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( votes)La circolare dell’Ispettorato del Lavoro n. 6/2018, nel solco della sentenza della Consulta n. 254/2017, conferma che il Committente è tenuto in solido con l’appaltatore, anche per gli appalti di servizi, per i crediti retributivi dei subappaltatori … ma per gli appalti pubblici la Cassazione “dice no”.
1) La circolare dell’Ispettorato del Lavoro e la sentenza della Consulta
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la circolare n. 6 del 29 marzo 2018, ha fornito indicazioni agli Ispettorati interregionali e territoriali sulla corretta applicazione dei principi espressi dalla sentenza della Corte costituzionale n. 254 del 6 dicembre 2017.
La Consulta, infatti, pronunciandosi sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003 per contrarietà agli artt. 3 e 36 Cost., ha dichiarato non fondata la questione, contestualmente estendendo il regime di solidarietà disciplinato dalla norma stessa anche alle subforniture – ed aprendo tale possibilità ad altre tipologie contrattuali -.
Precisamente, secondo la Corte costituzionale, la responsabilità solidale del committente a favore dei crediti retributivi vantati dai dipendenti dell’appaltatore, si estende anche a quelli vantati dai subfornitori, non ravvisando differenze fra le due tipologie contrattuali, tali da giustificare una disparità di trattamento tra i lavoratori inquadrati nelle due fattispecie contrattuali. Finalisticamente, infatti, entrambe le categorie svolgono attività a favore del committente e, dunque, hanno pari tutela con riguardo ai crediti derivanti da lavoro – in primis quelli retributivi -. La Consulta, ricordando la sentenza della Cassazione (Sez. Lavoro) n. 18186/2014, in cui il contratto di subfornitura viene assimilato a quello di appalto, enfatizza l’analogia (e generalizza il concetto) accostando, in via analogica, i diritti dei lavoratori del subfornitore a quelli dei lavoratori del committente e dell’appaltatore, pervenendo alla conclusione di riconoscere un peculiare “genus” di responsabilità – appunto, la “responsabilità solidale del committente” – che discende dalla circostanza della fruizione di fatto delle prestazioni del subfornitore da parte del committente stesso e che, pertanto, non può qualificarsi né come responsabilità contrattuale, né come responsabilità civile, ma solo come un forma a sé stante di “responsabilità sussidiaria”.
La decisione, pensata probabilmente per le ipotesi di distacco transnazionale – per i lavoratori dipendenti da multinazionali operanti nei settori dei servizi – assume ben più ampia e generale portata, sia per effetto dell’interpretazione estensiva della norma data dalla Consulta (e, ovviamente, per l’autorevolezza dell’Organo emanante la sentenza), sia per l’altrettanto estesa applicazione indicata dalla circolare dell’Ispettorato del Lavoro in commento che – come un retweet – amplifica e da’ corpo ai principi enunciati dalla Corte costituzionale.
Bisogna riconoscere, inoltre, che la sentenza (e la circolare dell’Ispettorato del Lavoro) si muovono in un clima molto aperto al riconoscimento della responsabilità solidale del committente, soprattutto per effetto del D.L. n. 25/2017 che – emanato proprio per non dare corso al referendum richiesto dalle Organizzazioni sindacali – prevede che il lavoratore possa rivolgersi direttamente al committente per il pagamento di quanto maturato nei confronti del proprio datore di lavoro il quale – a sua volta – deve pagare quanto dovuto rivalendosi, poi, sull’obbligato principale “in regresso”.
Ricorda, innanzitutto, la circolare che l’art. 29, comma 2, prevede che “in caso di appalto di opere o di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento”.
Nel contesto esaminato dalla Consulta, “alla luce del dato letterale della norma, il Giudice remittente ha ritenuto che la limitazione del regime di solidarietà ai soli casi espressamente previsti – di appalto e subappalto – avrebbe negato la medesima garanzia legale ai dipendenti del subfornitore, parimenti coinvolti in processi di esternalizzazione e parcellizzazione del processo produttivo, in contrasto con l’art. 3 e 36 della Cost.”
