Questo articolo è valutato
( vote)c
1. Rinegoziazione del contratto e revisione prezzi
L’attuale congiuntura economica, aggravata dalla pandemia e dal caro energetico, ha fatto tornare di attualità un tema comunque sempre dibattuto nell’ambito dell’esecuzione delle pubbliche commesse, ovvero quello della rinegoziazione del contratto e della revisione prezzi. Si pone infatti il problema delle circostanze sopravvenute, intese come eventi imprevedibili ed eccezionali capaci di incidere sul rapporto contrattuale, alterandone in modo significativo l’equilibrio.
Lo strumento normativo principale studiato per riallineare tale squilibrio è l’istituto della revisione dei prezzi, cioè un meccanismo che consente la revisione del corrispettivo per le prestazioni oggetto del contratto, conseguente alla dinamica dei prezzi registrata in un dato arco temporale, con la particolare finalità di preservare l’interesse pubblico a che le prestazioni rese in favore delle pubbliche amministrazioni non siano esposte al rischio di una diminuzione qualitativa; al contempo, è posta a tutela dell’interesse dell’impresa a non subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi sopraggiunte durante l’arco del rapporto.
La revisione prezzi serve a preservare l’interesse pubblico a che le prestazioni rese in favore delle pubbliche amministrazioni non siano esposte al rischio di una diminuzione qualitativa, e allo stesso tempo si pone a tutela dell’interesse dell’impresa a non subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi sopravvenute in corso di rapporto.
Nella previgente disciplina, la materia era regolata dall’art. 115 del “vecchio” codice dei contratti (d.lgs. 163/2006), il quale prevedeva che “tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture devono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui all’articolo 7, comma 4, lettera c) e comma 5”. Come si vede, la clausola di adeguamento dei prezzi costituiva un obbligo per le stazioni appaltanti le quali dovevano, in tali casi, procedere agli adempimenti istruttori normativamente previsti.
Con l’introduzione del nuovo codice degli appalti, invece, la revisione dei prezzi è divenuta facoltativa; opera, quindi, solo se prevista nei documenti di gara. L’attuale disciplina è oggi contenuta nell’art. 106 del Codice, in cui sono stati individuati i casi – eccezionali e tassativi – in cui i contratti di appalto possono essere modificati senza fare ricorso ad una nuova procedura di gara.
Il primo è quello delle varianti previste nelle clausole contenute nei documenti iniziali di gara. Tali clausole, che possono prevedere anche la revisione dei prezzi, devono essere “chiare, precise e inequivocabili”, al fine di definire con esattezza la portata e la natura di eventuali modifiche, nonché le condizioni alle quali esse possono essere impiegate, facendo riferimento alle variazioni dei prezzi e dei costi standard. Esse incontrano tuttavia un limite di ordine generale, cioè non posso prevedere modifiche negoziali che abbiano l’effetto di alterare la natura generale del contratto (articolo 106, comma 1, lett. a).
Il secondo caso è quello delle varianti per lavori, servizi o forniture supplementari che non erano incluse nell’appalto iniziale. In questo caso, è consentito affidare la loro esecuzione al contraente originario, quando il mutamento del medesimo non risulti possibile per motivi economici o tecnici oppure comporti per l’Amministrazione “notevoli disguidi” o “una consistente duplicazione dei costi” (articolo 106, comma 1, lettera b).
Il terzo caso riguarda le varianti in corso d’opera, in cui la necessità di modifica del contratto nasce da “circostanze impreviste e imprevedibili per l’amministrazione aggiudicatrice o per l’ente aggiudicatore”. Tali modifiche non possono alterare la natura generale del contratto e sono consentite soltanto se contenute entro determinati limiti di natura economica (articolo 106, comma 1, lettera c).
Il quarto caso è quello delle varianti cosiddette non sostanziali (articolo 106, comma 1, lettera e), la cui definizione si ricava per esclusione rispetto alla definizione di varianti sostanziali contenuta nel successivo comma 4.
Infatti, ci si trova davanti alle varianti sostanziali quando: a) la modifica introduca condizioni che, se fossero state contenute nella procedura d’appalto iniziale, avrebbero consentito l’ammissione di candidati diversi da quelli inizialmente selezionati, l’accettazione di una offerta differente oppure avrebbero attirato ulteriori partecipanti alla procedura di gara; b) la modifica alteri l’equilibrio economico del contratto o dell’accordo quadro a favore dell’aggiudicatario in modo non previsto nel contratto iniziale; o ancora, c) la modifica estenda notevolmente l’ambito di applicazione del contratto.
