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Adunanza plenaria 20 giugno 2014

1. Premessa

Lo scorso 20 giugno l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato è intervenuta in una delle materia più tormentate del diritto amministrativo. La questione sulla quale è stata chiamata a pronunciarsi la Plenaria era infatti così riassumibile: può il giudice revocare l’aggiudicazione dopo la stipula del contratto d’appalto? Ed in questo caso, quali sono gli effetti sul contratto di appalto che sia stato medio tempore sottoscritto?

In questo quadro, è intervenuta la recentissima Plenaria del Consiglio di Stato che, con sentenza del 20 giugno 2014 (n. 14/2014), si é pronunciata sulla possibilità che la Stazione appaltante, successivamente alla stipula del contratto di appalto, revochi l’aggiudicazione od eserciti il diritto di recesso previsto dall’articolo 134 del Codice dei Contratti pubblici.

Esamineremo dunque la recente pronuncia che si inserisce in un quadro giurisprudenziale molto tormentato.

2. La Plenaria del 20 giugno 2014. I fatti

L’Azienda per la Mobilità del Comune di Roma (ATAC s.p.a), con deliberazione n. 2 del 27 gennaio 2005, autorizzava l’indizione di una gara pubblica con procedura aperta per l’affidamento della progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori necessari alla realizzazione di un deposito tranviario nell’area ex “Centro Carni” e delle opere connesse.

La gara veniva aggiudicata in data 14 novembre 2005 ad un’ATI composta da alcune società appositamente e temporaneamente raggruppate.

Il 19 maggio 2006 veniva quindi stipulato il relativo contratto di appalto.

Tuttavia l’ATAC, con provvedimento n. 80861 del 4 giugno 2012, disponeva la revoca definitiva di tutti gli atti della procedura di gara, incluso il provvedimento di aggiudicazione.

Il provvedimento di revoca si basava su diversi, sopravvenuti, motivi di interesse pubblico. Veniva altresì preannunciato che, con separato provvedimento, sarebbe stato corrisposto all’appaltatrice l’indennizzo di cui all’art. 21-quinquies, comma 1-bis, della legge n. 241 del 1990.

L’ATAC quindi, con nota del 19 ottobre 2012 (prot. n. 147684), chiedeva la riconsegna delle aree di cantiere sul presupposto, espressamente dichiarato, dell’intervenuta caducazione del contratto per effetto della precedente revoca.

Insomma: secondo la tesi dell’ATAC, la revoca dell’aggiudicazione per sopravvenuto motivo di interesse pubblico, comportava necessariamente la “caducazione” (rectius, “risoluzione”) del contratto d’appalto stipulato, con conseguente obbligo di indennizzo nella misura stabilita dall’art. 21-quinquies, comma 1-bis, della legge 241 del 1990.

3. L’art. 21 – quinquies comma 1-bis della legge 241 del 1990

Come noto, la norma citata dispone che “Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo”.

Il comma 1-bis prevede poi che “ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico”.

Sorgeva quindi controversia con l’ATI aggiudicataria la quale sosteneva essersi ormai cristallizzato un rapporto contrattuale e, come tale, insuscettibile di revoca ex art. 21 quinquies ma, semmai, suscettibile di recesso ex art. 134 del d.lgs. n. 163 del 2006con conseguente obbligo di indennizzo non limitato al “danno emergente” ma necessariamente ricomprendente il pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell’importo delle opere non eseguite, come di seguito meglio chiarito.

4. La Plenaria 20 giugno 2014. Considerazioni giuridiche

Secondo il tradizionale insegnamento della Suprema Corte di Cassazione, una volta stipulato il contratto di appalto, si formano posizioni di diritto soggettivo perfetto che, come tali, da un lato fondano la giurisdizione del giudice ordinario ai sensi dell’art. 103 della Costituzione e, dall’altro non sono suscettibili di revoca in virtù di un atto amministrativo potendo, semmai essere oggetto di recesso (alle condizioni di volta in volta previste dalla norma speciale).

