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( votes)1. L’equilibrio negoziale nei contratti pubblici
L’introduzione esplicita del principio di mantenimento dell’equilibrio contrattuale nell’ambito delle commesse pubbliche, sancita dall’art. 9 del d.lgs. 36/2023, rappresenta un’importante evoluzione normativa, volta a superare le ambiguità che fino ad ora avevano caratterizzato la disciplina dei rapporti tra amministrazioni pubbliche e operatori economici.
Difatti, sebbene tale principio possa ritenersi già implicitamente presente nell’ordinamento quale garanzia della parità negoziale, nella contrattualistica pubblica esso ha spesso subito un’attenuazione, traducendosi in un assetto contrattuale sbilanciato a sfavore della parte privata e ciò in ragione della prevalenza dell’interesse pubblico, con la conseguenza di rendere il riequilibrio contrattuale un obiettivo secondario rispetto alla tutela delle esigenze della pubblica amministrazione.
I contratti c.d. commutativi, come il contratto di appalto, sono retti dal principio di corrispettività fra prestazione e controprestazione (c.d. equilibrio sinallagmatico).
Tale equilibrio deve accompagnare il rapporto contrattuale per tutta la sua durata distinguendosi tra sinallagma genetico e sinallagma funzionale.
Nel primo caso, la carenza può comportare la nullità del contratto per difetto di causa; nel secondo la parte penalizzata potrà optare per dei rimedi abdicativi (rectius: caducatori), che determinano la liberazione dal vincolo contrattuale, o per dei rimedi manutentivi, che consentono di distribuire il pregiudizio sopravvenuto tra le parti attraverso una modifica del contratto che ne garantisca la conservazione.
Le considerazioni di matrice civilistica sin qui svolte devono però essere necessariamente calate nel peculiare contesto della contrattualistica pubblica dove la pubblica amministrazione, pur agendo come contraente, conserva prerogative di natura pubblicistica anche nella fase esecutiva.
In tal senso si è parlato di “natura bifasica” dei contratti pubblici, distinguendo nettamente la fase pubblicistica di scelta del contraente e la fase privatistica di esecuzione del contratto, nella quale l’interesse pubblico continua a permeare anche la fase esecutiva.
Per far fronte a tale peculiarità la dottrina ha sviluppato il c.d “paradigma della specialità”, secondo cui il contratto pubblico, pur rientrando nella categoria generale del contratto d’appalto, si configura come una species distinta, caratterizzata da un regime giuridico peculiare che ne condiziona la disciplina.
Tale impostazione ha implicazioni rilevanti sulla possibilità di applicare agli appalti pubblici gli istituti di riequilibrio previsti dal codice civile, come la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.) e la revisione dei prezzi (art. 1664 c.c.). Sul punto, la giurisprudenza ha chiarito che i contratti pubblici non sono integralmente regolati dalle norme civilistiche, bensì da una disciplina speciale che si pone in rapporto di prevalenza rispetto alla normativa generale. Di conseguenza, il ricorso ai rimedi civilistici è ammesso solo nei limiti della compatibilità con la regolamentazione di settore, rendendo necessario individuare strumenti specifici di riequilibrio all’interno della normativa sugli appalti pubblici.
2. Il principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale
Il principio su cui poggia l’istituto della revisione dei prezzi è quello di conservazione dell’equilibrio contrattuale disciplinato dall’art. 9 del D.lgs 36/2023.
Tale principio è stato efficacemente definito come “principio di secondo livello” o “principio-regola” per differenziarlo dai “principi – valori” e cioè quelli di cui agli artt. 1, 2 e 3 del D.lgs 36/2023 (principio del risultato, il principio della fiducia e il principio dell’accesso al mercato) che presentano un carattere di generalità e astrattezza assurgendo a veri e propri criteri di interpretazione e di applicazione delle norme del Codice contribuendo a ‘liberare la discrezionalità’, in vista dell’efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa.
