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( votes)La responsabilità della pubblica amministrazione: le varie tesi a confronto
Questione assai rilevante – con riferimento alla responsabilità della Pubblica Amministrazione in via generale (e in particolare nel settore degli appalti pubblici) – è costituita dall’individuazione della sua natura giuridica.
Dottrina e giurisprudenza ne hanno a lungo dibattuto, dando luogo alla contrapposizione di varie teorie, riconducibili fondamentalmente a tre tipologie di soluzioni, che hanno sostenuto rispettivamente: 1) la natura extracontrattuale della responsabilità della Pubblica Amministrazione. 2) la natura contrattuale della responsabilità della Pubblica Amministrazione; 3) la natura di c.d. “tertium genus” (o del c.d. “contatto sociale qualificato”) della responsabilità della Pubblica Amministrazione.
Come noto, fino alla fine degli anni ’90, la possibilità di ottenere il risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo è stato negato dalla giurisprudenza unanime della Cassazione. Tale orientamento negativo – che negava in toto il riconoscimento della risarcibilità degli interessi legittimi – è stato rivisto con la storica sentenza della Cassazione, SS. UU., 22 luglio 1999, n. 500, la quale ha riconosciuto, per la prima volta, la generale risarcibilità degli interessi legittimi (pur facendo salva, per gli interessi legittimi pretensivi, la necessità di dimostrazione della spettanza del bene della vita attraverso un giudizio prognostico del Giudice caso per caso). Con tale decisione, la Suprema Corte ha ribaltato la costante interpretazione data all’art. 2043 c.c., la c.d. responsabilità aquiliana, che aveva sempre impedito il riconoscimento della risarcibilità dell’interesse legittimo.
Con la sentenza n. 500/99, la Suprema Corte di Cassazione ha ribaltato la costante interpretazione data all’art. 2043 c.c., fondante la c.d. responsabilità aquiliana, che aveva sempre impedito il riconoscimento della risarcibilità dell’interesse legittimo.
L’inquadramento della natura giuridica della responsabilità della Pubblica Amministrazione in senso extracontrattuale è stato accolto tutt’altro che pacificamente dagli operatori del diritto, i quali avevano più che altro rinvenuto, nella soluzione giurisprudenziale della c.d. “risarcibilità degli interessi legittimi” prospettata dalla Cassazione, un punto di partenza, dal quale iniziare un percorso più approfondito sulla natura della responsabilità della pubblica amministrazione P.A., una volta riconosciutane l’esistenza (in tale senso, si veda: R. CHIEPPA, “Viaggio di andata e ritorno dalle fattispecie di responsabilità della pubblica amministrazione alla natura della responsabilità per i danni arrecati nell’esercizio dell’attività amministrativa”, in Diritto Processuale Amministrativo, 2003, p. 684). Infatti, alla tesi della natura extracontrattuale della responsabilità dell’Amministrazione, si è andata contrapponendo la tesi a favore della natura contrattuale. A favorire lo svilupparsi di questa tesi, era stata la Legge n. 241/1990 (soprattutto a seguito delle successive modifiche operate dalle Leggi nn. 15/2005 e 80/2005), la quale ha disegnato un sistema nel quale la pubblica amministrazione ed il cittadino entrano in un vero e proprio rapporto, fatto di obblighi reciproci e di collaborazione.
Allo stato attuale, la risposta prevalente da parte della giurisprudenza sembra essersi ormai orientata con riferimento alla natura extracontrattuale della responsabilità dell’Amministrazione, seppure una giurisprudenza minoritaria continui a mantenere vivo il dibattito, prospettando la configurabilità di una natura speciale (di “tertium genus”) della stessa.
A titolo meramente esemplificativo, si consideri che <<la qualificazione del danno da illecito provvedimentale rientra nello schema della responsabilità extra contrattuale disciplinata dall’art. 2043 c.c.; conseguentemente, per accedere alla tutela è indispensabile, ancorché non sufficiente, che l’interesse legittimo sia stato leso da un provvedimento (o da comportamento) illegittimo dell’amministrazione reso nell’esplicazione (o nell’inerzia) di una funzione pubblica e la lesione deve incidere sul bene della vita finale, che funge da sostrato materiale dell’interesse legittimo e che non consente di configurare la tutela degli interessi c.d. procedimentali puri, delle mere aspettative o dei ritardi procedimentali>> (v.si Cons. Stato, Sez. V, 31 ottobre 2013, n. 5247; in termini, v.si Cons. Stato, Sez. V, 21 giugno 2013, n. 3408).