A questo punto, l’Ispettorato del Lavoro ricorda che lo stesso Ministero del Lavoro aveva già privilegiato l’interpretazione normativa più cautelativa per i diritti dei lavoratori. Infatti, “aveva già avuto modo di soffermarsi sul campo di applicazione dell’art. 29, nella nota prot. 5508 del 19 marzo 2012, manifestando l’opinione di una possibile estensione del regime della solidarietà al contratto di subfornitura sul presupposto della sussistenza, anche in tal caso, di un controllo diretto ed integrale sull’esecuzione dei lavori da parte dell’impresa committente. Sotto tale aspetto, peraltro, al fine di dare maggiore tutela ai lavoratori impiegati nell’esecuzione delle prestazioni negoziali non inquadrabili in termini di appalto o subappalto, il Ministero aveva dato rilevanza (cfr. interpello n. 2/2012) anche all’orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. sent. n. 6208/2008) che non escludeva la possibilità di applicare la solidarietà nei rapporti tra consorzio aggiudicatario dell’appalto e imprese consorziate esecutrici dovendosi dare prevalenza, a parere dei giudici, alla funzione di garanzia sostanziale proprio del regime di solidarietà rispetto alla qualificazione giuridica del negozio richiamata nella norma.”.
Dal canto suo, poi, “con una lettura costituzionalmente orientata, la Corte Costituzionale ha esteso i principi della responsabilità solidale del committente in favore dei crediti vantati dai dipendenti dell’appaltatore anche a quelli vantati dal personale delle imprese che con il primo hanno avuto un contratto di subfornitura. Quest’ultimo, secondo la previsione contenuta nell’art. 1 della legge n. 192/1998, ricorre allorquando un imprenditore si impegna ad effettuare per conto di un’altra azienda committente alcune lavorazioni su prodotti semilavorati o su materie prime fornite direttamente dalla stessa, o si impegna a fornire prodotti o servizi finalizzati ad utilizzati nell’ambito dell’attività economica dell’impresa committente o nella produzione di un bene complesso, in conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecnologiche e tecniche, modelli o prototipi forniti dal soggetto committente. Da tale ambito sono esclusi i contratti destinati a fornire materie prime, servizi di pubblica utilità e beni strumentali non riconducibili ad attrezzature.”.
La Corte costituzionale, innanzitutto, ricorda che, in tema di solidarietà fra committente e appaltatore per i crediti retributivi dei lavoratori non vi è una posizione giurisprudenziale univoca, giacché anche la Suprema Corte ha espresso orientamenti giurisprudenziali opposti (inter alia, Cass. SS.UU. n. 24906/2011 e Sez. Lav. n. 18186/2014, quest’ultima, a differenza della prima, possibilista verso il riconoscimento del principio di solidarietà).
Inoltre, sempre secondo la Corte costituzionale, la costruzione giurisprudenziale del genus “responsabilità solidale del committente” risponde ad una precisa ragione giuridica e sociale: quella di mantenere vive le ragioni del credito in capo ai soggetti che effettivamente forniscono le prestazioni lavorative al committente. In altri termini, la ragione dell’introduzione della responsabilità solidale del committente, nel nostro ordinamento è quella di evitare che i meccanismi di decentramento e di dissociazione fra la titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione, rechino danno ai lavoratori utilizzati nell’esecuzione del contratto commerciale: la tutela del soggetto che assicura una attività lavorativa indiretta non può non estendersi a tutti i livelli del decentramento. Una diversa tutela si porrebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione.
E proprio in quest’ultimo passaggio si ravvisa la portata espansiva della sentenza: la consulta, infatti, parte dai contratti di subfornitura per attribuire al ragionamento una portata generale che si espande a tutti i livelli del decentramento.
Questo atout viene colto dalla circolare dell’Ispettorato del Lavoro che, come già precisato, fornisce indicazioni ai propri Uffici nel senso di risalire alla responsabilità solidale del committente anche per il caso di estrema parcellizzazione del lavoro attraverso una catena di subforniture – ad ogni effetto (e sostanzialmente) parificate ad appalti e subappalti, indipendentemente dal nomen juris del contratto applicato ai lavoratori -.
Sono escluse dall’interpretazione estensiva del concetto di “solidarietà del committente” soltanto “le altre disposizioni che dettano una disciplina specifica del regime di solidarietà, mutuata dall’art. 29, comma 2 ma adattata alle peculiarità delle tipologie contrattuali cui si riferiscono (v. ad es. somministrazione di lavoro, contratto di trasporto ecc.).”.