In base a quanto stabilito dall’articolo 9 del D.lgs 36/2023, qualora si verifichino eventi eccezionali e imprevedibili, non riconducibili alla normale alea contrattuale, alle fluttuazioni economiche ordinarie o al rischio di mercato, e tali da incidere significativamente sull’equilibrio iniziale del contratto, la parte che subisce un pregiudizio, senza aver volontariamente assunto tale rischio, può richiedere la rinegoziazione delle condizioni contrattuali nel rispetto dei principi di buona fede.
Gli oneri derivanti da tale rinegoziazione sono coperti attraverso le risorse disponibili nel quadro economico dell’intervento, comprese le somme accantonate per imprevisti e riserve, e, se necessario, mediante l’utilizzo delle economie generate dal ribasso d’asta.
L’adeguamento delle condizioni contrattuali deve garantire il ripristino dell’equilibrio economico originario, così come determinato dal bando di gara e dall’atto di aggiudicazione, senza modificarne la struttura economica di fondo.
Se il verificarsi di tali eventi eccezionali comporta, anche solo temporaneamente, la parziale impossibilità di eseguire la prestazione contrattuale o la rende inutilizzabile per una delle parti, quest’ultima ha diritto a una riduzione proporzionata del corrispettivo, in conformità all’art. 1464 del Codice Civile.
Pertanto, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti promuovono l’inserimento di clausole di rinegoziazione nei contratti, rendendole note nei documenti di gara, soprattutto nei casi in cui il contratto risulti, in ragione della sua durata, del contesto economico di riferimento o di altri fattori, esposto a rischi significativi che possono generare delle sopravvenienze.
Il comma 5, di chiusura della disposizione, dispone l’attuazione del principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale rimandando altresì all’applicazione degli artt. 60 e 120 (concernenti, rispettivamente, la revisione prezzi e la modifica dei contratti in corso di esecuzione).
BOX: Il principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale, previsto dall’art. 9 del d.lgs. 36/2023, trova attuazione negli artt. 60 e 120, che regolano la revisione dei prezzi e la modifica dei contratti in caso di eventi che incidano significativamente sull’equilibrio economico originario.
3. La revisione prezzi: nozione ed evoluzione
Il concetto di “revisione dei prezzi”, introdotto nell’ambito dei contratti pubblici, riveste una connotazione di notevole rilevanza giuridica e normativa, che merita un’accurata disamina. È imprescindibile, infatti, fare chiarezza sulla differenza semantica tra “revisione” e “rinegoziazione”, la quale rivela fondamenti e implicazioni distinti.
Il termine “revisione”, dal latino revisio (derivante da revidere, ovvero “vedere di nuovo”), in ambito giuridico designa l’attività di riesame e, se del caso, di adattamento di un contratto o di un accordo alle mutate condizioni economiche o fattuali, senza alterare in modo sostanziale gli elementi essenziali dell’atto.
A differenza della rinegoziazione, la revisione non comporta un radicale mutamento delle condizioni contrattuali, ma si configura come un atto di modifica parziale, teso al ristabilimento dell’equilibrio originario tra le parti.
Nella disciplina dei contratti pubblici, la revisione dei prezzi si colloca all’interno di un contesto giuridico caratterizzato dalla “specialità” dei rapporti con le pubbliche amministrazioni, che rende inapplicabili i principi del codice civile (artt. 1467 ss., 1664, 1677, ecc.) e impone l’adozione di regole ad hoc che restringano la discrezionalità dell’amministrazione, vincolandola a presupposti sostanziali e procedimentali ben definiti, a tutela dell’economicità dell’azione amministrativa e del controllo della spesa pubblica.