Il TAR Lazio, chiamato a decidere della questione in prime cure, con la sentenza n. 2432 del 2013 statuiva che il legittimo esercizio del potere di autotutela sugli atti di gara, trova il proprio limite nella sopravvenuta stipulazione del contratto. Dunque annullava il provvedimento di revoca in quanto emesso al di fuori dei presupposti di legge. Secondo il giudice di prime cure, la revoca era stata adottata “in assenza del suo essenziale presupposto, e cioè di un oggetto costituito da un provvedimento che continua ancora a spiegare effetti”.

Successivamente alla stipulazione del contratto, il Committente non avrebbe alternativa che ricorrere all’istituto del recesso per liberarsi dal vincolo contrattuale ai sensi dell’art. 134 del codice dei contratti pubblici – norma inserita nel Titolo III, “disposizioni ulteriori per i contratti relativi ai lavori pubblici”.

L’art. 134 del Codice dei Contratti Pubblici prevede, infatti, al primo comma che “la stazione appaltante ha il diritto di recedere in qualunque tempo dal contratto previo il pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell’importo delle opere non eseguite”.

Dunque alla Plenaria è stato chiesto di pronunciarsi in merito a quanto stabilito dal giudice di prime cure secondo cui il potere di revoca dell’aggiudicazione non può essere esercitato dall’amministrazione una volta intervenuta la stipula del contratto.

5. La ricostruzione della normativa principale in materia operata dalla Sezione remittente

Nell’ordinanza di rimessione, vengono richiamate le norme principali che disciplinano la materia.

Anzitutto, si rileva un elemento di contraddittorietà tra i commi 1 e 1-bis dell’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990, poiché, per il primo, la revoca può incidere soltanto su atti “ad efficacia durevole”, mentre, per il secondo, l’atto revocato può anche essere “ad efficacia istantanea” se incidente su “rapporti negoziali”, con un possibile effetto retroattivo che avvicina l’istituto a quello dell’annullamento d’ufficio per illegittimità, convergendo, in questo senso, anche l’art. 1, comma 136, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, per il quale l’annullamento volto a “conseguire risparmi o minori oneri finanziari” regola il caso in cui incida “su rapporti contrattuali o convenzionali con privati”; potere quest’ultimo che, al di là del nomen dell’atto, appare peraltro vicino allo schema della revoca sul presupposto della rivalutazione della convenienza di contratti già stipulati.

La normativa richiamata deve essere a sua volta esaminata insieme con quella dell’art. 21-sexies della legge n. 241 del 1990, per cui è possibile “il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione…nei casi previsti dalla legge o dal contratto”, secondo una regola di tipicità delle ipotesi di recesso analoga a quella di cui agli articoli 1372 e 1373 c.c..

Il quadro normativo deve essere completato, infine, con il richiamo dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990, che fa salvo il potere di recesso dell’amministrazione “per sopravvenuti motivi di pubblico interesse” in caso di accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento, e degli articoli 121 e 122 c.p.a. quanto ai poteri del giudice amministrativo di incidere sul contratto.

6. Il contrasto giurisprudenziale

Il Consiglio di Stato ha in più circostanze affermato la legittimità del potere di revoca degli atti amministrativi del procedimento ad evidenza pubblica anche se sia stato stipulato il contratto, con il conseguente diritto del privato all’indennizzo (vengono a titolo esemplificativo richiamate le sentenze della Sezione VI n. 1554 del 2010 e n. 5993 del 2012 e della Sez. IV, n. 156 del 2013, nella quale si richiama anche, con il comma 136 dell’art. 1 della legge n. 311 del 2004, il comma 9 dell’art. 11 del codice dei contratti pubblici che consente l’intervento in autotutela sugli atti di gara pur divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva). In senso parzialmente difforme la sola sentenza della Sez. III n. 2291 del 2011, poiché la legittimità della revoca degli atti di una gara vi è affermata anche perché intervenuta prima della stipulazione del contratto.