In senso opposto è stato invece riconosciuta nella qualificazione della natura della responsabilità civile della P.A., una responsabilità di tipo speciale: 1) in primo luogo, in quanto essa non può essere ricondotta alle categorie civilistiche, in particolare: a) né a quella extracontrattuale, poiché l’art. 2043 c.c. presuppone che i soggetti non abbiano normalmente alcun rapporto; b) né a quella contrattuale, nella quale le posizioni tutelate sono diritti soggettivi relativi, che originano, cioè, da obbligazioni; 2) in secondo luogo, in quanto essa presenta dei caratteri totalmente peculiari, quali: a) la condotta illecita all’interno di un procedimento amministrativo, nel quale l’esercizio del potere è regolamentato da norme speciali di azione per il principio di legalità; b) il potere pubblico opposto all’interesse illegittimo, situazione che non è assimilabile ad un rapporto in cui si confrontano doveri di prestazione (o protezione) e diritto di credito (v.si Cons. di Stato, Sez. VI, 27 giugno 2013, n. 3521).
In particolare: la responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione
Oltre alle varie ipotesi di responsabilità civile della Pubblica Amministrazione per l’emanazione di un provvedimento illegittimo, la giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto anche la responsabilità c.d. “precontrattuale” dell’Amministrazione, che si verifica in tutti quei casi in cui la stessa, pur non emanando un provvedimento illegittimo, adotta atti o comportamenti legittimi (revoca o annullamento dell’aggiudicazione o dell’intera gara), ma comunque lesivi dell’interesse dell’aggiudicatario della gara alla stipula del relativo contratto o dell’interesse di tutti i partecipanti alla gara alla conclusione della stessa.
Tale situazione si verifica qualora – prima della conclusione della procedura ad evidenza pubblica o anche dopo tale conclusione (e cioè tra l’aggiudicazione definitiva e la stipula del contratto) – l’Amministrazione decida legittimamente di revocare o di annullare l’aggiudicazione o l’intera gara, ai sensi degli artt. 21 quinquies o nonies della Legge 7 agosto 1990, n. 241.
In tali casi, l’Amministrazione – seppure abbia adottato un provvedimento di autotutela pienamente legittimo – ha, comunque, leso l’affidamento dei concorrenti alla conclusione della gara alla quale gli stessi hanno partecipato (partecipazione comportante oneri di tempo e di spesa sostenuti inutilmente). Perciò, la giurisprudenza – assimilando la fase della gara pubblicistica (in quanto volta alla stipula del contratto) alla fase delle trattative di diritto privato (volte al medesimo fine) – ha riconosciuto tali comportamenti dell’Amministrazione come condotte idonee a configurare una vera e propria responsabilità precontrattuale in capo alla stessa, con conseguente applicazione dell’art. 1337 c.c., che impone lo svolgimento delle trattative secondo buona fede e correttezza: in tali casi, come si vedrà oltre, il risarcimento dei danni è normalmente commisurato al solo c.d. “interesse negativo”, ovvero al danno emergente costituito dalle spese sopportate dai partecipanti alla gara per tale partecipazione.
In particolare, nel caso in cui lo stato delle trattative sia ormai avanzato, e il privato abbia un ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto, una rottura delle trattative non giustificata da fatti idonei comporta la responsabilità per danni (v.si Cons. Stato Sez. III, 15 aprile 2016, n. 1532).
Secondo una tesi valida sino al 2018, la responsabilità precontrattuale della Pubblica amministrazione non sarebbe configurabile anteriormente alla scelta del contraente, vale a dire della sua individuazione, allorché gli aspiranti alla posizione di contraenti sono solo partecipanti ad una gara e possono vantare solo un interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della Pubblica amministrazione.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 5/2018 afferma che la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione si può configurare anche nei momenti precedenti all’aggiudicazione definitiva, sia prima che dopo la pubblicazione del bando. Tale responsabilità è configurabile senza che possa riconoscersi rilevanza alla circostanza che la scorrettezza dell’amministrazione maturi anteriormente alla pubblicazione del bando oppure intervenga nel corso della procedura di gara. A tale conclusione si perviene alla luce della considerazione che i principi di buona fede e correttezza sono posti a presidio della libertà di autodeterminazione dei cittadini, e quindi sono espressione dei valori costituzionali di solidarietà e libera iniziativa economica.