L’istituto della revisione dei prezzi – tipica “clausola esorbitante” rispetto al comune diritto contrattuale dei privati – ha attraversato negli ultimi decenni una fase di “crisi” ed è stato sottoposto a forti critiche per la sua incidenza negativa sull’andamento dei costi gestionali delle amministrazioni, fino al punto da essere notevolmente ridimensionato nel suo ambito applicativo (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 13.07.2023 n. 6847)
Inizialmente, la Legge n. 724/1994, con riferimento agli appalti di servizi e forniture a esecuzione periodica o continuativa, aveva previsto una revisione periodica dei prezzi basata su un’istruttoria condotta dalla stazione appaltante, con il ricorso ai dati di mercato rilevati dall’Istat. Questo meccanismo è stato successivamente confermato dal d.lgs. n. 163/2006, che prevedeva l’obbligo di inserire nei contratti a esecuzione periodica una clausola revisionale. Tuttavia, il d.lgs. 50/2016 ha introdotto una disciplina più restrittiva, prevedendo che la revisione dei prezzi fosse facoltativa, legata a requisiti specifici e subordinata a una rigorosa verifica dell’effettiva necessità di tale intervento (con ruolo affidato al RUP).
Dunque, nonostante il trend restrittivo, l’esigenza di prevedere strumenti di revisione dei prezzi ha trovato una nuova legittimazione in occasione di eventi eccezionali e imprevedibili, come la pandemia da Covid-19 e le turbolenze dei mercati internazionali, causate da conflitti bellici come quello in Ucraina. In tali casi, il Legislatore ha disposto, attraverso norme speciali (D.L n. 77/2021 c.d. “decreto semplificazioni bis” convertito con mod. in L. n. 108/2021; D.L. n. 50/2022 c.d. “decreto Aiuti” convertito con modificazioni dalla L. n. 91/2022) la possibilità di derogare alle disposizioni generali del Codice degli appalti, per consentire il ripristino dell’equilibrio contrattuale attraverso la revisione dei prezzi, in risposta a circostanze straordinarie che abbiano compromesso l’equilibrio finanziario iniziale del contratto.
In conclusione, a seguito della riforma del 2016, la giurisprudenza ha tentato di delineare con maggiore precisione la distinzione tra l’istituto della revisione dei prezzi e quello della rinegoziazione. Tuttavia, la complessità delle situazioni concrete e la necessità di intervenire in circostanze straordinarie, come gli aumenti imprevisti derivanti da fattori esterni, hanno determinato una sovrapposizione concettuale tra i due istituti.
BOX: La revisione dei prezzi, pur essendo un intervento limitato a ristabilire l’equilibrio contrattuale, si distingue dalla rinegoziazione per la sua natura non sostanziale. Tuttavia, la normativa“emergenziale” ha reso necessario l’uso di meccanismi di revisione più ampi, alimentando confusione tra i due istituti.
4. La revisione prezzi ex art. 60 D.lgs 36/2023
L’intervento normativo culminato nell’approvazione del nuovo Codice del 2023 ha opportunamente arginato il fenomeno precedentemente esposto, introducendo un riassetto significativo della disciplina della revisione prezzi.
In questa nuova configurazione codicistica, l’istituto revisionale si distingue nettamente dalle altre forme di modifica contrattuale, tant’è che, mentre queste ultime trovano collocazione all’art. 120 del d.lgs. 36/2023, la revisione prezzi assume una propria autonomia normativa nell’art. 60.
Il nuovo quadro regolatorio non si limita a ripristinare il passato, ma segna una svolta innovativa, infatti, il legislatore, ha reintrodotto l’obbligo di inserire nei documenti di gara clausole di revisione prezzi, definendo ex lege i presupposti e i parametri vincolanti per l’attuazione dell’istituto.
Con riferimento ai presupposti, il Legislatore ha sancito che la revisione debba attivarsi al verificarsi di “particolari condizioni di natura oggettiva”, purché resti inalterata la “natura generale del contratto”. Si rileva che, a differenza della rinegoziazione, la revisione prezzi non postula la presenza di elementi di imprevedibilità o eccezionalità degli eventi sperequativi. Ciò che legittima il ricorso all’istituto, dunque, non è la natura della causa destabilizzante, bensì l’entità dell’effetto prodotto.