Anzi, proprio per fare un concreto esempio di contratto di quanto possa estendersi la tutela attribuita con la responsabilità solidale, la circolare afferma che “tale principio spiega i propri effetti anche nelle ipotesi di distacco ex art. 30 del D.L.vo n. 276/2003 laddove gli ispettori debbono vagliare, concretamente, la sussistenza dei requisiti rappresentati dall’”interesse del distaccante e dalla temporaneità” e nel distacco transnazionale ex D.Lgs. n. 136/2016, comportando l’applicazione dell’art. 29, comma 2, tra società estera distaccante e società utilizzatrice in Italia, non soltanto nei casi in cui la prestazione di servizi sia riconducibile ad una filiera di appalto/subappalto ma anche laddove la stessa consista in altre operazioni commerciali (cfr. art. 4, comma 4, D.Lgs. n. 136/2016).”.
2) Cosa si intende con il concetto di “solidarietà del committente”: un breve excursus sino alla riforma recata dal D.L. n. 25/2017
In tema di solidarietà del committente per i crediti dei lavoratori dell’appaltatore, l’ultima norma intervenuta a regolare la materia, in ordine di tempo, è stata il D.L. n. 25/2017 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 49/2017), emesso in sostituzione della consultazione referendaria richiesta dalle Organizzazioni sindacali per la modifica (in luogo della richiesta abrogazione dell’art. 29 D.Lgs. n. 276/2003).
Detta norma, innanzitutto, generalizza la responsabilità solidale del committente, vietando che i CCNL di categoria introducano disposizioni in contrasto e vietando, altresì, al committente – se evocato in giudizio in forza di tale responsabilità – di eccepire il beneficio della preventiva escussione dell’appaltatore (o del subappaltatore).
In caso di condanna al pagamento, il committente potrà rivalersi in regresso verso l’appaltatore (o il subappaltatore), diversamente da quanto previsto dalla precedente formulazione della norma (e, per inciso, ritornando ad una più fedele lettura dell’originario art. 29 D.Lgs. n.276/2003).
L’azione, però, può essere esercitata solo entro il termine di due anni dalla cessazione del contratto di appalto e può avere ad oggetto la corresponsione di oneri retributivi, contributivi e previdenziali ed assicurativi, ma solo entro i limiti del quantum debeatur dal committente all’appaltatore (o al subappaltatore) e solo per il periodo in cui i richiedenti avevano effettivamente prestato la loro opera nell’ambito dell’appalto con quel determinato committente.
Detta norma, quindi, ha reso quasi d’obbligo, per i committenti, l’apprestamento di opportune tutele, sin dalla fase di predisposizione della documentazione relativa all’appalto, attraverso l’inserimento di clausole che prevedano, ad esempio, il rilascio di una fidejussione a garanzia, ovvero l’esibizione di certificazioni di avvenuto pagamento delle maestranze.
La norma, infine, pur se non applicabile ai soggetti pubblici, è comunque applicabile alle società partecipate – e ciò, si deduce, anche se esse, a loro volta, assumano la veste di committente nell’ambito di un appalto pubblico -.
Ed è proprio questa situazione di possibile squilibrio tra il bilancio di un appalto pubblico e l’obbligo solidale del committente che è stata esaminata dall’ordinanza della Suprema Corte, Sezione Lavoro, n. 9412 del 17 aprile 2018.
3) La Cassazione sulla solidarietà del committente in un appalto pubblico
La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Lavoro, con l’Ordinanza n. 9412 del 17 aprile 2018 ha posto nuovamente in dubbio l’estensione della solidarietà del committente, in un appalto pubblico, rispetto ai crediti di lavoro vantati dalle maestranze dell’appaltatore (o del subappaltatore).
La vicenda esaminata dalla Suprema Corte attiene i crediti vantati dal dipendente di una società appaltatrice nei confronti dell’ente committente in un appalto pubblico.