Il quinto caso, infine, individua soglie di carattere quantitativo al di sotto delle quali le varianti sono comunque consentite senza una nuova procedura di gara. Il loro valore deve essere inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria e – in ogni caso – al 10% del valore iniziale del contratto per gli appalti di servizi e di forniture ovvero del 15% per quelli di lavori (articolo 106, comma 2).
La modifica sotto il profilo soggettivo, invece, è consentita solo nel caso in cui un contraente sostituisce quello a cui la stazione appaltante aveva inizialmente aggiudicato l’appalto a causa di una delle seguenti circostanze:
1) una clausola di revisione inequivocabile in conformità alle disposizioni di cui alla lettera a); 2) all’aggiudicatario iniziale succede, per causa di morte o a seguito di ristrutturazioni societarie, comprese rilevazioni, fusioni, scissioni, acquisizione o insolvenza, un altro operatore economico che soddisfi i criteri di selezione qualitativa stabiliti inizialmente, purché ciò non implichi altre modifiche sostanziali al contratto e non sia finalizzato ad eludere l’applicazione del codice; 3) nel caso in cui l’amministrazione aggiudicatrice si assuma gli obblighi del contraente principale nei confronti dei suoi subappaltatori.
2. La revisione prezzi nella legislazione emergenziale e nella giurisprudenza
Il tema della rinegoziazione contrattuale è stato ampiamente revisionato dai recenti interventi normativi, finalizzati a incentivare gli investimenti pubblici e fronteggiare le ricadute economiche negative conseguenti alle misure di contenimento adottate a seguito dell’emergenza pandemica.
In particolare, l’articolo 29, comma 1, lettera a), del DL 4/2022, (convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2022, n. 25), ha introdotto una deroga temporanea alla disciplina prevista dal codice dei contratti, re-introducendo l’obbligo – per le gare indette dopo la sua entrata in vigore e fino al 31 dicembre 2023 – di inserire le clausole di revisione dei prezzi nei documenti di gara iniziali.
L’articolo 29, comma 1, lettera a), del DL 4/2022, (convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2022, n. 25), ha introdotto una deroga temporanea alla disciplina prevista dal codice dei contratti, re-introducendo l’obbligo – per le gare indette dopo la sua entrata in vigore e fino al 31 dicembre 2023 – di inserire le clausole di revisione dei prezzi nei documenti di gara iniziali.
Tale disposizione se – da un lato – introduce nuovamente l’obbligatorietà, nei documenti di gara, delle clausole di revisione dei prezzi, dall’altro, conferma che, per le fattispecie non rientranti nel proprio ambito di applicazione temporale, gli operatori economici non possono aspirare ad una modificazione dei prezzi originariamente pattuiti con la stazione appaltante, qualora tale possibilità non fosse già prevista negli atti di gara.
Tale opzione è supportata dagli orientamenti giurisprudenziali in soggetta materia, i quali hanno affermato che “da nessuna disposizione della direttiva (2004/17/UE) emerge che quest’ultima debba essere interpretata nel senso che essa osta a norme di diritto nazionale […] che non prevedono la revisione periodica dei prezzi dopo l’aggiudicazione di appalti rientranti nei settori considerati dalla medesima direttiva, dal momento che quest’ultima non impone agli Stati membri alcun obbligo specifico di prevedere disposizioni che impongano all’ente aggiudicatore di concedere alla propria controparte contrattuale una revisione al rialzo del prezzo dopo l’aggiudicazione di un appalto” (Cds, sez. IV, 4 aprile 2022, n. 2446).
Secondo la prevalente giurisprudenza amministrativa, infatti, la disciplina della revisione dei prezzi si esaurisce nelle disposizioni previste dall’articolo 106, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 50 del 2016, con l’ulteriore precisazione che – in assenza delle condizioni previste dalla lettera a) – gli operatori economici non possono richiamare a fondamento dell’istanza la diversa disciplina prevista dalla successiva lettera c).
Difatti, la disposizione da ultimo citata disciplina i casi in cui, nel corso di svolgimento del rapporto contrattuale, si renda necessario, per circostanze impreviste e imprevedibili, modificare “l’oggetto del contratto” attraverso “varianti in corso d’opera”, ossia “modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale” (cfr. Cds, sez. V, 15 novembre 2021, n. 7602); sicché, essa non può trovare applicazione nei diversi casi in cui “la domanda formulata […] all’amministrazione […] concern[a] unicamente l’adeguamento del prezzo dell’appalto ad asseriti aumenti dei costi del servizio” (cfr. TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 10 marzo 2022, n. 239).