Il Legislatore ha inoltre esplicitato la soglia di rilevanza dell’effetto sperequativo, disponendo che l’adeguamento dei prezzi si attivi a fronte di una variazione del costo dell’opera, della fornitura o del servizio, superiore al 5% dell’importo complessivo, con un adeguamento nella misura dell’80% della variazione stessa.
L’elemento maggiormente distintivo della riforma del 2023 rispetto alle precedenti esperienze normative risiede nel forte automatismo introdotto nella revisione prezzi. Già dalla legge delega emergeva la volontà di configurare l’istituto come un meccanismo di indicizzazione automatica, senza margini di discrezionalità da parte della P.A.
La proposta di correttivo all’art. 3 dell’allegato II.2-bis rafforza ulteriormente tale prospettiva, imponendo alle Stazioni Appaltanti il dovere di monitorare gli indici di riferimento e attivare automaticamente la revisione, senza necessità di istanza di parte, ogniqualvolta la variazione superi la soglia del 5%.
Le implicazioni di tale assetto normativo sono profonde:
1. il diritto alla revisione prezzi assume la natura di un diritto soggettivo pieno, con una pretesa immediata all’aggiornamento del corrispettivo;
2. l’obbligo di inserire le clausole revisionali nei contratti può tradursi nella necessità di specificare unicamente aspetti operativi, quali la frequenza del monitoraggio degli indici;
3. l’abolizione di ogni discrezionalità amministrativa impone una revisione del riparto di giurisdizione: non essendovi più margini di potere autoritativo in capo alla P.A., le controversie sulla revisione prezzi dovrebbero rientrare nella giurisdizione del Giudice Ordinario.
BOX: il nuovo impianto normativo qualifica la revisione prezzi come un vero e proprio diritto potestativo, il cui esercizio non è soggetto a valutazioni discrezionali e non postula la presenza di elementi di imprevedibilità o eccezionalità degli eventi sperequativi.
5. Le modifiche previste dal D.lgs 209/2024 (c.d. Correttivo)
Il correttivo ha introdotto rilevanti modifiche all’art. 60, ridefinendo in modo significativo la disciplina della revisione dei prezzi negli appalti pubblici.
Le clausole di revisione prezzi trovano applicazione esclusivamente in relazione alle prestazioni o lavorazioni “oggetto del contratto” (comma 1).
Tali clausole si attivano al verificarsi di condizioni “oggettive” e in maniera automatica da parte della Stazione Appaltante, non necessitando di alcuna istanza di parte ma, anzi, come si è detto supra, con dovere di monitoraggio da parte della Stazione Appaltante circa la variazione degli indici. (cfr. Art. 3 dell’allegato II.2 bis).
La vera novità è che sia l’an debeatur che il quantum si differenziano a seconda che si tratti di lavori, servizi o forniture.
Relativamente all’an tali condizioni oggettive devono determinare: a) una variazione del costo dell’opera, in aumento o in diminuzione, superiore al 3% dell’importo complessivo; b) una variazione del costo della fornitura o del servizio, in aumento o in diminuzione, superiore al 5% dell’importo complessivo.
Per quanto concerne il quantum debeatur esso è commisurato al 90% o all’80% a seconda che si tratti di lavori oppure servizi o forniture.
Da precisare che, rispetto all’assetto normativo precedente, è stato chiarito che la variazione opera nella misura del 90% o dell’80% del valore eccedente la variazione del 3 o del 5 per cento, perché nella versione precedente del codice non era chiaro
Ai fini della determinazione delle variazioni di costo e di prezzo, sono stati modificati i commi 3 e 4 dell’art. 60 e anche qui distinguendo tra contratti di lavori oppure servizi o forniture.
Per quanto concerne i primi, dovrà essere emanato un provvedimento ministeriale, da adottare sentito l’ISTAT, al fine di individuare i singoli indici di costo delle lavorazioni, sulla base delle tipologie omogenee individuate nella tabella A del nuovo allegato II.2-bis.