Tale responsabilità è configurabile senza che possa riconoscersi rilevanza alla circostanza che la scorrettezza dell’amministrazione maturi anteriormente alla pubblicazione del bando oppure intervenga nel corso della procedura di gara.
A tale conclusione si perviene alla luce della considerazione che i principi di buona fede e correttezza sono posti a presidio della libertà di autodeterminazione dei cittadini, e quindi sono espressione dei valori costituzionali di solidarietà e libera iniziativa economica.
La valenza costituzionale del dovere di correttezza impone di ritenerlo operante in un più vasto ambito di casi, in cui, pur eventualmente mancando una trattativa in senso tecnico-giuridico, venga, comunque, in rilievo una situazione “relazionale” qualificata, capace di generare ragionevoli affidamenti e fondate aspettative.
Pertanto, conclude la Plenaria, non è necessario che esista un affidamento alla stipula del contratto di appalto, se il privato viene comunque leso nella propria libertà contrattuale.
Chiarito dunque che la responsabilità in questione può venire in essere anche prima dell’aggiudicazione, l’Adunanza Plenaria 5/2018 ha chiarito i presupposti concreti per la sua configurabilità, specificando il principio generale per cui il risarcimento è dovuto quando l’ente pubblico non ha adempiuto ai doveri di buona fede, correttezza, lealtà e diligenza, nonostante l’incolpevole affidamento ingenerato nel privato (v. anche, sul punto, Cass. Civ. SS. UU. 27 aprile 2017, n. 10413).
Affinché nasca la responsabilità dell’amministrazione non è sufficiente che il privato dimostri la propria buona fede soggettiva (ovvero che egli abbia maturato un affidamento incolpevole circa l’esistenza di un presupposto su cui ha fondato la scelta di compiere conseguenti attività economicamente onerose), ma occorrono gli ulteriori seguenti presupposti:
a) che l’affidamento incolpevole risulti leso da una condotta che, valutata nel suo complesso, e a prescindere dall’indagine sulla legittimità dei singoli provvedimenti, risulti oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e di lealtà. In questo caso la responsabilità per danno non è derivante da uno specifico provvedimento amministrativo, che può essere anche legittimo, ma dal complessivo comportamento nel corso della procedura per la stipula di un contratto pubblico;
b) che tale oggettiva violazione dei doveri di correttezza sia anche soggettivamente imputabile all’amministrazione, in termini di colpa o dolo;
c) che il privato provi sia il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale), sia il danno-conseguenza (le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate), sia i relativi rapporti di causalità fra tali danni e la condotta scorretta che si imputa all’amministrazione.
Infatti, il dovere di correttezza è strumentale alla tutela della libertà di autodeterminazione negoziale, cioè di quel diritto (espressione a sua volta del principio costituzionale che tutela la libertà di iniziativa economica) di autodeterminarsi liberamente nelle proprie scelte negoziali, senza subire interferenze illecite derivanti da condotte di terzi connotate da slealtà e scorrettezza.
Ai fini della responsabilità della P.A. deve essere considerata anche la potenziale colpa del privato, ai sensi dell’art. 1338 del Codice Civile. Quest’ultimo prevede che <<la parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa d’invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto>>.
Da ciò discende la necessaria indagine sulla scusabilità dell’affidamento del privato, come nel caso in cui lo stesso avesse avuto conoscenza del motivo per cui, per esempio, il contratto non poteva essere stipulato o l’aggiudicazione non poteva essere approvata.
Occorrerà risarcire, in caso di responsabilità precontrattuale, il c.d. interesse negativo: si tratta delle perdite dovute per l’aver fatto affidamento nella conclusione del contratto, particolare riferimento ai mancati guadagni conseguenza delle occasioni contrattuali perdute (lucro cessante), nonché le spese sostenute per lo svolgimento delle trattative (danno emergente).
Non sono invece risarcibili i mancati guadagni che sarebbero derivati dalla stipula e dall’esecuzione del contratto.