Peraltro, “tale norma prevede la possibilità di modificare il contratto per circostanze impreviste e imprevedibili per l’amministrazione aggiudicatrice, ossia per situazioni che determinino per l’Amministrazione la necessità di modifica considerata dalla legge, e non, invece, per circostanze impreviste e imprevedibili per l’appaltatore (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 26 gennaio 2022, n. 178).
Tali conclusioni sono in linea con quanto affermato anche dall’ANAC nella delibera n. 227 dell’11 maggio 2022, con cui la predetta Autorità ha raccomandato di valutare l’opportunità di integrare i contratti in corso di validità con clausole ad hoc per la disciplina di situazioni di forza maggiore, ma per fare ciò è pur sempre necessario che la fattispecie rientri nell’ambito di applicazione oggettiva della disposizione appena citata (art. 106, comma 1, lett. c), la quale fa espressamente riferimento a circostanze impreviste e imprevedibili per l’amministrazione aggiudicatrice tra le quali possono rientrare anche la sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di autorità od enti preposti alla tutela di interessi rilevanti.
D’altro canto, nel caso in cui non vengano in rilevo modifiche della prestazione contrattuale per garantire l’osservanza di misure disposte d’autorità, ma semplicemente istanze di revisione dei prezzi formulate dagli appaltatori privati, al fine di ristabilire l’equilibrio contrattuale alterato da situazioni congiunturali, si è in presenza di un’ipotesi che esula dall’ambito di applicazione dell’articolo 106, comma 1, lettera c), del codice dei contratti per rientrare nella diversa fattispecie disciplinata dalla precedente lettera a).
Pertanto, in assenza di previsioni “chiare, precise e inequivocabili” nei documenti iniziali di gara, il codice dei contratti pubblici non consente l’accoglimento di istanze di revisione dei prezzi.
3. L’applicabilità agli appalti pubblici delle norme civilistiche sulla rinegoziazione
Altra considerazione degna di nota è che, nell’ipotesi in cui la disciplina della garanon preveda la revisione prezzi, si può ricorrere all’art. 1664, comma 1 del Codice civile, giacché la sua applicazione non è espressamente esclusa dall’art. 106, comma 1, lett. a) come accadeva nella previgente disciplina prevista dall’art. 133, comma 2, del d.lgs. 163/2006 nonché dall’art. 26, comma 3, della L. 109/1994.
Se la disciplina della gara non prevede la revisione prezzi, si può ricorrere all’art. 1664, comma 1 del Codice civile, giacché la sua applicazione non è espressamente esclusa dall’art. 106, comma 1, lett. a) come accadeva nella previgente disciplina prevista dall’art. 133, comma 2, del d.lgs. 163/2006 nonché dall’art. 26, comma 3, della L. 109/1994.
Tale disposizione normativa, in via generale, consente di ottenere la revisione dei prezzi qualora, “per effetto di circostanze imprevedibili” si siano verificati aumenti o diminuzioni del costo dei materiali o della mano d’opera, che hanno determinato un aumento o una diminuzione superiore al decimo del prezzo complessivo convenuto. La revisione può essere richiesta limitatamente alla differenza che eccede il decimo.
A fronte di un eventuale diniego alla revisione del prezzo, gli appaltatori hanno ancora la possibilità di esperire il rimedio della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, disciplinato dagli articoli 1467 e seguenti del Codice Civile nei contratti ad esecuzione continuata, periodica o differita, tale istituto giuridico consente alla parte, la cui prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, di sciogliersi dal vincolo contrattuale. Tuttavia, la risoluzione del contratto non può essere richiesta se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto (art. 1467, comma 2) o se la parte contro la quale è domandata offre di modificare equamente le condizioni contrattuali (art. 1467, comma 3), o in ultimo se il contratto stipulato è aleatorio per sua natura o per volontà delle parti (art. 1469).