Per quanto concerne, invece, i contratti di servizi e forniture gli indici di cui all’art. 60, comma 3, lett. b), del d.lgs. n. 36/2023 (prezzi al consumo, prezzi alla produzione dell’industria e dei servizi, e retribuzioni contrattuali orarie) possono essere applicati anche in forma disaggregata per adattarsi a servizi o forniture che rientrano in più categorie CPV.
Inoltre, il comma 4-ter chiarisce che: (i) è possibile utilizzare indici settoriali più specifici al posto di quelli generali quando risultino maggiormente rappresentativi della realtà economica di riferimento; (ii) non è obbligatorio inserire clausole di revisione prezzi nei documenti di gara per contratti già soggetti a una propria indicizzazione settoriale.
Il comma 2-bis prevede una sorta di “clausola facoltativa” oltre a quanto previsto dal comma 1.
In tali casi, infatti, le parti contrattuali possono convenzionalmente individuare un indice inflattivo e inserirlo nel contratto.
Un’altra importante novità riguarda l’applicazione di tale norma ai contratti di subappalto. Difatti, la disposizione in esame si collega al nuovo comma 2-bis dell’art. 119, introdotto dall’art. 41, comma 1, lett. b), del Correttivo, che impone l’obbligo di inserire clausole di revisione prezzi nei contratti di subappalto e nei subcontratti comunicati alla stazione appaltante. Queste clausole devono riguardare le prestazioni o lavorazioni subappaltate e devono essere coerenti con quanto previsto dagli artt. 8 e 14 dell’Allegato II.2-bis, attivandosi al verificarsi delle condizioni oggettive di cui all’art. 60, comma 2.
Le parti hanno il compito di definire il contenuto di tali clausole, tenendo conto dei meccanismi di revisione e dei limiti di spesa previsti dall’art. 60, delle specifiche prestazioni oggetto del subappalto e delle modalità di determinazione degli indici sintetici disciplinate dall’Allegato II.2-bis (art. 8, comma 1). Infine, spetta all’appaltatore garantire la corretta applicazione di questi obblighi, in conformità con l’art. 119, comma 2-bis, del d.lgs. n. 36/2023.
Un altro aspetto da considerare è che, per quanto concerne gli appalti, l’inserimento della clausola di revisione prezzi è obbligatoria (art. 60 D.lgs 36/2023); diversamente, per quanto attiene le concessioni, la clausola in questione è meramente facoltativa (Art. 189 comma 1 D.Lgs 36 2023) e ciò si spiega in ragione del fatto che tale rischio può essere trasferito interamente al concessionario.
Inoltre, sul punto, il Correttivo ha introdotto una disciplina transitoria all’art. 16 dell’Allegato II.2-bis per garantire l’automatica applicazione delle clausole revisionali. Le nuove disposizioni si applicano solo alle procedure di affidamento avviate dopo la pubblicazione del provvedimento attuativo (art. 16, comma 1, lett. a). Per le procedure già avviate, restano in vigore le norme previgenti fino al 1° luglio 2023 (art. 16, comma 2), con gli indici di costo ISTAT utilizzabili, a regime, esclusivamente a fini statistici (art. 16, comma 3).
BOX: Il Correttivo ridefinisce la revisione prezzi negli appalti pubblici, distinguendo tra lavori, servizi e forniture, con nuove soglie, compensazioni e indici. Previsto l’obbligo di clausole revisionale nei subappalti.
6. L’Allegato II. 2-bis: modalità applicative delle clausole di revisione dei prezzi
Un’ulteriore innovazione è rappresentata dall’introduzione del nuovo Allegato II.2-bis.
Una vera e propria guida per la corretta individuazione degli indici da prendere in considerazione e, anche in questo caso, la disciplina è stata differenziata a seconda che si tratti di contratti di lavori o di servizi e forniture.