La Corte di Cassazione ha affermato, al contrario, che tutte le vicende successive alla stipulazione del contratto danno luogo a questioni relative alla sua validità ed efficacia anche se dovute all’esercizio di poteri pubblicistici in autotutela. Con la stipula del contratto si costituisce infatti tra le parti, pubblica e privata, un rapporto giuridico paritetico intercorrente tra situazioni soggettive da qualificare in termini di diritti soggettivi e di obblighi giuridici; il riscontro di sopravvenuti motivi di inopportunità della realizzazione dell’opera si riconduce perciò all’esercizio del potere contrattuale di recesso, previsto dalla normativa sugli appalti pubblici, con scelta che si riverbera sul contratto in quanto potere contrattuale del committente di recedere da esso, cosicché l’atto di revoca dell’aggiudicazione, ciò nonostante adottato, risulta lesivo del diritto soggettivo del privato in quanto incidente sul sinallagma funzionale (Sez. unite, n. 10160 del 2003 e n. 29425 del 2008).

7. La questione sulla giurisdizione resta latente ma potenzialmente esplosiva

Va premesso che la Plenaria evita di affrontare la questione attinente alla giurisdizionedel giudice amministrativo in una materia che, dopo la stipula del contratto di appalto,  verte su questioni di diritto soggettivo che dovrebbero quindi essere riservate alla cognizione del Giudice Ordinario.

La Plenaria, infatti, a tale riguardo si limita ad osservare che nel caso di specie si è formato il giudicato sulla questione di giurisdizione che è stata espressamente decisa in primo grado con pronuncia confermata in secondo grado.

Questa considerazione evita alla Plenaria di dover affrontare la tormentatissima questione della giurisdizione sulla revoca del provvedimento di aggiudicazione che incida su diritti soggettivi perfetti.

Secondo l’insegnamento tradizionale della Suprema Corte di Cassazione, “In materia di appalto d’opere pubbliche, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo solo le controversie derivanti dalle procedure di affidamento dei lavori, mentre per quelle che traggono origine dall’esecuzione del contratto non v’è alcuna deroga alla giurisdizione del Giudice ordinario. […] (una controversia sorta sulla esecuzione contrattuale, Ndr) – essendo estranea alla tematica dell’aggiudicazione, ovvero del procedimento attraverso il quale la P.A. sceglie il proprio contraente – appartiene alla cognizione del Giudice ordinario riguardando l’esecuzione del rapporto” (cfr. Cass. civ., Sez. Unite, 6.5.2005, n. 9391).

Del resto, i precedenti giurisprudenziali (ordinanze Cass. SS.UU. 6068/09 e 6596/11) sono nel senso che anche qualora si sia in presenza di ipotesi in cui non sia stato fra le parti formalmente stipulato un contratto, la Cassazione ha affermato la sussistenza della giurisdizione ordinaria attribuendo valore determinante alla pariteticità del rapporto instauratosi con l’esecuzione della prestazione oggetto dell’appalto.

Insomma, per il tradizionale insegnamento della Cassazione, se si è in presenza di un “rapporto negoziale” si deve necessariamente concludere che si è in presenza di un rapporto di diritto comune che radica la giurisdizione ordinaria.

In questo senso, si rinvengono anche sentenze del Giudice amministrativo, come la pronuncia del Consiglio di Stato 7.2.2012 n. 662 che ha ritenuto applicabile alla fattispecie esaminata il medesimo principio sopra espresso, relativamente ad una vicenda in cui la revoca dell’aggiudicazione era intervenuta non solo prima della conclusione del contratto ma anche prima dell’avvio dei lavori, in linea con i precedenti giurisprudenziali sopra richiamati (ord. Cass. SS.UU. 13.3.2009 n. 6068, 23.3.2011 n. 6594 e 23.3.2011 n. 6596).

Evitato l’argomento più spinoso e l’inevitabile incidente diplomatico che ne sarebbe conseguito con la Corte di Cassazione, l’Adunanza plenaria si pronuncia nel senso che, intervenuta la stipulazione del contratto per l’affidamento dell’appalto di lavori pubblici, l’amministrazione non può esercitare il potere di revoca dovendo operare con l’esercizio del diritto di recesso.