Con riguardo a quest’ultima ipotesi, l’articolo 1469 cod. civ. pone sullo stesso piano, ai fini dell’esclusione dei rimedi civilistici contro l’eccessiva onerosità sopravvenuta, i contratti aleatori per loro natura e quelli aleatori per volontà delle parti, per cui nei primi l’alea è elemento connaturale al tipo di contratto, mentre nei secondi diviene elemento essenziale della fattispecie per volontà delle parti mediante l’inserimento in uno schema contrattuale di per sé non aleatorio di una clausola che introduce un rischio estraneo al tipo, rendendo – per tale motivo – il contratto aleatorio. Infatti, “nell’esplicazione della loro autonomia privata, ben possono le parti di un contratto convenire l’unilaterale o reciproca assunzione di un prefigurato possibile rischio futuro, estraneo al tipo contrattuale prescelto, a tale stregua modificandolo e rendendolo per tale aspetto aleatorio, con l’effetto di escludere, nel caso che tale rischio si verifichi, l’applicabilità dei meccanismi di riequilibrio previsti nell’ordinaria disciplina del contratto” (cfr., ex plurimis, Cass. n. 16568 del 2002).
In tema di contratti d’appalto, peraltro, potrebbe dirsi che se le parti escludessero il meccanismo della revisione del prezzo previsto dalla legge, l’appalto diverrebbe automaticamente un contratto aleatorio; ma, come è stato sostenuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti, una clausola siffatta non muta la natura del contratto, perché comporta solo un ampliamento del margine di rischio previsto dal legislatore, e tale rischio sarà pur sempre pari a quello rinvenibile in ogni contratto che non sia ad esecuzione istantanea. Il corollario di questa tesi è che, qualora il margine tra le due prestazioni diventi notevole, sarà sempre esperibile la generale azione di risoluzione per eccessiva onerosità.
È bene ricordare, a quest’ultimo proposito, come affermato anche da costante orientamento dell’Altissimo Consesso della Giustizia Amministrativa che, la disposizione di cui all’art. 1467 c.c. limitata ai contratti a esecuzione continuata o periodica o a esecuzione differita, non assegna al contraente il diritto potestativo di determinare la risoluzione del contratto mediante atto unilaterale (il recesso), ma subordina un effetto di tal fatta a una pronuncia dell’autorità giudiziaria di natura costitutiva.
4. La rinegoziazione dell’offerta prima della stipula: orientamenti giurisprudenziali
Nella casistica giurisprudenziale più recente, è stato indagato il peculiare caso della rinegoziazione dell’offerta che avviene tra l’aggiudicazione dell’appalto e (prima) della stipula del contratto, al fine di comprendere l’applicabilità dei meccanismi revisionali contrattuali sopra descritti anche ad una fase intermedia che precede – appunto – la sottoscrizione del contratto, anche in relazione all’impatto che tale operazione di rinegoziazione potrebbe avere sull’avvenuta aggiudicazione dell’appalto.
Secondo un assai recente orientamento del TAR Piemonte (Sez. II – sentenza 20 febbraio 2023 n. 180), deve ritenersi illegittimo il provvedimento con il quale la stazione appaltante ha stabilito di dichiarare la decadenza di un concorrente dall’aggiudicazione di una gara di appalto di lavori, che sia motivato con esclusivo riferimento al fatto che l’aggiudicatario, anche in ragione del lasso di tempo intercorso tra aggiudicazione e stipula del contratto di appalto, ha manifestato l’esigenza di rinegoziare l’offerta presentata in gara e di non voler confermare la stessa, a seguito dell’intervenuto aumento, medio tempore, dei costi dei materiali per le lavorazioni.
Il TAR Piemonte (Sez. II – sentenza 20 febbraio 2023 n. 180), ha stabilito l’illegittimità del provvedimento con il quale la stazione appaltante ha stabilito di dichiarare la decadenza di un concorrente dall’aggiudicazione di una gara di appalto di lavori, motivato con esclusivo riferimento al fatto che l’aggiudicatario, in ragione del lasso di tempo intercorso tra aggiudicazione e stipula del contratto di appalto, ha manifestato l’esigenza di rinegoziare l’offerta presentata in gara e di non voler confermare la stessa, a seguito dell’intervenuto aumento, medio tempore, dei costi dei materiali per le lavorazioni.
In proposito, peraltro, occorre dare atto del fatto che sul punto non vi sia unità di vedute, anche in giurisprudenza. Secondo un primo e più tradizionale orientamento, infatti, non può trovare accoglimento la domanda di modifica delle pattuizioni prima di procedere alla stipulazione del contratto. Secondo tale indirizzo il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza che ne deriva ostano a che, dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’amministrazione aggiudicatrice e l’aggiudicatario apportino alle disposizioni dell’appalto modifiche che lo rendano sostanzialmente diverso rispetto alla sua configurazione iniziale (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 31 ottobre 2022, n 9426).