L’ente committente, impugnando la sentenza della Corte d’Appello di Torino, che aveva riconosciuto la responsabilità solidale in capo allo stesso ente – nonostante si vertesse nell’ambito di un appalto pubblico – lamentava “la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 29 del D.Lgs n. 276/2003 perché la Corte territoriale, nel ritenere applicabile alle pubbliche amministrazioni la responsabilità solidale dell’appaltante prevista dal richiamato art. 29, avrebbe interpretato la disposizione senza considerarne il chiaro tenore letterale e la ratio, omettendo anche di valutare le differenze fra appalto pubblico e privato che giustificano la diversità di disciplina quanto alla responsabilità solidale, limitata per gli enti pubblici a quella residuale prevista dall’art. 1676 cod.civ.”.
Secondo la Corte, nel caso di specie il ricorso è fondato, perché la responsabilità solidale del committente è un istituto che non si può applicare ai “contratti pubblici”; in questo senso, quindi, seguendo l’argomentazione della Cassazione, resterebbe preclusa anche per i contratti pubblici affidati dalle società partecipate.
La ragione della preclusione della responsabilità solidale del committente in un appalto pubblico, secondo la motivazione dell’Ordinanza, andrebbe ricercata nel vincolo di budget cui tali appalti sono tenuti; vincolo incompatibile con eventuali costi sopravvenuti derivanti dall’obbligo di corrispondere alle maestranze dell’appaltatore (o del subappaltatore o subfornitore) quanto spettante per i crediti maturati per l’esecuzione dell’appalto.
L’Ordinanza, nel raggiungere tale conclusione – che si pone quale principio di diritto in materia – ripercorre l’elaborato andamento giurisprudenziale e normativo formatosi sull’art. 29 D.Lgs n. 276/2003, ma stranamente non cita la sentenza della Consulta, cui la circolare dell’Ispettorato del Lavoro ha inteso dare continuità.
In incipit della motivazione, si precisa che “il ricorso è fondato in quanto la sentenza impugnata si pone in contrasto con l’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui “ai sensi dell’art. 1, comma 2, D.Lgs n. 276 del 2003 non è applicabile alle pubbliche amministrazioni la responsabilità solidale prevista dall’art. 29, comma 2, del richiamato decreto”.”.
E ancora, “l’art. 9 del d.l. 76 del 2013, nella parte in cui prevede la inapplicabilità dell’art. 29 ai contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1 del d.lgs n. 165 del 2001, non ha carattere di norma dì interpretazione autentica, dotata di efficacia retroattiva, ma lo stesso non ha innovato il quadro normativo previgente, avendo solo esplicitato un precetto già desumibile dal testo originario del richiamato art. 29 e dalle successive integrazioni” (Cass. 10.10.2016 n. 20327; Cass. 22.11.2016 n. 23746; Cass. 21.11.2016 n. 23651; Cass. 11.10.2016 n. 20434; e quanto all’inapplicabilità dell’art. 29 agli appalti pubblici Cass. 23.5.2016 n. 10664; Cass. 24.5.2016 n. 10731; Cass. 7.7.2014 n. 15432)” …
La Cassazione, intende dare continuità, alle sentenze sopra richiamate, partendo dall’assunto che le stesse – “escludendo ogni profilo di illegittimità costituzionale della interpretazione qui accolta” – pongono in risalto le differenze fra appalto pubblico e privato che giustificano la diversità della disciplina.
Infatti, “per gli appalti pubblici l’ordinamento prevede un complesso articolato di tutele, volte tutte ad assicurare il rispetto dei diritti dei lavoratori, tutele che difettano nell’appalto privato e che compensano la mancata previsione della responsabilità solidale prevista dall’art. 29 del D.Igs n. 276 del 2003, non applicabile alla pubblica amministrazione in quanto in contrasto con il principio generale (oggi rafforzato dal nuovo testo dell’art. 81 Cost. che affida alla legge ordinaria il compito di fissare “i criteri volti ad assicurare l’equilibrio fra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni”) in forza del quale gli enti pubblici sono tenuti a predeterminare la spesa e, quindi, non possono sottoscrivere contratti che li espongano ad esborsi non previamente preventivati e deliberati”.