Il riparto di giurisdizione in tema di risarcimento del danno da mancata stipula del contratto d’appalto
In particolare, secondo l’indirizzo originario della giurisprudenza prevalente, applicando il tradizionale criterio di riparto della giurisdizione basato sugli interessi dedotti in giudizio (Giudice Ordinario per i diritti soggettivi e Giudice Amministrativo per gli interessi legittimi), nel settore delle procedure ad evidenza pubblica: 1) le questioni intercorrenti tra il momento della indizione della gara ed il momento dell’aggiudicazione della stessa venivano attribuite alla giurisdizione del Giudice Amministrativo (sulla base della considerazione che, per tutta la fase relativa alla gara, nella scelta del contraente, vi fosse esplicazione di poteri autoritativi in relazione ai quali le posizioni dei privati avevano consistenza di interessi legittimi); 2) le questioni sulla sorte del contratto, determinate dall’annullamento della intera gara o della relativa aggiudicazione da parte del Giudice Amministrativo, venivano attribuite alla giurisdizione del Giudice Ordinario (sulla base della considerazione che, per tutta la fase successiva all’aggiudicazione della gara, vi fosse esplicazione di autonomia contrattuale delle parti, in relazione alla quale le posizioni di entrambe le parti avevano consistenza di diritti soggettivi).
Con riferimento all’individuazione del Giudice competente a conoscere delle questioni relative all’annullamento dell’aggiudicazione ed alla sorte del contratto, la Direttiva dell’Unione Europea 2007/66/CE ha disposto che le stesse fossero attribuite ad un unico Giudice, al fine di garantire le esigenze primarie di concentrazione, di effettività della tutela, di ragionevole durata e di celerità dei giudizi in materia di appalti pubblici.
Nonostante tale impostazione dell’ordinamento comunitario, in Italia, almeno inizialmente, la configurazione del riparto di giurisdizione nei termini elaborati in precedenza dalla giurisprudenza (Giudice Amministrativo per l’annullamento dell’aggiudicazione e Giudice Ordinario per la sorte del contratto) era stata ribadita ripetutamente dalle Sezioni Unite della Cassazione con una serie di decisioni, tra le quali, in particolare, le nn. 27169/2007, 10443/2008 e 19805/2008.
L’affermazione di tali principi da parte della Cassazione ha determinato un forte dibattito in giurisprudenza, legato alla semplice considerazione che – nella materia delle procedure ad evidenza pubblica, nella quale il rapporto tra Amministrazione e privato si svolge fondamentalmente in due fasi (la prima pubblicistica, volta all’individuazione dell’aggiudicatario, la seconda privatistica, relativa al contratto tra Amministrazione e aggiudicatario) – l’applicazione dei principi generali relativi al riparto di giurisdizione, in base alla posizione giuridica soggettiva da tutelare, portava inevitabilmente ad uno sdoppiamento della tutela, in quanto la parte che aveva ottenuto l’annullamento dell’aggiudicazione della gara, disposta in favore del controinteressato, da parte del Giudice Amministrativo, era poi costretta a ricorrere anche al Giudice Ordinario per chiedere la caducazione del contratto nel frattempo stipulato tra Amministrazione e controinteressato.
In tale situazione, la Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 9/2008 – in un’ottica di prevalenza della esigenza di concentrazione della tutela relativa ad un’unica questione (sostanzialmente costituita dalla pretesa all’assegnazione del contratto oggetto della gara, seppure nelle sue due fasi di aggiudicazione e sorte del contratto) – ha apportato un correttivo all’impostazione fatta propria dalle Sezioni Unite, affermando che, per quanto il Giudice Amministrativo dovesse ritenersi privo di giurisdizione sulla sorte del contratto in fase di cognizione, lo stesso aveva, invece, giurisdizione anche sulla sorte del contratto nella fase di ottemperanza, nell’ambito della quale, essendo investito di poteri di giurisdizione di merito, esso avrebbe potuto sindacare anche la sorte del contratto. Secondo tale impostazione, l’annullamento dell’aggiudicazione da parte del Giudice
Amministrativo faceva sorgere l’obbligo in capo all’Amministrazione soccombente di conformarsi al giudicato, per cui, se la stessa fosse rimasta inerte, l’interessato avrebbe potuto instaurare un giudizio di ottemperanza, nell’ambito del quale il Giudice Amministrativo avrebbe potuto sindacare in modo pieno e completo l’attività dell’Amministrazione o il suo comportamento omissivo ed, eventualmente, nominare un Commissario ad acta per dare esecuzione alla sentenza.
Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario e non in quella del giudice amministrativo una controversia avente ad oggetto la richiesta di risarcimento del danno da mancata stipula di un contratto di appalto aggiudicato a seguito dell’esperimento di regolare gara pubblica; infatti, la giurisdizione esclusiva del G.A. arriva fino all’atto di aggiudicazione definitiva, non potendo estendersi al segmento procedimentale successivo (che precede la stipula del contratto) se non nel caso in cui sussistano posizione di interesse legittimo eventualmente lese, ossia in base al criterio generale di riparto della giurisdizione secondo la consistenza della posizione giuridico soggettiva fatta valere per come azionata dal punto di vista della causa petendi (TAR PUGLIA – BARI, SEZ. I – 8 marzo 2021 n. 420).
Il giudice amministrativo ha ritenuto in tal senso dirimente l’orientamento espresso dalle sezioni unite della Corte di Cassazione, le quali hanno operato una generale ricognizione dei criteri di riparto di giurisdizione nella materia degli appalti pubblici, giungendo alla conclusione che la giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo arriva fino all’atto di aggiudicazione definitiva, non potendo estendersi al segmento procedimentale successivo (che precede la stipula del contratto) se non nel caso in cui sussistano posizione di interesse legittimo eventualmente lese, ossia in base al criterio generale di riparto della giurisdizione secondo la consistenza della posizione giuridico soggettiva fatta valere per come azionata dal punto di vista della causa petendi.
Più nel dettaglio la Suprema Corte ha statuito che <<in materia di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture, nella vigenza del codice del processo amministrativo, ed in relazione a vicende riconducibili alla disciplina dell’art. 11 del d.lgs. n. 163 del 2006, il riparto di giurisdizione deve ritenersi articolato nel modo seguente: a) sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. e), n. 1 del cod. proc. amm., sulle controversie relative alla sola fase procedimentale, cioè dall’inizio della procedura sino all’aggiudicazione definitiva estendendosi detta giurisdizione a qualsiasi provvedimento, atto, accordo e comportamento tenuto entro quel lasso temporale, nonché in ogni caso ad eventuali provvedimenti dell’amministrazione di annullamento d’ufficio della stessa aggiudicazione definitiva ai sensi dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 o comunque previsti da norme di legge, in quanto direttamente incidenti sulla stessa genesi dell’aggiudicazione all’atto della sua effettuazione e, dunque, riconducibili alla relativa procedura; b) quanto, invece, alla situazione successiva all’efficacia dell’aggiudicazione definitiva, e prima del sopravvenire dell’efficacia della conclusione del contratto (ivi compresa la sua anticipata esecuzione), vige il normale criterio di riparto imperniato sulla distinzione fra interesse legittimo e diritto soggettivo, di modo che si configurava la giurisdizione del giudice amministrativo solo in presenza di una controversia inerente all’esercizio da parte dell’amministrazione di un potere astratto previsto dalla legge, mentre, al di fuori di tal caso (e, dunque, in assenza di riconducibilità dell’agire dell’Amministrazione ad un potere di quel genere), la situazione è di diritto comune e, dunque, si configura la giurisdizione del giudice ordinario>> (Corte di Cassazione, SS.UU., 5 ottobre 2018, n. 24411).
Nel caso di specie il TAR Puglia non ha ritenuto di doversi discostare dalla netta e lineare pronuncia delle sezioni unite, evidenziando in particolare come in forza della natura oggettivamente privatistica delle vicende negoziali fatte oggetto di contestazione nel relativo giudizio, la giurisdizione sulle medesime dovesse essere riferita esclusivamente al giudice ordinario, essendo stata dedotta in giudizio la spettanza di un diritto alla stipulazione del contratto.
In conclusione, il ricorso è stato dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione, avendo il TAR Puglia indicato, quale giudice munito di giurisdizione ai sensi dell’articolo 11, comma 1 del codice del processo amministrativo, il giudice ordinario, davanti al quale il processo avrebbe dovuto essere riproposto nei termini e con le modalità di cui al comma 2 della predetta disposizione.