A tale orientamento si contrappone nettamente quello condiviso dal TAR Piemonte nella sentenza in rassegna, che parte dalla constatazione per cui la legislazione in materia di appalti pubblici è sì ispirata al rispetto del principio di tutela della concorrenza e parità di trattamento, ma è anche informata ai criteri di efficacia ed economicità che, in presenza di particolari circostanze, possono condurre alla rinegoziazione delle condizioni contrattuali sia in corso d’esecuzione che prima della stipula del contratto (Cons. Stato, sez. V, 11 aprile 2022, n. 2709); inoltre, l’immodificabilità del contratto non ha carattere assoluto e le variazioni contrattuali non violano sempre e comunque i principi fondamentali in materia di evidenza pubblica (Cons. Stato, Sez. V, 11 aprile 2022, n. 2709; Corte di Giustizia UE, sez. VIII, sentenza del 7 settembre 2016, in C. 549-14).
Lo stesso TAR Piemonte ha già avuto modo di statuire che sussiste un legittimo margine di valutazione in capo all’amministrazione tra l’alternativa di rifare appello al mercato (con le diseconomie e i rischi che ne derivano) ovvero tentare (nei limiti consentiti dall’art. 106) di ricondurre il contratto ad utilità, per cui “la scelta dell’amministrazione di individuare i termini della necessaria rinegoziazione ancor prima di procedere alla stipulazione del contratto si configura in fondo come prudente, poiché, posto che la rinegoziazione implica ovviamente l’accordo della controparte, ove tale accordo non fosse stato raggiunto, si sarebbe rafforzata in capo all’amministrazione una possibilità di revoca fondata sulle sopravvenienze organizzative e su un ragionevole rispetto delle aspettative dell’aggiudicatario” (TAR Piemonte, Sez. I, 28 giugno 2021, n. 667).
In altre occasioni è stata affermata la legittimità della rinegoziazione delle offerte nella fase precedente la stipula del contratto, attraverso il richiamo alla correttezza del ricorso all’analogia, essendovene tutti presupposti di cui all’art. 12 delle disp. prel. al Codice Civile, quali la lacuna dell’ordinamento, in quanto non vi è una disciplina specifica delle sopravvenienze applicabile alla fase tra l’aggiudicazione e la stipulazione del contratto; inoltre, la corretta applicazione del principio di economicità, dunque di buon andamento, dell’amministrazione (richiamato dall’art. 30, comma 1, del codice dei contratti), scongiura una riedizione della procedura, che diversamente s’imporrebbe in tutti i casi di modifica, ancorché non “essenziale”, delle condizioni (v. TAR Sardegna, 16 novembre2022, n. 770). Ciò conduce a sostenere altresì che una richiesta di rinegoziazione deve essere presa in considerazione, al ricorrere di particolari circostanze di fatto che ne evidenzino la ragionevolezza e la plausibilità, risultando irragionevole accettare l’azzeramento degli esiti di una procedura di affidamento in assenza di specifiche e sostanziali illegittimità che la affliggano.
Anche in tema di appalto di servizi, il TAR Piemonte ha ritenuto legittimo, e non in contrasto con i principi pro-concorrenziali e della par condicio, il provvedimento con il quale la stazione appaltante (nella specie, si trattava di una Azienda Sanitaria), a seguito del regolare esperimento di una gara per l’affidamento di un appalto di forniture e della relativa aggiudicazione, prima della stipula del contratto di appalto, in ragione della sopravvenienza fattuale, consistente nella successiva difforme ripartizione degli esami diagnostici tra le proprie sedi, in forza di quanto previsto dalla lex specialis, ha rinegoziato le condizioni della medesima fornitura, ove sia comprovato che tale rinegoziazione della commessa non abbia comportato una modifica sostanziale della stessa, essendo rimasti invariati sia l’attività oggetto dell’affidamento, sia l’importo aggiudicato in sede di gara. Deve quindi escludersi una modifica comportante un sostanziale mutamento delle condizioni dell’appalto, in quanto non risultano soddisfatte le condizioni richiamate all’art. 106, comma 4, D.lgs. 50/2016 e ciò sul rilievo che la variazione: a) non introduce condizioni che, se fossero state contenute nella procedura di appalto inziale, avrebbero consentito l’ammissione di candidati diversi da quelli inizialmente selezionati o l’accettazione di un’offerta diversa da quella inizialmente accettata, oppure avrebbero attirato ulteriori partecipanti alla procedura di aggiudicazione; b) non cambia l’equilibrio economico del contratto o dell’accordo quadro a favore dell’aggiudicatario in modo non previsto dal contratto iniziale; c) non estende notevolmente l’ambito di applicazione del contratto; d) non comporta una sostituzione dell’aggiudicatario dell’appalto con un nuovo contraente (v. TAR PIEMONTE, SEZ. I – sentenza 20 luglio 2022 n.681)
5. Conclusioni e prospettive
Come abbiamo visto, l’istituto della revisione prezzi ha la finalità, da una parte, di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni a favore delle amministrazioni non siano esposte, nel tempo, al rischio di una diminuzione qualitativa a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta e della conseguente incapacità del contraente di farvi compiutamente fronte, nonché, dall’altra, di tutelare l’interesse dell’operatore economico a non subìre un’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente all’aumento imprevedibile dei costi tali da indurlo, durante la durata contrattuale, ad una possibile riduzione degli standards qualitativi delle prestazioni erogate.
