Nel caso in esame, correttamente, l’appaltatore, nel documento “Analisi prezzi”, ha stimato, per ogni lavorazione, il numero di risorse da impiegare, indicando, per ciascuna, il livello di inquadramento e la “quantità”, ovvero il tempo di lavorazione, espresso in ore o frazioni di ore, ottenendo il costo complessivo del lavoro, per unità di misura, di ogni tipologia di lavorazione. Ne consegue che la verifica della congruità del costo della manodopera è estesa a tutti i fattori che concorrono al calcolo del costo complessivo, che devono risultare giustificati e sostenibili, e può limitarsi alla verifica del rispetto delle tabelle ministeriali solo se le altre variabili risultano immutate rispetto alle stime effettuate in sede di predisposizione della documentazione a base di gara.
Nel caso di specie, il monte ore di alcune lavorazioni risulta ridotto rispetto alle stime dell’amministrazione, in modo apparentemente significativo, e l’aggiudicatario non ha indicato alla stazione appaltante gli strumenti concreti (particolari metodologie di esecuzione o altri accorgimenti) di cui intende avvalersi e che possono giustificare una simile contrazione delle tempistiche, tanto da indurre la stazione appaltante ad esprimere perplessità sulla questione anche nel verbale in cui viene sancito il rispetto delle tabelle ministeriali.”.
In conclusione, quindi, la verifica dell’anomalia effettuata dalla stazione appaltante mostra il suo lato fallace, palesandosi come il risultato di un’indagine meramente formale ed astratta – quindi non idonea a verificare l’effettivo ammontare dei costi e, quindi, la presenza di un’offerta anomala.
“Pertanto, l’operatore economico, pur avendo giustificato il rispetto dei minimi salariali, non può ritenersi avere giustificato il costo della manodopera dichiarato in sede di offerta (Cfr., in termini, TAR Lombardia, 13 marzo 2019, n. 544). Va da sé che la sensibile riduzione dei tempi di esecuzione di alcune lavorazioni, se non opportunamente supportata da concrete soluzioni/metodologie esecutive, determina il plausibile rischio che le risorse ricevano, nei fatti, una retribuzione inferiore a quella delle tabelle ministeriali, perché rapportata ad un numero di ore effettivamente lavorate superiore a quelle stimate e offerte. A chiusura, occorre altresì considerare che la mancata giustificazione dei tempi ridotti di esecuzione si ripercuote sulla sostenibilità dell’offerta nel suo complesso, che l’amministrazione può in ogni caso valutare, indipendentemente dal calcolo della soglia di anomalia, a fronte di elementi specifici che ne mettano in dubbio la congruità (art. 97, comma 6, d.lgs. n. 50/2016).”.
L’Autorità, quindi, “stante la significativa riduzione dei tempi di esecuzione di alcune lavorazioni, ritiene inidonea a giustificare il costo della manodopera stimato nell’offerta la sola dichiarazione del rispetto dei livelli retributivi minimi di cui alle tabelle ministeriali”.
Dunque, se nella Delibera n. 78/2020 l’Autorità ha reputato completo e razionale il percorso argomentativo della stazione appaltante – in quanto motivato da un puntuale riscontro con l’offerta tecnica e le tabelle ministeriali -, viceversa le motivazioni esaminate con la Delibera n. 40/2020 sono state ritenute troppo “astratte” per poter validamente rappresentare una “valutazione in concreto” sull’anomalia dell’offerta.
L’ANAC, quindi, incamminandosi nel medesimo sentiero tracciato dalla giurisprudenza, ribadisce con la Delibera n. 48 DEL 22 gennaio 2020 (in materia di servizi di trasporto pubblico locale in cui l’aggiudicatario aveva offerto un prezzo molto al di sotto della tariffa regionale e, pertanto, era stato sottoposto a verifica dell’anomalia) che: “con riferimento alla legittimità della verifica di congruità dell’offerta, ai sensi dell’art. 97, d.lgs. 50/2016, l’Autorità può formulare un parere entro i limiti ammessi rispetto alla valutazione tecnico-discrezionale di anomalia compiuta dalla commissione di gara, non potendosi sostituire alla stessa nello svolgimento della valutazione, in linea con le indicazioni espresse sul sindacato giurisdizionale dalla giurisprudenza amministrativa. Ai fini di una valutazione favorevole al giudizio di non anomalia, è sufficiente una motivazione che appaia non irragionevole e che dia conto del sub-procedimento svolto e dei chiarimenti offerti dalla società aggiudicataria, laddove non emergano elementi che possano far ritenere illogico o irragionevole il percorso argomentativo svolto dalla commissione di gara come si evince dai verbali.”.
L’Autorità – così come la giurisprudenza più recente (vds. la recentissima sentenza del TAR Lazio, Roma, Sez. II Bis, 20 gennaio 2020, n. 736) -, conferma dunque che in presenza di evidenti elementi di irrazionalità, la prassi o il giudice possono entrare nel merito e valutare funditus se esistano gli elementi distintivi dell’anomalia. Diversamente, ove la verifica della stazione appaltante sia documentata adeguatamente e coerente con le tabelle ministeriali ed i contenuti dell’offerta tecnica, essa è immune da vizi e, quindi non sindacabile.