Sending
Questo articolo è valutato
4.83 (18 votes)
  1. Il rapporto tra i contratti di concessione ed i PEF

Gli insegnamenti nati sin dalle prime direttive comunitarie in tema di concessioni pubbliche hanno condotto, nel tempo, a far ritenere che il rapporto intercorrente tra il contratto di concessione ed il relativo piano economico finanziario dovesse essere inteso in termini di stretta indispensabilità.

In effetti, anche l’assetto portato dal D. Lgs. n. 36/2023 non sembrava, quantomeno sino a qualche tempo fa, aver scalfito la rilevanza di tale rapporto. Anzi, a ben vedere, l’aver definito, da parte del Legislatore, i contratti di concessione come contratti mediante i quali viene affidata “l’esecuzione di lavori o la fornitura e la gestione di servizi a uno o più operatori economici, ove il corrispettivo consista unicamente nel diritto di gestire i lavori o i servizi oggetto dei contratti o in tale diritto accompagnato da un prezzo” sembrava voler confermare la preesistente impostazione secondo la quale il piano economico finanziario costituiva un elemento indispensabile di ogni rapporto concessorio al fine di poter verificare la sostenibilità economico finanziaria dello stesso.

“È noto che il Piano economico finanziario abbia, in termini generali, la funzione di garantire l’equilibrio economico e finanziario dell’iniziativa attraverso la corretta allocazione dei rischi connessi all’intervento”

Del resto, non sembrava potessero esserci letture o interpretazioni differenti.

Le disposizioni introdotte dal D. Lgs. n. 36/2023 in tema di concessioni recepivano i contenuti degli articoli 31, 36, 37, 38, 39, 40 e 41 della Direttiva 2014/23/UE, riprendendone la formulazione dettagliata nell’ottica di garantire la piena conformità al diritto europeo, in diretta e coerente attuazione del criterio a) previsto al comma 2 dell’art. 1 della Legge delega n. 78/2022 nella parte in cui richiedeva il “perseguimento di obiettivi di stretta aderenza alle direttive europee, mediante l’introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione corrispondenti a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse”, nonché del criterio aa) che richiedeva la “razionalizzazione, semplificazione, anche mediante la previsione di contratti-tipo e bandi-tipo ed estensione delle forme di partenariato pubblico privato nell’ottica di attuare razionalizzazione e semplificazione”, nella parte in cui declina le informazioni che devono essere contenute nel bando di concessione facendo riferimento ai “modelli uniformi predisposti dall’Autorità di regolazione del settore”, ossia ANAC e nella parte in cui prevede la razionalizzazione della normativa “anche al fine di rendere tali procedure effettivamente attrattive (…) garantendo la trasparenza e la pubblicità degli atti”.

Nonostante tutto quanto appena esposto, la più recente giurisprudenza, sulla scorta di una lettura restrittiva delle disposizioni del D. Lgs. n. 36/2023, sembra aver messo in dubbio tale rapporto di stretta indispensabilità facendolo divenire – lo si ribadisce – secondo un’interpretazione restrittiva e non condivisa, un mero elemento accessorio al rapporto concessorio.

  • Il ruolo del PEF nell’affidamento delle concessioni

Il Piano Economico Finanziario (PEF), in termini generali, rappresenta un elemento centrale nell’ambito dell’affidamento delle concessioni pubbliche, svolgendo un ruolo determinante nel garantire la solidità e la fattibilità economica e finanziaria dei progetti. La funzione primaria del PEF è quella di assicurare il raggiungimento dell’equilibrio economico e finanziario dell’iniziativa concessa, che si concretizza nella contemporanea presenza di condizioni di convenienza economica e sostenibilità finanziaria lungo tutto l’arco temporale della concessione. Questo equilibrio è essenziale per la realizzazione di opere pubbliche o per la gestione di servizi pubblici, in quanto permette di verificare se il progetto possa generare flussi di cassa sufficienti a coprire i costi operativi, il rimborso dei debiti e il ritorno sugli investimenti per l’operatore economico, garantendo al contempo il servizio pubblico richiesto.

Un aspetto fondamentale che il PEF deve affrontare è la corretta allocazione dei rischi, come previsto dall’art. 177, commi 1 e 2 del Codice dei contratti pubblici.