E’ interessante, in proposito, rilevare, che il testo del nuovo Codice dei contratti pubblici, approvato in esame preliminare dal Consiglio dei ministri il 16/12/2022, introduce nuovamente l’obbligo di inserimento di clausole di revisione dei prezzi in tutti i documenti di gara, obbligo che – come detto – nell’attuale disciplina non è presente.
Il testo del nuovo Codice dei contratti pubblici, approvato in esame preliminare dal Consiglio dei ministri il 16/12/2022, introduce nuovamente l’obbligo di inserimento di clausole di revisione dei prezzi in tutti i documenti di gara, obbligo che – come detto – nell’attuale disciplina non è presente
In particolare, all’art. 60 si prevede che “1. Nei documenti di gara iniziali delle procedure di affidamento è obbligatorio l’inserimento delle clausole di revisione prezzi. 2. Queste clausole non apportano modifiche che alterino la natura generale del contratto o dell’accordo quadro; si attivano al verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva, non prevedibili al momento della formulazione dell’offerta, che determinano una variazione del costo dell’opera, della fornitura o del servizio, in aumento o in diminuzione, superiore al XX per cento dell’importo complessivo e operano nella misura del XXX per cento della variazione stessa. 3. Per l’applicazione del presente articolo si utilizzano indici sintetici delle variazioni dei prezzi relativi ai contratti di lavori, servizi e forniture, approvati dall’ISTAT con proprio provvedimento entro [il 31 marzo e] il 30 settembre di ciascun anno, d’intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Con il medesimo provvedimento si definisce e si aggiorna la metodologia di rilevazione e si indica l’ambito temporale di rilevazione delle variazioni”.
Si prevede inoltre che, per far fronte ai maggiori oneri derivanti dalla revisione prezzi di cui al presente articolo le stazioni appaltanti utilizzano: a) nel limite del 50 per cento, le risorse appositamente accantonate per imprevisti nel quadro economico di ogni intervento, fatte salve le somme relative agli impegni contrattuali già assunti, e le eventuali ulteriori somme a disposizione della medesima stazione appaltante e stanziate annualmente relativamente allo stesso intervento; b) le somme derivanti da ribassi d’asta, se non ne è prevista una diversa destinazione dalle norme vigenti; c) le somme disponibili relative ad altri interventi ultimati di competenza della medesima stazione appaltante e per i quali siano stati eseguiti i relativi collaudi o emessi i certificati di regolare esecuzione, nel rispetto delle procedure contabili della spesa e nei limiti della residua spesa autorizzata disponibile. Per gli interventi finanziati attraverso le risorse previste dal PNRR le stazioni appaltanti possono anche avvalersi del Fondo per la prosecuzione delle opere pubbliche di cui all’articolo 7, comma 1, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120.
E’ evidente, quanto condivisibile, pertanto, l’intento del legislatore, in ossequio ai principi di efficienza e di economicità dell’azione amministrativa, oltre che di non aggravio, di consentire sempre la possibilità di rinegoziare il contenuto del contratto – senza alterarne la natura – mostrando un approccio decisamente conservativo rispetto alla necessità di preservare le procedure svolte e i contratti già stipulati, anziché dare luogo a nuove procedure di affidamento, comportanti costi aggiuntivi per l’erario.