La Suprema Corte si riferisce, con tale inciso, alle tutele approntate dal Codice dei contratti pubblici in relazione al costo del lavoro (vedansi, ad esempio, l’art. 23, comma 16, l’art. 30, comma 4 e l’art. 50 D.Lgs. n. 50/2016) e, da un lato, agli obblighi previdenziali ed assicurativi che – se violati – comportano per l’impresa l’esclusione dalla gara e, dall’altro lato, abilitano la stazione appaltante ad effettuare ritenute all’appaltatore per corrispondere direttamente agli enti previdenziali ed assicurativi quanto dovuto dall’appaltatore stesso (ex art. 30, commi 5 e 6 D.Lgs. n. 50/2016), o dal subappaltatore (ex art. 105, commi 10 e ss. D.Lgs. n. 50/2016), così come le retribuzioni dovute al personale.
In tal senso, quindi, la Cassazione non pone in dubbio che il committente pubblico debba ritenersi obbligato verso le maestranze dell’appaltatore (o del subappaltatore), ma nega decisamente che tale responsabilità sia qualificabile come “solidarietà del committente”, intesa ai sensi del novellato art. 29 D.Lgs. n. 276/2003.
In altri termini, il committente pubblico non può essere “aggredito” in prima battuta dai dipendenti (né dagli enti previdenziali ed assicurativi) per i crediti derivanti dall’esecuzione delle attività appaltate, senza potersi agevolare della preventiva escussione del debitore principale. Al contrario, egli è tenuto al rispetto e delle procedure di contestazione (nei confronti dell’appaltatore e del subappaltatore) degli inadempimenti retributivi e contributivi e, soprattutto, non può eccedere rispetto al budget della commessa – con ciò, quindi, non potrà fare altro che trattenere i corrispettivi dovuti al debitore principale, per riversarli sui lavoratori – creditori (ed agli enti previdenziali ed assicurativi).
Dunque, nel caso in cui all’appaltatore nulla sia dovuto (ad esempio, a causa di opere maldestramente eseguite), il committente pubblico non potrà dare corso ad alcuna ritenuta … e quindi a nessun pagamento alle maestranze (ed agli enti previdenziali ed assicurativi).
Secondo la Suprema Corte, inoltre, “la responsabilità prevista dall’art. 1676 c.c., applicabile anche alle pubbliche amministrazioni, al pari dell’intervento sostitutivo di cui al D.Igs 163 del 2006, opera nei limiti di quanto è dovuto dal committente all’appaltatore, mentre l’art. 29 comporta la responsabilità dell’appaltante anche nell’ipotesi in cui lo stesso abbia già adempiuto per intero la sua obbligazione nei confronti dell’appaltatore.
Detta responsabilità non può essere estesa alle pubbliche amministrazioni in relazione alle quali vengono in rilievo interessi di carattere generale che sarebbero frustrati ove si consentisse la lievitazione del costo dell’opera pubblica, quale conseguenza dell’inadempimento dell’appaltatore.”
Pertanto – conclude la Corte cassando la sentenza impugnata – “la diversità delle situazioni a confronto e degli interessi che in ciascuna vengono in rilievo giustifica la diversa disciplina ed esclude ogni contrasto dell’art. 29 del d.lgs 276 del 2003 in relazione all’art. 3 Cost.”
4) Conclusioni
Dunque, la sentenza ora esaminata pone nuovamente in dubbio la esposizione di un committente pubblico – o comunque di una stazione appaltante, nell’ambito di un contratto pubblico – alla solidarietà del committente per i crediti retributivi, contributivi ed assicurativi vantati dalle maestranze che operano nell’esecuzione dell’appalto.
Il “genus” di responsabilità tratteggiato dalla Consulta, nonostante l’interpretazione estensiva attribuita (oltre che dalla sentenza) anche dall’Ispettorato del Lavoro, viene accantonato in omaggio al principio di intangibilità dei costi posti a base d’asta – in una parola, del “budget” – dell’appalto.
Secondo la Cassazione, gli interessi pubblicistici dei quali la stazione appaltante è portatrice, verrebbero frustrati se si consentisse di incrementare senza controllo il costo dell’opera pubblica, addebitando sul budget anche i costi degli oneri contributivi e retributivi – assicurativi dovuti dall’appaltatore alle maestranze.
I meccanismi previsti dal Codice dei Contratti pubblici, quindi, rappresentano – secondo il principio interpretativo sviluppato dalla Cassazione – il punto di massima estensione della esposizione della stazione appaltante nei confronti dei lavoratori che si adoperano per l’esecuzione dell’appalto