La Plenaria, infatti, afferma che il provvedimento di aggiudicazione definitiva conclude la fase pubblicistica della scelta del contraente.

Tale fase risulta assolutamente distinta da quella, successiva, della stipulazione e conseguente esecuzione del contratto d’appalto.

In questo senso, il provvedimento di aggiudicazione costituisce unicamente il necessario presupposto funzionale dell’offerta (art. 11, comma 7, primo periodo, del Codice). Osserva la Plenaria che, divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva, prima della stipulazione, resta comunque salvo “L’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti” (art. 11, comma 9 del Codice).

Tuttavia, con la sottoscrizione del contratto si forma il vincolo sinallagmatico con la formazione del vincolo paritetico tra l’aggiudicatario e l’amministrazione.

La Plenaria richiama quindi il tradizionale insegnamento della giurisprudenza secondo il quale la fase conclusa con l’aggiudicazione ha carattere pubblicistico, in quanto retta da poteri amministrativi attribuiti alla stazione appaltante per la scelta del miglior contraente nella tutela della concorrenza, mentre quella che ha inizio con la stipulazione del contratto e prosegue con l’attuazione del rapporto negoziale ha carattere privatistico ed è quindi retta dalle norme civilistiche (Corte costituzionale, sentenze n. 53 e n. 43 del 2011; Cassazione, Sez. un. civ. n. 391 del 2011; Consiglio di Stato, Sez. III, n. 450 del 2009).

Nella fase privatistica l’amministrazione si pone quindi con la controparte in posizione di parità che però, è stato anche precisato, è “tendenziale” (Corte Cost. n. 53 e n. 43 del 2011 citate), con ciò sintetizzando l’effetto delle disposizioni per cui, pur nel contesto di un rapporto paritetico, sono apprestate per l’amministrazione norme speciali, derogatorie del diritto comune, definite di autotutela privatistica (Ad. Plen. n. 6 del 2014); ciò, evidentemente, perché l’attività dell’amministrazione, pur se esercitata secondo moduli privatistici, è sempre volta al fine primario dell’interesse pubblico, con la conseguente previsione, su tale presupposto, di regole specifiche e distinte”.

Nel codice dei contratti pubblici sono previste norme con tratti di specialità riguardo specificamente alla fase dell’esecuzione del contratto per la realizzazione di lavori pubblici.

A tale riguardo, oltre alla generale previsione civilistica (art. 1373 c.c.), il legislatore ha inserito una norma specifica nella legge sul procedimento (art. 21-sexies).

L’art. 134 sopra citato funge così da norma speciale rispetto a quella generale rappresentata dall’art. 1671 del codice civile, disciplinando in modo difforme tanto il preavviso all’appaltatore che gli oneri che andranno riconosciuti.

Infatti mentre l’art. 1671 del codice civile prevede che vadano riconosciuti all’appaltatore le spese sostenute, i lavori eseguiti ed il mancato guadagno, l’art. 134 forfetizza il lucro cessante nel dieci per cento delle opere non eseguite e la commisurazione del danno emergente, fermo il pagamento dei lavori eseguiti, al “valore dei materiali utili esistenti in cantiere”.

8. Conclusioni

Il ragionamento che svolge la Plenaria è così riassumibile.

A seguito della stipula del contratto di appalto, si forma una posizione che è tendenzialmente paritetica tra le Parti. Tuttavia, l’amministrazione conserva una posizione di specialità che le è riconosciuta da norme specifiche.

Mentre nella fase pubblicistica ante stipula del contratto di appalto l’amministrazione è titolare della facoltà di revoca conseguente ad una diversa valutazione dell’interesse pubblico sotteso al provvedimento di aggiudicazione, successivamente alla stipula del contratto tale potere si esercita mediante la facoltà di recesso. Proprio la previsione del recesso di cui al citato art. 134 del codice in ambito lavori pubblici, preclude l’esercizio della revoca.