Nodi irrisolti ed ipotesi risolutive
Non v’è dubbio che le vicende inerenti il riparto di giurisdizione continuino ad essere, nel nostro ordinamento, e non soltanto nell’ambito degli appalti pubblici, un tema estremamente critico del dibattito dottrinale e giurisprudenziale, anche e soprattutto per i risvolti che esso comporta in termini di ambiguità ed incertezze interpretative.
Si pensi, ad esempio, al cosiddetto risarcimento del danno da provvedimento amministrativo “legittimo”, cioè a dire al risarcimento del danno da provvedimento amministrativo favorevole ma illegittimo, poi annullato dal giudice amministrativo o ritirato dalla pubblica amministrazione in sede di autotutela.
La soluzione tradizionale, abbracciata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (v.si Cass., SS.UU., 23 marzo 2011, ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596), afferma la giurisdizione del giudice ordinario, sull’assunto che non sia in discussione un esercizio illegittimo del potere, bensì un mero comportamento della p.a., consistente nell’adozione di atti favorevoli, poi ritirati, che hanno prima ingenerato e poi violato un legittimo affidamento nel privato circa la loro legittimità. Rileva quindi una violazione del principio generale di neminem laedere e il privato può agire ex art. 2043 c.c. dinanzi al giudice ordinario.
Una nota pronuncia del TAR Lombardia (sez. II, 17 luglio 2013, n. 1307) si è espressa nel senso opposto, affermando la propria giurisdizione, prendendo le mosse dall’essenza del legittimo affidamento. Ciò che non convince, spiega il TAR, è la riconduzione dell’affidamento alla categoria del diritto soggettivo e, più in generale, il suo inquadramento come situazione giuridica autonoma. L’affidamento altro non è, infatti, che un’aspettativa delle parti di un rapporto giuridico circa il reciproco rispetto di un generale canone di lealtà e correttezza. Se così è, si deve ritenere che l’affidamento non costituisca una situazione giuridica autonoma, quanto piuttosto un elemento che contribuisce ad arricchire il contenuto delle situazioni giuridiche cui esso accede; un elemento che assume dunque qualificazione diversa a seconda delle diverse situazioni sulle quali esso va ad incidere. Ne deriva che, quando il soggetto il cui affidamento è stato leso vanta, nei confronti dell’altra parte del rapporto, un diritto soggettivo, la lesione di detto affidamento si sostanzia a sua volta nella lesione di un diritto soggettivo, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario; nel caso opposto, quando da un lato vi è la pubblica amministrazione nell’esercizio di un potere autoritativo e dall’altra il privato titolare di un interesse legittimo, l’affidamento del privato partecipa della natura di quest’ultimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo. Non potrebbe che derivarne, nel caso di annullamento del provvedimento amministrativo favorevole, la giurisdizione dei TAR, atteso che il privato istante vanta – come nessuno dubiterebbe – soltanto un interesse legittimo all’edificazione nei confronti della pubblica amministrazione.
Successivi orientamenti del giudice amministrativo (v. Cons. di Stato, Sez. V, 2 agosto 2013, n. 4059) si sono tuttavia allineati all’orientamento già più volte espresso dalla Corte di Cassazione, propendendo per la giurisdizione ordinaria.
Il dibattito sul riparto di giurisdizione non è destinato ad esaurirsi, almeno sino a quando la questione non sarà affrontata a livello legislativo ed ordinamentale. Fino a quando, cioè, non si prenderà definitivamente atto che, per preservare i rapporti giuridici tra privati e pubblica amministrazione, occorrono regole certe, non potendo tali rapporti essere rimessi agli incerti ed ondivaghi orientamenti giurisprudenziali.
La soluzione potrebbe essere quella di prevedere un riparto di giurisdizione di carattere puramente soggettivo, vale dire che ogni controversia in cui sia coinvolta la pubblica amministrazione, sia che si tratti di diritti soggettivi sia che si tratti di interessi legittimi, ed indipendentemente dal tipo di potere esercitato dall’amministrazione stessa (autoritativo, discrezionale o meramente privatistico) siano devolute al giudice speciale, ossia al giudice amministrativo. Si tratterebbe, ovviamente, di un cambiamento assai radicale probabilmente auspicabile, almeno nelle materie “speciali” quali gli appalti pubblici, le cui controversie necessitano soluzioni rapide che potrebbero giovarsi proprio della concentrazione dei contenziosi (sia nella fase antecedente, sia in quella successiva alla stipula del contratto) presso il giudice amministrativo.