“L’aggiudicazione di una concessione comporta il trasferimento al concessionario di un rischio operativo legato alla realizzazione dei lavori o alla gestione dei servizi e comprende un rischio dal lato della domanda dal lato dell’offerta o da entrambi”

In un contratto di concessione, il rischio operativo, che include sia il rischio legato alla costruzione dell’opera sia quello connesso alla sua gestione o alla gestione del servizio, viene trasferito dal concedente al concessionario. Questo trasferimento del rischio significa che il concessionario è responsabile di eventuali variazioni nei costi di costruzione, nella domanda del servizio o nei ricavi, e deve essere in grado di gestire questi rischi senza compromettere la sostenibilità economico-finanziaria del progetto.

Il PEF, pertanto, rappresenta lo strumento attraverso il quale si attua la concreta distribuzione del rischio tra le parti coinvolte. La sua adeguatezza e sostenibilità devono essere attentamente valutate dall’amministrazione concedente, che deve verificare se il concessionario è realmente in grado di sostenere i rischi assegnati e se l’equilibrio economico-finanziario prospettato è realistico e coerente con le condizioni di mercato e con le discipline tecniche ed economiche applicabili (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 4 febbraio 2022 n. 795). In alcuni casi, la corretta allocazione dei rischi può essere temperata da un intervento finanziario a carico dell’amministrazione concedente, che può decidere di intervenire per bilanciare situazioni di eccessiva esposizione al rischio da parte del concessionario, assicurando così la stabilità del progetto.

“Si considera che il concessionario abbia assunto il rischio operativo quando, in condizioni operative normali, non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione”

È per tali ragioni che nelle procedure di gara per l’affidamento di una concessione pubblica, il PEF assume un ruolo strategico. La lex specialis, infatti, può anche prevedere specifiche indicazioni riguardo alla durata massima della concessione o alle modalità o contenuti minimi del PEF. In questo contesto, il PEF non è solo un requisito formale, ma un documento fondamentale che permette all’amministrazione di valutare la capacità del concorrente di mantenere l’equilibrio economico e finanziario lungo tutta la durata della concessione; valutazione che, peraltro, costituisce un’espressione di discrezionalità tecnica della stazione appaltante, non suscettibile di censura da parte del Giudice amministrativo (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 30 gennaio 2023, n. 1042). La sostenibilità del PEF presentato, quindi, deve essere tale da garantire che l’operatore economico sia in grado di gestire l’attività concessa in modo proficuo, assicurando il raggiungimento degli obiettivi di servizio pubblico.

È sulla scorta di tali ragioni che il Consiglio di Stato, in più occasioni, ha evidenziato l’importanza del PEF come strumento per dimostrare la concreta capacità dell’operatore economico di eseguire correttamente le prestazioni richieste. Nella sentenza del 26 settembre 2013, n. 4760, ad esempio, venne sottolineato che il PEF deve prospettare un equilibrio tra investimenti e gestione che permetta all’amministrazione concedente di valutare non solo l’adeguatezza dell’offerta, ma anche l’effettiva realizzabilità dell’oggetto della concessione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21 marzo 2024, n. 2784; in termini anche ANAC, Deliberazione 25 gennaio 2023, n. 34). In sostanza, il PEF è il documento che giustifica la sostenibilità economica dell’offerta, dimostrando che l’impresa è in condizione di trarre utili sufficienti a consentire la gestione proficua dell’attività concessa.

Il PEF assume, quindi, in generale, una valenza che potremmo definire “plurima”:

– costituisce un elemento di valutazione dell’offerta, sotto il profilo economico ma anche in sede di verifica di congruità e sostenibilità dell’offerta nel suo complesso;

– è uno strumento di controllo per l’amministrazione concedente, che può utilizzarlo per valutare la fattibilità e la solidità dell’offerta;

– rappresenta una garanzia per l’operatore economico, che può dimostrare la propria capacità di realizzare e gestire l’opera o il servizio pubblico in modo efficiente e redditizio. In effetti, la capacità di un’impresa di presentare un PEF solido e ben strutturato è spesso indicativa della sua affidabilità e competenza, e può essere determinante per l’assegnazione della concessione.