La previsione del diritto di recesso esclude che si possa contemporaneamente agire per la revoca. Peraltro, quando il legislatore ha ritenuto di consentire la revoca “per motivi di pubblico interesse” a contratto stipulato, lo ha fatto espressamente, in riferimento, come visto, alla concessione in finanza di progetto per la realizzazione di lavori pubblici (o la gestione di servizi pubblici; art. 158 del codice).

Tuttavia, resta perciò impregiudicata, nell’inerenza all’azione della pubblica amministrazione dei poteri di autotutela previsti dalla legge, la possibilità: a) della revoca nella fase procedimentale della scelta del contraente fino alla stipulazione del contratto; b) dell’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione definitiva anche dopo la stipulazione del contratto, ai sensi dell’art. 1, comma 136, della legge n. 311 del 2004, nonché concordemente riconosciuta in giurisprudenza, con la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto per la stretta consequenzialità funzionale tra l’aggiudicazione della gara e la stipulazione dello stesso (Cass. sezioni unite, 8 agosto 2012, n. 14260; Cons. Stato: sez III, 23 maggio 2013, n. 2802; sez. V: 7 settembre 2011, n. 5032; 4 gennaio 2011, n. 11, 9 aprile 2010, n. 1998).

Ricordiamo come il comma 136 della legge n. 311 del 2004 preveda che “al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l’annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l’esecuzione degli stessi sia ancora in corso. L’annullamento di cui al primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante”.

Così come, pure nel caso di contratto stipulato, sussiste la speciale previsione in ordine al recesso della stazione appaltante quando si verifichino i presupposti previsti dalla normativa antimafia che la giurisprudenza (Cass. n. n. 391 del 2011 cit.) ha riferito alla nozione dell’autotutela autoritativa, poiché potere “del tutto alternativo a quello generale di cui alla L. n. 2248 del 1865, art. 345, all. F” (oggi art. 134 del codice dei contratti pubblici); qualificazione questa che può ritenersi tuttora valida poiché le stazioni appaltanti, pur nel quadro della normativa oggi vigente in materia, devono comunque valutare l’esistenza delle eccezionali condizioni non comportanti l’altrimenti vincolato esercizio del diritto di recesso (art. 94, commi 2 e 3 del d.lgs. n. 159 del 2011).

Secondo la Plenaria, dunque, in questo quadro si coordina e delimita, la previsione della revoca di cui al comma 1-bis dell’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990.

In altre parole, in ambito lavori pubblici, la stazione appaltante, successivamente alla stipula del contratto, non ha facoltà di revoca ma può recedere dal contratto ai sensi dell’art. 134 richiamato.

Invece, per le forniture e per i servizi, resta al contrario “consentita la revoca di atti amministrativi incidenti sui rapporti negoziali[…] di appalto di servizi e forniture, relativi alle concessioni contratto (sia per le convenzioni accessive alle concessioni amministrative che per le concessioni di servizi e di lavori pubblici), nonché in riferimento ai contratti attivi”.

Sulla base di quanto esposto l’Adunanza plenaria afferma il seguente principio di diritto: “Nel procedimento di affidamento di lavori pubblici le pubbliche amministrazioni se, stipulato il contratto di appalto, rinvengano sopravvenute ragioni di inopportunità della prosecuzione del rapporto negoziale, non possono utilizzare lo strumento pubblicistico della revoca dell’aggiudicazione ma devono esercitare il diritto potestativo regolato dall’art. 134 del d.lgs. n. 163 del 2006”.

Invece, relativamente alle forniture ed ai servizi, si deve ritenere che la revoca del provvedimento di aggiudicazione incida anche sul rapporto sostanziale conseguente, in virtù dei principi sopra richiamati.

A tale ultimo riguardo, resta tuttavia sullo sfondo la questione della giurisdizione e, quindi, della conseguente applicabilità dell’art. 1671 del codice civile (e, quindi, della misura dell’indennizzo da riconoscere) per tale tipo di contratti.

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Fabio Salierno
Esperto e docente in materia di appalti pubblici
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