Per i contratti di lavori, sono state definite 20 Tipologie Omogenee di Lavorazioni (TOL), con la ripartizione del peso relativo di sei specifici elementi di costo: costo del lavoro, materiali, macchine e attrezzature, energia, trasporto e rifiuti. Successivamente, per ciascun elemento di costo, sono stati individuati i relativi componenti elementari, pervenendo alla definizione di un indice sintetico unico di riferimento.
Come si è anticipato, gli indici sintetici di costo e di costruzione per i contratti di lavori saranno individuati con provvedimento del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, sentito l’ISTAT, sulla base delle tipologie omogenee di lavorazioni di cui alla Tabella A dell’Allegato II.2-bis.
Per quanto concerne i contratti di servizi e forniture, sono stati individuati circa 500 CPV (Common Procurement Vocabulary) già esistenti, organizzati in tre livelli di sottocategorie, ciascuno dei quali è stato associato a uno o più indici ISTAT di cui al comma 3, lett. b), dell’art. 60, tra cui gli indici dei prezzi al consumo, i prezzi alla produzione dell’industria e dei servizi e gli indici disaggregati delle retribuzioni orarie contrattuali.
In dettaglio, i 20 nuovi indici sviluppati per i contratti di lavori forniranno un quadro analitico più dettagliato rispetto ai tre precedenti indici (fabbricato residenziale, capannone industriale, tratto stradale con galleria), che verranno mantenuti esclusivamente per finalità statistiche. L’elenco delle 20 Tipologie Omogenee di Lavorazioni è riportato in una tabella allegata all’Allegato II.2-bis.
Infine, gli indici di prezzo relativi ai contratti di servizi e forniture sono pubblicati, unitamente alla metodologia di calcolo, sul portale istituzionale dell’ISTAT, in conformità alle normative europee e nazionali sulla comunicazione e diffusione dell’informazione statistica ufficiale.
Ai fini della variazione dei costi e dei prezzi, gli indici sintetici possono essere disaggregati, in quanto la ratio della disciplina è quella di consentire l’applicazione di diversi indici ISTAT ai servizi o forniture rientranti in più CPV, garantendo un aggiornamento dei prezzi coerente con le effettive dinamiche di mercato.
BOX: l’Allegato II.2-bis rappresenta una vera e propria guida per la corretta individuazione degli indici da prendere in considerazione e, anche in questo caso, la disciplina è stata differenziata a seconda che si tratti di contratti di lavori o di servizi e forniture.
7. Considerazioni conclusive
La revisione dei prezzi negli appalti pubblici, ridefinita dal d.lgs. 36/2023 e dal correttivo d.lgs. 209/2024, segna un passaggio fondamentale verso un sistema più strutturato e trasparente. Il superamento del modello discrezionale, sostituito da un meccanismo automatico e oggettivo, garantisce maggiore certezza giuridica.
L’introduzione di clausole revisionali obbligatorie e l’applicazione di soglie predefinite consentono di preservare l’equilibrio contrattuale, tutelando sia gli operatori economici sia l’interesse pubblico. Il principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale, sancito dall’art. 9 del Codice, si afferma come un elemento essenziale della contrattualistica pubblica, rafforzando la stabilità delle prestazioni economiche nel tempo.
Inoltre, la differenziazione degli indici ISTAT e la previsione di parametri settoriali contribuiscono a una maggiore aderenza alla realtà economica e a una distribuzione più equa degli oneri finanziari.
In definitiva, l’attuale configurazione della revisione prezzi rappresenta una tappa evolutiva decisiva nella gestione degli appalti pubblici. L’equilibrio tra la tutela degli operatori economici e la sostenibilità della spesa pubblica viene garantito attraverso strumenti chiari, prevedibili e improntati a efficienza, trasparenza e certezza del diritto.
BOX: L’equilibrio tra la tutela degli operatori economici e la sostenibilità della spesa pubblica viene garantito attraverso strumenti chiari, prevedibili e improntati a efficienza, trasparenza e certezza del diritto.
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