Risulta quindi pacifico che il PEF è – o almeno è stato – uno strumento essenziale nell’ambito delle concessioni pubbliche, poiché consente di verificare la sostenibilità economica e finanziaria dell’intero progetto, assicurando che l’operatore economico sia in grado di gestire il rischio operativo e garantire la realizzazione degli obiettivi di interesse pubblico. La sua corretta redazione e valutazione sono fondamentali per il successo della concessione, contribuendo a una gestione trasparente ed efficace dei servizi e delle infrastrutture pubbliche.

Ciò nonostante, come accennato sopra, tale orientamento sembra oggi essere parzialmente mutato, avendo preso avvio una nuova stagione – in realtà non così nuova, come si avrà modo di precisare nel successivo paragrafo – relativa alla qualificazione del PEF come elemento non indispensabile dei rapporti concessori.

  • La recente funzione “ancillare” e meramente eventuale del PEF

Come si è accennato sopra, la “disfatta” della granitica posizione sino ad oggi ricoperta dal PEF deve essere ricondotta ad un inciso previsto all’art. 182, comma 5 del D. Lgs. n. 36/2023 e secondo il quale “i bandi e i relativi allegati, ivi compresi, a seconda dei casi, lo schema di contratto e il piano economico-finanziario”.

È proprio in ragione di quel “a seconda dei casi” che la più recente giurisprudenza ha rivalutato il ruolo del PEF nell’ambito dei rapporti concessori, giungendo a sostenere il suo ruolo meramente “eventuale”.

“Secondo tale orientamento, l’art. 182 del D. Lgs. n. 36/2023, stabilisce che l’affidamento delle concessioni deve avvenire tramite pubblicazione di un apposito bando, specificando al comma 5 che il PEF è una componente “meramente eventuale” (cfr. TAR Puglia, Lecce, Sez. II, 6 agosto 2024, n. 982)”

Ciò implica che la presenza di un PEF tra gli allegati del bando è subordinata a una valutazione discrezionale da parte della stazione appaltante, che può richiedere il PEF solo quando lo ritiene necessario per la specifica concessione oggetto di affidamento (cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 11 luglio 2024, n. 2132). Questo principio è cruciale, poiché mira a sostenere che il Legislatore non ha inteso imporre un obbligo generalizzato di predisposizione del PEF – circostanza che, tuttavia, non è stata valorizzata nell’ambito della relazione illustrativa al Codice –, ma ha lasciato spazio alla flessibilità e ad una valutazione discrezionale da effettuarsi caso per caso, in funzione delle caratteristiche peculiari del progetto.

Sempre secondo il citato orientamento, la natura facoltativa del PEF verrebbe ulteriormente confermata dall’art. 193 dello stesso Codice che, invece, impone espressamente la presentazione di un PEF asseverato solo nell’ambito delle proposte di finanza di progetto. Questa disposizione rafforza l’idea che il PEF divenga essenziale solo in contesti specifici, dove la complessità e l’entità del progetto richiedono una valutazione più approfondita della sostenibilità economica e finanziaria.

L’analisi sistematica proposta dalle sopra richiamate decisione permette di comprendere come le diverse norme, apparentemente disgiunte, potrebbero – in realtà – integrarsi perfettamente per delineare un quadro normativo coerente e flessibile. Il PEF, dunque, non è sempre richiesto, ma diventa uno strumento fondamentale in quei casi in cui l’amministrazione appaltante lo ritenga indispensabile per garantire la corretta esecuzione del contratto di concessione, soprattutto quando si tratta di progetti complessi o di lunga durata.

Del resto, si tratta di un orientamento già conosciuto nella vigenza del D. Lgs. n. 163/2006 che all’articolo 143, comma 7, richiedeva la presentazione di un PEF a corredo dell’offerta per le concessioni di lavori, ma tale obbligo si applica alle concessioni di servizi, come previsto dall’articolo 30, ultimo comma, solo “in quanto compatibile”.

Questa clausola imponeva di valutare concretamente l’effettiva utilità di un piano economico-finanziario rispetto alla gestione ordinaria dei servizi nell’ottica del rispetto del principio di proporzionalità; il PEF era pertanto considerato non necessario quando si tratta di concessioni relative a servizi semplici – quale la gestione di un bar – che richiedono investimenti nemmeno lontanamente comparabili a quelli che caratterizzano la concessione di lavori pubblici (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23 febbraio 2015, n. 858).

Si potrebbe allora ragionare nell’ottica che il più recente orientamento giurisprudenziale non sembra voler stravolgere l’impostazione concessoria conosciuta nella vigenza del D. Lgs. n. 50/2016, quanto più potrebbe mirare, anche nell’ottica dei principi del risultato e della semplificazione, a realizzare un ritorno alla preesistente disciplina in forza della quale il PEF – ove richiesto – conserva il suo ruolo centrale pur non costituendo un elemento obbligatorio di ogni concessione.

A conferma di ciò è infatti necessario fornire una lettura sistematica anche delle altre disposizioni codicistiche che potrebbero indurre a ritenere il PEF come elemento obbligatorio del rapporto concessorio. Ad esempio, l’art. 185, comma 5 del D. Lgs. n. 36/2023, pur prevedendo la verifica dell’adeguatezza e sostenibilità del PEF prima dell’assegnazione del punteggio all’offerta economica, potrebbe essere letto nell’ottica che tale analisi dovrà avvenire solo se la presentazione del PEF è stata espressamente richiesta nel bando.

  • Conclusioni

Si può dunque concludere che il più recente orientamento giurisprudenziale non sembra voler stravolgere l’impostazione concessoria conosciuta sotto la vigenza del D. Lgs. n. 50/2016, ma, al contrario, pare indirizzarsi verso un ritorno alla disciplina preesistente, con l’obiettivo di mantenere un equilibrio tra continuità normativa e adattamento alle esigenze pratiche degli uffici. Questo orientamento appare in linea con il principio di risultato che il Legislatore e la giurisprudenza stanno cercando di promuovere, assicurando che le procedure di affidamento siano efficienti e funzionali agli obiettivi concreti delle concessioni.

In questo quadro, il PEF, pur non essendo obbligatorio in ogni concessione, continua a rivestire un ruolo centrale quando la sua presentazione è richiesta. Questo strumento, infatti, rimane fondamentale per garantire una valutazione approfondita della sostenibilità economica e finanziaria del progetto. La sua eventuale richiesta e valutazione, lasciata alla discrezionalità della stazione appaltante, consente di adattare l’obbligo del PEF alle caratteristiche specifiche di ciascun progetto, evitando appesantimenti burocratici inutili per concessioni di minor complessità.

La scelta di non imporre un obbligo generalizzato di presentazione del PEF in tutte le concessioni, ma di riservarne l’applicazione ai casi in cui effettivamente serve, rappresenta un equilibrio tra la necessità di garantire la corretta esecuzione dei contratti e l’esigenza di non gravare eccessivamente sugli operatori economici con oneri procedurali non strettamente necessari. Questo approccio, riprendendo una logica già presente nella normativa precedente, sembra dunque orientato a rafforzare l’efficacia delle concessioni, focalizzandosi su ciò che è realmente utile e proporzionato rispetto alla complessità e alla portata del singolo progetto.

Alla luce di quanto sopra il PEF, laddove richiesto, potrà continuare a svolgere un ruolo fondamentale, fungendo da garante della sostenibilità economica delle concessioni, ma senza costituire un elemento obbligatorio in tutte le situazioni, rispondendo così alla necessità di un’applicazione flessibile e ponderata della normativa. Questo approccio consente di conciliare l’esigenza di controllo e valutazione con quella di snellimento e semplificazione delle procedure, adattandosi alle specificità dei singoli progetti e delle rispettive esigenze amministrative.

Resta inteso che tale valutazione, pur discrezionale, potrà a sua volta esporre le Stazioni Appaltanti a possibili contenziosi ove tale scelta venga effettuata in violazione dei canoni di logicità, razionalità e del divieto di travisamento dei fatti; ragione per cui, tale facoltà normativamente riconosciuta non potrà essere sfruttata, ad avviso dello scrivente, per evitare l’onore della sua predisposizione nei casi in cui sarebbe stato necessario. Ciò rappresenterebbe, infatti, un evidente travisamento della semplificazione portata dalla normativa in commento oltreché una palese violazione dei principi generali del D. Lgs. n. 36/2023; circostanza che potrà essere evitata ove, nella decisione di contrarre – ove possibili anche negli atti di programmazione – la scelta di non richiedere un PEF sia adeguatamente motivata e ponderata da parte del RUP.

Sending
Questo articolo è valutato
4.83 (18 votes)

Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Niccolò Grassi
mediagraphic assistenza tecnico legale e soluzioni per l'innovazione p.a.